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  • Cantina Morichelli 2023 di Partners in Wine

    Cantina Morichelli 2023 di Partners in Wine

    Cantina Morichelli 2023, un omaggio al passato e uno sguardo al futuro: le sfide di una piccola azienda in crescita.

    Di Ilaria Castagna e Cristina Santini

    Partners in Wine

    Vigneto Montecardeto, articolo: Cantina Morichelli 2023 di Partners in Wine, foto delle autrici
    Vigneto Montecardeto, articolo: Cantina Morichelli 2023 di Partners in Wine, foto delle autrici

    In una giornata tersa piena di vento, noi Partners in Wine, abbiamo visitato la Cantina Morichelli, dei fratelli Matteo e Pietro, a Trevignano Romano, località Monte Cardeto, nel cuore della Tuscia romana. Un antico borgo medievale situato sulle rive del lago di Bracciano e costruito su una rupe di lava leucitica all’estremità del cratere di un antico vulcano.

    Per raggiungere i vigneti, abbiamo percorso una bellissima strada immersa nel verde, la strada del vino delle Terre Etrusco Romane che corre lungo le sponde del lago, attraversa il Parco Naturale Regionale di Bracciano-Martignano, una riserva naturale protetta del Lazio, e giunge fino a Cerveteri e Tolfa. Luogo a lungo vissuto dagli Etruschi e dai Romani che vi costruirono molte ville, alcune ora sott’acqua.

    Incontriamo Matteo, un ragazzo genuino e gentile, in uno dei suoi fazzoletti vitati e rimaniamo per un istante a contemplare questo piccolo angolo di paradiso, rapite dalla bellezza della vigna a riposo in questo periodo.

    Dormiente ma allo stesso tempo così viva. Mentre camminiamo tra i filari, Matteo ci racconta con entusiasmo la sua storia:

    “Abbiamo quattro ettari di vigneto di cui uno in affitto, tutte le nostre colline si affacciano sul Lago di Bracciano, di origine vulcanica, ed alcune delle nostre vigne hanno tra i 20 e i 25 anni di età impiantate dai miei nonni molti anni fa. Quella che vediamo qui ne ha nove ed è la più giovane e molto vigorosa.

    Sono circa 1,5 ettari a 270 metri di altitudine coltivati metà a Violone e metà a Vermentino; abbiamo deciso di tenere divisa la parte bassa per il rosso e quella alta per il bianco perché tra le due colline il terreno cambia tantissimo. In discesa è più argilloso e vulcanico quindi con una terra che drena tanto l’acqua, nel bene e nel male, fino ad arrivare ad un terreno quasi sabbioso. Questa è una zona molto ventosa, tutto l’anno, e questo ci consente di lavorare in biologico perché fa molto bene alle piante e, al contrario di quanto si possa pensare, qui c’è pochissima umidità”.

    La vigna che genera dei vini strepitosi della cantina Morichelli, foto di partners in Wine
    La vigna che genera dei vini strepitosi della cantina Morichelli, foto di partners in Wine

    Notiamo come in questa vigna giovane la vigoria e il fusto delle piante cambi in così pochi metri e nonostante la sua tenera età abbia un diametro piuttosto grande in alcuni punti probabilmente per merito del terreno più ricco di minerali.

    I vigneti sono dislocati su tre colline, più o meno distanti un chilometro l’una dall’altra, caratterizzate tutte da suoli vulcanici e dove sono coltivati Violone, Sangiovese, Incrocio Manzoni, Vermentino e Syrah. L’anno prossimo verrà impiantata la Malvasia Puntinata al posto di una parte improduttiva dell’Incrocio Manzoni e acquistato un fazzoletto limitrofo sul quale verrà messo a dimora un altro vitigno a bacca rossa.

    Pochissimi i trattamenti impiegati, perlopiù rame, zolfo e un prodotto a base di tannino di castagno, il quale è molto funzionale contro peronospora e oidio. Una piccola curiosità ci viene raccontata sulle concimazioni che avvengono solo con il letame delle pecore del vicino.

    I filari del Vigneto Montecardeto, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    I filari del Vigneto Montecardeto, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    I Fratelli Morichelli lavorano insieme in vigna e si avvalgono della collaborazione di Roberto Muccifuori, agronomo e enologo di Orvieto. Certificati biologici, si occupano di tutte le fasi, dalle lavorazioni in campo alla cantina, fino alla vendita. È per questo che dal 2019, l’Azienda è entrata a far parte della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) e da quest’anno, grazie al suo impegno, Matteo ha assunto la carica di Vice Delegato del Lazio.

    Matteo continua:“L’azienda è nata ufficialmente nel 2017, la nostra prima vendemmia è stata quindi nel 2018. La mia famiglia è da sempre stata in vigna. Papà la maggior parte dell’uva la vendeva ai privati o alla Cantina Sociale di Cerveteri e una piccola parte provava a vinificarla; quando ha iniziato a vedere dei risultati positivi, ha lasciato le redini a noi figli. È rimasto ad aiutarci nel punto vendita che abbiamo proprio sul lago dove vendiamo anche il vino sfuso.”

    Le lavorazioni in vigna

    Il Montepulciano, localmente chiamato Violone, è un’uva unica, da sempre coltivata da queste parti. Ha trovato il suo habitat naturale su queste colline lagunari accarezzate da un clima caldo e ventilato. Per le potature, si lascia il ramo più lungo, soprattutto per questa varietà, perché tende a spezzarsi facilmente quando si va in legatura e poi si scorcia.

    Rappresenta un doppio lavoro ma fondamentale. Si esegue una potatura molto ramificata, rasando i rami superiori e non in basso e alternando la lavorazione dei filari di anno in anno. Si raccoglie alle prime ore del mattino, si porta in cantina dove l’uva viene pigiata e pressata. Quest’anno la vendemmia è partita i primi di agosto con la raccolta dell’Incrocio Manzoni, a seguire quella del Vermentino a fine agosto e infine dai primi di settembre fino ad Ottobre con le uve a bacca rossa.

    I capi a frutto e la legatura del Violone, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    I capi a frutto e la legatura del Violone, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    Apprezziamo tantissimo il rispetto che questa Azienda ha nei confronti del territorio, dalle lavorazioni manuali in vigna e nella raccolta delle uve fino all’imbottigliamento, non da meno la scelta di utilizzare i tappi Nomacorc, un polimero della canna da zucchero completamente riciclabile e le etichette in fibra di cotone.

    Nella botte piccola c’è il vino buono

    La loro piccola ma funzionale cantina si trova interrata sotto il vigneto e nel passato era la capanna del nonno che poi è stata ristrutturata e adibita alla vinificazione. C’è tutto l’essenziale: la pressa, la pigiatrice, due tonneau e per finire quattro piccole barrique di rovere francese in un angolo, dove affina il Violone.

    La Cantina interrata, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    La Cantina interrata, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    Matteo afferma:“Devo dire che io non amo molto il legno ma ammetto che per un vitigno come il Violone è fondamentale altrimenti non sprigionerebbe quei sentori unici che ha. Mentre in acciaio affina il Vermentino, l’Incrocio Manzoni e il blend rosso inizialmente nato da Violone e Syrah, sostituito quest’ultimo con il Sangiovese. Per quanto riguarda il nostro Spumante Metodo Classico è Violone in purezza, vinificato in bianco. Quest’anno ne abbiamo prodotte 850 bottiglie con un affinamento di 12 mesi sui lieviti ma arriverà nei prossimi anni a 24 mesi. In totale produciamo quasi 10.000 bottiglie l’anno”.

    Matteo Morichelli e il suo metodo classico, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Matteo Morichelli e il suo metodo classico, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    Dopo aver passeggiato tra le vigne e visitato la cantina, riprendiamo le macchine per dirigerci verso il punto vendita situato nel borgo a due passi dalla riva del Lago di Bracciano, oggi un po’ burrascoso ma pur sempre affascinante.

    Cristina Santini e Ilaria Castagna Partners in Wine con Matteo della Cantina Morichelli, foto delle autrici
    Cristina Santini e Ilaria Castagna Partners in Wine con Matteo della Cantina Morichelli, foto delle autrici

    Appena arrivate al locale ci piace molto curiosare tra le foto di famiglia e dei vigneti che troviamo appese sulle pareti e che ci confermano ancora una volta la passione per questo “mestiere” e la tradizione vitivinicola familiare tramandata alle generazioni.

    Il punto vendita sul Lago di Bracciano, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Il punto vendita sul Lago di Bracciano, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Degustazione vini cantina Morichelli

    Si parte con la degustazione iniziando dal Cardo 2021 Igt – Dal nome della zona Monte Cardeto ricca di cardi, questo Vermentino in purezza segue il processo di pigiatura, pressatura, chiarifica statica per 12 ore sulle fecce pesanti e fermentazione in acciaio per 7/10gg. Dopo la fermentazione riposa circa nove mesi sulle fecce fini prima della bottiglia.

    Cardo Vermentino, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Cardo Vermentino, cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    Di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, all’olfatto domina la sua parte minerale preponderante per poi gradualmente aprirsi su sentori di frutta bianca fresca, di macchia mediterranea, uniti a sbuffi balsamici e fiori di camomilla che ricordano i prati in fiore.

    Al sorso mostra tutta la sua gioventù (imbottigliato da circa tre mesi), la sua nervatura e sorprende per acidità e sapidità. Un vino molto piacevole che arriva lungo nella sua complessità.

    Ci piacerebbe assaggiarlo nuovamente tra qualche mese.

    Prato di papaveri nei vigneti e Incrocio Manzoni Antheios cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Prato di papaveri nei vigneti e Incrocio Manzoni Antheios cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    ANTHEiOS 2020 Igt Incrocio Manzoni in purezza da vigne di 24 anni di età, stessa vinificazione del Cardo.

    Il nome deriva dalla parola greca Antheios che significa floreale, com’è il vino e com’è la vigna, costeggiata da papaveri e fiori. Il Manzoni ha un grande difetto quello di fare pochissima uva.

    A maggior ragione degustiamo questo gioiello lentamente apprezzando il suo colore giallo paglierino tendente al dorato, con una bella frutta gialla al naso come la pesca, fieno e leggere note ossidate di mandorla tostata.

    Alla beva è avvolgente, rotondo, bilanciato da una bella sapidità e un finale persistente di canditi. Ha tempo davanti per esprimere la stoffa da vero campione.

    Fenice Blend di Violone e Syrah cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Fenice Blend di Violone e Syrah cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    FENICE 2020 Igt 50% Syrah e 50% Violone, dal 2022 Sangiovese e Violone.

    Succoso e avvolgente nei suoi frutti rossi freschi, dalla ciliegia alla prugna, dove prevalgono più le sfumature ampie e fruttate del Violone rispetto alla speziatura del Syrah con lievi note di pepe nero in chiusura e un bel tannino morbido.

    Apertura organolettica più netta e chiara dopo qualche minuto atteso nel calice.

    Nato come Syrah in purezza, dopo l’incendio del 2019 che devastò più della metà delle piante, è stato sostituito dal Sangiovese.

    Violone in purezza cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Violone in purezza cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    VIOLO 2020 Igt.

    Vino di punta dell’azienda che affina 12 mesi in barriques e tonneaux piccole da 350 litri di secondo passaggio.

    Denso, dal colore impenetrabile e dalla speziatura dolce con richiami finali di cannella e pepe nero.

    La beva, ampia e sostanziosa, termina con una perfetta maturazione del frutto rosso. Persistente e intenso con un’ottima freschezza e un tannino vellutato, mostra il grande potenziale del vitigno. Sembra non finire mai.

    Sabatae Metodo Classico da Violone cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Sabatae Metodo Classico da Violone cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    SABATAE: la leggenda narra che la città di Sabate fu distrutta da un’entità divina facendola sprofondare in fondo al Lago di Bracciano per vendetta nei confronti dei suoi abitanti, risparmiando solo una fanciulla che fuggì sul colle dove oggi sorge la Chiesa della Madonna del Riposo.

    Dal punto di vista geologico, deriverebbe dal complesso vulcanico (quattro crateri) che poi crollando nel tempo ha formato una conca dalla quale si è generato il lago.
    E’ un Violone in purezza vinificato in bianco, pas dosé che affina al momento dodici mesi sui lieviti.

    Non viene pigiato e va diretto nel torchio a mano. Bellissimo colore rosa antico intenso, con un perlage fine ma non molto persistente.

    Un metodo classico con un’ottima struttura di base, pieno e complesso, che evidenzia un tannino levigato e un finale sapido. Non ancora in perfetta armonia e bisognoso di tempo per esprimere le sue meravigliose qualità intrinseche. Un grande destriero.

    Line Up della cantina Morichelli, foto di Partners in Wine
    Line Up della cantina Morichelli, foto di Partners in Wine

    E’ il secondo anno che esce sul mercato ed è ancora in fase sperimentale. Grande scommessa la bollicina per questa Cantina che, dopo vari esperimenti sul Vermentino, ha deciso di utilizzare il Violone per il metodo classico. I primi a farlo in questa zona e con questa varietà. Riposando ulteriori mesi sui lieviti, siamo convinte che raggiungerà la complessità e quel passo in più verso quella profondità che si acquisisce solo con il tempo.

    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.

    Sito cantina: https://cantinamorichelli.it/
    Siti Partners: https://www.foodandwineangels.com

    https://carol-agostini.tumblr.com/

     

  • A CASALE DELLA MANDRIA ARTE E CUCINA: NEL REGNO DEI 5 SENSI

    A CASALE DELLA MANDRIA ARTE E CUCINA: NEL REGNO DEI 5 SENSI

    A CASALE DELLA MANDRIA ARTE E CUCINA: NEL REGNO DEI 5 SENSI

    Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Ci sono pochi luoghi in una vita, forse persino uno solo, in cui succede qualcosa, luoghi che respiri e senti tuoi. Certi luoghi hanno il grande potere di lasciarti addosso la curiosità di conoscerli più a fondo. Questo, è un luogo che non si guarda soltanto ma si respira.

    Il colore del cielo, l’odore intenso del terreno , il suono delle foglie mosse dal vento e la sensazione di libertà ci fanno capire che pochi posti esistono così al mondo. Un posto che si respira con l’anima.
    E poi accade che, girovagando tra l’erba alta e l’arte sospesa, ci guardiamo come a riconoscere che qualcosa è entrato in noi e che non possiamo farne a meno. Ne vogliamo godere e non vogliamo più lasciarlo andare.

    A Casale della Mandria. Arte e cucina: nel regno dei cinque sensi
    A Casale della Mandria. Arte e cucina: nel regno dei cinque sensi

    La meravigliosa storia del Casale della Mandria della Famiglia Verri

    Una storia particolare. Un padre da sempre costruttore fino al 69, uno dei più grandi costruttori su Roma.
    “Papà mi costruì a due anni una cassetta della frutta con quattro cuscinetti e mi fece questa macchinetta; io ci sono montato due volte però mi annoiavo perché per me erano giochi inutili. Quindi, caricavo la cortina in questa cassetta, salivo sulle palanche e portavo i mattoni agli operai”.
    Questo era Giuseppe Verri a due anni. E lo è ancora oggi, un grande lavoratore pieno di buoni propositi, pieno di fantasie e sogni come lo sono i veri artisti.

    Nel 1996, dopo l’inizio della crisi edilizia, Papà Verri, capace a fare un po’ di tutto, trasferisce al figlio la passione per il legno ed insieme cominciano a costruire tavoli, ma tavoli artistici, con le gambe intarsiate di castagno belle resistenti.
    Giuseppe ci racconta che in quel periodo venne una famiglia gitana che desiderava un tavolino da otto metri per la sua numerosa famiglia, dodici figli che vivevano tutti di elemosina. Al che tutti pensarono che questo fosse un lavoro non pagato, ma l’animo buono del padre prevalse e il tavolo venne ultimato e pagato.

    Nel 1999, vendendo un capannone a Lariano e avendo una piccola disponibilità, la famiglia Verri aveva desiderio di cambiare posto per cui Giuseppe andò alla ricerca di un casale in Toscana.
    Nel frattempo ai castelli, il papà, con atto di generosità, portava il pane fatto a legna a questi gitani e tornando a casa una sera notò un agriturismo completamente distrutto, ma con il cartello vendesi. Fu amore a prima vista, staccò il cartello e lo mise nel furgone. Un casale abbandonato da dieci anni, passato in eredità a molte famiglie facoltose, originariamente di 5000 ettari.
    Il 19 luglio del 1999 la Famiglia Verri divenne proprietaria del casale.

    Foto di Giuseppe Verri esposte all’interno delle sale
    Foto di Giuseppe Verri esposte all’interno delle sale

    Ad oggi la proprietà è di otto ettari, in regime biologico dal 1956, di cui un ettaro di luppolo per fare la birra, un ettaro a cereali utile per fare il pane, cucinato a legna ogni settimana fino a prima della pandemia, a rotazione tra farro, grano duro e grano tenero, il resto ortaggi e alberi da frutta.

    Anche un ettaro di Ulivi per fare l’olio perlopiù per un consumo interno come la frutta per le marmellate. Così anche la pasta, gli spaghetti di farro, targati “Verrigud” , ricevendo il certificato per il biologico nel 2001.
    Dopo la crisi della ristorazione intorno al 2018, l’agriturismo ha avuto un picco in discesa. Con la pandemia poi è venuta a mancare la gente, come ben sappiamo, soprattutto il sabato sera con il locale pieno.
    “A me manca il brusio del sabato sera”.

    Giuseppe ci rincuora dicendo che da settembre finalmente il casale sta riprendendo pian piano il suo ritmo; c’è molto da fare, c’è molto da sistemare, ma c’è una ripresa. C’è da dire che, essendo l’agriturismo situato in un posto più isolato in mezzo alla campagna di Lanuvio, la ripresa ha tardato a farsi sentire.

    OLTRE L’IMMAGINAZIONE

    Il posto per noi è veramente bello, sprigiona energia positiva, ha uno stato un po’ dimenticato, però non c’è finzione, è quello che è senza nessuna maschera, dall’aria un po’ malinconica, come lo è Giuseppe, ma vero, autentico in tutti i suoi aspetti. L’erba alta nasconde tante cose o perlomeno così ci sembra. È una sensazione!

    Quanti luoghi ci sono nel mondo che appartengono così a qualcuno? Giuseppe questo lo ha nel cuore, l’arte gli scorre nelle vene e la dona ad ogni persona che, anche solo di passaggio, lascia un pezzetto di sé.
    All’entrata veniamo subito sorprese e meravigliate dalle sue opere, sculture fatte negli anni da Giuseppe, perché Giuseppe è tante cose, ma soprattutto è un grande artista con una fervida immaginazione. Noi lo definiremmo un uomo d’altri tempi.

    Varie opere in giardino
    Varie opere in giardino

    Uno dei cardini del Casale della Mandria è l’accoglienza. Appena arrivate, dovendo fotografare il luogo, siamo state accolte dal papà nel salone di casa che fa parte del ristorante, dove ci sono le fotografie di famiglia.
    Giuseppe, andato a prenderci la buona carne a Rieti, appena arrivato, ci ha fatto subito sentire a casa, accendendo il suo grande braciere e preparandoci salumi e formaggi per deliziare il nostro palato. Ovviamente anche il vino. Più di un vino.

    Salumi, formaggi, vino Azienda Marco Carpineti di Cori e Azienda Di Marzio di Lanuvio
    Salumi, formaggi, vino Azienda Marco Carpineti di Cori e Azienda Di Marzio di Lanuvio

    Ci sorprende con un pensiero profondo, così all’improvviso, dicendoci che non si mangia soltanto con la pancia ma si mangia con gli occhi, con la pelle, con gli odori e con i colori.
    Il suo progetto è quello di portare a tavola cibo buono, biologico, cotto in quel momento. “Voglio pensare ai colori, all’arredamento esterno. L’idea di mangiare arte sui tavoli colorati. Ma questa è la mia velleità artistica”.
    Ci lascia lì, a riflettere. Si, perché lui ti parla e poi ti lascia riflettere, fantasticare, mettere a fuoco la tua vita.

    Giuseppe Verri felice al taglio della carne
    Giuseppe Verri felice al taglio della carne

    UN NOME ANTICO, UNA DIMORA ANTICA

    Il casale è stato edificato nel 500 a.c. su una villa romana; ci sono resti di capanne, tribù, mosaici romani, anfore, monete, tutti reperti lasciati alla natura e coperti dall’erba alta.

    Nel 1600, essendo stato proprietà dei romani, c’era il pozzo. Un unico pozzo di acqua pura, perché tutt’intorno era palude, scavato a mano a ottanta metri di profondità, con un fontanile che dava acqua a tutte le zone limitrofe. Quindi tutte le mandrie della zona venivano ad abbeverarsi. Da qui il nome dell’attuale Casale.
    Nel 1603 era di proprietà dei Sforza Cesarini e la sua posizione viene menzionata su tutte le cartine geografiche storiche. Che storia.

    Casale della Mandria è conosciuto tantissimo sia in Italia sia all’estero; ci sono clienti di Seul, americani, tedeschi, belgi, francesi che sostano in questo splendido luogo beneficiando sia dell’ospitalità delle camere sia del cibo genuino. Per il benessere dei suoi ospiti, Giuseppe si occupa anche degli spostamenti con una navetta da e per la stazione Termini.

    UNA VITA RICCA DI IDEE

    “Sono un ingegnere, un cuoco, un falegname, un pizzaiolo, un contadino, un muratore , tutto faccio, ma la cosa che più mi piace è essere un contadino, l’idea di camminare scalzi tra i campi”.

    Da qui anche l’idea di fare una scultura alta 1,20 che rappresentasse un contadino, un guerriero contadino, come lui ama definirsi, alto e grosso.

    Non sapendo che nell’antica Roma esistevano veramente questi guerrieri contadini che facevano parte del popolo dei Volsci e abitavano Velletri e Anzio. Polusca era un’antica città del “Latium Vetus” nel territorio dei Volsci e riconquistata poi dai romani. Il Nibby, storico famoso, la colloca proprio presso il casale delle mandrie, nella località di Campoleone, nel comune di Lanuvio. Da qui l’origine.

    Cartina storica zone dei Volsci
    Cartina storica zone dei Volsci

    All’interno del campo troviamo una statua molto particolare, un blocco unico di pietra leccese, che con le intemperie è diventata nera. Giuseppe ci racconta che il terzo occhio rappresenta la testa, sul collo ha una bocca, il resto è donna, il seno sono gli occhi, il naso al centro del seno, e l’organo femminile è la bocca. Particolare curioso è che da 10 anni è diventata tutta nera tranne l’organo femminile che è rimasto originariamente bianco.

    Varie opere esterne, articolo: A CASALE DELLA MANDRIA ARTE E CUCINA: NEL REGNO DEI 5 SENSI
    Varie opere esterne, articolo: A CASALE DELLA MANDRIA ARTE E CUCINA: NEL REGNO DEI 5 SENSI

    Prima di metterci questa scultura, in questo spazio, c’era l’idea di creare un anfiteatro naturale. Durante i lavori per portare le condutture del gas, la ruspa non è riuscita a scavare in profondità, perché sotto c’era un blocco di calce e detriti che costituiscono ad oggi un’ara pagana. Questo punto è un punto di energia dichiarato. Sono stati anche eseguiti studi trigonometrici: il centro del lago di Castelgandolfo è il punto di energia bianca e nera, il monte Circe è il punto di energia bianco e nera e questo segmento che unisce questi due luoghi ha il suo centro proprio dove ora è posizionata la scultura.

    Casale della Mandria è un luogo intrinseco di arte, energia e amore; un luogo dove Giuseppe ad oggi, ha trasmesso quest’arte oltre a tutte le persone che vi fanno visita, anche alla figlia Viola, alla quale ha dedicato un’opera gigantesca situata sul suo terreno più grande, a testimonianza del suo amore smisurato per lei.

    Opera che raffigura Viola Verri, figlia di Giuseppe
    Opera che raffigura Viola Verri, figlia di Giuseppe

    Vogliamo parlare del racconto di un paesano anziano del luogo? Si narra che, dove si trova il casale, preso di mira in tempo di guerra, dai tedeschi e dagli americani sotto lo sbarco di Anzio, nel suolo, ci sia sepolta una jeep con quattro tedeschi. Giuseppe, da grande artista, ha ben pensato di collocare, nel punto esatto dei manichini, uno che raffigura se stesso insieme agli altri, a testimoniare tutte le persone che sono passate di lì e sono morte.

    UN’ANIMA A COLORI

    Tutto ciò che vediamo è lo specchio dell’anima di Giuseppe, tutte le sue esperienze, le sue pene, i suoi sentimenti espressi in opere d’arte e complementi d’arredo.
    Una dei suoi progetti futuri è quello di organizzare cene per poche persone, portando un menù a tavola rivoluzionario, non scritto, ma fatto come una tavolozza di colori. Quindi abbinando un cibo studiato per quel colore.
    Il colore diventa l’essenza di una persona fatta cibo; ad esempio, il colore rosso è un colore carico; il giallo anche, ma con più sfumature di calore.

    L’idea meravigliosa quindi, è quella di pensare a tutte le sensazioni che una persona ci possa trasmettere e riproporla poi nel suo piatto.
    Un grandioso progetto che arriverà presto sulla tavola e noi non vediamo l’ora di provarne tutte le emozioni.
    Tante idee, tanto estro, tanta arte e sensibilità nel trasformare un’idea geniale in un’esperienza sensoriale goliardica.

    Un gioco fantastico che parte dai menù a colori, un colore che si trasforma in cibo e, dulcis in fundo, un tavolo completamente disegnato dove vivere, insieme ad altre persone, questa esperienza sensoriale.
    Perché “mangiare è una gioia” , adagiando gli ingredienti allo stato d’animo di quel momento dello chef, giocando su varie concordanze culinarie, sostituendo dov’è possibile sapori più o meno forti, perché come dice Giuseppe “io oggi cucino così, cucino come mi sento io”.

    Oggi si parla tanto di esperienze culinarie o di vino ma ben pochi sanno cosa veramente voglia dire, la maggior parte delle volte è marketing.
    Portare a tavola un’esperienza non riguarda soltanto il piatto, ci sono vari elementi che contribuiscono alla buona riuscita di un’esperienza.

    Il progetto di un tavolo ad arte
    Il progetto di un tavolo ad arte

    UN INGEGNERE, UNO CHEF, UN’ARTISTA

    Da ingegnere, a chef, a scultore in ben 38 anni. L’ingegnere è subentrato dopo quello che ama mangiare.
    “Ho mangiato la vita, ora mi sto nutrendo e ho capito finalmente che cosa vuol dire nutrirsi. Cucinare mettendoci quindi l’arte, l’ingegneria, la sapienza. La cosa più bella è far stare bene le persone, è l’accoglienza dall’inizio alla fine”.

    Prima della pandemia, qui si faceva la birra con il luppolo del proprio campo, la carne proveniva dai bovini che bevevano la stessa acqua della stessa fonte della birra, il pane era fatto a legna con il proprio grano come anche la pasta.
    Quindi si portava a tavola un pezzo di pane per far sentire il sapore del cotto a legna, un boccale di birra in cui c’era il grano con cui era fatto il pane, la pasta con lo stesso grano, la carne che aveva bevuto la stessa acqua della birra. Le persone si sentivano in un turbine di sapori, e a fine pasto si aveva la sensazione, per la leggerezza dei cibi, di avere ancora fame.

    Nato e cresciuto in una famiglia dove il mangiare è sempre stato fondamentale, con un’attenzione spasmodica per il cibo, coltivando tutto, allevando maiali, conigli, galline. Tuttora ci sono galline e oche registrate per le uova.
    Giuseppe ci racconta che da piccolo osservava la nonna sudare davanti al fuoco, per cuocere la carne. Lui le diceva di spostarsi, mentre lei gli rispondeva sempre che la carne andava guardata, perché se non la guardavi si bruciava.
    Ed è vero perché la carne ha un punto di viraggio che è millesimale, e ti cambia tutto quanto come la pasta, un sughetto al pomodoro semplice o meglio la doratura dell’aglio.

    Scottona 40 giorni di frollatura pronta per la brace
    Scottona 40 giorni di frollatura pronta per la brace

    Nel 2020 entra nell’Associazione APCI – “Associazione Professionale Cuochi Italiani” facendo molta esperienza e continuando tuttora a catturare ogni momento.

    “Grazie ai colleghi dell’associazione ho capito molti passaggi, spinto dalla mia curiosità di imparare e dall’opinione di non sentirsi mai arrivati.
    Dalle mie esperienze, mi rendo conto che sono un cane solitario, è un bene da un parte perché riesco ad esprimere quello che ho dentro, il mio obiettivo.
    Mi sono iscritto per le persone che ho conosciuto nei vari eventi e che mi hanno incuriosito per molti aspetti, uno di questi è la figura dello chef designer. Bravissimi Chef, attenti all’unione dei sapori e al decoro”.

    Non si definisce uno Chef come tanti, bensì un cuciniere, anche se molte persone non condividono il suo pensiero, sentendosi più vicino alla figura dell’oste, alla persona che accoglie, che ti fa sentire a casa e poi ti fa mangiare emozionandoti con il cibo.

    OBIETTIVI FUTURI

    Tanti gli obiettivi futuri che fanno di questo luogo e del suo proprietario una meta imprescindibile; c’è la voglia di far uscire Giuseppe Verri in maniera fusa, l’idea di portare a tavola cibo e arte. Nelle altre realtà di solito non è mai il cuoco che fa arte, in questo caso ci troviamo di fronte la medesima persona, il cuoco e l’artista. C’è la voglia di tornare a tutte quelle attività interrotte, a tutte quelle produzioni fatte in casa, al chilometro zero.

    “L’idea è quella di far mangiare emozioni a tavola, non solo con lo stomaco. Al tempo dei social oggi mangiamo sicuramente con gli occhi, in maniera futile. Io vorrei saziare l’anima e la pancia. Noi siamo composti da diversi elementi, principalmente cervello, cuore e pancia. Dobbiamo imparare a utilizzare tutti i nostri sensi, vista, gusto, olfatto, tatto, e tornare anche a mangiare con le mani. Invito spesso i miei clienti a mangiare l’antipasto con le mani” .

    Oggi c’è un ritorno alla bontà, alla genuinità, alla ricercatezza dei buoni prodotti, non solo da parte dei ristoratori, ma anche da parte dei produttori. E questo è un ottimo motivo per tornare a mangiare bene e sano anche con un costo un po’ più alto.
    Giuseppe ci racconta che tutta la parte di Rieti e Bassiano sono una fonte di ispirazione perché trova realtà genuine come salumi, carne e formaggi.

    Fino a prima della pandemia, la frutta e la verdura erano di produzione propria, questo era il loro cavallo di battaglia; hanno sempre utilizzato il chilometro zero, perché va a salvaguardia della digestione del cliente, cosa che per questa bellissima realtà è fondamentale.
    Mangiare e digerire.
    “Noi italiani, nel mangiare, nel preparare i piatti, non ci mettiamo il mondo dentro, ci mettiamo l’Italia e qui da me ci mettiamo Roma, la Provincia, al massimo la Regione Lazio”.

    L’OPERA

    C’è una parete a Casale della Mandria, un’opera d’arte che si trasforma pian piano a colori. Rappresenta tanti volti tutti insieme che ci osservano e che sottolineano tutte le mille sfaccettature.
    Ogni sfaccettatura è stata dettata da un incontro con ogni persona, e anche noi per un giorno siamo state due artiste immortalate su quella parete.

    L’idea è quella di mettere il nome di ogni persona sotto il proprio disegno; poi fondamentalmente ognuno di noi quando tornerà in questo luogo saprà dell’impronta lasciata e al colore al quale appartiene.
    Questo è un bellissimo rapporto a due, “la persona che viene qui sa che un pezzetto suo sta in Giuseppe e che io assorbo da tutti” .
    Di alcuni luoghi ti resta sulla pelle il profumo della gratitudine. Come di alcune persone, e a noi, con Giuseppe e il suo Casale ci è capitato proprio questo.

    Una parete tutta a colori
    Una parete tutta a colori

    Questo è un luogo dove meditare, riflettere sulla propria dimensione, dove catturare ogni piccolo gesto, colore, filo d’erba, un sorriso, dove si respira l’energia che sta per esplodere in ogni sua forma. Fa bene all’anima, ai sensi e ai pensieri che ci portiamo dietro ogni giorno nella vita quotidiana, dove poter respirare e lasciar andare ogni cosa. Un luogo dove lasciarci andare.

    Cerchiamo a fine giornata di rielaborare tutte le sensazioni che ci siamo portate a casa, il bagaglio che si costruisce pian piano nella vita di ognuno di noi.
    E qui, a Casale della Mandria, l’energia è tutto. La respiri parlando con quest’uomo poliedrico, la respiri rubando con gli occhi ogni minimo movimento, la percepisci assaggiando un piatto. È nell’aria, è ovunque.

    Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine con Giuseppe Verri
    Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine con Giuseppe Verri

    Poche volte ci siamo imbattute in così tanta beltà. Ci sembra appropriato chiudere con queste parole di Emanuela Breda che dettano il vero significato di questa giornata.

    “L’empatia fra le persone è come l’acqua nel deserto: si incontra di rado, ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera”.

    Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.

    Sito Artista: https://www.facebook.com/giuseppeverriartist/

    Sito Partner: https://carol-agostini.tumblr.com

    https://www.foodandwineangels.com/

     

  • L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Di Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine

    “In questi tre giorni proveremo a raccontarvi con il vino, con l’olio e con la birra i nostri terreni, i nostri paesaggi, la nostra storia e la nostra intelligenza. L’intelligenza dei tanti produttori e la loro capacità di lavorare. Vi racconteremo l’anima di questi luoghi”.
    Con le parole del Giornalista Enogastronomico Carlo Zucchetti, noi Partners in Wine, abbiamo intrapreso questo grande viaggio immerse nei nostri sensi; una Masterclass alla cieca, alla scoperta di cinque vini differenti, di cinque zone diverse del nostro amato Lazio.

    Siamo all’evento “Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale”, organizzato dalla Camera di Commercio di Rieti e Viterbo, nel meraviglioso centro storico. Un incontro “sensoriale” diretto e curato dal grande giornalista con il cappello, come lui ama definirsi.

    Assaggi Salone dell'Enogastronomia Laziale. Mordi il gusto del Lazio
    Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale. Mordi il gusto del Lazio

    Il tema affrontato durante la degustazione è complesso e coinvolgente: “Intreccio e trama, il vino racconta il paesaggio”.

    Ma qual’è la storia del nostro territorio?

    Una storia antica, quella del Vino nel Lazio. Storia di racconti, veri o presunti. Storia di popoli antichi, come gli Etruschi che portarono, per primi, la vite maritata e furono i primi viticoltori esistenti.
    Svolsero un ruolo chiave nella diffusione della cultura del vino nel mondo occidentale e nel Lazio.

    I primi ad esserne influenzati furono proprio i Romani, grazie al secondo Re di Roma, Numa Pompilio, di origine Etrusca. I Romani approfittarono poi, ovviamente, delle loro tecniche di fermentazione iniziando addirittura ad affinare i vini nelle anfore di terracotta. Le prime testimonianze dirette della produzione di vino in Italia risalgono, infatti, alla metà del VII secolo a. C., con il ritrovamento di ceramiche raffiguranti esempi di vita legate al vino presenti in alcune tombe dell’epoca.

    Dall’antichità ad oggi

    È attraverso la degustazione di cinque vini di produttori differenti, non tutti presenti perché impegnati all’esposizione nel Palazzo dei Papi, che vogliamo raccontarvi le peculiarità dei loro vini.
    Una storia raccontata direttamente dalla terra, attraverso i prodotti che essa, ad oggi, ci dona.

    Cinque terreni diversi, due della Tuscia Viterbese, uno situato nella zona delle Bonifiche dell’agro pontino, uno della zona di Atina e uno di Olevano Romano. Per quest’ultimo, abbiamo avuto proprio Giordano Mattei, giovane Produttore con grandi sogni ed obiettivi in mente, che ci ha raccontato il suo territorio.

    Viterbo Centro Storico, L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
    Viterbo Centro Storico, L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Territori che raccontano il vino

    Uno dei territori illustrati è quello del Lago di Bolsena, il lago vulcanico più grande d’Europa, nella parte più alta, ovvero quella di Montefiascone, circa a 600 m.s.l.m. E’ importante sapere che il terreno vulcanico in sintonia con le brezze del Lago, dona dei sentori particolari ai suoi vini. In molti casi vengono appunto chiamati “vini vulcanici o minerali” poiché questo connubio, ci regala in essi, una spiccata sapidità ed una grande mineralità.

    Un altro vino proviene invece, dalla parte più antica della Tuscia, quella di Vignanello, nei Colli Cimini, sempre una zona vulcanica. La caratteristica di questi terreni è che sono composti da tufi stratificati che donano vini più “aggressivi”, ovvero con un astringenza ed un’acidità maggiore anche nei bianchi.

    Con un altro dei calici in degustazione, ci siamo ritrovate direttamente nella zona dell’Agro Pontino, quindi una zona paludosa ed argillosa contemporaneamente, influenzata direttamente dalle brezze del mare, caratteristica che dona vini con maggiore struttura, maggiore alcolicità e molto più iodati.

    Abbiamo poi assaggiato un altro calice proveniente da una zona tutta calcarea, la DOC di Atina, una DOC storica quasi scomparsa che fortunatamente da circa 5 anni molti produttori stanno recuperando riscattandola. E’ una DOC molto particolare in un territorio calcareo- argilloso che dona vini più grassi, più importanti e più alcolici ma con un’estrema finezza.

    Per l’ultimo territorio Carlo Zucchetti ha invitato al microfono direttamente il produttore: GIORDANO MATTEI che ci ha raccontato la sua zona:
    “ E’ una zona che può variare molto, con terreni differenti anche a poca distanza. Possiamo trovare dei terreni rossi come quelli della mia zona ovvero la parte bassa di Olevano Romano oppure terreni prettamente argillosi e calcarei. Lo stesso vitigno può variare tantissimo, dipeso ovviamente, dal tipo di terreno in cui cresce.”

    L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
    L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Territori alla cieca

    “Io ho un approccio olistico con il vino, non mi piace fare la sua divisione, ma vederne un quadro completo. Non soffermiamoci, quindi, nei particolari, ma cerchiamo di sentire l’anima del vino. E’ il bicchiere che deve parlarci “.
    Con queste meravigliose parole di Carlo Zucchetti abbiamo dato il via alla degustazione alla cieca, con le bottiglie coperte, partendo dall’analisi olfattiva e ricercando i profumi imprigionati nei calici.

    L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
    L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Nel nostro primo calice abbiamo trovato un’esplosione di sentori vegetali e sentori di frutta rossa. Prugna e ciliegia matura in armonia con una mora scura, erba falciata e tabacco si sposano con dei leggeri sentori di appassimento di fiori. A primo impatto un vino ancora un po’ chiuso ma con una buona struttura alcolica e una bella acidità.Abbiamo capito subito che poteva essere il fantastico Cabernet di Atina descritto prima da Carlo.

    Ma continuiamo!

    Nel secondo calice ci siamo immerse in sentori corposi di sottobosco e note erbacee. Leggeri sentori di caffè e tostatura mescolati ad un leggero aroma di smalto e sentori ematici. Guardando nel calice un vino di un bel rosso intenso, tendente al granato, ci siamo rese conto che, forse quel vino aveva qualche anno in più rispetto al primo. Al palato una bella sapidità, un tannino pronunciato e corposo ma nonostante ciò un vino di gran fascino ed eleganza.

    Al terzo calice Carlo ci ha comunicato che il vino era quello di Giordano Mattei ma che, per fortuna o sfortuna per noi, non era il loro Cesanese.Avvicinandolo al naso, questo calice è stato per noi una vera sorpresa. Alla mente i sentori inconfondibili del Moscato, vitigno aromatico per eccellenza, un po’ abbandonato purtroppo dalla cultura di massa.

    Il nostro unico pensiero è stato “ Quant’è bello il moscato, questo è da ricordare! ”
    La sua parte fruttata sposata in maniera sublime e perfetta con i suoi sentori balsamici. Un ottima lunghezza e una sorprendente mineralità fanno da protagoniste.

    Giordano Mattei ci ha tenuto a sottolineare che:
    Ad Olevano Romano era considerato il nostro Moscato Buono “

    Infine, siamo giunte ai nostri due ultimi assaggi.

    Il quarto calice ci ha rapito per il suo colore giallo intenso con dei riflessi dorati bellissimi. Al naso sentori sorprendenti di frutta matura come la pesca e l’ananas, sentori esotici come il mango e la papaya e aromi estremi di agrumi che dominano la scena. Un vino che per essere riconosciuto, ci ha fatto penare un po’.
    Di buona struttura, elegante al palato e pieno di sfumature floreali e speziate. Impegnativo, bisognoso secondo noi, di un abbinamento gastronomico accanto per comprendere tutta la sua bellezza.

    Il calice finale è stato di una bella pienezza, un bel brio, persistente e più alcolico.
    La parte vegetale che lo ha caratterizzato sposa l’armonica dei sentori di albicocca e pesca. Morbido e cremoso, leggero nella struttura, ma anche lui con una grande mineralità e un finale agrumato.

    Degustazione alla cieca
    Degustazione alla cieca, articolo: L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Finita la degustazione tra idee differenti, ragionamenti sui vitigni esistenti, conosciuti e non, sentori di vario tipo abbiamo pian piano scoperto tutti i grandi vitigni che componevano i nostri calici.

    A tal proposito vi citiamo le aziende in ordine di degustazione:

    Cabernet di Atina D.O.P Atino (Cabernet Sauvignon e Merlot) Tenuta Cervelli Anno 2018
    Vignanello Riserva D.O.C Rosso Rulliano ( Sangiovese, Merlot) Viticoltori dei Colli Cimini Anno 2016
    Moscato Giallo I.G.T. Lazio Lady ( Moscato) Mattei Giordano Anno 2020
    Bellone I.G.T. Lazio Anthium ( Bellone) Casale del Giglio Anno 2021
    Rossetto I.G.T. Lazio Luce di Lago (Rossetto) Antica Cantina Leonardi Anno 2021

    Le aziende degustate alla cieca durante l'evento
    Le aziende degustate alla cieca durante l’evento: Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Alla fine di questo bellissimo viaggio immerse, con la fantasia, tra i vigneti del Lazio, abbiamo continuato la serata degustando un’altra tipologia di prodotto.
    LA BIRRA ARTIGIANALE, una Masterclass tenuta da Roberto Muzi.
    Docente, degustatore, Sommelier, Bartender e consulente di settore. E’ Consigliere Nazionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food, Editore e giurato di vari concorsi nazionali.

    Grande la sua passione per il mondo delle birre, raccontata nel suo libro “Birra Per un avvicinamento felice e consapevole”, introducendoci, in questa serata di degustazione, in un mondo così particolare che si sta evolvendo, ad oggi, in maniera imponente.

    Roberto Muzi e il suo libro
    Roberto Muzi e il suo libro

    “ Confrontarsi e stimolare i nostri sensi è anche un sistema per conoscere noi stessi, ciò che mangiamo e beviamo. Il mondo della birra è un mondo particolarissimo e complicato. L’approccio all’enogastronomia deve essere olistico perché è tutto collegato e difficilmente noi possiamo riuscire a scollegarlo. Il nostro modo di fare spesa incide sul destino del nostro pianeta. Il cibo è salute”.
    La birra è cibo.

    La birra ha quattro ingredienti fondamentali : l’Acqua conta nella birra in peso quasi il 90 % sul livello totale.Il Malto d’orzo o di cereali è il secondo ingrediente principe; sono pochissimi gli stili delle birre che non ne prevedono almeno il 40% .

    Il malto è l ‘anima della birra, quello che definisce anche il colore ma smentiamo una leggenda: le birre non si dividono per colori. Il colore è la cosa meno importante.

    Il terzo ingrediente è importante ma non determinante ovvero il Luppolo. Nella birra, infatti, si parla di ricetta. Il messaggio sbagliato che in questi anni è stato trasmesso; è quello che nella birra più ci sono luppoli e più è buona. Questo è totalmente sbagliato”.

    Ci sono più di 100 tipologie di luppolo ed ognuna ha degli aromi diversi. L’industria dei birrifici è in continua espansione, ogni giorno inventano una nuova ricetta.
    Il quarto e ultimo ingrediente fondamentale è il lievito.

    Dalle parole di Roberto:
    “ Una vita senza lievito non potevamo non averla. La birra, il vino, i formaggi, il cioccolato, il pane, la pizza e tutti i distillati vi fanno capire che il lievito è il miglior amico dell’uomo, perché ci permette di avere tutto questo.
    Quattro ingredienti che vengono mescolati insieme e creano una media di circa quattrocento stili birrari. Le birre infatti non si dividono in colori ma per STILI. Sono tanti e tutti diversi”.

    Un grande maestro per tanti

    Viterbo e la Tuscia sono importanti nella storia della birra poiché come ci ha raccontato Roberto, i primi birrifici artigianali comparvero alla fine degli anni 2000; piccole realtà che sono poi cresciute, consolidando la propria reputazione, convincendo il popolo degli appassionati. Un grande produttore davvero importante fu ORAZIO LAUDI del Birrificio Turan.
    Quest’ultimo, nel 2008, decise di aprire il suo birrificio, il quale fu fondamentale per molti ragazzi che come lui, volevano intraprendere questa strada. Fu, per tutti loro ,un grande maestro che crebbe insieme alla sua industria di birra artigianale.

    Al calice, continuando la degustazione alla cieca, abbiamo trovato due birre differenti ma con colori molto simili.

    Nel primo, una birra dalla schiuma con una bella velatura, molto cremosa, fine e presente. Come ci viene spiegato, la schiuma è nostra alleata poiché difende la birra dall’ossidazione. In essa coesistono zuccheri e proteine e versandola facciamo uscire una buona parte di CO2. Ci viene anche spiegato che, nel caso al bicchiere avessimo una schiuma grossolana e poco persistente, risulterebbe esserci un problema.

    Abbiamo ammirato fin da subito il suo colore molto chiaro ma dorato, sentori di frutta fresca ed esotica ci hanno inondato il palato. Note intense di pera kaiser e banana matura sono le protagoniste di questa birra. Sentori leggeri di speziatura , chiodo di garofano e zenzero si mescolano alla parte finale agrumata. Ha una tendenza dolce e l’aroma di cereale ci ha riportato alla mente il sentore di fetta biscottata evidenziando una parte proteica molto importante.

    Le due birre a confronto
    Le due birre a confronto

    “Dobbiamo metterci in contatto con i nostri sensi e mettere quest’ultimi in contatto con il nostro cervello”.
    Con questa frase di Roberto proseguiamo con la seconda birra.
    La prima notevole differenza è stata la schiuma. Nettamente di meno, molto più ambrato il colore e un naso più confuso. Sentori di speziatura, mela ossidata, miele d’acacia e una nota mentolata che hanno ammorbidito quel sentore smaltato sentito in precedenza.
    Amara all’entrata e nel finale, meno persistente e più corta della precedente. Abbiamo intuito da subito essere due stili birrari completamente differenti.

    Francigena Triple e Cimina Weizen
    Francigena Triple e Cimina Weizen, articolo: L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022

    Al primo calice ci siamo trovate di fronte ad una birra CIMINA WAIZEN “Birra della Tuscia” del produttore Birrificio Itineris di Civita Castellana, una birra di frumento ad alta fermentazione. Delicata e ideale per l’estate per la sua dote rinfrescante e molto piacevole d’inverno per la sua rotondità nel gusto. Il connubio dei sentori di banana ed i lieviti conferiscono un interessante retrogusto acidulo. Alc 5,5 % Vol.

    Al secondo calice, dello stesso produttore, una FRANCIGENA TRIPLE. Una birra Belga ad alta fermentazione che viene prodotta in tipico stile trappista e subisce una doppia fermentazione in bottiglia. E’ decisamente morbida e amabile; una birra anche da meditazione poiché ti avvolge con il suo sapore corposo. Alc. 8,5 % Vol.

    Due birre entrambe molto gastronomiche. La prima potremmo abbinarla a piatti di pesce molto delicati e freschi come un carpaccio di spada oppure di tonno, invece con la seconda, potremmo accompagnare formaggi stagionati e pasticceria secca.
    Ringraziamo infinitamente Carlo Zucchetti e Roberto Muzi per il bellissimo viaggio che ci hanno fatto vivere; immerse in territori, paesaggi e calici differenti che hanno raccontato la loro Storia.

    Ilaria Castagna, Cristina Santini Partners in Wine e Carlo Zucchetti
    Ilaria Castagna, Cristina Santini Partners in Wine e Carlo Zucchetti

    Vi lasciamo con una citazione, presa proprio dal libro di Roberto Muzi; che secondo noi, collega questi due grandi e bellissimi mondi.
    “ Ora sedetevi, osservate bene la luce, avvicinate al naso e odorate, portate alla bocca e bevete. Ma piano. Sorseggiate. La degustazione esige lentezza, pazienza, la disposizione d’animo di chi vuole apprendere. “

    Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.

    Sito: https://www.carlozucchetti.it/

    Sito Partner: https://www.foodandwineangels.com/   https://carol-agostini.tumblr.com/

  • TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto

    TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto

    TUSCIA 2022: LE GRANDI SFUMATURE DEL GRECHETTO

    Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Alcuni giorni fa spinte dalla passione e dalla curiosità, ormai fedeli Partners in WINE, abbiamo deciso di immergerci in questo grande FOCUS sul Grechetto. Il vitigno che ha, in alcune zone del Centro Italia, trovato il suo terroir come unico comun denominatore.

     

    Sala di degustazione MUVIS Castiglione in Teverina VT, articolo TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto
    Sala di degustazione MUVIS Castiglione in Teverina VT, articolo TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto

    Partecipando ad un incontro tenutosi nello splendido scenario del MUVIS “ Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari” a Castiglione in Teverina in prov. di Viterbo, diretto da Carlotta Salvini (Miglior Sommelier Fisar 2019) ed organizzato dalla Delegazione Fisar Viterbo in collaborazione con il Comune, abbiamo ascoltato il racconto sulle molteplici sfumature e declinazioni di questo particolare vitigno, e abbiamo confrontato, nel calice, il lavoro di sette Produttori della Tuscia.

    Particolarità che vengono esaltate anche dalle diverse vinificazioni, dai differenti tempi di affinamento e dai distinti materiali per la maturazione che vanno dall’acciaio al legno, finendo anche alla sperimentazione, da parte di alcuni produttori nel corso degli anni, dell’anfora.

    Da sinistra Leonardo Zannini (Sindaco di Castiglione in Teverina), Giuseppe Mottura, Cristina Baglioni (Delegata Fisar Viterbo), Carlotta Salvini (Relatore Fisar), Laura Verdecchia (Tenuta La Pazzaglia), Ludovico Trebotti e Erminio Papalino.
    Da sinistra Leonardo Zannini (Sindaco di Castiglione in Teverina), Giuseppe Mottura, Cristina Baglioni (Delegata Fisar Viterbo), Carlotta Salvini (Relatore Fisar), Laura Verdecchia (Tenuta La Pazzaglia), Ludovico Trebotti e Erminio Papalino.

    Ma la prima domanda ovviamente che ci sorge spontanea è:
    COME MAI QUESTO VITIGNO E’ COSI’ SPECIALE?

    Iniziamo con il raccontarvelo usando le parole della stessa Carlotta, con le quali ci spiega un po’ la storia di questo vitigno, emozionante e intrinseco di sfaccettature. “Da Grechetto Greco o Greci ci sono tanti vitigni con rappresentanze simili. Per motivi storici, per Greco o Grechetto in passato si intendevano quei vitigni che, o venivano importati dalla Grecia o che, nel medioevo si facevano alla Greca. Caratteristiche simili ma con nomi differenti, in altri casi, si trova lo stesso Grechetto ma con biotipi e caratteristiche ampelografiche differenti”.

    In questo incontro, abbiamo affrontato il tema sulla diversità dei due biotipi del vitigno: il Clone G109 o Grechetto di Orvieto e il clone G5 o Grechetto di Todi, declinati in tante denominazioni e caratteristiche differenti, e diffusi esclusivamente in Toscana, Umbria e Lazio. Prima di parlarvi delle caratteristiche di questi due grandi cloni, vi scriviamo qualche riga sul percorso e sul cammino di questi differenti ma così uniti Grechetti.

    La Storia e le sue differenze

    Il Grechetto è un vitigno introdotto sicuramente nelle regioni del sud Italia dai Greci per poi trovare il suo habitat ideale soprattutto in Umbria e Lazio. Anche il nome della varietà ci suggerisce un’origine greca, proprio come altri vitigni aventi un nome simile, ma con caratteristiche ampelografiche diverse, come il Greco, il Grecanico, il Greco Bianco o il Grechetto Gentile. Probabilmente, nel VIII secolo a.C. in Magna Grecia, i coloni importarono e diffusero nell’entroterra della penisola fino ad arrivare in Umbria anche le barbatelle di Grechetto. La famiglia di questo vitigno si compone quindi di due cloni, il Grechetto di Orvieto (clone G109) e il Grechetto di Todi (clone G5).

    Questi cloni presentano diverse analogie e caratteristiche che vanno sottolineate per capirne la diversità. Innanzitutto il G5, detto anche e non per caso Grechetto Gentile, ha dei toni più aromatici, una più marcata freschezza e un finale meno ammandorlato. Ha anche una maturazione più precoce rispetto il G109; il Grechetto di Orvieto, invece, ha più scontrosità e carattere quindi un semi aromatico, con un’acidità più vestita; si sposa benissimo in blend con altri vitigni (Procanico, Trebbiano, Malvasia e/o autoctoni a bacca bianca) che danno più note di freschezza alla sua struttura e alcolicità.

    Ottima riuscita anche nella versione passita e muffata, dove lo zucchero residuo maschera il carattere “poco morbido” del vitigno, ma che si sposa perfettamente con tutte le sue caratteristiche.
    Nonostante le note organolettiche e aromatiche siano diverse, molti vini provenienti da uve Grechetto hanno una sorprendente capacità di invecchiamento ed una nota inconfondibile in tutti di mandarla sul finale.

    sette calici di grechetto a confronto articolo TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto
    sette calici di grechetto a confronto, articolo TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto

    La degustazione: il confronto

    Importanti e diverse le aziende che troviamo in degustazione e con le parole, le spiegazioni e le emozioni di Carlotta iniziamo:

    Fattoria MADONNA DELLE MACCHIE Grechetto Belcapo Lazio IGT 2021

    L’Azienda è situata su una delle splendide colline in Castiglione in Teverina e ha radici ben salde nel territorio dell’alta Tuscia. Una passione, quella di fare vino ed olio, che si tramanda da tre generazioni, lavorando la terra in maniera sostenibile e bio in via di certificazione, con il minimo intervento in campagna e una grande attenzione alle materie prime.

    Azienda che utilizza il clone G109 e lo vinifica in acciaio.
    Insieme a Carlotta ci immergiamo nella descrizione delle emozioni e dei sentori che proviamo nel degustare il primo calice della serata.
    Ai nostri occhi si presenta di un bel giallo paglierino con sfumature verdoline.

    All’olfatto non abbiamo picchi aromatici, ma sentori che “somigliano a strati di nuvole” come suggerisce la Salvini. Molto floreale, sentori di fieno e frutta a pasta bianca, nel bicchiere pian piano si apre donandoci sentori di macchia mediterranea e di vegetale. Palato molto fine, delicato, buona freschezza e sapidità ben bilanciata; nel finale si perde un po’ data l’annata ancora giovane. Un vino semplice, di piacevolissima bevuta. Presenti note molto interessanti di mughetto, fiori delicati, fiori di campo e una nota che vira sull’anice attraente e delicata. Buona struttura, buon equilibrio e un’acidità vestita che non crea squilibri.

    TREBOTTI “INCANTHUS” Tuscia Grechetto DOP 2021

    Qui a spiegarci la sua azienda è direttamente Ludovico che, con passione e costanza, porta avanti, insieme ai due suoi fratelli, l’azienda ereditata dal nonno. Bio certificata dal 2006, la TREBOTTI è leader in Italia per innovazione ed ecosostenibilità con molti progetti attuati contro lo spreco energetico, con l’utilizzo di prodotti riciclati, riducendo al minimo l’impatto ambientale.

    Ludovico ci racconta:
    “Nella nostra azienda seguiamo una selezione massale dei vecchi vigneti, scegliamo quelli che hanno delle caratteristiche peculiari. Il nostro Grechetto, ad esempio, è un vigneto piantato nel 2010 e ci sta dando degli ottimi risultati. Facciamo vinificazione in acciaio ed il colore sarà più tendente al dorato poiché l’annata è stata molto più calda“.

    Al calice riscontriamo effettivamente un colore che verte al dorato più che al verdolino e al naso una parte aromatica più pronunciata del vino precedente. Un mix di Sentori che vanno dalla frutta a guscio alla pesca gialla, con una leggera nota di mela cotogna e mela gialla che si sposano perfettamente ai sentori di ginestra, fiori gialli, spezie e zafferano.

    Al palato un’acidità vestita, un incontro molto accogliente in bocca di frutta matura. Un vino succoso e giustamente alcolico che va in larghezza, rotondo. Più strutturato del precedente con note amaricanti leggere ma con un finale di bocca sospeso come se attendesse qualcosa. Solido, piacevole e compatto.

    TRAPPOLINI Grechetto Lazio IGT 2021

    L’Azienda, consolidata nel territorio dagli anni 60, giunta anch’essa alla terza generazione, ha un profondo rispetto per la terra natia, uno sguardo sempre puntato verso la qualità mantenendo un sano equilibrio tra la vite e l’ambiente circostante. Distribuiti tra Castiglione in Teverina, Civitella D’Agliano e Montefiascone, i vigneti poggiano sia su suolo vulcanico, che dona una buona sapidità ai vini, sia su suolo argilloso, di origine alluvionale, che regala una struttura importante.

    Il vino in degustazione è un Grechetto composto da più cloni, il G109, il G5 e cloni di selezioni massali dei loro vigneti vinificato in acciaio.
    Per cui ci aspettiamo ed immaginiamo subito una complessità maggiore, dato che, dal momento che si assemblano 5 cloni insieme, si mira ad estrapolare tutte le proprietà positive del vino che i produttori vogliono ottenere e quindi, molto probabilmente avremo un picco aromatico più alto dei precedenti.

    Avvicinando il calice al naso lo abbiamo trovato, infatti, più intenso e con un grande slancio in più, note di uva spina e di gelso che all’improvviso ci portano alla mente questa distesa di vigneti dell’azienda. Una nota di agrumi molto interessante si abbraccia perfettamente a note floreali e fiori di arancio. Note citriche dolci si sposano a pennello con quelle del mandarino e della macchia mediterranea.

    Ritroviamo tutto questo anche al palato con più note vegetali e un’intensità marcata, un mix di fiori e frutta in equilibrio tra di loro. Ci colpisce soprattutto questa freschezza intrigante e questa eleganza vestita come la sua acidità, chiudendo con una leggera alcolicità e una lieve scia sapida.

    PAOLO E NOEMIA D’AMICO “AGYLLA” Grechetto IGP

    Arrivate a questo vino ci rendiamo conto che loro sono l’unica azienda ad avere vinificato il loro Grechetto in anfora. Grande innovazione che negli ultimi anni sta prendendo piede. Azienda biologica che troviamo nel Vaiano, nel cuore della Tuscia, tra i “Calanchi”, zona vulcanica che si estende nell’alta valle del Tevere, al confine tra Toscana, Lazio ed Umbria.

    Lasciano invecchiare il loro Grechetto in purezza in anfora per circa 8 mesi e 3 mesi di bottiglia. Una prova che tradizione ed innovazione possono coesistere insieme. L’anfora qui gioca la stessa funzione del legno, solo che non vi è cessione ma un alto potere traspirante che micro ossigena il vino senza cedere nulla. E’ un materiale poroso, apprezzato infatti da alcuni produttori perché, con esso, non si alterano le caratteristiche del vitigno.

    Ci immergiamo con la vista in un colore giallo paglierino con dolci sfumature dorate. Al naso ci dona subito sensazioni di frutta matura, spezie ed erbette. Una leggera nota di noce moscata si unisce al fieno, al pepe bianco e alla frutta a guscio. Al palato riscopriamo una nota tropicale di mango legata alla pesca matura, fiori secchi appassiti e agrumi che si uniscono per donarci sensazioni meravigliose ed un finale di fico, scorza di arancia e mandorla che rende questo vino fluido, compatto e diretto.

    Un’acidità che spicca, un’importante eleganza sul finale e una scia sapida che in bocca un po’ si blocca. Una bella struttura ed un bell’impatto ci fanno capire che sì, al momento questo vino è ancora giovane, ma che potrebbe regalarci altre grandissime meraviglie durante l’affinamento in bottiglia negli anni.

     

    Ludovico Trebotti, Erminio Papalino e con la visita gradita dell’Azienda Vigne del Patrimonio
    Ludovico Trebotti, Erminio Papalino e con la visita gradita dell’Azienda Vigne del Patrimonio

    PAPALINO “AMETIS” Grechetto IGP 2019

    Piccola realtà nel cuore di Castiglione in Teverina, l’Azienda Papalino, a conduzione famigliare, nata negli anni 60, fino al 1997 non ha subito cambiamenti sostanziali. Da qualche anno, Erminio, l’attuale proprietario, ha iniziato un processo di ristrutturazione e modernizzazione, ancora in corso, con il quale vuole portare l’azienda a produrre vino di qualità, sperimentando in Cantina le varie soluzioni e mantenendo inalterati gli antichi sapori.

    Durante l’incontro, Erminio ci racconta che, per produrre il suo Grechetto, utilizza una tecnica interessante ovvero la vendemmia a scalare per ottenere un ventaglio aromatico più generoso e più ampio.

    Inizialmente opera una vendemmia anticipata, poiché predilige la parte varietale del vitigno, la parte più delicata, più sensibile alle temperature di fermentazione troppo alte, concedendo un’importante spalla acida alla prima massa. In seguito la vendemmia va a scalare fino a quella più tardiva. Le masse poi prendono strade diverse, il 90% matura in acciaio e il 10 % in tonneaux di secondo passaggio. Il blend ha una percentuale maggiore di Clone G109 e una piccola percentuale di G5.

    Questo ci fa capire subito che avremo un vino al calice molto più complesso con una texture e una bocca più consistente e piena di aromi. Al calice, infatti, ritroviamo un vino fine, elegante e molto definito. Un mix di frutta agrumata sposata benissimo con note di mela, pera e fiori freschi.

    Una piccola sensazione di cerino appena spento, macchia mediterranea, erbe officinali, speziature e una lieve nota sulfurea molto interessante fa da cornice alle nostri emozioni che sentiamo al naso. Capiamo subito la complessità di questo vino. Sulla bocca ritroviamo la stessa complessità, una sua consistenza gentile, un impatto di bocca molto fine. Una nota salata che non dispiace affatto e un’acidità al centro che ci sgrassa la bocca. Note di miele, anice e fiori di sambuco ci inondano il palato con un finale di speziature e fiori secchi. Questa parte terziaria sul finale lo rende identitario e riconoscibile. Questo vino è NARRATIVO.

    TENUTA LA PAZZAGLIA “POGGIO TRIALE” Grechetto IGP 2018

    L’Azienda, ben nota agli appassionati del Grechetto, è della Famiglia Verdecchia che dal 1990 ne è proprietaria. Tradizioni di famiglia e rispetto per il territorio sono i mantra aziendali che conducono ad un unico obiettivo: fare vino di elevata qualità partendo dalla cura dei vigneti fino alla raccolta di uve sane e perfette.

    Il Grechetto, ad oggi, è il fiore all’occhiello della loro produzione, in degustazione noi abbiamo il loro G5 in purezza . Uve raccolte a mano nelle ore fresche della mattina, selezione e pressatura immediata del grappolo con fermentazione a temperatura controllata. Lavorazione sulle fecce fini per 6 mesi, vinificazione in acciaio e affinamento in bottiglia di 9/12mesi. Lo troviamo attualmente in commercio con qualche anno di ritardo per scelta aziendale.

    Al calice notiamo subito un giallo paglierino con sfumature dorate e nuance di verde. All’olfatto ha una vividezza e un impatto notevole che ci lascia immaginare quello che troveremo da ora in poi. Si apre con sentori di frutta generosa, lime, frutta tropicale e note floreale di gelsomino. Una nota leggera sulfurea è il valore aggiunto di questo vino. Man mano che si apre, ci avvolgono note balsamiche, note di miele, anice e fiore di sambuco.

    Al palato abbiamo un impatto molto diretto, verticale, secco e salato. Si apre molto sul finale con una bella struttura ed un buon equilibrio. La sapidità sostiene l’acidità ancora più vestita rispetto agli altri. Una dinamica gustativa complessa con note balsamiche, di mele e di spezie sul finale che lasciano il segno facendotelo sicuramente ricordare.

    Giuseppe Mottura e Laura Verdecchia
    Giuseppe Mottura e Laura Verdecchia

    SERGIO MOTTURA “LATOUR A CIVITELLA” Grechetto di Civitella d’Agliano IGT 2020

    A presentarci questa azienda troviamo il figlio di Sergio Mottura, Giuseppe con il quale apriamo il dibattito:
    “Dei sette Grechetto in degustazione, questo non è di Castiglione in Teverina ma di Civitella D’Agliano. La differenza la fa il terroir, perché i nostri vigneti sono piantati in un’area, principalmente alluvionale, circoscritta tra i due Comuni, Civitella D’Agliano e Castiglione in Teverina, data dal Tevere che 300.000 anni fa, dopo una grande alluvione lasciò sul terreno una grossa quantità di ghiaia e sabbia; quindi la tessitura diretta del terreno è completamente diversa da quella di Orvieto che è prettamente vulcanica “.

    Della nascita e della storia della Famiglia Mottura ve ne abbiamo già parlato nell’articolo del 2 settembre dedicato interamente alla “Tana dell’Istrice” e al lavoro sul loro Grechetto.In questo calice di Latour a Civitella del 2020 troviamo un mondo. Questa bottiglia rappresenta un grechetto di estrema potenza e di grande raffinatezza. La caratteristica principale per capire fino in fondo un Grechetto, è quella di percepire la tannicità, come un vino rosso. Qui la sua potenza e la sua identità sono molto forti.

    Al naso note interessanti di agrumi freschi, scorza di arancio, mandarino e lime si avvolgono in un mix sensazionale con sentori di ginestra, fiori gialli, erbette e macchia mediterranea. Nonostante l’affinamento in barrique non si percepiscono sentori forti di legno; questo ci fa capire che viene utilizzato bene ed a supporto nel processo produttivo. Al palato è molto elegante, fine e sottile.

    La sua sensazione, gradevolmente lineare, si percepisce lenta in bocca; non è un vino diretto, che sparisce, ma costante. Sul finale abbiamo note di una leggerissima parte terziaria ma che essenzialmente vira sulla frutta, sulla croccantezza, sulla freschezza e sulla parte citrica. È presente una leggera scia sapida ma con un tenore alcolico composto.
    Un vino che EMOZIONA.

     

    bottiglie degustate
    Bottiglie degustate

    Alla fine di questa degustazione, con un solenne applauso ci guardiamo e ci rendiamo conto che il nostro amato Lazio ha tanto ancora da dare, da dimostrare e tante emozioni da farci provare.
    Una panoramica finale coinvolgente di sensazioni, aromi e sentori che ci fa comprendere innanzitutto la diversità dei vari terroir esistenti, del lavoro di affinamento e delle diverse filosofie aziendali. Nonostante ciò, i produttori sono rimasti uniti da una passione comune e costante, quella per un grande ed eclettico vitigno: IL GRECHETTO.

     

    Relatore Carlotta Salvini, Miglior Sommelier Fisar d’Italia 2019
    Relatore Carlotta Salvini, Miglior Sommelier Fisar d’Italia 2019

    Amiamo chiudere, come sempre, con una frase stavolta “farina del nostro sacco”.
    “Per creare tutto ciò ci vuole caparbietà, costanza, solidarietà, tenacia nel lavoro e un pizzico di fantasia.Perché diciamocelo gli Artigiani sono sempre gli artisti più veri.”

    Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/