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  • Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

    Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

    Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

    Di Zombiwine

    A Ischia, nel golfo di Napoli, non si produce solo Biancolella e Piedirosso. C’è anche chi produce vini diversi. Sicuramente da provare.

     

    Vini Bajola: tempeste ischitane 2022, articolo di Zombiwine
    Vini Bajola: tempeste ischitane 2022, articolo di Zombiwine

    Decomposti e decomposte, buona sera e bentornati con Zombiwine: l’unico sommelier che se non lo segui morde. Non potevo esimermi di parlare anche qui, su Papillae di una delle aziende vinicole che amo in assoluto di più al mondo.
    Badate bene, non si tratta di bottiglie costose. Non si tratta di uno Cheval Blanc del quale quasi sempre possiamo solo leggerne storia e recensioni e poi (almeno per la maggior parte di noi) dilungarci in atti di onanismo intellettuale\enologico.

    I vini Bajola non superano i trentacinque/quaranta euro, che anche se non è proprio il costo di un etto di lupini, ancora è affrontabile.
    Cominciamo a dire dove ci troviamo: Isola di Ischia, golfo di Napoli, Campania.
    Nonostante l’isola sia famosa per la vinificazione del Biancolella e del Piedirosso, la nostra azienda – Baiola – ha deciso di perseguire una strada diversa.

    Il loro vigneto di circa settemila mq (0,7 h, quindi quanto molti vigneti in Borgogna) è piantato con uve Vermentino, Viogner, Sauvignon Blanc, Incrocio Manzoni, Malvasia delle Lipari. Uve del Mediterraneo, queste, uve di popoli migranti, uve della storia.
    Su ogni bottiglia troverete scritto “foglia n 13, 14, 15…” ecc.; questo perché la prima vendemmia ufficiale è avvenuta dopo tredici anni (tredici foglie) da quando il vigneto è stato piantato, cioè nel 2000.
    Quindi, per osmosi, foglia 17 significherà vendemmia 2017, e così via.

    Vini Bajola: tempeste ischitane.

    Perché la scelta di queste uve?

    Perché nella loro essenza c’è il mare, ci sono i viaggi, le tempeste e la storia dell’Europa: in pochi metri si parte dai Fenici e si arriva alla Seconda guerra mondiale.
    I due vini Bajola sono davvero unici nella loro storia: andiamo a vedere perché e per poterlo fare, magari, può esserci utile avere sotto occhio il loro sito: https://bajoladalice.wordpress.com.

    Il vigneto di Bajole è coltivato seguendo le pratiche biodinamiche, in biologico dal 2011, ma già da prima non si praticava un’agricoltura interventista. Oggi le uniche sostanze usate sono il rame, lo zolfo, il corno letame e la corno silice e un sovescio studiato appositamente per il vigneto.
    Come potete già intuire da queste poche parole, l’azienda crede assolutamente nella filosofia naturale. Devo, per correttezza intellettuale, aggiungere che sono avvantaggiati dal terreno vulcanico di Ischia: un connubio perfetto quello fra biodinamica – supporto mio e microbiologico – e terreni vulcanici.
    Sul sito aziendale c’è l’andamento della vendemmia di ogni singola annata, questo perché le peculiari caratteristiche di questi vini fanno si che davvero ogni singola annata sia storia a sé. Ne parleremo.

    Vini Bajola: macchine del tempo

    "Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino" di Zombiwine
    “Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino” di Zombiwine

    Ora, perché dico che questi vini sono una macchina del tempo? Perché seguono un processo di vinificazione molto particolare. Comprenderlo ci permetterà di fare un viaggio lungo migliaia e migliaia di anni.

    Tutti (spero) saprete che il vino nasce in Georgia, in Iran, in Iraq e in Armenia e che poi è stato portato in Europa prima dai Fenici e poi dai Greci; infine, a Roma, la vite diventa la compagna dei popoli.

    All’epoca strumento di trasporto e di vinificazione era l’anfora di terracotta, questo contenitore sta vivendo oggi una nuova primavera; in Georgia ancora oggi le anfore interrate Qvevri (o Queveri) vengono utilizzate per verificare e invecchiare il vino.

    Tuttavia c’è anche di un altro archeo-metodo che sicuramente era utilizzato dai popoli ellenici: il Palmento. Ai fini di questo articolo non mi interessa decidere quale dei due sia nato prima, anche perché probabilmente erano entrambi utilizzati nel medesimo periodo.

    Ma cosa è un palmento?

    È una vasca in pietra che si utilizzava per la raccolta delle acque piovane, che poi erano impiegate per irrigare i campi; una forma che si prestava perfettamente ad essere usata come contenitore per uve da pigiare e per agevolare la partenza della fermentazione. Poi, probabilmente, il liquido vinoso veniva messo nelle anfore.

    In Italia, sopratutto sull’Etna e in Sicilia, i palmenti si sono utilizzati sino all’inizio del Novecento e qualcuno dei più tradizionalisti fra i produttori li usano ancora per pigiare le uve.

    Ma cosa centra questa storia con Ischia e con Bajola?

    Sull’isola ci sono ritrovamenti archeologici che attestano la presenza di grossi palmenti utilizzati, appunto, per la vinificazione. Quando i proprietari Francesco ed Alice decisero di vinificare la propria uva avevano un enorme problema: per vincoli paesaggistici non potevano costruire una cantina, e allora ebbero un lampo di genio: trasformare il palmento in una specie di anfora a modo loro.

    Vini Bajola: il lampo di genio

    Come funziona, quindi, il palmeto di Bajola? È tutto molto semplice.
    In mezzo alla vigna sono state ricavate tre vasche da una cisterna interrata utilizzata un tempo per la raccolta dell’acqua piovana.
    Le uve appena raccolte vengono solo di raspate e messe nelle vasche per caduta, senza l’uso di pompe o altro ausilio.
    La fermentazione parte spontanea.

    Non c’è nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e nessun filtraggio.
    Quando la fermentazione tumultuosa termina si svina e da questo momento in poi il vino affina sempre nelle stesse vasche sulle sue fecce fini.
    Le vasche sono mantenute sature di gas inerte per evitare ossidazioni.
    Dopo sei mesi si imbottiglia e, voilà, ecco il Bajola.

    A questo vino va affiancato, dal 2017, uno strano esperimento, ovvero il vino perpetuo Bajola in tiano.

    Bajola in “tiano”

    Bajola in “tiano”, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.
    Bajola in “tiano”, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

    A questo punto si fa un salasso dal palmeto e lo si trasferisce nel tiano.

    Il tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).

    Il tiano è protetto esternamente con un composto a base di cera d’api, olio di lino ed essenza di agrumi.

    La ricetta proviene da lunghi studi finalizzati a non renderlo completamente impermeabile, ma di mantenere una certo contatto con l’aria adatto all’affinamento del vino.

     

    Vino prodotto nel tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).
    Vino prodotto nel tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).

    Prima del primo utilizzo, l’interno del tiano viene sottoposto a una sorta di encausto esclusivamente a base di prodotti vinosi, ciò per ridurre la porosità della terracotta.

    Il tiano non si riempie mai totalmente, in modo da consentire un sostanziale contatto fra superficie vino e aria, favorendo così la creazione di un Flor di lieviti.

    Il tiano non viene mai svuotato; al momento dell’imbottigliamento si lascia almeno il 10% del vino ricco di feccia fine, memoria delle annate precedenti.

    È questo il metodo “perpetuo” di Bajola.

    Vini Bajola: come sono?

    Ma come sono questi due vini? Estremi e adatti. Chi non ha paura di sporcarsi il naso o il palato fanno per lui: non sono vini per novellini, insomma, o verginali enoici.

    Io li amo molto.

     

    Il Bajola foglia

    Il Bajola foglia, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.
    Il Bajola foglia, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.

    Il Bajola foglia è un vino in cui coesistono piacevolezze e difetti, proprio come nel ciclo della natura: il colore è intenso e scuro, quasi marsalato, e il vino ha una sua personale quantità di volatile e una riduzione per cui bisogna berlo, se ci si crede.
    Che voglio dire? Che se per te il vino è solo giallo paglierino lascia stare, questo non è un vino da bacetti sotto al muschio. È un vino che ti prende e ti zompa addosso come una pazza meretrice! Ti strappa l’anima, il cuore e ci gioca a carte e poi – non contenta – ti chiede anche di sposarla!

    Ma dietro quella volatile c’è tutta la bellezza dell’isola di Ischia! Odore di pesca percoca, quella gialla. Macchia mediterranea, ginepro, profumo di mare e risacca, quella sensazione olfattiva prima che venga a piovere e su tutto, poi, al sorso, una strabiliante complessità aromatica. Questo è uno di quei vini che o lo ami o lo odi, e non sono io a volerne tessere per forza le lodi. Se non dovesse piacervi potrei capirlo, io lo amerei comunque.

    Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata.

    "Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata" di Zombiwine
    “Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata” di Zombiwine

    Il Tano

    Diversa è la storia del Tano, che invece è un vino oscuro e tempestoso: qui le sensazioni sono portate al limite della sopportazione, arricchite anche dall’ossidazione. Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino. Io, ancora, non ci sono riuscito, ma – avendone bevuto solo una bottiglia – mi concedo il diritto di riberlo. Assolutamente assurdo, credetemi, e so benissimo che, per la metà di voi, è una cosa profondamente sbagliata.

    Di colore quasi neutro, va aperto e lasciato almeno qualche ora a decantare, meglio se proprio in un decanter. Poi da tutti quegli strati di sensazioni assolute lentamente sorgerà un fiore, un profumo di tè, di tabacco, di caffè, con note tostate, un sentore di funghi, di fior scuri, di pietra vulcanica, di mare in tempesta, con vaghe note ossidative. Un’esperienza assolutamente unica.
    Il sorso non si può descrivere. Sappiate solo che io l’ho bevuto in tre giorni, come se fosse una turista misteriosa con cui trascorrere un weekend folle di sesso.

    Conclusioni

    Questo è Bajola, una storia d’amore per un isola, per una terra, per un modo di fare vino e per un approccio al vino stesso: non ho la pretesa che a piaccia. ma visto che ormai siamo in un mondo che accetta le altrui differenze, datemi retta: non fate gli enofobici! Prendetevene una bottiglia (meglio due) e cercate di capire cosa mi ha emozionato in questi cinque meravigliosi anni, da quando mio sono avvicinato per la prima volta ai vini di Bajola.

    Di Zombiwine

    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua

     


    Sito Cantina:https://bajoladalice.wordpress.com.

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  • Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.

    Di Zombiwine

     

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022, Zombiwine.
    Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022, Zombiwine

    Lo so questo titolo sembra un po bislacco, ma fidatevi non è stato scelto per stupirvi a tutti i costi; dietro c’è un profondo ragionamento che vorrei fare con voi.

    Definire, catalogare, inquadrare un concetto all’interno di un vasto insieme che ci permette di comprendere in mondo intorno a noi: questo è quello che rende l’umanità se stessa, la capacità di estrarre concetti complessi e combinarli all’interno di uno schema.

    Ma qualche volta questo schema perde la sua connotazione originaria poiché al suo interno avviene una mutazione , uno scisma un moto di ribellione ad un ordine precostituito.

    Prendiamo la parola bere: indica latto di ingerire un liquido, è un verbo fondamentale per la sopravvivenza. Fin qui tutto bene.

    Prendiamo la parola bere: indica latto di ingerire un liquido, è un verbo fondamentale per la sopravvivenza. Fin qui tutto bene.
    Prendiamo la parola bere: indica latto di ingerire un liquido, è un verbo fondamentale per la sopravvivenza. Fin qui tutto bene…Zombiwine in meditazione

    Bere pero che cosa?

    Nonostante noi abbiamo bisogno di acqua storicamente l’acqua non è stata sempre potabile e  l’uomo ci ha messo molto a capire come renderla sicura.
    Quindi bere indica consumare un liquido diverso dal H2o. Due erano i macro-mondi che venivano consumati con una certa sicurezza.

    Sostanze dissetanti, sostanze sicure, sostanze magari inebrianti e quindi bere divenne anche sinonimo di consumare alcolici o comunque bevande culturalmente importanti.
    In Europa si consumavano bevande fermentate, non per forza alcoliche, ma semplificando all’estremo il concetto diciamo vino e birra, infusi per l’oriente con il consumo del thè.

    In entrambi i casi, l’uomo usava un processo empirico che tendeva a dare una bevanda più salubre delle acque dei pozzi, grazie all’alcol e alla bollitura delle acque.

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino.
    Antropologia culturale in un bicchiere di vino.

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino.

    Ora voi vi starete chiedendo dove io voglia andare a parare: la prima persona in duemila miliardi milioni di anni a spiegare effettivamente il processo di fermentazione (anche se sarebbe più corretto parlare al plurale quindi fermentazioni ) fu il francese Louis Pasteur che oltre ad aver scoperto la pastorizzazione, ha studiato , compreso e spiegato la fermentazione
    alcolica e le varie malattie del vino.

    Finalmente siamo al punto in cui volevo portarvi, da questo momento in poi l’umanità ha fatto un salto evolutivo immane, pensate come in cinquanta cento anni, l’uomo ha cambiato la sua vita come non era stato in grado di fare in mille; eppure noi qui oggi ci stiamo domandando perché e se a senso fare vino abbandonando le competenze chimiche e tecnologie conquistate.

    Bere cosa? Zombiwine e i suoi assaggi di vino
    Bere cosa? Zombiwine e i suoi assaggi di vino

    Il vino è un prodotto antropico e geografico

    Il vino è un prodotto antropico e geografico: attraverso un frutto racconta chi lo fa e dove lo fa. E’ normale che per accedere al benessere economico i contadini abbiano fatto tutto in loro potere per produrre vini stabili, bevibili, corretti, cercando di poter contrastare i danni dell’annata quando ce n’era bisogno, e di poter aumentare la quantità prima e la qualità dopo.

    Dopo tutto il vino (e la birra) per svariate migliaia di anni sono state i migliori amici dell’uomo e a volte con un tozzo di pane, il loro unico sostentamento.
    Lo so è un pippone storico.

    Ma come nasce un vino naturale? Ma allora che cos’è il vino naturale ? è uno scisma in un sistema, è una deviazione necessaria, è un salto evolutivo e sicuramente non è un involuzione.

    Per vino Naturale si intende un prodotto in cui i protocolli di coltivazione e vinificazione abbandonano i prodotti di sintesi chimica...
    Per vino Naturale si intende un prodotto in cui i protocolli di coltivazione e vinificazione abbandonano i prodotti di sintesi chimica…

    Vino Naturale

    Per vino Naturale si intende un prodotto in cui i protocolli di coltivazione e vinificazione abbandonano i prodotti di sintesi chimica sia in vigna che in cantina , le stabilizzazione tecnologica , lieviti di laboratorio, filtraggio e chiarifica.

    E’ un vino che si fa da solo quindi? Assolutamente no anzi è proprio il vino
    che non si può fare da solo!

    Se io decido di non usare trattamenti di sintesi in vigna non vuol dire che mi metto nelle mani del signore e prego che con la sua infinità bontà tenga lontano la grandine e poi quando questa arriva puntualmente lo bestemmio.

    Questo è l’atteggiamento antiscientifico di formazione religiosa.

    Il vignaiolo naturale invece i prodotti chimici che no usa li conosce bene, sa cosa fanno e come si usano proprio per non doverli usare trova una soluzione al problema!.
    In cantina un produttore naturale cercherà di fare un vino sincero e di interpretare la sua idea, avrà molti più criticità che potrebbero far nascere dei difetti, ma quello bravo sa evitare il problema a monte.

    Per fare un esempio il vino naturale non è assolutamente l’omeopatia ma semmai la fitoterapia e questo permette la creazioni di vini che avendo molti meno interventi enologici sono più rappresentativi (nel bene e nel male) del territorio di appartenenza.

    Ma come nasce un vino naturale?Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.
    Ma come nasce un vino naturale?Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.

    Ma come nasce un vino naturale?
    Il grande pro di questo approccio, oltre evitare di contaminare i terreni con sostanze che comunque sono tossiche, crea vini unici di anno in anno ma veicolati dalla sapienza odierna. Trasformano i vignaioli in custodi e in cambio restituiscono piccoli tesori.

    Il contro? Sono più difficili da fare, e spesso prezzo e risultati oggettivi non vanno a piedipasso, inoltre sono più soggetti ad errori umani e possono sviluppare più velocemente qualsiasi problema fermenrattivo .
    A saldo di quanto detto, sono i miei vini preferiti quelli naturali, poiché accetto bene qualche difetto se però il territorio di partenza è dipinto bene.Oggi stiamo vedendo sempre più migliorare questa corrente di pensiero.

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino.

    E il cliente finale cosa beve? Beve quello che vuole ed è pure giusto così.
    Per sensibilizzarlo su questi vini, bisogna farlo bere; tanto e bene.

    Il gusto piano piano si forma e attraverso quello la cultura del buon bere ma non
    bisogna forzarlo, non è un soldato che deve essere spronato.
    Deve fare le sue esperienze e i suoi confronti senza la forzatura di stare in una setta.
    Faccio un unico esempio: il vino di Nonno che spesso diventava aceto.

    Vino che era leggenda al circolato delle carte: faceva schifo a tutti ma tutti se lo
    bevevano. Quel vino era il retaggio di mio nonno ed anche se non conteneva
    nulla non era naturale.

    Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.
    Antropologia culturale in un bicchiere di vino 2022.

    Sembra un controsenso? Non lo è. Quel vino era pieno di saggezza e memoria popolare ma non aveva per niente sapienza.
    Non cera studio, non cera ricerca, e non cera neppure conoscenza delle trasformazioni che rendono un vino buono. Era sparutissimo di volatile che parva aceto, ed era normale che fosse così non poteva essere altrimenti.
    Quando invece c’è scienza e sapienza il discorso cambia totalmente.

    Conclusioni finali

    Questa introduzione ai vini naturali non vuole spiegare nulla ne essere
    didattica, sono mie elucubrazioni e spero che vi aiutano a sviluppare più
    seriamente le vostre idee; vi prometto che già dal prossimo articolo torniamo
    a parlare di vino con le bottiglie in mano.

    Di Zombiwine

    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua

    Sito Autore: https://www.zombiwine.com/

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  • La destrutturazione di un Aglianico 2015, La Cantina di Enza.

    La destrutturazione di un Aglianico 2015, La Cantina di Enza.

    La destrutturazione di un Aglianico 2015, La Cantina di Enza Passione aglianico.

    Di Zombiwine

    Enza Salduti è una donna del vino, non c’è nulla di strano in questo; il vino nelle sue incredibili e mutevoli sfumature è, e sempre sarà, una creatura fortunatamente non binaria.
    Nella sua essenza, indipendentemente se nobile o meno, sarà sempre una creatura mutevole e non per forza chiaramente definita. Premessa questa secondo me fondamentale per parlare del suo Aglianico chiamato Passione annata 2015, vino da 14,5% vol.

    La destrutturazione di un Aglianico, La Cantina di Enza 2015 Passione aglianico 2015.
    La destrutturazione di un Aglianico 2015, La Cantina di Enza Passione Irpinia aglianico 2015 DOC.

    Come tutti gli storytelling che si rispettano, facciamo un passo laterale e andiamo a capire di che cosa stiamo parlando.

    Click…Territorio

    Click, l’astronave aliena punta il suo occhio digitale sul pianeta terra!
    Click Europa!
    Click Italia!
    Click meridione…. Campania…. Irpinia …..
    Click Montemarano.

    Montemarano è un luogo unico che vive una meravigliosa dualità tanto cara alla nostra enologia.
    Barolo e Barbaresco : 24 km di distanza
    Montalcino e Montepulciano 26 km in linea d’aria.
    Montemarano Taurasi 22 km.
    L’irpinia è però terrà punk che preferisce dialogare coi suoi affezionati come facevano i poeti maledetti e che nelle declinazioni Enologiche più emozionati richiama a se ciò che fu piuttosto che ciò che potrebbe essere.

    Enza Saldutti

    Con questa premessa la nostra Enza è una produttrice di una nuova guardia: che ama fare la scarpetta nel sugo! Che ama fare vini maleducati ma saggi!
    Vini che vanno recensiti con chiavi di lettura un po più ampie o si rischia di cadere in un dualismo che, non è funzionale al nostro discorrere, ma solo chiavistello di quell’enologia trita  e ormai fastidiosa.

    Enza parla alle vigne, pratica un enologia potente e non interventista: per molti sarebbe Vino naturale, ma io preferisco chiamarli Vini antichi. La sua grammatica enologica è per il mio palato come il Latino è per la lingua italiana: difficile ma fondamentale.
    dare a voi gli elementi per comprenderli è cosa complessa e quindi ho deciso di cominciare con il vino che più di altri ha dualistici monologhi.

    La Cantina di Enza Passione aglianico 2015.

    La destrutturazione di un Aglianico, La Cantina di Enza 2015 Passione aglianico 2015.
    La destrutturazione di un Aglianico 2015, La Cantina di Enza Passione Irpinia aglianico 2015.

    Bottiglia da 0.75.
    Etichetta non particolarmente evocativa, funzionale al suo essere.
    Retro etichetta, graficamente richiama un pò le retro etichette di podere Veneri vecchio.

    Passione Aglianico 2015 DOC.
    Quindi il vino ha superato i controlli della disciplinare doc Aglianico. Questo non è per forza un merito, ma è un fatto.

    Leggendo il sito di Enza e parlandoci via Wazzup scopro che la sua politica agronomica è assolutamente non interventista: viticultura naturale dura e pura.

    Nel bicchiere è un Aglianico violaceo che nonostante i sei anni non mostra segni di corruzione cromatica.

    Versandolo nel bicchiere è chiaramente riscontrabile una leggera rifermentazione,non so se  questo vino deve essere così o è la bottiglia \ annata\ caso, fatto sta che la schiumetta c’è.

    Non Filtrato  e non chiarificato  ma nonostante ciò il vino ha una bella luminosità e appena un accenno di velatura sugli ultimi bicchieri: personalmente questo non solo non mi da fastidio ma anzi mi invoglia a berlo.

    Degustazione

    Naso: parlare dello spettro olfattivo pretende una premessa: anche se io bevo molti naturali (ormai quasi solo ), e che il mio gusto ha tutta una serie di tolleranze, ho passato una buona mezz’ora a non capire come approcciare questo vino.
    Non ha difetti olfattivi, se non un pò di ridotto all’inizio che va via in pochi minuti.

    Ha una nota vinosa varietale dell’aglianico facilmente percepibile, e poi una fortissima e piacevole nota dolce tostata: dovuto probabilmente alla botte di Castagno.

    Sorso: il sorso ha quello che è il suo tallone d’Achille. Questa bottiglia era leggermente rifermentata e in questi casi non c’è oggettività ma solo soggettività.
    Per la scuola classica la rifermentazione è un difetto, sempre e comunque a meno che non sia voluta o trattata come fanno oltralpe.
    Bene per me questa è una fesseria, la rifermentazione è un difetto solo se sviluppa note di essudato e questa bottiglia non ne ha.

    La carbonica  (che dopo una mezz’oretta sparisce) da un pò di brio e spinge in alto il sorso che era comunque supportato da una bella acidità.
    I tannini qui, nonostante il vitigno, sono molto lievi e nel complesso  la somma di tutte le sue parti crea un vino rusticissimo, ma piacevole.

    Riflessioni…e passione

    Passione Irpinia Aglianico DOC 2015 La Cantina di Enza Saldutti autore articolo Zombiwine
    Autore articolo: La destrutturazione di un Aglianico 2015, La Cantina di Enza, Passione Irpinia aglianico 2015 DOC di Zombiwine

    Durante la mia Adolescenza mi capitò sotto mano un bellissimo libro intitolato: Bertoldo e Cacasenno. Scoprii poi che divenne anche un film con Lello Arena e Ugo Tognazzi: bene questo aglianico è la trasposizione liquida di quel piccolo, rustico e agreste capolavoro della nostra letteratura.

    Vini così no sono semplici, sono schietti.
    Vini così non sono banali ma per essere bevuti e apprezzati richiedono un piccolissimo gesto di comprensione: sono i vini di nonno.
    Se pensiamo ai nostri Avi, sicuramente, quando gli capitava un vino così erano felici di poterlo bere e non venivano a rompere le scatole per quel filo di co2.

    Passione

    In conclusione un bel vino Funky che sicuramente in futuro assaggerò nuovamente.
    Prezzo rilevato on line fra 15 e 18 euro.

    Di Zombiwine

    Foto di Zombiwine con un altro prodotto de La Cantina di Enza, Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
    Foto di Zombiwine con un altro prodotto de La Cantina di Enza, Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua

    Sito Autore: https://www.zombiwine.com/

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  • Dall’uva: Quando l’oboe diventa una zampogna 2022.

    Dall’uva: Quando l’oboe diventa una zampogna 2022.

    Dall’uva: Quando l’oboe diventa una zampogna 2022.

    Di Zombiwine

    Decomposti e decomposte bentornati! io sono Zombiwine l’unico wine blogger che se non lo segui morde e oggi ho proprio voglia di raccontarvi una storia agreste.

    La cantina di Enza dall’uva: Quando l’oboe diventa una zampogna 2022.
    La cantina di Enza dall’uva: Quando l’oboe diventa una zampogna 2022.

    Parliamo del Aglianico “Dall’uva”di Cantine di Enza, azienda di Montemarano a pochi chilometri da Taurasi.

    La Nostra eroina Enza è una vera valchiria dell’enologia naturale Campana, ma con questo vino si dimostra anche figlia di una rivoluzione agro politica che vuole l’oboe tornare ad essere Zampogna.

    No miei cari pochi e affezionati lettori, non sono ubriaco, ne tiro parole a caso, mi piacerebbe qualche volta riuscire ad essere solo uno zombi che vede Sanremo, ma no, non ci riesco.

    A volte capita...zombiwine procede con l'apertura della bottiglia di Enza Saldutti
    A volte capita…zombiwine procede con l’apertura della bottiglia di Enza Saldutti, Dall’uva: Quando l’oboe diventa una zampogna 2022.

    Vi spiego di che cosa sto parlando: questa bottiglia di aglianico, presente anche in bag in box, vinificato solo in acciaio è l’equivalente di un vino sfuso.

    Si ì, vino sfuso, della casa, brocca , tubo: chiamatelo come volete è un vino che teoricamente non dovrebbe avere spazio su di un blog, visto che normalmente i suoi colleghi sono….. senza usare metatermini DELLE MERDE!!!!!

    Eppure Enza, fa un lavoro diverso e per comprenderlo dobbiamo tornare a bomba al titolo di questo articolo.

    Dovete sapere che esiste un opera lirica, scritta e composta da Giovanni Paisiello, chiamata Nina, o sia La pazza per amore.
    cosa c’entra col vino? apparentemente nulla.

    In quest’ opera c’era un’aria che fu composta da Paisiello per tenore, zampogna e ciaramella.
    Per oltre un secolo però i direttori d’orchestra la riarrangiarono trasformando i suoni originali e adattandoli ai colti strumenti dell’orchestra sinfonica.

    Abbiamo dovuto attendere, il molisano Ciro Ricci e il maestro Muti per poterla sentire eseguita come in partitura, questo perché per buon un secolo non si pensava che esistesse uno zampognista capace di eseguirla con l’orchestra.

    Questo col vino centra qualcosa ?

    Le mode hanno cercato di raffinare i gusti, e far scomparire quelle percezioni rurali e agresti che sono la nostra protostoria.
    L’enologia moderna ha voluto rendere gusti e profumi delle nostre campagne rurali accettabili ai nasi colti e raffinati.

    Questo può essere corretto quasi sempre eppure per esserlo c’è bisogno anche che alcuni prodotti, quelli più semplici, restino alfieri dei gusti e profumi che furono.

    I mercati volevano vendere vini costosi a tutti: con le barrique, l’eleganza, la pulizia…ma li: sui monti, nell’italia profonda, la gente se ne fotte e che suono ha l’oboe o il fagotto non gli interessa; vuole ricordarsi le sue tradizioni e i suoi suoni! e quindi la Zampogna diviene come il vino.

    Se la zampogna è agreste e rurale, così questo vino è gastronomico e rustico.

    Degustazione:

    Il bicchiere è purpureo, violaceo, ha il colore dell’abito di un cardinale, ma l’intensità dello sguardo della figlia del mugnaio. Tu guardi e singhiozzi. con un sorso non capisci e cerchi l’anello da baciare, ma dopo un bicchiere cerchi le labbra della mugnaia… da baciare.

    Già il sol si cela dietro alla montagna, e il prato al suo partir si fa men bello; colla zampogna sua per la campagna gl’armenti suoi raccoglie il pastorello. Seco la villanella si accompagna.

    Annusiamo: vinoso, di cantina, amarena sotto spirito, naso non particolarmente fine ma impattante. Pugno potente di alcol che inebria il naso, ma senza alcun difetto. Ricorda se fossimo in un romanzo fantasy un nano cantore.

    Passione Irpinia Aglianico DOC 2015 La Cantina di Enza Saldutti autore articolo Zombiwine Uva aglianico
    Passione Irpinia Aglianico DOC 2015 altra produzione di La Cantina di Enza Saldutti autore articolo Zombiwine

    Sensorialità

    Gusto: schietto, rustico, alcolico, gastronomico di una gastronomia rurale. Cucina con fuoco e carne; tannino possente e non particolarmente elegante ma proprio come i faggioli con le cotiche o le interiora di pecora: gusti questi che ci ricordano un secolo addietro e che non vanno dimenticati.

    Questa bottiglia e il suo relativo bag in box costa poco poco non ha smoking o vestito da sera, ma come centonovanta arrosticini di pecora in sei, è un’esperienza indimenticabile. Attoroa te c’è musica e ragazze e boccali e cavalli: con i tuoi amici gli arrosticini non finiscono mai e alla fine si finisce … nei ricordi!

    Perché?
    Perché è naturale, senza solfiti aggiunti, a fermentazione spontanea, solo in acciao e pulitissimo e la somma di tutto ciò fa di una canzone pastorale un’opera lirica.

    Di Zombiwine

    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua

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  • La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022

    La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022

    La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022

    Di Zombiwine

     

    Cantano nella notte, nel fruscio dei rami quando c’è vento, le voci
    sussurranti dei nostri avi.
    Scricchiolano parole di corteccia e zufolano consigli come se fossero
    suonatori du Duduk armeno.

    Zombiwine autore dell'articolo: La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022
    Zombiwine autore dell’articolo: La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022

    Se, e sottolineo se, i nostri antenati fossero gocce raccolte in una bottiglia, probabilmente sarebbero liquidi come questo vino: notturno, rustico, esoterico, misterioso e seducente come solo la gamba tornita di Lilith sa essere.

    Non vi nascondo che, fra iu vini della cantina di Enza, questo è quello che più aggressivamente mi ha spinto verso quel luogo della mia mente in cui riesco ad alienarmi da qualsiasi emrda mi sia successa, da qualsiasi pensiero mi abbia stretto le gonadi, e da qualsiasi paura mi abbia fatto penare incessantemente all’inevitabile giorno della mia morte.

    Sono cosi, dopotutto sono Zombiwine e quando qualcosa mi colpisce, il luogo in cui mi porta ( simile al crossover tra Tim Burton e Carpenter) è un luogo solo mio.

    La cantina di Enza

    La cantina di Enza è una realtà, di Montemarano, giunta alla terza generazione; generazione questa capitanata da una donna sapiente che con i suoi vini mi ricorda una guaritrice medioevale.

    Le mode hanno cercato di raffinare i gusti, e far scomparire quelle
    percezioni rurali e agresti che sono la nostra proto storia.

    L’enologia moderna ha voluto rendere gusti e profumi delle nostre
    campagne rurali accettabili ai nasi colti e raffinati. Questo può essere corretto quasi sempre eppure per esserlo c’è bisogno anche che alcuni prodotti, quelli più antichi, restino alfieri dei gusti e profumi che furono.

    Pascrai

    La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022 di Zombiwine
    La cantina di Enza Pascrai: il sussurrio delle anime 2022 di Zombiwine

    Pascrai: Fiano vinificato in acciaio con circa dodici giorni di macerazione sulle bucce; vino figlio di vigne vecchissime che affondano le radici nella terra come vene nella carne.

    Ho raffreddato questa bottiglia, ma non troppo, volevo vedere come si comportava ad una temperatura di servizio non glaciale.
    L’ ho aperta, il tappo è di un conglomerato credo di sughero: ottima scelta.
    Verso il vino: il colore è un giallo non paglierino dorato ma non troppo carico. Non ha residui in sospensione, ma si vede che non ha fatto chiarifica infatti il bicchiere è un pò velato; poco male mi piacciono le donne poco truccate e mi piacciono i vini velati: la perfezione è nell’imperfezione.

    Al naso

    Il naso è corretto, senza grandi difetti; il vitigno di provenienza, il finto , si riconosce quindi non è di quegli Orange wine che coprono tutto con note distorte.
    Mi piacciono i vini così, li trovo timidamente femminili e assomigliano molto alla musica introspettiva e dal sorriso tenue che tanto amo.

     

    Il naso è fruttato con un Bell’abito dei colori delle mele verdi e delle
    pesche segue note terrose e minerali.
    Nella sua semplicità ha un naso coinvolgente con un accenno ad un
    elemento che raccontandovi il sorso approfondirò.
    Sorso: all’assaggio questo vino potrebbe creare una divisione importante poiché ha in se una caratteristica che va un attimo analizzata.

    Il sorso

    Nel sorso, fresco e vibrante (che lo fa essere polposo) c’è una nota che causerà l’assoluta babele di questo articolo.
    Per molti di voi se io dico volatile, voi dite aceto; io non sono d’accordo con questo estremismo infatti entro certi livelli piccoli e ben integrati la volatile da dinamicità al naso e al sorso.

    Questo è il caso di questo vino, non puzza di aceto (come cose che ho bevuto) non sa di aceto ne al anso ne in bocca, ma ha un filo leggerissimo di quella nota pungente.
    Lievissima, appena accennata, se non sei scafato forse manco te ne
    accorgi , però c’è.
    Per onestà di scrittura vi devo dire che c’è ma vi supplico di non iniziare ad affilare le ghigliottine, perché in questa declinazione per me non è assolutamente invalidante.

    Ho bevuto tanti Fiano naturali, e in moltissimi (e vi dirò anzi in quelli che a mia opinione sono stati i più goderecci) ho riscontrato questo filo, questa nebbia, questa leggerissima vibrazione che quando è a questi livelli mi ricorda il vibrato del Duduk, però deve piacervi o quantomeno dovete essere disposti a una bevuta leggermente diversa dalla solita bevuta.

    Passatemi l’esempio: in un mondo dominato da vini bianchi che fanno l’amore alla missionaria questo ha sicuramente le doti per essere una notte di sesso un pò più selvaggio, di quelle notte in cui non vorresti smettere mai.
    Bene ho cercato di essere quanto più brutalmente onesto, vi lascio con un ragionamento finale.
    Questa bottiglia è rurale e contadina.
    Questa bottiglia è il crocevia in campagna dove di notte il diavolo faceva patti coi bluesman.

    Piatto semplice da abbinare al vino fiano bianco di Cantina di Enza
    Piatto semplice da abbinare al vino fiano bianco di Cantina di Enza

    Questo vino ha il sapore, l’odore perfino la stoffa della ruralità e va
    bevuto con cibi semplici! Immaginatevi pane e salame, la frittata di pasta o di cipolle, le salsicce sotto sugna o i tordi arrostiti!

    Prendetevi una vacanza da questa fottuta e orrenda modernità e per una cena andate a tavola vestiti come i vostri nonni:con i piatti dei vostri nonni, con i sapori, gli odori e anche le candele dei vostri nonni…. E dimenticatevi che quel filo di volatile è sbagliato non fate i puritani!

    Di Zombiwine

    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
    Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua

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