Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

Di Zombiwine

A Ischia, nel golfo di Napoli, non si produce solo Biancolella e Piedirosso. C’è anche chi produce vini diversi. Sicuramente da provare.

 

Vini Bajola: tempeste ischitane 2022, articolo di Zombiwine

Vini Bajola: tempeste ischitane 2022, articolo di Zombiwine

Decomposti e decomposte, buona sera e bentornati con Zombiwine: l’unico sommelier che se non lo segui morde. Non potevo esimermi di parlare anche qui, su Papillae di una delle aziende vinicole che amo in assoluto di più al mondo.
Badate bene, non si tratta di bottiglie costose. Non si tratta di uno Cheval Blanc del quale quasi sempre possiamo solo leggerne storia e recensioni e poi (almeno per la maggior parte di noi) dilungarci in atti di onanismo intellettuale\enologico.

I vini Bajola non superano i trentacinque/quaranta euro, che anche se non è proprio il costo di un etto di lupini, ancora è affrontabile.
Cominciamo a dire dove ci troviamo: Isola di Ischia, golfo di Napoli, Campania.
Nonostante l’isola sia famosa per la vinificazione del Biancolella e del Piedirosso, la nostra azienda – Baiola – ha deciso di perseguire una strada diversa.

Il loro vigneto di circa settemila mq (0,7 h, quindi quanto molti vigneti in Borgogna) è piantato con uve Vermentino, Viogner, Sauvignon Blanc, Incrocio Manzoni, Malvasia delle Lipari. Uve del Mediterraneo, queste, uve di popoli migranti, uve della storia.
Su ogni bottiglia troverete scritto “foglia n 13, 14, 15…” ecc.; questo perché la prima vendemmia ufficiale è avvenuta dopo tredici anni (tredici foglie) da quando il vigneto è stato piantato, cioè nel 2000.
Quindi, per osmosi, foglia 17 significherà vendemmia 2017, e così via.

Vini Bajola: tempeste ischitane.

Perché la scelta di queste uve?

Perché nella loro essenza c’è il mare, ci sono i viaggi, le tempeste e la storia dell’Europa: in pochi metri si parte dai Fenici e si arriva alla Seconda guerra mondiale.
I due vini Bajola sono davvero unici nella loro storia: andiamo a vedere perché e per poterlo fare, magari, può esserci utile avere sotto occhio il loro sito: https://bajoladalice.wordpress.com.

Il vigneto di Bajole è coltivato seguendo le pratiche biodinamiche, in biologico dal 2011, ma già da prima non si praticava un’agricoltura interventista. Oggi le uniche sostanze usate sono il rame, lo zolfo, il corno letame e la corno silice e un sovescio studiato appositamente per il vigneto.
Come potete già intuire da queste poche parole, l’azienda crede assolutamente nella filosofia naturale. Devo, per correttezza intellettuale, aggiungere che sono avvantaggiati dal terreno vulcanico di Ischia: un connubio perfetto quello fra biodinamica – supporto mio e microbiologico – e terreni vulcanici.
Sul sito aziendale c’è l’andamento della vendemmia di ogni singola annata, questo perché le peculiari caratteristiche di questi vini fanno si che davvero ogni singola annata sia storia a sé. Ne parleremo.

Vini Bajola: macchine del tempo

"Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino" di Zombiwine

“Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino” di Zombiwine

Ora, perché dico che questi vini sono una macchina del tempo? Perché seguono un processo di vinificazione molto particolare. Comprenderlo ci permetterà di fare un viaggio lungo migliaia e migliaia di anni.

Tutti (spero) saprete che il vino nasce in Georgia, in Iran, in Iraq e in Armenia e che poi è stato portato in Europa prima dai Fenici e poi dai Greci; infine, a Roma, la vite diventa la compagna dei popoli.

All’epoca strumento di trasporto e di vinificazione era l’anfora di terracotta, questo contenitore sta vivendo oggi una nuova primavera; in Georgia ancora oggi le anfore interrate Qvevri (o Queveri) vengono utilizzate per verificare e invecchiare il vino.

Tuttavia c’è anche di un altro archeo-metodo che sicuramente era utilizzato dai popoli ellenici: il Palmento. Ai fini di questo articolo non mi interessa decidere quale dei due sia nato prima, anche perché probabilmente erano entrambi utilizzati nel medesimo periodo.

Ma cosa è un palmento?

È una vasca in pietra che si utilizzava per la raccolta delle acque piovane, che poi erano impiegate per irrigare i campi; una forma che si prestava perfettamente ad essere usata come contenitore per uve da pigiare e per agevolare la partenza della fermentazione. Poi, probabilmente, il liquido vinoso veniva messo nelle anfore.

In Italia, sopratutto sull’Etna e in Sicilia, i palmenti si sono utilizzati sino all’inizio del Novecento e qualcuno dei più tradizionalisti fra i produttori li usano ancora per pigiare le uve.

Ma cosa centra questa storia con Ischia e con Bajola?

Sull’isola ci sono ritrovamenti archeologici che attestano la presenza di grossi palmenti utilizzati, appunto, per la vinificazione. Quando i proprietari Francesco ed Alice decisero di vinificare la propria uva avevano un enorme problema: per vincoli paesaggistici non potevano costruire una cantina, e allora ebbero un lampo di genio: trasformare il palmento in una specie di anfora a modo loro.

Vini Bajola: il lampo di genio

Come funziona, quindi, il palmeto di Bajola? È tutto molto semplice.
In mezzo alla vigna sono state ricavate tre vasche da una cisterna interrata utilizzata un tempo per la raccolta dell’acqua piovana.
Le uve appena raccolte vengono solo di raspate e messe nelle vasche per caduta, senza l’uso di pompe o altro ausilio.
La fermentazione parte spontanea.

Non c’è nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e nessun filtraggio.
Quando la fermentazione tumultuosa termina si svina e da questo momento in poi il vino affina sempre nelle stesse vasche sulle sue fecce fini.
Le vasche sono mantenute sature di gas inerte per evitare ossidazioni.
Dopo sei mesi si imbottiglia e, voilà, ecco il Bajola.

A questo vino va affiancato, dal 2017, uno strano esperimento, ovvero il vino perpetuo Bajola in tiano.

Bajola in “tiano”

Bajola in “tiano”, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

Bajola in “tiano”, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

A questo punto si fa un salasso dal palmeto e lo si trasferisce nel tiano.

Il tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).

Il tiano è protetto esternamente con un composto a base di cera d’api, olio di lino ed essenza di agrumi.

La ricetta proviene da lunghi studi finalizzati a non renderlo completamente impermeabile, ma di mantenere una certo contatto con l’aria adatto all’affinamento del vino.

 

Vino prodotto nel tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).

Vino prodotto nel tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).

Prima del primo utilizzo, l’interno del tiano viene sottoposto a una sorta di encausto esclusivamente a base di prodotti vinosi, ciò per ridurre la porosità della terracotta.

Il tiano non si riempie mai totalmente, in modo da consentire un sostanziale contatto fra superficie vino e aria, favorendo così la creazione di un Flor di lieviti.

Il tiano non viene mai svuotato; al momento dell’imbottigliamento si lascia almeno il 10% del vino ricco di feccia fine, memoria delle annate precedenti.

È questo il metodo “perpetuo” di Bajola.

Vini Bajola: come sono?

Ma come sono questi due vini? Estremi e adatti. Chi non ha paura di sporcarsi il naso o il palato fanno per lui: non sono vini per novellini, insomma, o verginali enoici.

Io li amo molto.

 

Il Bajola foglia

Il Bajola foglia, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

Il Bajola foglia, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

Il Bajola foglia è un vino in cui coesistono piacevolezze e difetti, proprio come nel ciclo della natura: il colore è intenso e scuro, quasi marsalato, e il vino ha una sua personale quantità di volatile e una riduzione per cui bisogna berlo, se ci si crede.
Che voglio dire? Che se per te il vino è solo giallo paglierino lascia stare, questo non è un vino da bacetti sotto al muschio. È un vino che ti prende e ti zompa addosso come una pazza meretrice! Ti strappa l’anima, il cuore e ci gioca a carte e poi – non contenta – ti chiede anche di sposarla!

Ma dietro quella volatile c’è tutta la bellezza dell’isola di Ischia! Odore di pesca percoca, quella gialla. Macchia mediterranea, ginepro, profumo di mare e risacca, quella sensazione olfattiva prima che venga a piovere e su tutto, poi, al sorso, una strabiliante complessità aromatica. Questo è uno di quei vini che o lo ami o lo odi, e non sono io a volerne tessere per forza le lodi. Se non dovesse piacervi potrei capirlo, io lo amerei comunque.

Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata.

"Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata" di Zombiwine

“Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata” di Zombiwine

Il Tano

Diversa è la storia del Tano, che invece è un vino oscuro e tempestoso: qui le sensazioni sono portate al limite della sopportazione, arricchite anche dall’ossidazione. Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino. Io, ancora, non ci sono riuscito, ma – avendone bevuto solo una bottiglia – mi concedo il diritto di riberlo. Assolutamente assurdo, credetemi, e so benissimo che, per la metà di voi, è una cosa profondamente sbagliata.

Di colore quasi neutro, va aperto e lasciato almeno qualche ora a decantare, meglio se proprio in un decanter. Poi da tutti quegli strati di sensazioni assolute lentamente sorgerà un fiore, un profumo di tè, di tabacco, di caffè, con note tostate, un sentore di funghi, di fior scuri, di pietra vulcanica, di mare in tempesta, con vaghe note ossidative. Un’esperienza assolutamente unica.
Il sorso non si può descrivere. Sappiate solo che io l’ho bevuto in tre giorni, come se fosse una turista misteriosa con cui trascorrere un weekend folle di sesso.

Conclusioni

Questo è Bajola, una storia d’amore per un isola, per una terra, per un modo di fare vino e per un approccio al vino stesso: non ho la pretesa che a piaccia. ma visto che ormai siamo in un mondo che accetta le altrui differenze, datemi retta: non fate gli enofobici! Prendetevene una bottiglia (meglio due) e cercate di capire cosa mi ha emozionato in questi cinque meravigliosi anni, da quando mio sono avvicinato per la prima volta ai vini di Bajola.

Di Zombiwine

Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua

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