Una Degustazione “cieca” per dimostrare che del marzemino ci si può fidare sia per coltivarlo, che per vinificarlo, venderlo e naturalmente berlo!
La fantasia e l’impeccabile organizzazione di Sergio Valentini, eclettico ristoratore del Ristorante “Le Tre Chiavi” di Isera in stretta collaborazione con un tiepido pomeriggio di fine estate e un poco di clemenza da parte di Giove pluvio, hanno consentito di mettere a fuoco lo stato dell’arte relativo al vitigno più identitario ma anche più fragile della Vallagarina.
La sua storia ha conosciuto alterne fortune e il suo nome ha avuto eco indiscussa a causa di quel verso del Don Giovanni di Mozart nel quale si cita “l’eccellente marzemino”. Che sia tutto da dimostrare il legame storico dell’opera con il vitigno è un dato provato da numerosi studi, più certo è invece che il nome di quest’uva si sia trasformato nel tempo grazie alla vocazionalità della Vallagarina.
Qui infatti il marzemino si definisce “gentile” forse per differenziarlo da parenti veneti o friulani che hanno dimostrato minor finezza nel prodotto finale; la Vallagarina invece ne ha ingentilito il carattere affinando l’eleganza delle sue qualità originali. “il Marzemino…offre un gran vantaggio ai viticoltori lagarini – scriveva Mancinelli nel 1933 – quello di produrre bene solo nella loro valle” (da “La Vallagarina e il Marzemino”, Ed Stella 1999)
In Trentino questa varietà copre una superficie che non raggiunge il 3% dell’intero vigneto provinciale e si concentra nei settori più meridionali della provincia in particolare nei dintorni di Rovereto dove si estendono le Denominazioni Trentino Doc Marzemino (dal 1971) e Trentino Superiore Doc con identificazione delle due Sottozone Isera e Ziresi.
Al panoramico balcone, davvero in senso stretto, aperto sulla valle solcata dall’Adige ancora verdeggiante, si sono affacciati 16 marzemino di differenti tipologie e annate in un “Ottagono delle meraviglie” cui hanno partecipato produttori, enologi, addetti ai lavori e sommelier. L’obiettivo, oltre a quello di celebrare “La Vigna eccellente”, l’evento biennale fortemente voluto dal Comune di Isera che premia il miglior vigneto (un premio al lavoro in vigna, non al vino) di marzemino, aveva lo scopo di approfondire la conoscenza del vitigno nelle sue produzioni più attuali e di diffondere, obiettivo pienamente raggiunto, la consapevolezza che del marzemino ci si può fidare sia per coltivarlo, che per vinificarlo, venderlo e naturalmente berlo!
Trascurato dalle strategie di marketing e in qualche caso espiantato per far posto a varietà più remunerative, il marzemino, fino alla recente parabola discendente dal precipitare della quale sembrerebbe arduo riprendere quota, aveva conosciuto tempi brillanti ai quali si tenta di ritornare con buona pace di tutti i detrattori. Visti i risultati della degustazione di Isera, a bottiglie rigorosamente coperte, la strada giusta sembrerebbe imboccata. Il marzemino ha saputo sorprendere molto positivamente tutti per pulizia, corpo e coerenza con la varietà; le differenti interpretazioni non hanno fatto che evidenziarne i tratti più tipici.
A partire dai più semplici d’annata vinificati tradizionalmente fino ai più complessi Superiori, arricchiti da una contenuta resa per ettaro, da un prolungato affinamento e in qualche caso da una surmaturazione o da un breve appassimento di una percentuale delle uve, tutti i campioni degustati hanno raccolto consensi dimostrando che sia di Isera o dei Ziresi il Marzemino della Vallagarina è davvero gentile e piacevole sempre.
Le conclusioni del breve dibattito seguito alla degustazione sono sintetizzabili nell’ auspicio e nell’impegno affinchè questa varietà torni a produrre in quello che è il suo areale più vocato, un vino dal forte legame con il territorio: un vino da bere tutti i giorni, color rubino lucente, dal profumo di ciliegia e violetta con tannini delicati, adatto all’abbinamento soprattutto con la cucina trentina, quella della polenta e funghi o degli strangolapreti. Il suo valore aggiunto? Al marzemino non è obbligatorio chiedere di aspettare per anni in cantina, un’occasione per un marzemino si trova tutti i giorni.
TRENTINO DOC MARZEMINO 2021 – Lorenzo Bongiovanni
Rosso rubino leggermente trasparente. Naso varietale con prevalenza di sentori floreali e fruttati. L’ingresso in bocca di questo 2021 è già morbido ma conserva un ottimo slancio fresco che introduce un sorso dal tannino leggero. In chiusura emergono le tipiche note speziate.
Un Marzemino perfettamente rispondente alla varietà e alla tradizione della Vallagarina.
TRENTINO SUPERIORE DOC MARZEMINO D’ISERA ETICHETTA VERDE 2021 – Cantina Isera
Il colore è impenetrabile, frutto di una attentissima selezione delle uve e di una severa quanto accurata vinificazione. Olfatto di frutta scura, ciliegia e prugna legati da tocchi speziati e decisa scia minerale. Deciso e vivace l’ingresso di bocca che evolve in un gusto armonico e persistente.
Vino iconico, che da sempre incarna i progetti di qualità della cantina di Isera.
TRENTINO SUPERIORE DOC MARZEMINO D’ISERA 2021 – Az. Agricola Marco Tonini
Rubino fitto dal riflesso violaceo. Naso ricco di frutti rossi con la ciliegia e la mora in evidenza arricchito da tocchi floreali di viola, spezie ed erbe aromatiche. L’ingresso di bocca fresco e ancora croccante annuncia una beva coerente, armonica e piacevole, dalla tannicità moderata.
Prodotto esclusivamente dai vigneti cru di proprietà “Brom”, “Penìm” e “Braile”
TRENTINO SUPERIORE DOC MARZEMINO DEI ZIRESI Rikrea 2020 – Az. Agricola Matté
Calice color rubino di buona trasparenza. Sentori fruttati di ciliegia matura si alternano a note in evoluzione di chiodi di garofano e caffè che testimoniano la surmaturazione delle uve in vigna e il passaggio in legno. Il sorso è elegante e ancora vivace con una chiusura che richiama le spezie dolci.
Vino prodotto con uve surmaturate in pianta e sottoposte a breve appassimento.
TRENTINO SUPERIORE DOC MARZEMINO DEI ZIRESI 2021 – Maso Salengo
Colore rubino impenetrabile. Olfatto complesso con tocchi floreali e prevalenza delle note di ciliegia in confettura. Coerente il sorso che entra fresco e si fa ampio, intenso e armonico grazie alla tannicità delicata. La lunga persistenza lascia una piacevole scia speziata
Marzemino che nasce nel cuore della Sottozona dei Ziresi da antiche viti a pergola doppia.
Fèlsina, una famiglia, vini e terroir strepitoso toscano
di Adriano Guerri
Lo scorso 21 settembre, Fisar Nazionale (Federazione Italiana Sommelier Alberghi Ristoranti) con il coordinamento di Fisar Italia Cento ha organizzato presso l’azienda vitivinicola Fèlsina una degustazione guidata di 11 Chianti Classico Gran Selezione provenienti dalle 11 UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) di questo straordinario lembo di Toscana. In collaborazione con il Consorzio Vino Chianti Classico, l’Istituto Alberghiero B. Ricasoli di Colle Val d’Elsa, l‘Associazione Cuochi Senesi e il Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale.
Ha moderato con grande destrezza l’esperto Sommelier e Presidente Emerito Fisar, Nicola Masiello, sono intervenuti la Dott.ssa Carlotta Gori, Direttore del Consorzio Vino del Chianti Classico, Roberto Donadini, Presidente Nazionale Fisar, il Dott. Simone Franceschi, Direttore della rivista “Il Sommelier”, rivista ed organo ufficiale di Fisar, il Dott. Marco Barbi Direttore Commerciale di Fèlsina.
La degustazione è stata guidata dai provetti Sommeliers Michele Cuto, Gianluca Passaponti, Giovanni D’Alessandro e Nicola Masiello. Un’occasione unica per celebrare il centenario del Consorzio Vino del Chianti Classico e dei primi 10 anni della tipologia “Gran Selezione”, legata alle UGA, nel suggestivo scenario come quello della barricaia di Fèlsina.
Prima di passare all’analisi sensoriale dei vini degustati, propongo alcuni cenni sul Chianti Classico e su Fèlsina.
La zona di produzione del Chianti Classico è situata a cavallo tra le provincie di Siena e Firenze. I comuni del territorio senese, sono: Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Radda in Chianti, e in parte, alcune zone dei comuni di Castelnuovo Berardenga e Poggibonsi, e quelli del territorio fiorentino, sono: Greve in Chianti e parte dei Comuni di Barberino Val d’Elsa/Tavarnelle Val di Pesa e San Casciano val di Pesa.
Il Chianti Classico viene prodotto in tre tipologie: Chianti Classico (Annata), Chianti Classico Riserva e Chianti Classico Gran Selezione. Il vitigno principe è il Sangiovese che da disciplinare può essere prodotto con la percentuale minima dell’80%, al completamento concorrono altri vitigni a bacca nera, sia autoctoni sia alloctoni, i principali sono il Canaiolo, il Colorino, la Malvasia Nera, il Merlot ed il Cabernet Sauvignon. Tuttavia, numerosi produttori optano per la purezza. Per la tipologia “Gran Selezione” la percentuale minima del Sangiovese sale al 90% ed il restante 10% potrà essere completato unicamente con i vitigni autoctoni autorizzati e, sarà in vigore dal 1° gennaio 2027.
Nel 1716, il Granduca di Toscana Cosimo III de’Medici in un editto aveva stabilito 4 zone in Toscana ad alta vocazione vitivinicola, tra cui il Chianti, una Doc ante litteram. Con le crescenti aree al di fuori del Chianti, alla zona originale le verrà conferito il suffisso “Classico” per differenziarsi come zona storica. La Denominazione di Origine Controllata risale al 1967, ma sarà nel luglio del 1984, l’anno in cui il Chianti Classico viene elevato con la meritatissima DOCG. Le dolci colline chiantigiane, punteggiate da ordinati vigneti, oliveti, cipressi, boschi che coprono il 65% del territorio, castelli, ville e suggestivi borghi tracciano un paesaggio di incomparabile fascino.
Come ci ha ricordato Carlotta Gori il Gallo Nero é il simbolo del Consorzio, che ha il preciso scopo di tutelare la promozione del Chianti Classico Gallo Nero.
La leggenda narra che per stabilire la fine di scontri armati, tra Firenze e Siena che si protraevano da anni, e per segnare i confini, avrebbero affidato la prova a due Cavalieri, partendo dalle rispettive città. Sarebbero dovuti partire al canto del gallo. I Senesi optarono per un gallo bianco e lo ingozzarono di becchime, mentre i Fiorentini per un gallo nero che tennero a digiuno. Nel punto, ove si fossero incrociati sarebbero stati marcati i confini tra le due province. Il gallo nero fiorentino, inizio a cantare molto prima di quello bianco senese, perché era affamato e l’incontro accadde a pochi km da Siena.
Il territorio del Chianti Classico è suddiviso in 11 aree specifiche chiamate UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) e sono: San Casciano, Greve, Montefioralle, Lamole, Panzano, Radda, Gaiole, Castelnuovo Berardenga, Vagliagli, Castellina, San Donato in Poggio. Un lavoro meticoloso, durato anni per individuare le varie peculiarità naturali e umane di un territorio grande ma anche di un grande territorio, oltre agli aspetti pedoclimatici. Al momento le UGA si trovano in etichetta solamente con la tipologia “Gran Selezione”, un marchio registrato che non potrà essere utilizzato in altre denominazioni.
L’azienda vitivinicola Fèlsina si trova nel comune di Castelnuovo Berardenga, a poca distanza dall’incantevole Borgo, all’interno dell’areale del Chianti Classico, tuttavia, l’azienda vanta anche vigneti nella sottozona del Chianti Colli Senesi. Castelnuovo Berardenga è il comune più a sud di tutto l’areale del Chianti Classico, considerato il più senese, proprio per la sua vicinanza alla città. Il vitigno principe è sua maestà “ Sangiovese ” con il quale da sempre la Fattoria di Fèlsina ha dato origine a vini in purezza. L’azienda possiede circa un centinaio di ettari vitati, posti ad un’altitudine compresa tra i 350 e i 430 metri s.l.m.. Di proprietà, ormai da tre generazioni della famiglia Poggiali, originari di Ravenna. Una splendida realtà che ha saputo coniugare molto bene elevata qualità ed espressione di un meraviglioso terroir.
Ecco i vini:
1 Chianti Classico Gran Selezione 2020 Carpineto – Sangiovese 100% – Rubino intenso, emana sentori di frutti di bosco, frutta matura, vaniglia, spezie dolci, il sorso è fresco, avvolgente, coerente e persistente.
Sito di riferimento: https://www.carpineto.com/
2 Chianti Classico Gran Selezione Terrazze di San Leolino 2020 Fontodi – Sangiovese 100% – Rubino vivace, sprigiona note di mora, frutti di bosco, sottobosco e bacche di ginepro, gusto vibrante, rotondo, saporito e decisamente lungo.
Sito di riferimento: https://www.fontodi.com/
3 Chianti Classico Gran Selezione 2019 Fattoria Montecchio – Sangiovese 100% Rubino intenso, libera sentori di mora, ribes, floreale di violetta, poi tabacco e pepe, al palato è setoso, fresco, con tannini nobili, lungo e duraturo.
Sito di riferimento: https://www.fattoriamontecchio.com/
4 Chianti Classico Gran Selezione Altiero 2019 – Sangiovese 100% – Rubino intenso e trasparente, sviluppa note di frutti rossi maturi, violetta, spezie, tabacco e note mentolate, attacco morbido, caldo, deciso e lungo.
Sito di riferimento: https://www.altieroinchianti.it/
5 Chianti Classico Gran Selezione Campolungo 2019 Lamole di Lamole– Sangiovese 100% – Rubino intenso, con sentori floreali di iris, ciclamino, prugna, cannella e chiodi di garofano, al gusto è rotondo, saporito e coerente.
Sito di riferimento: https://www.lamole.com/
6 Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli 2019 Rocca delle Macie– Sangiovese 100% – Rubino intenso, al naso svela note di frutti di bosco, ciliegia, prugna, spezie e nuances balsamiche, il sorso è avvolgente, vibrante e persistente.
Sito di riferimento: https://roccadellemacie.com/
7 Chianti Classico Gran Selezione 2019 Capannelle – Sangiovese 100% – Rubino intenso, rimanda sentori di viola, rosa, frutti rossi, tabacco e spezie, al gusto è accattivante, invitante, coerente e fine .
Sito di riferimento: https://web.capannelle.it/
8 Chianti Classico Gran Selezione Vigna Sessina 2019 Dievole – Sangiovese 100% – Rubino vivace, giungono note floreali di giaggiolo, arancia sanguinella, amarena e sottobosco, il sorso è setoso, leggiadro, duraturo e equilibrato.
Sito di riferimento: https://dievole.it/
9 Chianti Classico Gran Selezione Colonia 2019 Fèlsina – Sangiovese 100% – Rubino intenso, piacevoli note speziate, sandalo, lampone e ribes, il sorso è piacevolmente morbido, leggiadro, elegante, ammaliante e persistente.
Sito di riferimento: https://www.felsina.it/
10 Chianti Classico Gran Selezione 2019 La Sala del Torriano– Sangiovese 100% – Rubino trasparente, arrivano al naso note di frutti rossi, lampone, viola, iris, sottobosco, attacco tannico poderoso ma setoso, deciso, fresco, coerente e elegante.
Sito di riferimento: https://www.lasala.it/
11 Chianti Classico Gran Selezione Vigna il Corno 2017 Castello di Radda – Rubino tendente al granato, si percepiscono note di frutta matura, erbe officinali, spezie dolci, sottobosco, attacco caldo, setoso, tannini copiosi, austero, armonioso e durevole.
Sito di riferimento: https://www.castellodiradda.com/
Dopo la degustazione ci siamo recati nel prato di fronte all’Enoteca per assaporare alcuni prodotti tipici locali presenti su un ricco buffet e accompagnati da una selezione di vini dell’azienda Agricola Fèlsina.
Corte Anna, vini che ispirano poesia, parole e storia
di Elsa Leandri
Sirmione, perla delle penisole
E delle isole che appartengono a Nettuno,
Nel mezzo di laghi cristallini e mare aperto…
(Cit. Carme XXXI Catullo)
Così Catullo, quando torna dalla guerra in Bitania, si rivolge a Sirmione, luogo di pace e di serenità, nonché sua città natale e dimora della sua famiglia e nella quale riesce a trovare un confortante rifugio. Questo lembo di terra che si affaccia sul lago di Garda, celebre per il suo clima simile a quello mediterraneo, oltre ad essere meta turistica per la sua bellezza e per le celeberrime Grotte di Catullo, ha il vanto di proporre dei vini bianchi qualitativi, che rientrano nella denominazione Lugana, il cui vitigno protagonista è il Trebbiano di Lugana conosciuto anche come Turbiana.
Questa Doc che si estende a sud del lago, comprende cinque comuni di cui quattro (Sirmione, Desenzano, Lonato e Pozzolengo) in Lombardia, in provincia di Brescia, e uno in Veneto (Peschiera), in provincia di Verona. La presenza di uva in questo territorio risale all’Età del Bronzo, così come è confermato dalla presenza di vinaccioli di Vitis Silvestris, ritrovati nelle palafitte site nel comune veronese.
Questa terra in origine paludosa e acquitrinosa, grazie all’opera di bonifica iniziata nel Quattrocento ha permesso di offrire le caratteristiche territoriali idonee, grazie alla natura pianeggiante e argillosa, per la coltivazione di questo particolare vitigno.
Per poter scoprire appieno questa denominazione è possibile seguire il percorso enoturistico che si estende per 45 km e che permette di avere una visione completa sia dei centri abitanti e delle loro opere artistiche, sia di visitare qualche cantina di Lugana Doc.
Una di queste è la Cantina Corte Anna, di proprietà di Anna Palvarini, che si trova proprio nel paese natio del succitato poeta latino.
Quest’azienda nasce nel 1978, in seguito all’acquisizione di 12 ettari, di cui 4 vitati. La volontà di questa incredibile donna di concentrare maggiormente le proprie energie verso la viticoltura ha fatto in modo che questa crescesse raggiungendo gli attuali 10 ettari impiantati principalmente con il celebre vitigno autoctono turbiana, anche se sono presenti alcuni ceppi di cabernet sauvignon.
Al di là delle parole quello che ci permette di scoprire più da vicino questa realtà è l’assaggio del Lugana Doc e della Riserva, così da poter capire appieno le sue caratteristiche.
Lugana Doc 2023
(Vinificazione e affinamento in acciaio)
Paglierino di media fittezza. Impatto olfattivo seducente che verte su richiami floreali di biancospino e caprifoglio, di timo, salvia e lemongrass e del suo tipico sentore di mandorla. Avvolgente inizialmente con cenni di pesca nettarina a cui sussegue un connubio tra freschezza e sapidità prolungandosi lungamente su un finale saporito dal flavor di scorza di pompelmo.
Antico Vigneto Lugana Riserva Doc 2020
(Affinamento in acciaio per 18 mesi su fecce fini)
Vivace dal color paglierino. Il giallo bouquet floreale di ginestra, mimosa si intreccia a ricordi d susina gialla, pesca e ananas. Elegante nei cenni balsamici, di mandorla tostata e di fieno. Spicca per la sua mineralità in bocca che regala una lunga chiusura su echi di scorza di cedro.
Questi due vini racchiudono le tipicità di questi prodotti: la presenza del profumo di mandorla, i richiami agrumati all’olfatto e, nel cavo orale, il dialogo tra la freschezza e la sapidità marcata accompagnato da un’avvolgenza iniziale.
La base è ideale per accompagnare i piatti della cucina a base di pesce di lago, come un’insalata di lenticchie con trota affumicata, mentre la Riserva la possiamo consigliare anche con formaggi come la toma piemontese o una fontina.
A questo punto non vi rimane che testare gli abbinamenti suggeriti e provarne anche altri!
Buona degustazione e Buon Appetito!
Viaggi, vacanze e visite di qualità con vini da assaggiare
Di Adriano Guerri
Dopo svariati incontri avvenuti in diverse kermesse enoiche, lunghe e piacevoli chiacchierate tra assaggi di vini con Fabrizio Forconi di Podere dell’ Anselmo è giunto finalmente il giorno della mia seconda visita in azienda.
La visita in cantina, prima in zona di vinificazione e poi di affinamento ha anticipato uno squisito pranzo servito nella panoramica terrazza del ristorante con abbinamento e degustazione dei capolavori di Podere dell’Anselmo.
Il podere dell’Anselmo è posto tra le dolci colline di Montespertoli, e nelle vicinanze del capoluogo toscano. Un luogo di straordinaria bellezza, immerso nel cuore del Chianti, in un piccolo borgo che è stato di recente restaurato, tra la natura di accurati filari di vigne, piante di olivo, cipressi, bosco, antichi e imponenti castelli. Oggi è di proprietà di Fabrizio Forconi, il quale dopo aver ottenuto la laurea in ingegneria, decise di occuparsi dell’azienda di famiglia, già avviata dal nonno agli inizi del 19° secolo.
Le varietà allevate in vigna sono prevalentemente autoctone e seguono i dettami dell’agricoltura biologica e biodinamica. Questi sono i vitigni primariamente coltivati: Sangiovese, Colorino, Cabernet Sauvignon, Malvasia del Chianti, Vermentino e Sauvignon. La raccolta delle uve completamente di proprietà avviene rigorosamente a mano.
La superficie vitata si attesta su oltre 24 ettari ad altimetrie che si aggirano intorno ai 120 metri s.l.m. su terreni argillosi, calcarei e ricchi di minerali. La cantina è moderna e vanta attrezzature evolute che con l’arrivo di uve sane e la sapiente conoscenza di Fabrizio ed i suoi collaboratori e con la consulenza dell’esperto enologo Fabio Signorini danno origine a vini di eccellente qualità.
Oltre alla cantina, Podere dell’Anselmo vanta un agriturismo con appartamenti raffinatamente restaurati e mette a disposizione un ristorante, con preparazioni di prodotti locali, una piscina e vi è la possibilità di fare lunghe e piacevoli passeggiate sia a cavallo sia in mountain bike nell’incantevole campagna toscana.
Note degustative dei vini:
Anselmino Toscana Igt 2023 – Sauvignon Blanc – Giallo Paglierino con sfumature dorate, emana sentori di ananas e frutta esotica in genere, al gusto è piacevolmente fresco, sapido, suadente e dotato di una lunga persistenza aromatica.
Terre di Bracciatica BiancoToscana Igt 2023 – Vermentino – Giallo paglierino luminoso con riflessi che virano sul dorato, sprigiona sentori di biancospino, pesca, mango e papaya, su scia agrumata, il sorso è vibrante e saporito.
Marea BiancoToscana Igt 2023 – Malvasia del Chianti – Giallo dorato luminoso, al naso giungono sentori di mela, ananas e pompelmo, al palato è piacevolmente fresco e leggiadro, il sorso rimane in bocca a lungo.
Chianti Montespertoli Docg 2022 – Sangiovese – Rosso rubino trasparente, rivela sentori di viola mammola, ciliegia, lampone e sottobosco, al palato è setoso, avvolgente e dotato di una buona piacevolezza di beva.
Terre di Bracciatica Rosso Toscana Igt 2018 – Sangiovese e complementari – Rosso rubino intenso, al naso arrivano sentori di ciliegia, lamponi, prugna e spezie dolci, al palato è generoso, pieno ed armonico.
Era ora Rosso Toscana Igt 2018 – Sangiovese 100% – Rosso granato intenso, emana note di mora, prugna, pepe nero e nuances mentolate, al palato è rotondo con tannini nobili e coerente.
Pax Rosso Toscana Igt 2016 – Colorino – Rosso granato intenso, sprigiona sentori di amarena, sottobosco, vaniglia e polvere di cacao, gusto pieno ed appagante, sorso accattivante e duraturo.
Per concludere vorrei ringraziare Fabrizio ed i suoi collaboratori per la gentile accoglienza, la disponibilità ed il tempo a me dedicato.
Informazioni
Agriturismo Podere Dell’Anselmo
Via Panfi Anselmo, 12
50025 Montespertoli FI
2024 ALBANIA: LA KANTINA BALAJ E IL PROGETTO SEB WINERY (1 PARTE)
di Cristina Santini
Sebbene non sia ampiamente conosciuta a livello internazionale come altre nazioni vinicole, l’Albania vanta in realtà una delle più antiche tradizioni di produzione del vino al mondo, risalente addirittura all’età del bronzo, circa 3.000 anni fa.
Situata nell’antica regione degli Illiri, il territorio ha ospitato un fiorente settore vitivinicolo già molto prima dell’espansione dell’Impero Romano, il quale contribuì ulteriormente alla sua crescita e sviluppo. Tuttavia, durante i lunghi secoli di dominio ottomano, questo importante comparto produttivo subì un drastico declino, dovendo attendere la dichiarazione di indipendenza del 1912 per poter conoscere una vera e propria rinascita, con un incremento della superficie vitata che arrivò a toccare i 15.000 ettari. Nonostante ciò, nel corso della sua storia millenaria, il Paese ha dovuto affrontare numerose alterne vicende che hanno portato il settore enologico a sperimentare più volte momenti di recessione e crisi, prima di riuscire a risollevarsi e riaffermarsi come una delle nazioni vinicole più antiche dell’intero Vecchio Continente.
Nel 1933, la devastante epidemia di fillossera ha gravemente danneggiato i vigneti di gran parte del mondo, compresa l’Albania. L’industria è stata messa in ginocchio, con interi appezzamenti di vigneti spazzati via. Poi, all’indomani della seconda guerra mondiale, seguì un lungo periodo di ripresa e crescita, mentre il paese lavorava per ricostruire le sue capacità di produzione vinicola.
E’ stato solo con la parziale privatizzazione delle proprietà terriere in seguito alla caduta del regime di Enver Hoxha che l’industria vinicola ha potuto riguadagnare la sua posizione e iniziare a riaffermare il suo ruolo. Oggi l’Albania vanta oltre 26.000 ettari di vigneti e il settore è tornato a essere in ascesa.
Questa rinascita è dovuta in gran parte a un afflusso di investimenti esteri e al sostegno dei programmi di finanziamento dell’Unione Europea.
Tuttavia, forse il fattore più importante è l’immenso orgoglio e la determinazione del popolo albanese nel valorizzare le caratteristiche del proprio terroir attraverso la produzione di vini di grande qualità. Il futuro della viticoltura appare luminoso, poiché questo settore resiliente continua a risorgere dalle sfide del passato.
Oggi la sfida più importante è quella di convincere i ristoranti e gli alberghi albanesi a proporre i vini locali.
Circa una trentina sono le cantine che producono vino, molte delle quali gestite da imprenditori albanesi che hanno avuto l’opportunità di studiare e fare stage in diverse parti d’Italia. Forti di questa preziosa esperienza maturata all’estero, questi giovani viticoltori stanno ora mettendo in pratica le loro competenze per dar vita a vini autenticamente albanesi, che riflettono la ricchezza e la diversità dei terroir locali.
Una di queste realtà di successo è la Kantina Balaj di Mifol, nel Distretto di Valona, che abbiamo avuto il piacere di visitare durante il nostro soggiorno estivo in questa meravigliosa terra dalle mille sfaccettature. Qui abbiamo apprezzato da vicino l’impegno e la passione di un vignaiolo determinato a valorizzare il patrimonio enologico del suo Paese e a farlo conoscere e apprezzare non solo sul suo territorio ma anche fuori dai confini nazionali.
Artan Balaj ci racconta che dopo 17 anni in Italia è tornato in Albania per avviare quello che è sempre stato il suo sogno: fare vino nella sua Patria. “Quando ero in Italia avevo già la convinzione di avere una grande terra, tutte le premesse che avevo in mente sono divenute realtà con grandi risultati direi. Il nostro lavoro, facendo biologico e naturale, ha portato a grandi sfide ma anche a grandi soddisfazioni. Ci dà tanta speranza per continuare su questa strada, penso che con la natura che ci circonda e il territorio che abbiamo ci aspettano grandi cose in futuro.”
Ad un certo punto della storia, nel 2021 nasce il progetto SEB winery – Vlore, insieme a Vincenzo Vitale di Ais Club Albania e Daniela, guidato dal sogno di produrre vini che ricordino il passato.
Vincenzo ci racconta il progetto: “Stiamo cercando di fare una linea di vini per il mercato internazionale, quindi un pò per tutta l’Europa, compresi i Paesi asiatici e gli Stati Uniti. Siamo pronti, abbiamo fatto delle degustazioni per vedere se il vino può piacere. Abbiamo portato avanti questo lavoro non perché i vini della Cantina Balaj non siano buoni.
I vini di questa cantina hanno una territorialità, una produzione locale che rispetta il gusto degli albanesi legato soprattutto ad un’alcolicità importante, a vini complessi, strutturati, tannici, per cui Artan ha costruito la Cantina per vendere in Albania questa tipologia di vini. Quando poi ha cominciato a capire che ci poteva essere un mercato all’estero e ho cominciato ad insistere, sono subentrato facendo un piccolo investimento cercando di portare avanti il progetto Seb al di fuori dell’Albania con varietà esclusivamente autoctone, ma soprattutto con vini più facili da bere, più gastronomici, con un tannino non troppo invadente, con una grande freschezza perché il vino in qualche modo deve rinfrescare la bocca, con un corpo medio. Insomma vini che vanno bene a livello gastronomico con diversi piatti.”
Difatti, la sera successiva alla nostra visita, abbiamo partecipato all’evento-cena organizzato dalla Cantina Balaj e Seb Winery con il Ristorante Bujar di Valona, di cui vi parlerò nella seconda puntata, dove abbiamo avuto la certezza di quanto appena descritto: vini freschi, di bassa alcolicità, versatili e rossi di 12,5/13 gradi abbinati piacevolmente al pesce. Quindi l’idea è quella di arrivare alla maggior versatilità con prodotti di bassa alcolicità dai risultati soddisfacenti come abbiamo potuto appurare.
Ma facciamo un passo indietro.
La Cantina di produzione si trova all’interno di un tunnel, un tempo abbandonato e ristrutturato negli anni da Artan, scavato dagli italiani nel 1928 e utilizzato per far passare il treno che trasportava la ghiaia dal fiume. La temperatura costante di 12°C tutto l’anno al suo interno è una sfida significativa, soprattutto per i vini naturali, data la posizione remota della galleria rispetto alla residenza e la mancanza di controllo delle temperature. Ci troviamo in un’azienda che produce 20000 bottiglie l’anno in dieci etichette dai disegni veramente accattivanti.
I sette ettari di vigneti, dislocati in vari punti sulle colline di fronte alla baia di Valona, a due passi dal mare Adriatico e dalle splendide saline naturali, affondano le radici in terreni di origine alluvionale, sabbiosi e ciottolosi.
Alcune di queste piante sono ancora allevate ad alberello con delle rese bassissime, tra i 20 e i 40 quintali per ettaro.
Durante la nostra visita, abbiamo avuto a disposizione una vasta gamma di campioni provenienti da diversi affinamenti che ci hanno lasciato molto colpiti dall’eccezionale lavoro svolto qui. In prima linea c’e lo Shesh i bardhe, un vitigno autoctono a bacca bianca che è il più coltivato nell’Albania centrale, originario del villaggio di Shesh vicino a Ndroqi, nella periferia della capitale Tirana.
Quest’uva così versatile mostra una notevole acidità e potenziale di invecchiamento, favorevole all’impiego di una vasta gamma di tecniche per esaltarne la piena espressione, dalle lunghe macerazioni sulle bucce alla maturazione in una varietà di recipienti tra cui acciaio, cemento, anfora e rovere.
Abbiamo avuto la fortuna di degustare l’intero spettro delle interpretazioni di questo vitigno, che ci hanno offerto una prospettiva unica, che si trattasse della mineralità tesa della versione non invecchiata, della sontuosa consistenza impartita dal tempo passato in anfora o della complessa stratificazione di sapori ottenuta attraverso l’uso giudizioso del rovere francese.
Oltre al fiore all’occhiello Shesh i bardhe, abbiamo anche assaggiato una serie di altri vitigni autoctoni e internazionali che hanno ulteriormente messo in mostra la diversità del patrimonio viticolo albanese. È stato entusiasmante approfondire questo interessante programma enologico e assistere in prima persona alla passione e all’abilità che si celano in ogni bottiglia.
Di seguito, raccontiamo un breve riepilogo di tutti i calici degustati. Per quanto fosse necessario menzionarne solo alcuni, abbiamo ritenuto doveroso descrivervi ognuno di essi, poiché abbiamo voluto evidenziare la loro eccellente qualità e il notevole impegno profuso in questi anni.
Lagune 2023 è l’autentica espressione del territorio miscelando tre vitigni: Shesh i Bardhë, Debinë bianca di Përmet e Pulës di Berat, le cui uve sono allevate intorno alla cantina di Mifol.
Questo vino è realizzato senza l’aggiunta di solforosa e con un processo di fermentazione spontaneo, rinunciando alla filtrazione e optando per un periodo di maturazione per ora di tre mesi in vasche di cemento appositamente progettate. Questi recipienti presentano un interno a forma di uovo che crea un delicato vortice circolare, imitando il processo naturale del batonnage. Le pareti lisce dei serbatoi riducono al minimo l’attrito, consentendo al vino di invecchiare con grazia e sviluppare un profilo complesso e stratificato.
Sia all’olfatto che al palato, presenta un’abbondanza di frutta candita e spezie coltivate in montagna, con una gradazione alcolica di 12% e un’acidità vibrante e purificante che persiste a lungo dopo ogni sorso. La natura tonica e persistente del vino evoca l’aroma fresco e maturo dell’albicocca, invitando ad assaporare ogni sfumatura e ad apprezzare la meticolosa attenzione ai dettagli.
Shesh i Bardhe 2023 rappresenta un allontanamento significativo dall’offerta dell’anno precedente. Mentre l’edizione 2022 prevedeva un periodo di macerazione prolungato di 40 giorni e una gradazione alcolica più elevata (ne parleremo nel prossimo articolo in abbinamento al cibo), la versione 2023 adotta un approccio nettamente diverso.
Il tempo di macerazione è molto più breve, di soli 20 giorni, con conseguente riduzione del livello alcolico del 12%, una differenza immediatamente evidente e di grande impatto. Il profilo è più fresco e vibrante, con sapori di frutta che assumono un carattere più leggero, dalle note di erbe di montagna e fiori di camomilla che aggiungono una delicata complessità aromatica, completando l’ampia e ricca struttura e la vivace acidità del vino.
Questa interazione di freschezza, fruttato e presenza materica crea un’esperienza di consumo assolutamente piacevole, rendendo lo Shesh i Bardhe 2023 un’opzione altamente versatile, adatta sia per sorseggiare un aperitivo che per accompagnare piatti di carne più sostanziosi.
Shesh i Bardhe “Orange” 2022 è un orange wine davvero straordinario che viene sottoposto a un meticoloso processo di macerazione di 30 giorni sulle bucce, conferendogli una profondità di sapore e aroma per poi affinare 12 mesi in anfora. Al naso è profondamente espressivo, ricco di un bouquet di seducenti note terziarie che evocano un senso di raffinatezza.
La sua impressionante freschezza ed il suo equilibrio sono la testimonianza della mano esperta. Possiede una seducente qualità balsamica che danza sul palato, fornendo un seducente gioco di sapori. Nonostante la sua gradazione alcolica di 14,5%, l’alcol si integra perfettamente, senza mai sovrastare le delicate sfumature del vino. In bocca è ampio e generoso, con una notevole struttura in grado di reggere il confronto con carni rosse o formaggi complessi.
In un ameno colpo di scena, Vincenzo, Artan e Daniela ci portano all’esterno per farci degustare un tesoro sepolto nella terra, un Orange 2022 che riposa in grandi damigiane scolme per una ventina di centimetri. Questa tecnica unica conferisce sottili note di ossidazione che aggiungono un ulteriore strato di complessità al vino, elevandolo a nuove vette di eccellenza. La tonalità dorata risultante, simile al miele, è una rappresentazione visiva della profondità e del suo carattere. Questo è un vino che chiede di essere assaporato e apprezzato per il capolavoro che è.
Dall’anfora alle damigiane interrate, lo Shesh i Bardhë viene anche lasciato riposare da ben 17 anni in barriques molto usate, infondendo complessità e profondità sorprendenti. Un connubio di note intense e avvolgenti di creme caramel, fieno secco e vaniglia tostata che crea un bouquet olfattivo estremamente elegante e intrigante.
Ciò che rende ancora più affascinante questo vino è il processo di lavorazione perpetuo, in cui si preleva un po’ di vino e si integra con del nuovo, creando così una specie di “rabbocco perpetuo” che, da un lato, mescola le annate e, dall’altro, si carica di tutte le sostanze organolettiche cedute dalla botte, favorendo una perfetta integrazione degli aromi e una struttura tannica morbida e setosa. Il risultato finale è un calice da meditazione, in grado di regalare un’esperienza sensoriale profonda e avvolgente, ideale per essere degustato e apprezzato con calma e attenzione. Questa è la magia di un vino pensato per durare in eterno.
Con una composizione di 50% Kallmet, 35% Shesh i Zi e 15% Vlosh, Sason 2023 offre armoniose e prominenti note di rosa canina, evocando le immagini di un rigoglioso giardino in fiore. Intrecciati sono sentori di erbe balsamiche, che conferiscono una complessità rilassante e terrosa che bilancia il profilo del vino. Mentre bevi un sorso, i sapori di frutta matura prendono vita, avvolgendo il palato in un abbraccio succulento. La bocca ampia ed espansiva invita ad assaporare ogni momento, incoraggiando a gustarlo fresco per il massimo ristoro. È un vino che affascina fin dalla prima mescita con un’esperienza di bevuta immediata e gratificante, accessibile e sofisticata. Ideale sia abbinato a un pasto leggero o sorseggiato da solo.
Il Plaku 2023 è un vino rosso dalla gradazione alcolica di 12,5% che raggiunge un equilibrio armonico, non travolge ma nemmeno delude il palato. L’assemblaggio è una sinfonia di varietà, con oltre il 50% di Shesh i Zi, il 25% di Vlosh e una minoranza di uve Cabernet, tutte vinificate separatamente per preservare le loro caratteristiche uniche. La cuvée risultante viene poi assemblata in recipienti di cemento, dove subisce un processo di maturazione di 12 mesi, seguito da un breve periodo in acciaio inox prima dell’imbottigliamento.
A partire dal 2024, verrà utilizzato esclusivamente il cemento, evitando l’uso di botti di rovere. Come afferma giustamente Artan, l’influenza del legno è ora considerata obsoleta, permettendo alla vera essenza del terroir di risplendere senza ostacoli. Il naso è intenso e profondamente aromatico, ricco di note di ribes nero, bitume e un mellifluo sottofondo minerale. L’acidità è notevolmente fresca e veemente, mentre i tannini sono morbidi ed elastici, creando un’esperienza di beva immediata e allettante. Incarna uno stile intrinsecamente moderno, ma saldamente radicato nelle tradizioni e nel terroir delle sue origini.
Al contrario il Plaku 2022 matura in grandi botti di castagno di terzo passaggio concedendogli un carattere distintivo.
Il vino assume profumi combinati di fichi, frutta secca e bacche rosse, mentre l’aggiunta di carruba conferisce una qualità terrosa, quasi radicale. L’elevata acidità fornisce una spina dorsale rinfrescante, bilanciando i tannini setosi e vellutati.
Questa intricata combinazione di sapori e consistenze crea un’esperienza di consumo davvero ipnotica, con ogni sorso che rivela nuove dimensioni di questa straordinaria annata. In questo caso, siamo un pò contrari all’abbandono del legno.
Il Vlosh 2022 attira subito l’attenzione. Ha un profilo strutturato e corposo e un’impressionante gradazione alcolica che si aggira intorno ai 15,3%. Al naso, aromi palpitanti di fragola fresca e uva sultanina carnosa avvolgono i sensi, suggerendo la profondità e la complessità a venire. La maggior parte delle viti utilizzate per la produzione di questo vino sono ancora allevate con il metodo tradizionale dell’alberello, che conferisce una qualità elegante e artigianale al prodotto finito.
Quando il vino si apre nel bicchiere, rivela un palato sontuoso e dalle spalle larghe, ricco di sapori di frutta matura, quasi gommosi che ricoprono la lingua di una ricchezza vellutata. La struttura e l’intensità complessiva di questo grande vino da agnello mostrano un grande senso di peso e sostanza che persiste a lungo dopo ogni sorso. Una miscela armoniosa di potenza, finezza e puro piacere sensoriale.
Per il Merlot, l’annata 2022 è stata una delle più belle della memoria recente per questo celebre vitigno, con le uve provenienti dal pionieristico vigneto Balian che è stato piantato per la prima volta nel 2010. Purtroppo, le viti originali di questo prezioso appezzamento hanno ceduto alle malattie, rendendo necessario un reimpianto con la resistente uva Vlosh. Eppure questa avversità è servita solo ad aumentare l’eccezionale qualità del vino che ne è derivato.
Al naso è un bouquet inebriante di violette, bacche scure e spezie sottili. Alla beva è a dir poco corposo con una perfetta integrazione di tannini maturi e setosi che forniscono struttura senza astringenza.
C’è una notevole profondità e concentrazione in questo Merlot, che trasmette un profondo senso del luogo, ma rimane elegante ed equilibrato, i sapori di frutta matura si estendono fino a un finale lungo e appagante. E’ un vino che cattura i sensi, una vera testimonianza della resilienza di questo vigneto.
Il Caberlot 2022 è un rosso complesso che stuzzica i sensi. Al primo naso, l’aroma è profondo e provocante, evocando il profumo ricco e confetturato delle prugne secche mescolato alle note di cioccolato fondente. Man mano che il vino si apre, i tannini diventano più pronunciati, creando una sensazione di secchezza al palato che è comunque raffinata ed elegante, piuttosto che aspra o astringente. Questo è un vino, dal grande potenziale di invecchiamento, che implora di essere abbinato a piatti sostanziosi e saporiti, il tipo audace che può resistere alla ricchezza di una bistecca succosa o all’umami saporito di un pezzo di selvaggina ben scottato.
In chiusura vi raccontiamo il Syrah 2022 che è stato meticolosamente invecchiato in acciaio, cedendo purezza e vivacità al suo profilo. Quando portiamo il bicchiere al naso, l’aroma ci avvolge, rivelando note terrose di muschio e sottobosco, a testimonianza del legame del vino con la terra. Al palato, attira l’attenzione la sua gradazione alcolica che supera i 15%, creando una presenza audace e assertiva.
I sapori di grafite e carruba danzano sulla lingua, intrecciandosi con l’essenza distinta del torso di banana matura, aggiungendo strati di complessità e intrigo. È un calice che invita alla contemplazione, coinvolgendo il bevitore ad assaporare ogni sorso e a scoprire la miriade di sensazioni che ha da offrire.
Ai piedi del Monte Rosa, a Sizzano, sorge una cantina il cui nome evoca immediatamente la regione in cui ci troviamo: La Piemontina.
di Elsa Leandri
Realtà nata nel 2010 con l’acquisto dei primi vigneti oggi conta 60 ettari di cui 21 dedicati alla viticoltura. La proprietà è di Liudmila Brobova, che con l’aiuto dell’enologo Marco Ronco, si è concentrata in questa impresa volta a elevare e a custodire quei vitigni tipici della regione sabauda come la vespolina, la croatina, il greco novarese oltre al celeberrimo nebbiolo, presente qui anche nel clone spanna.
Il fatto di aver intrapreso questo percorso dalle basi, ha permesso di valutare quale vitigno si adattasse meglio a ogni esposizione e a ogni sottosuolo, in modo da predisporre il tutto per ottenere dei prodotti di qualità.
A questo punto è opportuno riportare i vari tipi di terreni che possiamo incontrare in questa zona. Sono tutti di origine morenica e sono particolarmente ricchi di argilla, tufo e caolino così da garantire rispettivamente un approvvigionamento continuo di acqua, di minerali e una protezione dai raggi solari e dagli eccessi termici.
Liudmila ha come obiettivo quello di far vivere il suo vino a 360 gradi, coinvolgendo e volendo diventare un punto di riferimento, o come ama dire lei, un centro di gravità, per tutte le persone amanti del cibo e del vino, ma anche della storia, dell’arte, della natura e della compagnia:
questo l’ha portata a investire nel 2019 in una nuova cantina ampia e spaziosa, progettata dal Dott. Arch. Attilio Barone, e che va a creare un andamento collinare tra le colline.
Paglierino vivace. Si apre sui sentori floreali di mughetto, gelsomino per arricchirsi con echi di pesca bianca, lemongrass. Leggera nota balsamica in chiusura. Duetto tra freschezza e sapidità che si prolunga su flavor di scorza di cedro.
Carminio fitto. I ricordi di mora, prugna, mirtillo e ribes nero affiancati da eleganti e tipici tocchi di iris e violetta sono ravvivati da sbuffi di pepe nero, cannella e vaniglia. Entra avvolgendo il palato per poi verticalizzarsi con una freschezza che sostiene un grip tannico fruttato. Si dissolve lentamente su echi di frutta scura.
Colline Novaresi Nebbiolo DOC 2020- 100% Nebbiolo
Carminio di media fittezza. Nitido e attraente l’impatto olfattivo in cui si susseguono mora di gelso, ciliegia, confettura di ribes rosso con un soffio balsamico d’eucalipto. La decisa freschezza riesce a mitigare in parte il pseudocalore lasciando il cavo orale con un’eco leggermente amaricanate.
E concludiamo con una mini verticale di Ghemme 2019 e 2018.
Ghemme DOCG 2019 – 100% Nebbiolo
Carminio luminoso. Elegante mix tra frutta e sentori empireumatici: amarena, sottobosco, pot pourri di fiori viola, arancia sanguinella sono impreziositi da rimandi di cioccolato fondente, tabacco e cannella. L’impatto pseudocalorico iniziale viene bilanciato in parte dalla freschezza e dal tannino fruttato. Chiude su ciliegia in sotto spirito.
Ghemme DOCG 2018 – 100% Nebbiolo
Carminio con riflessi granato. Su un tappeto di viola e rosa essiccati si elevano effluvi di ciliegia marasca sotto spirito, sottobosco, liquirizia. Finale di tamarindo, china, tabacco Kentucky e orangette. L’entrata vigorosa è sostenuta da una mitigata freschezza e da tannini levigati.
La cantina produce anche uno spumante metodo classico a base di greco novarese: vitigno un po’ originale per un metodo classico ma che saremmo curiosi di provare dato l’interessante connubio tra freschezza e sapidità già nel fermo. Chissà se in un futuro non ci delizieranno anche con un metodo classico a base nebbiolo? Non ci rimane che seguire passo passo il loro operato, dal momento che è un’azienda in completa espansione tant’è che prevede di elevare gli ettari vitati da 21 a 35-40. Stay tuned!
Gli Agrumi di Sicilia: Un Viaggio Tra Arte, Storia e Pittoresche Tradizioni, passando per Lumì il succo di limone al naturale
di Carol Agostini
La Sicilia, con la sua storia millenaria e la sua cultura ricca e variegata, ha sempre avuto un legame speciale con gli agrumi. Questi frutti non sono solo una componente essenziale dell’economia locale, ma rappresentano anche una fonte d’ispirazione artistica e culturale. Dalle opere d’arte alle tradizioni popolari, gli agrumi di Sicilia sono simboli di prosperità, bellezza e vitalità.
Un Patrimonio Storico Millenario
Gli agrumi sono stati introdotti in Sicilia dagli Arabi nel IX secolo. Le prime coltivazioni di aranci e limoni trovarono terreno fertile nell’isola grazie al clima mediterraneo favorevole e ai terreni vulcanici ricchi di minerali. Gli Arabi non solo portarono con sé questi frutti, ma anche avanzate tecniche di irrigazione che permisero alla coltivazione degli agrumi di prosperare.
Durante il periodo normanno e successivamente sotto la dominazione sveva e aragonese, la coltivazione degli agrumi continuò a crescere e a perfezionarsi. Il Rinascimento vide un ulteriore sviluppo della produzione agrumicola, con i giardini dei nobili che si riempivano di piante di aranci e limoni, simboli di ricchezza e potere.
Gli agrumi di Sicilia hanno ispirato numerosi artisti nel corso dei secoli. Le loro forme perfette, i colori vivaci e il profumo inebriante hanno trovato spazio in molte opere d’arte, dai dipinti ai mosaici. In particolare, il Barocco siciliano, con la sua predilezione per i dettagli e l’opulenza, ha spesso utilizzato motivi agrumicoli per decorare chiese, palazzi e ville.
Uno degli esempi più celebri è il mosaico della Cappella Palatina di Palermo, dove aranci e limoni sono rappresentati in scene di vita quotidiana e allegorie religiose. Anche nei dipinti di artisti come Renato Guttuso, gli agrumi diventano protagonisti, simboli di una Sicilia rurale e autentica, intrisa di luce e colori.
Le tradizioni legate agli agrumi in Sicilia sono numerose e pittoresche. Le festività religiose e popolari spesso vedono gli agrumi come elementi centrali delle celebrazioni. Durante la festa di Sant’Agata a Catania, ad esempio, le strade sono adornate con arance e limoni, e i dolci tipici come le cassate e i cannoli sono arricchiti con scorzette di agrumi canditi.
A Palermo, durante la festa di Santa Rosalia, gli agrumi vengono utilizzati per decorare i carri che sfilano in processione, creando un’esplosione di colori e profumi. Queste tradizioni non solo celebrano la religione e la cultura locale, ma sottolineano anche l’importanza degli agrumi nella vita quotidiana dei siciliani.
I giardini storici della Sicilia sono veri e propri tesori botanici, dove gli agrumi sono spesso protagonisti. Il Giardino della Kolymbethra, nella Valle dei Templi ad Agrigento, è un esempio perfetto di come gli antichi agrumeti siano stati integrati in contesti archeologici. Qui, tra ulivi secolari e mandorli in fiore, aranci e limoni crescono rigogliosi, offrendo ai visitatori uno spettacolo di rara bellezza.
Il Giardino Bellini a Catania e il Giardino Garibaldi a Palermo sono altri esempi di come gli agrumi siano parte integrante dei paesaggi urbani siciliani. Questi parchi, con i loro viali ombreggiati e le fontane zampillanti, sono luoghi di relax e contemplazione, dove il profumo degli agrumi si mescola con quello dei fiori.
Gastronomia e Tradizione
La cucina siciliana fa largo uso degli agrumi, non solo come frutta fresca ma anche come ingredienti per piatti dolci e salati. I limoni e le arance sono spesso utilizzati per marinare il pesce, insaporire le insalate e preparare deliziosi dolci come le granite e i sorbetti.
Il limoncello, un liquore a base di limoni, è un altro prodotto tipico che racchiude in sé il sapore intenso e rinfrescante dei limoni siciliani. Anche le marmellate di arance e i dolci a base di pasta di mandorle e scorze di agrumi sono prelibatezze che raccontano la storia e la cultura dell’isola.
Gli agrumi di Sicilia sono molto più che semplici frutti; sono un simbolo della storia, dell’arte e della cultura di un’isola che ha saputo fare di questi prodotti naturali un elemento distintivo del proprio patrimonio. Dalle antiche coltivazioni arabe alle moderne tecniche di produzione, dagli affreschi barocchi alle festività popolari, gli agrumi rappresentano un legame profondo tra la terra e il popolo siciliano.
In ogni arancia, in ogni limone, si può assaporare un pezzo di storia e di cultura, un frammento di una terra che ha sempre saputo valorizzare le proprie risorse naturali e trasformarle in opere d’arte viventi. Gli agrumi di Sicilia continuano a essere un emblema di questa straordinaria isola, un tesoro da preservare e celebrare.
Il Succo di Limone al Naturale Lumì del Gruppo Villari: Tradizione e Innovazione Siciliana
Il succo di limone al naturale Lumì del Gruppo Villari rappresenta una perfetta fusione tra tradizione e innovazione. Questo prodotto nasce nel cuore della Sicilia, una terra rinomata per i suoi agrumi, e si distingue per la sua qualità eccellente e per il suo impegno a mantenere vive le tradizioni agricole locali. In questo articolo esploreremo le caratteristiche del succo Lumì, il contesto storico e culturale degli agrumi siciliani, il mercato degli agrumi della Sicilia e alcune ricette tradizionali che esaltano il gusto unico di questi frutti.
La Sicilia e i suoi Agrumi: Una Storia di Tradizione e Cultura
La coltivazione degli agrumi in Sicilia ha radici profonde, risalenti all’epoca araba. Gli arabi introdussero le tecniche di irrigazione e molte varietà di agrumi, trasformando la Sicilia in un giardino fiorente. Il clima mite e la ricchezza del suolo vulcanico hanno contribuito a rendere l’isola uno dei principali produttori di agrumi al mondo.
La cultura degli agrumi è intimamente legata alla vita quotidiana dei siciliani. Il limone, l’arancia e il mandarino non sono solo ingredienti fondamentali nella cucina locale, ma simboli di ospitalità e abbondanza. I mercati siciliani sono colorati da questi frutti, e il loro profumo si diffonde nelle strade, evocando immagini di campi assolati e di tradizioni secolari.
Il Succo di Limone al Naturale Lumì
Il Gruppo Villari, con il suo succo di limone al naturale Lumì, ha saputo valorizzare questa ricca eredità. Lumì è prodotto esclusivamente con limoni siciliani, raccolti a mano e spremuti a freddo per mantenere intatte tutte le proprietà nutritive e organolettiche del frutto. Senza l’aggiunta di conservanti, coloranti o zuccheri, Lumì rappresenta l’essenza pura del limone siciliano.
L’azienda segue rigorosi standard di qualità, assicurandosi che ogni fase del processo produttivo, dalla coltivazione alla spremitura, rispetti l’ambiente e le tradizioni locali. Questo impegno si traduce in un prodotto di eccellenza, apprezzato non solo in Italia ma anche nei mercati internazionali.
Il Mercato degli Agrumi di Sicilia
La Sicilia è il maggiore produttore di agrumi in Italia, con un’ampia varietà di prodotti che spaziano dalle arance rosse di Sicilia alle clementine, ai limoni di Siracusa e di Messina. Secondo i dati dell’ISTAT, nel 2022 la produzione di agrumi in Sicilia ha superato le 1.5 milioni di tonnellate, con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente.
L’export di agrumi siciliani è in costante aumento, con una forte domanda proveniente dai paesi del Nord Europa, dagli Stati Uniti e dal Giappone. Le arance rosse, in particolare, sono molto richieste per il loro sapore unico e per le loro proprietà antiossidanti. Il limone di Siracusa, con il suo marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta), è apprezzato per la sua qualità superiore e per il suo aroma intenso.
TEMPO e TERRITORIO: dalle antiche origini la storia continua attraverso i 7 vini di Tenimenti Leone.
di Cristina Santini
Capitando per caso ma non a caso, la decisione di tenere la proprietà e farla diventare quello che è oggi, è stata presa più tardi, ed è interessante poi come le scelte consapevoli possano portare a risultati così autentici.
Acquistata nel 2010 per sanare una situazione debitoria dei monaci con l’idea di essere rivenduta, nel 2015 arriva la decisione di non vendere ma di ristrutturare il podere dedicandosi al progetto “Tenimenti Leone”, un progetto nato nel tempo, quasi tenuto in sordina, legato al mondo del vino per tutta una serie di coincidenze che hanno portato a prendere tale decisione: sicuramente la passione di Federico Veronesi, alla guida di Signorvino, e di tutta la famiglia per il vino; il fatto che in quell’anno è venuto a mancare purtroppo il padre di Sandro Veronesi, patron del gruppo Calzedonia (nonno di Federico) che si chiamava guarda caso Leone e aveva le vigne a Bardolino; la voglia di investire per far emergere il potenziale vinicolo ancora poco esplorato del territorio laziale.
La bellissima Tenuta di Tenimenti Leone si trova nel cuore dei Castelli Romani, tra le verdi colline che ospitano i due paesi, Lanuvio e Velletri da un lato, la dorsale dei Monti Lepini dall’altro che ripara dai venti freddi provenienti dall’Appennino, a 15 km dal mare la cui brezza preziosa e fresca spira tra le piante per tutta l’estate e a 30 km dalla città di Roma.
L’azienda è proprio al centro dei cosiddetti Colli Albanitra il mare e la montagna, un’area di natura vulcanica, originata dal collasso del Vulcano Laziale alcune centinaia di migliaia di anni fa. La bocca principale del Vulcano occupava l’intero territorio dei Castelli che collassando diede origine a varie bocche secondarie, di cui la più importante è l’attuale Monte Cavo, alcune delle quali divenute bacini lacustri come il Lago di Albano e di Nemi, gli unici rimasti ad oggi.
Per cui il suolo e più in profondità il sottosuolo sono ricchi di sedimenti vulcanici accumulatisi nelle varie fasi del vulcano, sali minerali come azoto e potassio, pozzolana, peperino, acqua anche se oggi vi è l’irrigazione interrata che permette di intervenire e di salvaguardare sempre la qualità del prodotto.
Il progetto iniziale è stato quello di partire prima dalla produzione, piantando tutte le varietà autoctone e poi internazionali, arrivando nel corso del tempo alla costruzione della cantina di vinificazione e affinamento, e all’opera di ristrutturazione delle grotte scavate nei primi anni del ‘900.
Oggi gli ospiti possono godere anche della ricettività con il Casale degli Ulivi (agriturismo e bed & breakfast) che dispone di stanze dotate di ogni confort e degli ultimi ambienti creati come il negozio con la sala degustazione e la sala multimediale dove abbiamo potuto vedere la proiezione di un bellissimo filmato.
La proprietà dispone di 72 ettari di cui 42 vitati, dove si produce non solo vino ma anche miele e olio con 30 ettari di ulivi, certificati biologici su tutte e tre le filiere, anche con certificazione vegan in dirittura di arrivo.
La tenuta è talmente grande che è divisa tra due comuni: Velletri e Lanuvio. Il boschetto di Presciano che si trova all’interno dei confini, ora laghetto di pesca sportiva, ricco di biodiversità, è una fonte naturale per tutto il territorio. Da qui parte il fosso che gira intorno la tenuta che prima alimentava tutto il podere, e si disperde nelle grotte naturali di pozzolana in cui si incanala naturalmente sotto ad una struttura di roccia all’interno della quale sono state scavate le grotte nelle quali ci troviamo in visita.
Prima dell’attuale proprietà, vi abitavano i Monaci che però non producevano vino ma derrate alimentari, come frutta, verdura, birra. Prima ancora dei monaci, il podere era di proprietà delle Assicurazioni Generali che a suo tempo vinificano ma che poi hanno lasciato in abbandono tutta questa terra, rimanendo ben poco. Le prime barbatelle sono state piantate nel 2015.
Ci incamminiamo verso la splendida torre dell’anno mille e il primo a sinistra che incontriamo è proprio il Moscato di Terracina, mentre a destra c’è Bellone.
In questo spazio agricolo sono state mantenute alcune piante di varietà lampante, per continuare una delle più antiche pratiche impiegate, testimonianza storica del casale che produceva non soltanto il vino ma anche l’olio da ardere. Quest’olio veniva inviato a Roma, per illuminare San Pietro e risale proprio al VII secolo l’incisione a San Pietro che elenca i sette casali più importanti, fornitori di olio da ardere, tra cui il Fondo di “Priscianum”.
La stradina sterrata che divide in due parti le vigne si insinua tra i campi vitati ornati da splendide rose e giunge alla torre: a destra le uve a bacca bianca come Malvasia Puntinata, Greco di Tufo, Verdicchio chiamato in loco Trebbiano Verde e Bellone; a sinistra, allevate su un suolo leggermente più argilloso troviamo le uve a bacca rossa come Syrah, Montepulciano, Cesanese di Affile e Merlot.
Oltre l’uliveto vicino all’agriturismo ci sono il Vermentino e lo Chardonnay.
Giunti sotto l’antica Torre Medioevale di Presciano rimaniamo affascinati dalla sua bellezza intatta dopo secoli di storia (X-XI secolo). La sua funzione era quella di avvistare il pericolo che veniva dal mare, come per esempio i Saraceni, i Persiani o semplicemente pirati che per razzie, saccheggi, venivano e cercavano di stabilirsi in questi territori.
Nella zona c’era una vera e propria rete di torri che comunicavano tra di loro tramite segnali di fumo. Nel 1560 il baluardo fu abbandonato e per questo conservato originale, per la costruzione della nuova torre dove poi si è formata la vita del borgo.Queste strutture di difesa del territorio erano finanziate dallo Stato della Chiesa e le terre adiacenti ricoprivano un ruolo fondamentale per la produzione di olio e vino perché erano le prime terre abitate in antichità.
Tutta la pianura dell’Agro Pontino oggi è una zona ricca, civilizzata e piena di insediamenti, ma una volta era impensabile costruire delle strutture stabili perché paludosa, malarica, dove i fiumi cambiavano corso ogni stagione delle piogge. Dopo le varie bonifiche, i progetti a lungo termine, come la vigna e l’ulivo, furono destinati a durare 40, 50 anni, tant’è vero che l’Appia venne costruita a monte e non a valle.
Anche se probabilmente fare una strada in pianura sarebbe stato più facile, non c’era un substrato stabile su cui ancorarsi, quindi si è preferito realizzare salite, discese e ponti rispetto all’instabilità del terreno paludoso a valle.
IL PANORAMA DEI VIGNETI VISTI DALLA TORRE
Salendo gli ottanta scalini si arriva ad una vista mozzafiato sul nucleo principale dei vigneti che circondano la torre, in fondo l’uliveto e alle sue spalle un altro pò di vigna. In questo luogo magico, da questa postazione si possono ammirare tutte le particelle vitate divise tra uve bianche e rosse, come anche il promontorio del Circeo e si capisce chiaramente che sono le primissime colline che si alzano dalla pianura su cui è arrivata la vigna 3000 anni fa.
In mezzo a questa splendida natura, si intravedono i tetti delle arnie: dal lavoro delle api si ricava un miele biologico monofloreale influenzato dalla vicina cisterna circolare adibita agli scarti organici dell’azienda tra cui le vinacce che nei bianchi sono prefermentative, ricche di zuccheri, di cui le api ne vanno ghiotte. Per questo producono un miele particolarmente scuro, denso da far pensare la prima volta di essere malate, ma in fin dei conti erano semplicemente ubriache.
CANTINA E FASI DI VINIFICAZIONE
Le uve, allevate in regime biologico, raccolte manualmente e giunte in cantine in cassette con i raspi, vengono raffreddate a 7 gradi per 24 ore prima di essere lavorate; questo permette una migliore estrazione degli aromi dalla buccia. Il 50% delle uve bianche fa criomacerazione. Tutti i silos possono essere utilizzati alternativamente sia per i bianchi sia per i rossi, infatti hanno la doppia portella, e sono tutti termocondizionati.
Ogni varietà di uva viene vinificata separatamente; questo lavoro permette di studiare il loro processo di evoluzione e come l’andamento stagionale rispecchi l’annata corrente. Si stanno sperimentando anche i lieviti indigeni, in collaborazione con un’azienda francese che ha selezionato appositamente dei lieviti sui mosti e sulle uve, ottenendo prove interessanti sul Bellone e Vermentino. Tutto questo anche per accostarsi al mondo delle fermentazioni naturali.
In una stanza a vetri ci sono le giare artigianali da 8000 litri prodotte da Artenova con la nobile terracotta pura dell’Impruneta, non rivestite internamente e hanno un impatto a livello olfattivo/gustativo molto più importante. Qui avvengono le fermentazioni per esempio del “De Coccio” che è un Trebbiano Verde 100%, le cui uve riempiono l’anfora per i 3/4 facendo macerazione fino al termine della fermentazione alcolica.
La massa tenuta a contatto con le bucce fino al giusto compromesso evolutivo, viene separata dalle stesse e l’anfora viene colmata con il liquido estratto dalle bucce e dallo stesso verdicchio che è stato fatto fermentare separatamente in acciaio o in legno a seconda dell’annata. Da qui un anno di affinamento. Nelle barrique fermenta invece una parte del bianco destinato alla Roma Doc.
All’interno delle grotte adibite esclusivamente a sala di affinamento, ci sono invece le Tava da 7500 litri, anfore in terracotta lavorata a mano per affinamenti enologi più lunghi e per cessioni organolettiche più leggere. Le barrique e le botti non presentano tostature troppo pesanti e aggressive proprio per non trasmettere al vino la sensazione di legno ma piuttosto per dare struttura. Ogni nicchia è controllata separatamente al livello di umidità, temperatura, con dei rilevatori che da remoto controllano tutti i livelli.
Qui immerso in questo magnifico luogo affina il rosso Roma Doc in botti di rovere francese differenti per tostatura e di diverse aziende, le Clayver sempre destinate alla denominazione e un’anfora di bianco per il De Coccio che da quest’anno affina anche in questo contenitore. Tante le tipologie di contenitori per il vino come le vasche di cemento Tulipe, anch’esse presenti e di recente utilizzo.
Dopo la visita ai vigneti e alla cantina, la nostra giornata prosegue con la prima degustazione di vini rossi abbinati sapientemente ai prodotti locali: salumi, formaggi e pane di Lariano con olio extra vergine di oliva di propria produzione, presso la sala ospitalità che funge anche da negozio per la vendita dei prodotti.
Tutti i vini richiamano nomi legati al dialetto e ai modi di dire della tradizione romanesca proprio per trasmettere questo forte legame, anche storico, con la terra di provenienza.
Pischello Lazio Rosso Igp 2021 è un blend di Syrah 60%, Cesanese 30% e 10% di Merlot. Breve macerazione di 6/7 giorni al massimo, pressatura soffice, fermentazione a temperatura controllata, con frequenti rimontaggi e delestage, non particolarmenti spinti proprio perché si cerca di mantenere più il frutto fresco piuttosto che i tannini particolarmente aggressivi. Affinamento in acciaio, leggera chiarifica prima dell’imbottigliamento che a breve diventerà anche vegana, eliminando tutte le proteine animali dal protocollo operativo aziendale.
E’ un vino facile da bere, vivace, nonostante i suoi 14 gradi maturati con l’annata, di una certa importanza. La sua beva è comunque agevole, con una bella acidità e mineralità e devo dire accomuna un po’ tutti i palati. Si è voluto premiare la croccantezza del frutto rosso, al naso così denso come una conserva, l’immediatezza, la speziatura del Syrah che è molto gradevole. E’ morbido e sostiene piatti importanti bevendosi anche spensieratamente perchè ha un approccio immediato, non gioca sulla complessità. Eclettico e armonico direi.
Tera de Leone Igp Lazio Rosso 2022 Cesanese di Affile affinato per sei mesi in Clayver, gres porcellanato, una via di mezzo tra l’anfora e il legno, con una porosità importante, non come il legno ovviamente. Un’espressione di Cesanese vivo, caratteriale che esalta prevalentemente il frutto, per cui spiccano note di frutti di bosco, di rosa soprattutto. Il sorso ha una grande freschezza che si mantiene per molto tempo e una bella spalla acida. Il gres ha una durata più lunga rispetto al legno, è un simil cemento che dà lunghezza e grassezza al vino rendendolo morbido e rotondo.
Nonostante l’equilibrio del vino, per abbassare un po’ il grado alcolico dovuto alla natura del Cesanese, dall’annata 2022 sono state due le vendemmie provenienti da due appezzamenti differenti, una versione più anticipata e una a maturazione ottimale, poi unite.
Tendenzialmente i gres sono verticali ma ce ne sono due orizzontali, sperimentali, utilizzati per capire meglio come evolve la feccia fine su una superficie rotonda rispetto ad una superficie verticale, aumentando quella di contatto.
Capomunni Roma Doc Rosso 2021 (Montepulciano, Syrah, Merlot), fa affinamento per almeno un anno in botti e barriques di varie tostature. In questo caso si cerca l’evoluzione, anche perchè di base il Montepulciano è una varietà estremamente complicata, porta con sé dei tannini piuttosto ruvidi che hanno bisogno di essere ammorbiditi. Al naso sprigiona profumi marcati di frutta rossa concentrata, anche sotto spirito come la visciola, agrumi essiccati, spezie dolci come cannella e noce moscata, tabacco, note affumicate a ricordo dell’incenso, di sottobosco.
La beva, a lunga durata, è intensa, minerale, astringente con un tannino che pulisce, asciuga e prepara gradevolmente il palato al secondo sorso. Una bevuta immediata ma con un’importante e piacevole struttura.
Il nostro percorso prosegue comodamente seduti nell’accogliente zona esterna del Ristorante Il Focolare di Michael Sciamanna situato in un altro dei paesi dei Castelli Romani, Ariccia, per la degustazione dei vini bianchi dell’Azienda abbinati alle pietanze di pesce preparate con ingredienti gustosi e freschi.
“Sciccheria” Igp Lazio Bianco 2021 è principalmente Bellone (90% e 10% Verdicchio), raccolto non completamente maturo per regalare note verdi di mandorla, ortica, molto fini, eleganti. All’olfatto presenta anche un bouquet di agrumi, cedro, pesca gialla. E’ un calice luminoso, dove la priorità è l’eleganza accompagnata dalla semplicità, come il suo nome, è chic ma non nel senso di raffinato e costoso, chic nel senso di elegante. Il sorso è fresco, leggero, molto minerale, facile da bere e da abbinare.
“Core” Malvasia Puntinata Igp Lazio 2022 è 85% Malvasia Puntinata, 15% Greco. Anche se in minore percentuale, il Greco bilancia con la sua acidità importante la Malvasia che tende nel tempo ad essere un po’ troppo morbida. Ciò che spicca al naso è una fragranza piccante di muschio, albicocca, acacia, e mela gialla. Presenta una struttura diversa dal precedente calice con più frutto, più grado alcolico, più acidità ma comunque tanta freschezza che rappresenta il denominatore comune di tutti vini di questa Azienda e questo finale che persiste su note saline, minerali.
“De Coccio” Bianco Igp Lazio 2021 è un Trebbiano Verde in purezza il cui affinamento ve ne abbiamo già parlato, dal colore dorato dovuto alla macerazione sulle bucce. Ci regala bellissime note di tè, menta, rosmarino, liquirizia bianca. Entra verticale al sorso, con carattere ma con un equilibrato impressionante. Salino. Carismatico.
“Capoccia”Roma DOC Bianco 2021 è composto dal 50% di Malvasia raccolta leggermente tardiva, restante Bellone, Trebbiano Verde e Chardonnay che vinificano tutti separatamente, affinano in acciaio e solo una piccola parte riposa in barrique di rovere francese. Il profumo dei fiori bianchi e degli agrumi accompagna inesorabilmente la componente delicatamente speziata. E’ un vino identitario che ha stile e per differenziarlo dagli altri prodotti, è stato introdotto il legno che in quest’unico caso regala lunghezza di beva, struttura al sorso, esaltando la mineralità dei suoli vulcanici.
Mi è doveroso dedicare questo spazio del mio articolo alle persone che hanno contribuito alla realizzazione di questa fantastica giornata di gruppo. Ringrazio di cuore per l’ospitalità Francesco Fratticci di Calice & Gusto, Azienda selezionatrice di prodotti enogastronomici di alta qualità; Simone Clazzer dell’Enoteca La Rosa dei Venti di Aprilia (LT); l’Azienda Tenimenti Leone per l’accoglienza e il tour.
Cogliamo anche l’occasione per rinnovare gli auguri per gli anni di collaborazione tra Francesco e Simone che ci hanno ospitato e reso partecipi dei loro grandi risultati.
Le Emozioni della Convivialità e le Tendenze del Fine Dinning nel 2024
di Carol Agostini
La convivialità, il piacere di stare insieme a tavola, rappresenta una delle esperienze umane più profonde e gratificanti. Condividere un pasto non è solo nutrirsi, ma anche celebrare legami, creare ricordi e costruire relazioni. Nel 2024, questo aspetto sociale della ristorazione sta diventando sempre più importante, influenzando profondamente il settore del fine dining sia a livello nazionale che mondiale.
La convivialità evoca una serie di emozioni positive: felicità, appartenenza, gratitudine e amore. Stare insieme a tavola favorisce la comunicazione, rafforza i legami familiari e amicali e crea un senso di comunità. Questi momenti sono associati a sentimenti di sicurezza e benessere, che sono fondamentali in un mondo sempre più frenetico e individualista.
Il Fine dinning è in crescita verso la qualità e approccio da parte dell’utente quanto dall’oste.
Secondo uno studio della National Restaurant Association, nonostante l’uso crescente della tecnologia nella gestione dei ristoranti, i consumatori preferiscono ancora un tocco umano nelle loro esperienze culinarie. Questo indica che l’essenza della convivialità rimane centrale nella ristorazione moderna, influenzando le scelte dei consumatori e le strategie degli operatori del settore.
Il settore del fine dining negli Stati Uniti continua a crescere e ad evolversi, adattandosi alle nuove esigenze dei consumatori. Secondo il rapporto di IBISWorld, il mercato del fine dining è destinato a espandersi nei prossimi cinque anni, nonostante le sfide economiche e i costi crescenti.
Principali Tendenze negli Stati Uniti:
In primis la Sostenibilità e Prodotti Locali: Sempre più ristoranti di alta gamma si stanno concentrando sull’utilizzo di ingredienti locali e sostenibili. Questo non solo supporta le economie locali, ma risponde anche alla crescente domanda dei consumatori per pratiche alimentari più etiche.
L’Esperienze Personalizzate: I ristoratori stanno investendo in esperienze culinarie altamente personalizzate. Questo include menu degustazione su misura, abbinamenti di vini selezionati e servizi personalizzati che rendono ogni visita unica.
L’Innovazione Tecnologica: Sebbene la convivialità resti centrale, l’uso della tecnologia sta trasformando il settore. I ristoranti utilizzano tecnologie avanzate per migliorare la gestione delle prenotazioni, la selezione dei menu e l’interazione con i clienti.
L’Espansione del Mercato: Le città come New York, Los Angeles e Chicago stanno vedendo una crescita significativa nel numero di ristoranti di alta gamma, con nuovi locali che offrono cucine innovative e ambienti di lusso.
A livello mondiale, il fine dining sta vivendo una rinascita con l’apertura di nuovi ristoranti che stanno ridefinendo l’alta cucina. I principali chef stanno sperimentando nuove tecniche e ingredienti, creando esperienze culinarie indimenticabili.
Principali Tendenze a Livello Globale:
Cucina Fusion e Internazionale: La globalizzazione ha portato a una mescolanza di tradizioni culinarie. Chef rinomati come Srijith Gopinathan e Johnny Spero stanno incorporando elementi di diverse cucine nei loro menu, creando piatti unici che combinano ingredienti e tecniche da tutto il mondo.
Sostenibilità e Zero Sprechi: Molti ristoranti di alta gamma stanno adottando pratiche sostenibili e strategie di zero sprechi. Questo include l’utilizzo di ogni parte degli ingredienti e la riduzione degli scarti alimentari attraverso tecniche creative di cucina.
Esperienze Multisensoriali: Alcuni ristoranti stanno esplorando modi per coinvolgere tutti i sensi dei loro ospiti. Questo può includere l’uso di suoni, luci e aromi per migliorare l’esperienza culinaria complessiva. Esclusività e Accessibilità: Mentre alcuni ristoranti offrono esperienze estremamente esclusive, con menu degustazione che possono costare centinaia di dollari, altri stanno cercando di rendere l’alta cucina più accessibile. Questo equilibrio permette di attrarre una clientela più ampia, mantenendo al contempo un’aura di esclusività.
Nel panorama del fine dining, alcuni chef e ristoranti stanno emergendo come punti di riferimento nel 2024:
• Michael Collantes con il suo nuovo progetto “Bar Kada” a Orlando, che promette una moderna interpretazione del sushi omakase, combinata con una selezione di vini e sake di alta qualità.
• Srijith Gopinathan e Ayesha Thapar con “Eylan” a San Francisco, che offrirà una cucina indiana stagionale preparata su griglia a legna e una varietà di snack tradizionali.
• Johnny Spero che riapre “Reverie” a Washington, D.C., con un nuovo look e un menu di degustazione centrato sui frutti di mare.
Questi chef stanno ridefinendo l’alta cucina attraverso innovazioni culinarie e un’attenzione particolare agli ingredienti di qualità e alle tecniche sostenibili.
In Italia, il panorama gastronomico è in continua evoluzione, con numerosi chef emergenti che stanno ridefinendo le tradizioni culinarie del Paese con innovazioni audaci e tecniche raffinate.
Ecco alcuni dei talenti emergenti più promettenti del 2024:
Michele Spadaro: Chef de partie al ristorante stellato Michelin Pashà a Conversano (BA), Spadaro ha recentemente vinto il titolo di Emergente Chef 2024 assegnato dalla scuola internazionale di cucina Alma. Il suo menù premiato comprendeva piatti creativi come “Presente” (sivoni, mandorle e tartufo), “Passato” (spaghetti al carrubo con capperi e porcini) e “Futuro” (branzino alle spezie con cole rizze, un’antica varietà di cavolo tipica della Puglia).
Arianna Gatti: Vincitrice del premio Chef Emergente del 2024 del Gambero Rosso, Arianna si distingue per la sua capacità di combinare ingredienti tradizionali con tecniche moderne, creando piatti che esprimono al meglio le peculiarità del territorio italiano.
Thomas Locatelli: Sous chef al ristorante Il Cantinone di Madesimo, Locatelli ha rivoluzionato la proposta di pane e primi piatti del ristorante. È noto per la sua competenza nella gestione del lievito madre e per l’introduzione del rejuvelac, una bevanda fermentata offerta a fine pasto. La sua esperienza include collaborazioni con chef rinomati come Claudio Sadler e Marco Sacco.
Luca Orilia: Proprietario del Visione Restaurant&Living a Barbaresco (CN), Orilia ha aperto questo ristorante con l’obiettivo di offrire una cucina poliedrica che combina influenze piemontesi, italiane e internazionali. Il ristorante, che comprende un fine dining e un’area più informale per cocktail e vino, è già entrato nella Guida Michelin 2024 pochi mesi dopo l’apertura.
Zaira Peracchia: Restaurant director e sommelier del 177 Toledo a Napoli, Peracchia porta la sua expertise piemontese nel cuore di Napoli. È responsabile della direzione del ristorante e della selezione dei vini, con un focus sulla valorizzazione delle eccellenze locali attraverso un servizio impeccabile.
Questi giovani chef non solo stanno ottenendo riconoscimenti importanti, ma stanno anche influenzando le tendenze culinarie a livello nazionale con le loro innovazioni e il loro approccio sostenibile alla cucina. La loro passione e creatività promettono di portare la cucina italiana a nuove vette, mantenendo al contempo un forte legame con le tradizioni e i prodotti locali.
A mio modesto parere la convivialità e il fine dining sono intrecciati da un filo comune di emozioni, esperienze e innovazione. Nel 2024, il settore continua a evolversi, adattandosi alle nuove tendenze e ai desideri dei consumatori. Che si tratti di una cena esclusiva in un ristorante di alta gamma o di un pasto condiviso tra amici e familiari, l’importanza della convivialità rimane centrale, arricchendo le nostre vite e alimentando il nostro spirito.
Per ulteriori dettagli sulle tendenze e statistiche nel settore della ristorazione nel 2024, si possono consultare le fonti come il rapporto della National Restaurant Association e i dati di IBISWorld (NRA) (IBISWorld) (TouchBistro) (TouchBistro) (MICHELIN Guide).
Oltre 2500 visitatori per Wine&Siena 2023 dal 27 gennaio al 30 gennaio 2023!
di Carol Agostini
Oltre 2500 persone tra visitatori, giornalisti, operatori e partner per la 3 giorni di Wine&Siena iniziata già venerdì 27 gennaio con il convegno promosso da Banca Monte dei Paschi di Siena dedicata a Vino e Futuro e il taglio del nastro nel pomeriggio. Importanti anche le donazioni per la bottiglia della solidarietà all’Associazione Quavio di Siena. Si è chiusa così l’8° edizione di Wine&Siena che si è tenuta di nuovo nelle prestigiose sale del Santa Maria della Scala.
Dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Puglia, dalla Sardegna, dalla Lombardia, Alto Adige, il Friuli. E non mancano chiaramente Toscana, Piemonte, Veneto. Ci sono anche regioni come Abruzzo, Emilia Romagna, il Lazio. E c’è la Francia.
Più di 600 etichette di vini selezionati da The Wine Hunter nel percorso del gusto al Santa Maria della Scala con Wine&Siena i Capolavori del Gusto e insieme, eccellenze della gastronomia, 60 prodotti circa tra cioccolati, formaggi, olio, carni e salumi, birra, salumi, pasta, riso, cereali, grappe e liquori, birra e non solo dalla Campania all’Alto Adige passando da Toscana, Marche, Abruzzo.
Helmuth Koecher The WineHunter: “Tre giornate dense, anzi quattro giorni se si pensa al convengo organizzato dal Monte dei Paschi. Assaggiare il vino tra le mura affrescate del Santa Maria della Scala è una emozione – ha sottolineato Helmut Kocher, The WineHunter e patrone del Merano Wine Festival – Il vino qui ha trovato il proprio habitat. Le masterclass sono state un successo e hanno fatto capire qualcosa in più dell’anima del vino. Il territorio di Siena ha dimostrato anche quest’anno di essere il fulcro del vino a livello nazionale e adesso ha una responsabilità per promuoverlo al livello nazionale”.
Ottima anche l’affluenza che ha segnato il record nella giornata di sabato. Poi il patron ha ringraziato tutta la città per l’ospitalità, il Comune e Confcommercio. “Adesso – ha concluso – siamo già proiettati verso 2024”.
Durante i giorni di evento presentati il progetto Abruzzo Sostenibile, il nuovo modello di sostenibilità nato dalla collaborazione tra The WineHunter Helmuth Koecher e la Regione Abruzzo. Presentati, inoltre, gli eventi novità firmati The WineHunter: Farm Food Festival, un evento che mirerà a valorizzare le specialità altoatesine, un viaggio attraverso la tradizione dei masi chiusi che si terrà il 25 marzo 2023 nell’unica cornice del Kurhaus di Merano.
Altro grande appuntamento, che inaugurerà la stagione primaverile di eventi: TastingMoreTime, il 27 e il 28 maggio 2023 nella magnifica location della Reggia Reale di Monza. Un evento che rafforza e conferma la collaborazione con la Regione Lombardia.