DALL’IRPINIA, LE RISERVE DI FONZONE PER RENDERE SPECIALI I MENU’ DELLE FESTE 2022
Redazione
Dicembre 2022 – Menù di carne o di pesce? Ogni regione, ogni città, ogni famiglia ha le sue tradizioni per festeggiare a tavola il Natale. Guai a non rispettarle. Qualunque siano le vostre pietanze del cuore, quello che conta è valorizzarle abbinando il vino giusto.
Dall’Irpinia, terra di grandi vitigni come l’Aglianico, il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo, l’azienda Fonzone Caccese propone le sue Riserve, il top della produzione:
Scorzagalline Taurasi DOCG Riserva 2015, 100% Aglianico proveniente dalla sezione più alta del vigneto della Tenuta di Paternopoli (AV), Sequoia Fiano d’Avellino DOCG Riserva 2020, 100% Fiano ottenuto da una selezione di uve provenienti da Parolise, una delle zone più vocate dell’Areale, e Oikois Greco di Tufo DOCG Riserva 2020, 100% Greco proveniente da una vigna di Greco Antico di oltre 40 anni composta da un clone rarissimo, caratterizzato da un acino più piccolo e dunque da un succo molto più concentrato.
Un vino rosso e due bianchi di grande carattere, complessità e armonia, ideali per valorizzare qualsiasi portata, di terra o di mare, e per brindare alle feste.
Oikos Greco di Tufo DOCG Riserva
Oikos è un Greco di Tufo in purezza che sin da subito esprime le sue caratteristiche evolutive di immediata piacevolezza. Al naso rivela profumi di grande intensità e complessità: note iodate leggere, sentori di mela gialla matura e una speziatura leggermente dolce con lievi accenni di noce moscata. Al retropalato emerge il fiore di lavanda. L’acidità importante, non secca, si amalgama col vino creando un equilibrio unico. Ideale con primi e secondi di pesce, coquillages, cruditè, crostacei, ma anche formaggi di media stagionatura.
Sequoia Fiano di Avellino DOCG Riserva
Sequoia è un Fiano di Avellino in purezza con un corpo ben strutturato e una grande sapidità che lo rende verticale. Riflessi verde intenso, al naso si presenta con un bouquet raffinato e complesso: note di gelsomino, nocciola non tostata, mandorla pelata, buccia di mandarino e una nota dolce che richiama la vaniglia insieme a sentori di frutta tropicale fresca. La spiccata acidità, oltre a rendere il vino piacevole sin da subito, gli consente di avere un’evoluzione importante nel tempo. Si sposa bene con piatti a base di pesce, cruditè, crostacei, frutti di mare, ma anche formaggi di media stagionatura.
Scorzagalline Taurasi DOCG Riserva
Scorzagalline è un 100% Aglianico di grande struttura e di coinvolgente complessità aromatica, destinato a raccontarsi nel tempo. Rosso rubino brillante, al naso si presenta di grande finezza, con intense note di frutta a bacca nera e fiori secchi, alle quali si accompagnano sentori terziari quali tabacco, cuoio, liquirizia e sandalo. Al palato si presenta avvolgente, intenso e persistente, di elegante struttura. Si sposa bene con primi piatti strutturati, carni arrosto e selvaggina.
Fonzone Caccese: una storia di famiglia
Fondata nel 2005, l’azienda agricola Fonzone Caccese si trova nelle campagne di Paternopoli, uno dei diciassette comuni della DOCG Taurasi, in provincia di Avellino, nel cuore dell’Irpinia. Su un colle situato nella sottozona “Campi Taurasini”, sorge una cantina moderna di 2000 mq circondata da vigneti la cui altitudine varia dai 360 ai 430 m/slm.
Fonzone produce in tutto 8 etichette con un approccio sostenibile, valorizzando al massimo le varietà autoctone Aglianico, Falanghina, Fiano d’Avellino e Greco di Tufo e puntando su vini sartoriali, piuttosto che sui grandi numeri. A supportare questa grande famiglia che ha fatto del vino la sua passione, l’enologo consulente di riconosciuta fama Luca D’Attoma.
Castello di Spessa vi augura un felice Natale con una ricetta per le feste
Redazione
Fettucce al pomodoro, cime di rapa e tartare di scampi abbinate ad Amadeus Brut 2017, una sinfonia di sapori.
Il Friuli è una regione sospesa tra terra e mare, e la sua cucina segue perfettamente questa unione di sapori e materie prime.
Castello di Spessa, azienda vinicola e residenza storica a Capriva del Friuli nel Collio Goriziano, è da sempre attenta a valorizzare le eccellenze della regione, sia con una produzione viticola di alta qualità, sia con l’offerta di ospitalità nel wine resort, tra cui spicca la La Tavernetta al Castello, ristorante gourmet che propone una cucina centrata sugli ingredienti del territorio, attraverso tecnica e sperimentazione.
In vista delle feste natalizie proponiamo una ricetta dello chef de La tavernetta Antonino Venica: Fettucce al pomodoro cime di rapa e tartara di scampi.
Per questa ricetta proponiamo l’abbinamento curato dalla sommelier del ristorante, Franca Stiffan, con Amadeus Brut 2017.
Questo metodo classico ottenuto da Chardonnay con una piccola percentuale di Pinot Nero, dopo la prima fermentazione, in parte in acciaio e parte in barrique di rovere francese per enfatizzarne la complessità, sosta sui lieviti per oltre 40 mesi, acquisendo un perlage di grande finezza.
Con la sua pienezza gustativa, sostenuta da un gradevole nerbo acido, è in grado di esaltare la tartare di scampi senza sovrastare gli altri elementi del piatto, basato su elementi vegetali.
Fettucce al pomodoro, cime di rapa e tartara di scampi
Per la crema alle cime di rapa, sbollentate le cime di rapa e lasciatele una notte in marinatura con olio, acciuga e aglio cotto delicatamente a lungo. Passate la polpa con l’estrattore.
Fate la pasta all’uovo con triplo concentrato di pomodoro.
Lasciate le code di scampi crude e fate una tartare tagliandole al coltello. Con i carapaci create una bisque molto ristretta con l’aggiunta di paprica rossa.
Lessate la pasta con l’aggiunta delle foglie e delle cimette di rapa. Una volta cotta scolatela e mantecate con olio evo e la colatura di alici.
Impiattate con uno specchio di crema di cime di rapa, gocce di bisque, adagiate le fettucce al centro e per ultimo la tartara sopra la pasta.
Parte Vinitaly on tour, il progetto on the road alla scoperta di cantine e territori, un viaggio lungo lo stivale con Volkswagen veicoli commerciali mobility partner 2023
Redazione
Un viaggio lungo lo Stivale a bordo del Multivan eHybrid alla scoperta delle realtà vitivinicole italiane, dalle loro storie ai loro territori. Prende il via Vinitaly on Tour, il progetto “on the road” targato Vinitaly in collaborazione con Volkswagen Veicoli Commerciali – in veste di mobility partner – pensato per raccontare le aziende e i protagonisti del mondo del vino attraverso un itinerario che si concluderà a marzo 2023, alla vigilia della 55ª edizione del Salone internazionale dei vini e dei distillati (Veronafiere, 2-5 aprile 2023).
Tra i temi che saranno affrontati strada facendo – che sono i focus dell’edizione 2023 di Vinitaly – ci sono il vino biologico e biodinamico e le produzioni di nicchia; i vitigni rari, PIWI e resistenti; il vino dealcolato e a bassa gradazione alcolica; la viticoltura eroica e la produzione sostenibile fino agli anniversari e ai progetti speciali delle cantine coinvolte nell’iniziativa.
I contenuti realizzati – video, interviste, post – saranno pubblicati sui canali social ufficiali di Vinitaly e disponibili su Vinitaly Plus.
Ecco i primi appuntamenti in programma: si parte sulle quattro ruote del van ibrido della casa automobilistica tedesca brandizzato Vinitaly da Monte Zovo, l’azienda di Caprino Veronese (VR) – quasi un secolo di storia alle spalle -, con la vendemmia tardiva atta a valorizzare l’identità del terroir. Si resta nel veronese con la visita a Zýmē (San Pietro in Cariano – VR), realtà che ha affiancato alla cura e al rispetto dei vini storici della Valpolicella la sperimentazione di nuove produzioni che rappresentano e rinnovano il territorio.
Dal Veneto si passa al Friuli-Venezia Giulia con Vivai Rauscedo, l’azienda che ha saputo trasformare una terra povera nel primo distretto al mondo per produzione di barbatelle, con oltre 80 milioni di esemplari innestati l’anno. Sarà la volta poi di Ca’ Rugate (Montecchia di Crosara – VR), che dalla vendemmia 2020 riporta sulle proprie etichette la certificazione biologica della Comunità Europea. Il tour proseguirà nel 2023 con nuove date e regioni.
Ancora una volta Volkswagen Veicoli Commerciali è a fianco del mondo vitivinicolo e questa volta lo fa con il nuovo Multivan eHybrid. Il van che coniuga l’ingegnoso utilizzo dello spazio e soluzioni di dettaglio intelligenti con l’iconico e accattivante DNA di design del Bulli.
Il nuovo Multivan è largo 1.941mm, lungo 4.973 e alto fino a 1.907. La capacità del vano di carico varia dai 469 litri dietro la terza fila di sedili fino ad arrivare a 3.672. Il veicolo ideale per chi cerca spazio, comfort e tecnologia. Un esempio è il tavolino multifunzionale che può essere utilizzato come consolle centrale tra i sedili del conducente e del passeggero oppure come tavolo ribaltabile completo di porta bevande e vani portaoggetti nella seconda e terza fila di sedili. E ancora il sistema shift-by-wire, che consente la trasmissione elettronica del segnale di cambio marcia.
Con un clic. Il sistema shift-by-wire offre un comfort di cambio marcia molto elevato.
Il Nuovo Multivan eHybrid diventa un veicolo a zero emissioni per la città capace di affrontare le sfide quotidiane anche con la sola energia elettrica e, allo stesso tempo, il motore 1.4 TSI da 160 kW padroneggia tranquillamente le lunghe percorrenze. Il partner ideale per Vinitaly on Tour 2023.
Curlan Chardonnay Riserva, il nuovo “solista” di Cantina Girlan
Redazione
Il culto e la passione per il terroir trovano un nuovo interprete nel primo vino bianco che entra a far parte della linea “Solisti”, il fiore all’occhiello di Cantina Girlan. Da due specifiche parcelle nasce uno Chardonnay di grande personalità e longevità.
Due piccole e selezionate parcelle all’interno di una storica sottozona, tanti anni di studio, ricerca e innumerevoli microvinificazioni, il desiderio di produrre un grande bianco che possa sfidare il tempo e restituire nel bicchiere il territorio di provenienza. Erano gli obiettivi che sin dall’inizio hanno guidato Cantina Girlan nella creazione di un nuovo vino bianco, il primo che entra a far parte della linea “Solisti”, fiore all’occhiello dell’azienda ed esclusivamente riservata a quelle etichette che possiedono un’identità unica e un potenziale di grande longevità.
“Siamo davvero soddisfatti del risultato che siamo riusciti a ottenere dopo anni di studio e accurate analisi” spiega Oscar Lorandi, presidente di Cantina Girlan. “La sfida che ci eravamo dati era quella di realizzare uno Chardonnay dotato di grande carattere e al tempo stesso capace di sfidare il tempo senza alcun timore. Per far questo avevamo bisogno di trovare dei vigneti con caratteristiche precise, in grado di ‘firmare’ il vino in modo chiaro, aspetto fondamentale soprattutto quando ci si confronta con un vitigno come lo Chardonnay, dotato di grande personalità”.
Le uve del Curlan Chardonnay Riserva 2019 Südtirol-Alto Adige Doc, sono state selezionate da due precise parcelle, “Gschleier” e “Schreckbichl”, situate all’interno della sottozona “Girlan”, tra i 450 e i 500 metri di altitudine.
Si tratta di un solo ettaro complessivo di vigneto, di età compresa tra i 20 e i 25 anni, con esposizioni sia a est che a ovest, allevati su terreni leggeri ben areati, ricchi di ghiaia, formati da depositi morenici su roccia porfirica vulcanica. “La microzona di Girlan ha da sempre le condizioni climatiche ideali per la coltivazione della vite e dello Chardonnay in particolare” specifica ancora il presidente. “Qui troviamo terreni aridi, un’ottima ventilazione e sbalzi termici perfetti per ottenere aromi di grande intensità e finezza”.
La vendemmia, che avviene rigorosamente a mano all’interno di piccoli contenitori, inizia durante la prima decade di ottobre. Dopo la pressatura dei grappoli interi, il mosto viene chiarificato dalle fecce attraverso una sedimentazione naturale. Sia la fermentazione alcolica che quella malolattica, nonché la successiva maturazione sui lieviti, si svolgono per 12 mesi in barrique, di cui 1/3 in legni nuovi e 2/3 usati. Il vino sosta ancora per 8 mesi in tini d’acciaio, sempre sui lieviti, e infine per un ulteriore anno in bottiglia prima della commercializzazione.
“È uno chardonnay di struttura ed equilibrio, che ha bisogno della giusta ossigenazione e di una temperatura di servizio corretta, non troppo fredda, intorno ai 10-12 gradi, per dare il meglio di sé” spiega Gerhard Kofler, enologo di Cantina Girlan.
“Il colore giallo dorato molto vivo e lucente nel bicchiere, le note sia agrumate che di frutta matura che ricordano la pesca, ma al tempo stesso le sfumature decisamente minerali, donano una fotografia molto elegante e ricca, quasi stratificata, di questo Chardonnay.
Al palato ha avvolgenza e sapidità, ma soprattutto struttura e una grandissima tensione acida che gli consentirà di continuare a evolvere per molto tempo”.
Il Curlan Chardonnay Riserva 2019 è prodotto in sole 1980 bottiglie, esclusivamente commercializzato nel canale horeca e nel dettaglio specializzato.
È il quinto vino che entra a far parte della linea “Solisti” insieme a Gschleier Alte Reben Vernatsch, Trattmann Pinot Noir Riserva, Curlan Pinot Noir Riserva e Vigna Ganger Pinot Noir Riserva.
Da Comunicato Stampa
Collegamenti da sito cantina:
Girlan
Non lontano da Bolzano, in un contesto di morbidi pendii coltivati a vite, baciati dal sole e ancora immersi nella quiete sul Monte di Mezzo fra San Michele e la piana dell’Adige, ad un’altitudine compresa fra i 450 e i 550 metri slm, si estende a Cornaiano la maggior parte dei nostri vigneti.Ghiaiosa e argillosa, la terra qui è arida.
I vigneti, ben ventilati e che, a seconda dell’inclinazione del pendio, sono esposti a temperature più o meno calde, forniscono condizioni ideali per produrre una grande varietà di uve. Queste caratteristiche uniche ci consentono di produrre vini incomparabili, dal carattere individuale e marcato. Vini che conquistano soprattutto per la loro freschezza minerale, la struttura chiara e decisa e la grande autenticità.
Le 130 aziende selezionate,simbolo della vernice di Vinitaly, il 1° Aprile 2023
8 novembre 2022: nella cornice di Veronafiere, all’interno dell’appuntamento annuale di Wine2Wine, i vertici della fiera e Wine Spectator rivelano i nomi delle 130 aziende selezionate all’interno dell’ambìta selezione di Operawine, destinate a varare ogni nuova edizione di Vinitaly, anno dopo anno.
Il meglio del Made in Italy enologico che dialoga con il mercato estero, in particolare con quello americano, in tutte le sue sfumature: vini rossi, bianchi, rosati e bollicine iconiche. È dunque un vero e proprio Italian Wine Dream quello che fa del vino italiano un’incontrastata passione per gli americani.
La Toscana detiene il primato numerico con la partecipazione di 35 cantine, seguita dalle 19 del Piemonte, poi il Veneto rappresentato da 19 aziende, 10 cantine dalla Sicilia e 8 quelle Campane.
Ecco i numeri relativi alle macroaree, per comprendere la portata del prestigioso tasting: 57 imprese dal nord, 44 dal Centro e 29 dal Sud.
I 10 nuovi ingressi rispetto alla selezione del 2022 confermano quanto Wine Spectator sia in grado di influenzare le scelte di Lifestyle enoico dei consumatori nei mercati di riferimento. Gli Stati Uniti rappresentano storicamente lo sbocco principale in materia di export di vino italiano, con circa 2,3 miliardi di euro a valore registrati nel 2021, il che significa quasi 1/3 delle esportazioni statunitensi.
La forza del dollaro ha fatto sì che la domanda americana soffrisse in misura minore rispetto ad altri surplus dei costi dovuti all’inflazione: secondo l’Osservatorio Uiv/Vinitaly – le importazioni di bollicine italiane sono ancora in terreno positivo (+6% in volume e +8 in valore) mentre è in calo la domanda dei vini fermi tricolore (-7,2% in volume e -1,3% in valore).
Restate sintonizzati, o forse sarebbe meglio dire stay tuned, per scoprire quali saranno i vini interpreti dell’eccellenza, presenti il 1° aprile a Verona.
L’ELENCO COMPLETO DEI PRODUTTORI DI OPERAWINE 2023
Le aziende selezionate da Wine Spectator per l’edizione di quest’anno sono 130 (come nel 2022, contro i 186 del 2021, edizione speciale per il decimo anniversario, 103 del 2019 e 107 del 2018).
Abruzzo Masciarelli
Basilicata d’Angelo
Basilicata Elena Fucci
Basilicata Grifalco della Lucania
Calabria Librandi
Campania Mastroberardino
Campania Feudi di San Gregorio
Campania Quintodecimo
Campania Montevetrano
Campania San Salvatore
Campania Colli di Lapio
Campania Terredora di Paolo
Campania Salvatore Molettieri
Emilia-Romagna Tenuta Pederzana
Friuli/Venezia-Giulia Vie di Romans
Friuli/Venezia-Giulia Marco Felluga
Friuli/Venezia-Giulia Bastianich
Friuli/Venezia-Giulia Livio Felluga
Friuli/Venezia-Giulia Gravner
Friuli/Venezia-Giulia Jermann
Lazio Famiglia Cotarella
Liguria Cantine Lunae Bosoni
Lombardia Guido Berlucchi
Lombardia Ca’ del Bosco
Lombardia Conte Vistarino
Lombardia Nino Negri
Lombardia Bellavista
Lombardia Arpepe
Lombardia Rainoldi
Marche Umani Ronchi
Marche Garofoli
Marche Bisci
Molise Catabbo
Piemonte Produttori del Barbaresco
Piemonte Pio Cesare
Piemonte Cavallotto
Piemonte Giacomo Borgogno & Figli
Piemonte Vietti
Piemonte Paolo Scavino
Piemonte Aldo Conterno
Piemonte Marchesi di Barolo
Piemonte Massolino
Piemonte Elvio Cogno
Piemonte G.B. Burlotto
Piemonte G.D. Vajra
Piemonte Oddero
Piemonte Pecchenino
Piemonte Renato Ratti
Piemonte Giuseppe Mascarello & Figlio
Piemonte Falletto di Bruno Giacosa
Piemonte Luciano Sandrone
Piemonte Roagna
Puglia Tormaresca (Antinori)
Puglia Masseria Li Veli
Puglia Leone de Castris
Sardegna Agricola Punica
Sardegna Argiolas
Sicilia Cusumano
Sicilia F. Tornatore
Sicilia Planeta
Sicilia Morgante
Sicilia Donnafugata
Sicilia Tasca d’Almerita
Sicilia Feudo Montoni
Sicilia Benanti
Sicilia Tenuta delle Terre Nere
Sicilia Graci
Trentino-Alto Adige Cantina Nals Margreid
Trentino-Alto Adige Elena Walch
Trentino-Alto Adige Cantina Terlano
Trentino-Alto Adige Ferrari
Trentino-Alto Adige Tenuta San Leonardo
Toscana Tenuta San Guido
Toscana Tenuta Sette Ponti (Feudo Maccari)
Toscana Ornellaia
Toscana San Filippo
Toscana Castello Banfi
Toscana Siro Pacenti
Toscana Biondi-Santi
Toscana Casanova di Neri
Toscana Il Poggione
Toscana Poggerino
Toscana Barone Ricasoli
Toscana Rocca delle Macìe
Toscana Istine
Toscana San Felice
Toscana Lamole di Lamole
Toscana San Giusto a Rentennano
Toscana Tenuta di Trinoro (Passopisciaro)
Toscana Vecchie Terre di Montefili
Toscana Le Macchiole
Toscana Mazzei (Castello di Fonterutoli)
Toscana Petrolo
Toscana Altesino
Toscana Canalicchio di Sopra
Toscana Carpineto
Toscana Castello di Monsanto
Toscana Castello di Volpaia
Toscana Marchesi de’ Frescobaldi
Toscana Valdicava
Toscana Boscarelli
Toscana Castellare di Castellina (Rocca di Frassinello & Feudi del Pisciotto)
Toscana Fattoria di Fèlsina
Toscana Fontodi
Toscana Castello di Albola
Toscana Castello di Ama
Toscana Rocca di Montegrossi
Umbria Scacciadiavoli
Umbria Tabarrini
Umbria Arnaldo Caprai
Umbria Lungarotti
Umbria Antinori /Castello della Sala
Valle d’Aosta Les Crêtes
Veneto Romano Dal Forno
Veneto Tommasi (Paternoster)
Veneto Masi
Veneto Tommaso Bussola
Veneto Zenato
Veneto Tedeschi
Veneto Allegrini
Veneto Monte del Frà
Veneto Gini
Veneto Leonildo Pieropan
Veneto Prà
Veneto Roberto Anselmi
Veneto Suavia
Veneto Bertani
Veneto Zymè
Veneto Masottina
Veneto Nino Franco
Ed ecco le 10 le aziende che parteciperanno per la prima volta a OperaWine:
1.Colli di Lapio
2.San Salvatore
3.Conte Vistarino
4.Masottina
5.Giacomo Borgogno & Figli
6.Feudo Montoni
7.Cantina Nals Margreid
8.Lamole di Lamole
9.Vecchie Terre di Montefili
10.Monte del Frà
A EALA la carta vini racconta di territori e artigiani per uno speciale viaggio enogastronomico dal Lago di Garda alle aree vinicole più rinomate.
Redazione
Manuele Menghini, sommelier e responsabile del ristorante SENSO Lake Garda by Alfio Ghezzi narra la carta dei vini del 5 stelle Lusso EALA di Limone sul Garda: fotografia della sua esperienza nel mondo del vino, frutto di una meticolosa ricerca dopo viaggi, incontri e degustazioni, nasce la selezione all’insegna della qualità e del fattore umano che si nasconde dietro ogni etichetta. 700 referenze sono proposte tra la scelta alla carta e abbinamenti ispirati alla cucina di Alfio Ghezzi e Akio Fujita.
Limone sul Garda (BS), 10 novembre 2022 – “Giocare con il gusto, portare l’ospite alla scoperta di territori e raccontare del grande valore umano che si cela dietro un’etichetta proponendo vini Arcaici e Artigianali è la sfida principale che mi accompagna in questa avventura, lo chiamerei: Lusso Contemporaneo”. Per Manuele Menghini, sommelier di EALA e responsabile del ristorante SENSO Lake Garda by Alfio Ghezzi, il suo lavoro è una continua e coinvolgente ricerca.
La carta vini è composta da scelte immancabili, che fanno da base, e una selezione che deriva dal gusto personale, con vini meno noti, prodotti da artigiani. Etichette che propongono agli ospiti di EALA un vero e proprio viaggio fra persone, territori, gusti e da cui nascono abbinamenti spesso insoliti, ma capaci di valorizzare ciascun piatto e creare un legame tra sala, cucina e ospite.
Presenti a vista in una nicchia di design si trovano le 700 etichette che accolgono gli ospiti prima di accedere ai ristoranti SENSO Lake Garda by Alfio Ghezzi e Alfio Ghezzi Bistrot – scelte con cura e dedizione dal sommelier Manuele sin dall’apertura della struttura, nella primavera del 2021. È il punto di inizio di un viaggio che trasporta l’ospite dal Lago di Garda verso l’intera penisola e oltralpe.
Alla base della carta di EALA, una selezione “comfort” che rappresenta i grandi classici, etichette immancabili che conferiscono corpo e struttura alla carta, arricchita poi da una selezione di preferenze personali (circa il 70% dei vini) che Manuele ha consolidato nel tempo, frutto di viaggi, esperienze e scoperte da Nord a Sud d’Italia e non solo.
Piemonte, Sicilia, Borgogna, Loira e Germania le aree vinicole più apprezzate. “Nella scelta dei vini prediligo la storia che si nasconde dietro la loro produzione, l’aspetto umano del produttore, il rispetto per l’ambiente e per l’identità del luogo in cui il vino nasce. Amo le piccole realtà che hanno molto da raccontare, culle di profumi e gusti autentici, dove prendono vita prodotti meno noti, ma di grande valore”.
Questa la filosofia che si ritrova nella proposta enologica di EALA, concepita per soddisfare il gusto di ciascun ospite, ma anche sorprendere i più appassionati ed esperti.
La carta è suddivisa secondo aree geografiche, ognuna delle quali introdotta da una cartina con le zone vinicole disegnate a mano che aiuta l’ospite nell’orientamento e nella conoscenza. Inoltre, si identificano attraverso la figura del Cigno, simbolo di EALA, vini Arcaici e più esclusivi secondo la scelta del sommelier.
Ispirato alla cucina di Alfio Ghezzi e Akio Fujita, Manuele Menghini gioca con quasi 700 etichette per condurre l’ospite attraverso un esclusivo viaggio enologico. Al Ristorante Alfio Ghezzi Bistrot propone una selezione di vini al calice e alla carta, mentre al fine dining SENSO Lake Garda propone due diverse degustazioni: Remus, dal celtico “primitivo”, alla riscoperta delle origini, e Ambios, dal celtico “viaggio”, un itinerario fra i grandi terroir.
Due percorsi che identificano un tema, ma non precisamente i vini: è compito di Manuele guidare l’ospite, di volta in volta, a seconda del momento e dei piatti, proponendo abbinamenti che stuzzicano curiosità e discussione.
“Gli spunti di abbinamento partono dal piatto: gioco con acidità, dolcezza, sapidità, basandomi sulla contrapposizione tra i gusti. In sintonia con la filosofia di cucina espressa da Alfio Ghezzi a EALA, cerco di valorizzare al massimo l’ingrediente e il territorio da cui nasce un piatto esaltandone il sapore; così facendo, dalle materie prime della tradizione locale del territorio lacustre e montano, possono nascere abbinamenti con vini dalle origini lontane…”
Champagne Brut ‘Grande Année’ Magnum Bollinger 2007
Di Carol Agostini
Avete presente quando vedete passare una donna di 50 anni con un profumo intenso, di grande eleganza, curata nei minimi dettagli, oppure quando guardate un quadro di Lorraine Dell Wood che raffigura donne con il cappello, quel misterioso vedo e non vedo che racchiude eleganza ed immaginazione, oppure quando guardate una sfilata di Victoria’s Secret in cui il binomio musica e abiti stupendi indossati da modelle straordinarie sono di pura e folle eleganza???
Ecco cosa rappresenta per me la “raffinatezza” e la posso attribuire anche a questa Magum di Bollinger 2007.
Vitigni
Cépages: Pinot Nero 60%, Chardonnay 40% , 60 mesi sui lieviti, grande emblema di finezza, struttura ed intensità.
In questa bottiglia sono racchiuse le uve di un’annata di eccezionale qualità, che rappresentano il territorio, il clima e tutte le caratteristiche dei vitigni assemblati sorso dopo sorso.
Difficile descrivere questo champagne in poche righe, visto la qualità e persistenza.
Organoletticità
Un gioco di sentori ed aromi conquistano tutti noi che lo abbiamo bevuto in una serata di estrema curiosità e golosità.
Pesca, frutta esotica come papaia, mango, ananas, inebriano i nostri sensi olfattivi, man mano un crescere di profumi, mandorla, pane, caffè, pepe bianco, noccioline, vaniglia si alternano creando armoniose sfumature.
Avvolgente ingresso, fresco, equilibrato, con bolla fine, spazia dalla frutta esotica a note di tostatura, successivamente aromi speziati, note di pietra, fiori gialli; la successione non è gradualmente esatta, c’è un andamento degustativo oscillatorio con picchi organolettici e quando meno te lo aspetti ecco giungere gli agrumi in una suadente sensazione di cremosità, tra alternarsi di freschezza e sapidità.
Nel villaggio di Aÿ, patria dello Champagne Bollinger, fondata nel 1829, si possono incontrare alcuni membri del team di vinificazione che fanno rotolare le botti sui ciottoli. Entrando nella casa di Madame Bollinger o nei vicoli delle cantine, passato e presente si fondono in un contesto armonioso e avvolgente.
Si respira costantemente profumi di vino, mosto, di legno e di essenze che ricordano sentori di frutta, di uva.
Una storia di unione, di passione per il mondo vino tra Athanase Louis Emmanuel conte di Villermont, che scelse di unirsi in società con il tedesco Joseph Bollinger e con l’appassionato di vino Paul Ranaudin.
Anno dopo anno, dopo essere riuscito a imporre con successo le bollicine nei mercati inglese e statunitense, fu proprio Joseph Bollinger a divenire l’uomo-simbolo della Maison.
Riconosciuta per la grande qualità e vivacità dei suoi vini, la cantina, grazie alla posizione privilegiata dei vigneti di proprietà e alla rigida etica produttiva, sottoscritta e sancita da principi messi su carta, è affermata e stimata a livello internazionale.
Ay è un paesino tranquillo circondato da dolci colline coltivate a vite.
In questo luogo incantanto trovate le Maison più conosciute e famose della Champagne: Veuve-Clicquot, Bollinger e Moët et Chandon, oltre ad altri piccoli produttori.
Alcune di queste Maison offrono dei tour, c’è inoltre, Cité du Champagne Collet-Cogevi è un museo con centro degustazioni e tour delle cantine. Al centro del paesino, le caratteristiche strade lastricate conducono ai bistrot e alla chiesa in stile gotico di Saint-Brice d’Ay.
Curiosità
Il mosto proveniente dalla prima spremitura viene usato per la produzione degli Champagne, mentre tutto quello ottenuto con la seconda pigiatura è venduto ad altre cantine. Attualmente, la maison può contare su un’estensione vitata che arriva a coprire oltre 160 ettari, la maggior parte dei quali si trovano suddivisi tra la montagna di Reims e il territorio di Ay.
Classificazioni
Classificati tra Grand Cru e Premier Cru, tutti gli Champagne maturano dai tre agli otto anni, superando i tempi di richiesta di vinificazione dei disciplinari, sviluppando la vastità di sentori, aromi nel massimo equilibrio e persistenza.
Abbinamento serale
Questo champagne è stato abbinato a ostriche di varia tipologia, le Bèlon caratterizzate da carni bianche, cresciute tra acqua salata di mare e dolce della foce di fiumi, le De claire sono affinate in bacini di acqua dolce poco profondi e argillosi.
Oltre alle ostriche è stato abbinato a prodotti caseari di varia stagionatura partendo da 48 mesi, fino all’abbinamento con dello Stilton.
Il blue stilton è un formaggio erborinato vaccino, da latte intero e pastorizzato, tipico inglese che prende il nome dall’omonimo villaggio in cui, nel XVIII secolo, fu prodotto per la prima volta.
Invece il White Stilton è un formaggio dalla consistenza friabile, con una tendenza dolce spiccata, spesso usato come base per dolci, inoltre, si possono aggiungere ingredienti freschi o conservati tipo: uva, vari tipi di agrumi, albicocca e zenzero, mirtilli e fichi secchi.
Conclusione
Uno champagne che racconta la raffinatezza produttiva di una Maison attenta, capace di sedurre e conquistare ad ogni bolla.
Assenzio, la Fata Verde rivelato tra Leggende Metropolitane e Decadentismo 2022
Di Gaetano Cataldo
Prendete un calice, versatevi del senso di disfacimento e di contrasto sociale, un po’ di smarrimento della coscienza unito alla crisi dei valori di fine ‘800 e aggiungete un sano disgusto per quella stessa borghesia, conformista e perbenista, che prima aveva combattuto per il trionfo degli ideali nel 1789 e che, dopo essere divenuta depositaria dell’economia per i propri interessi, aveva voltato le spalle alle masse popolari.
Adesso mescolate il tutto col disprezzo per l’imperialismo, che spacciava la sete di espansione per civilizzazione, metteteci una buona dose di insostenibile leggerezza dell’essere, di voglia di evadere la realtà e aggiungete un pizzico di sfiducia per positivismo e scienza: otterrete un’epoca di dilagante cinismo, di vittimismo, malinconia e autodistruzione… insomma otterrete proprio quello che ci vuole per ingenerare quella caratteristica ventata di follia fantasmagorica tanto cara a quel simpatico gruppetto di libertine, intellettuali e stravaganti canaglie: i poeti maledetti.
Per meglio descrivere il simbolismo e il decadentismo in Francia, cosa che in fondo faremo fare ad altri e che costituiscono semplicemente un pretesto, occorre però citare un altro ingrediente almeno, qualcosa di ascrivibile ad una formidabile sorsata di veleno… si, veleno tanto era amaro, o di alcolico tocco intuitivo, se preferite, una sorta di elisir dell’ispirazione, un cazzutissimo passepartout per aprire le porte della percezione insomma: l’assenzio.
L’Assenzio…
Ehi, che v’aspettavate il latte + come in Arancia Meccanica, magari con The Doors che suonano un motivetto dal vivo in qualche caffè letterario verso la fine del XVIII secolo?
Spiacente, per quanto il quadretto sia carino in effetti, ma il latte era roba da ricchi all’epoca e non veniva certo in mente di macchiarlo manco col caffè, inoltre Stanley Kubrik, Jim Morrison & company, che ve lo dico a fare, non erano ancora apparsi sulla Terra, però con la Fata Verde, come venne soprannominato l’assenzio, un viaggetto ci veniva niente male… o almeno è quello che si va raccontando.
Alla Fata Verde infatti vennero attribuite le caratteristiche psicotrope tipiche delle droghe attuali, tanto da indurre i consumatori a credere che si potesse assurgere alla conoscenza e all’ispirazione attraverso il mondo onirico, la trance e le allucinazioni con qualche bevuta.
Piace crederlo, ma non è così: ce ne volevano massicce dosi, magari condite con qualche goccia di laudano… si la tintura madre di oppio, avete presente?
Fatto sta che l’assenzio, d’altronde come altre bevande e cibi del tempo, veniva contraffatto da sporchi affaristi con sostanze adulteranti e nocive quali alcol metilico, cloruro di antimonio, calamo aromatico, tanaceto comune, rame, solfato di zinco, indaco, con lo scopo di ottenere che qualche brodaglia di superalcolico assumesse il tipico colore verde.
Senza ombra di dubbio l’uso sconsiderato di assenzio procurava effetti collaterali che vennero già ben documentati verso la prima metà del XIX secolo… convulsioni, ipotensione da vasodilatazione, diminuzione del ritmo cardiaco e difficoltà respiratorie e ne nacque una sindrome, l’absintismo, caratterizzata da iniziale benessere, successive allucinazioni e profondi stati depressivi, al giorno d’oggi la chiameremmo fase down. Émile Zola comunque ne descrisse le gravi intossicazioni nel suo romanzo L’ammazzatoio, pubblicato nel 1877.
Hai voglia tu a puntare il dito contro il tujone… e a trovarcelo magari in quegli intrugli!
Purtroppo in quella robetta da due soldi, fatta per dissetare il bestiame della povertà, il terpene contenuto nell’assenzio latitava, ed erano principalmente i veleni impiegati dai contraffattori la prima causa di effetti gravissimi sulla salute.
Bisogna anche considerare però, e questo grazie agli studi del chimico e biologo americano Ted Breaux, che durante il decadentismo i migliori assenzi raramente contenevano più di 20-30 mg di tujone per litro, la media si aggirava intorno ai 10 mg… pensate che le attuali normative CEE prevedono e ammettono la vendita di “absinthe” fino a un limite legale di 35 mg di tujone per litro che, per risultare nocivo dovrebbe essere elevato a 50 gr a litrozzo. Per dovere di cronaca andrebbe pure aggiunto che il tujone è molto simile per tossicità ad anetolo e fenitolo per tossicità, quindi che dovremmo fare? Bandire piante come prezzemolo, salvia divinorum e non, alloro e rosmarino?
Il punto però è semplice: per quanto l’assenzio sia fatto a regola d’arte e come Dio comanda, proprio per permettere la stabilizzazione della clorofilla in esso contenuta, bisognava arrivare ad una gradazione alcolica compresa il 45 ed il 75%, mica birra con la gazzosa, e come si sa l’alcol è tossico quindi ad un certo punto con l’assenzio, fosse pure quello fatto dai monaci cistercensi della certosa di Vattelapesca, a furia di alzare il gomito qualche mostro ce lo devi vedere per forza. O no?
La febbre da assenzio era decisamente alta e per dimostrarne la crescente se non forsennata sete, basta riportare le statistiche dell’epoca: dal 1880 al 1910 la produzione di Fata Verde era passata da 700 mila a 36 milioni di litri!
Una definizione dell’absinthe attribuita ad Oscar Wilde diceva più o meno questo:
“Dopo il primo bicchiere, vedi le cose come desideri.
Dopo il secondo, vedi le cose come non lo sono.
Infine, vedi le cose come sono realmente,
che è la cosa più orribile al mondo”
Però piaceva l’assenzio, altro che no, ma il suo declino, a parte le cause di natura sociale e le cervella che si sfragolavano a padri e madri di famiglia che ne ingurgitavano massicce dosi, n’ecatombe nazional popolare in pratica, lo si deve attribuire più che altro ad una campagna di vera e propria demonizzazione da parte dei commercianti di vino e di altri superalcolici, per tutelare chiaramente i loro interessi, e che ebbe come esito la proibizione al consumo nel 1915.
La messa al bando dell’assenzio fu pedagogica ed infame allo stesso tempo: ma ce lo vedete voi un povero cristo, vittima di absintismo e squattrinato, a raggiungere quelle fiere vette alcolemiche a furia di bere rossi borgognoni a caso, tipo Grand Echézeaux?
La proibizione in Francia
Indipendentemente dalla denominazione e dalla provenienza qualsiasi altro vino, rispetto all’assenzio, costava decisamente caro. La proibizione in Francia però fu facilitata anche grazie al divieto di bere assenzio imposto dal governo svizzero dieci anni prima a seguito di un fatto di cronaca nera: Jean Lanfray, un contadino di 31 anni, bevve a stomaco vuoto tanto di quel vino, cognac, brandy, crème de menthe e giusto un paio di bicchierini di assenzio, che uscì letteralmente fuori di testa, tornò a casa ed uccise la moglie e le due figlie per poi suicidarsi.
Vabbè che l’assenzio sarà stata la fatidica ciliegina sulla torta ma Jean il disidratato s’era già bevuto l’ira di Dio intanto e senza possibilità di smaltita. E poi dicono che la Svizzera è neutrale!
Ma chi inventò l’assenzio e com’è fatto?
La bevanda antesignana dell’assenzio risale al 1600 a C. ed era diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo ed in Asia Minore, veniva preparata esclusivamente per infusione con artemisia ed anice verde. La macerazione avveniva in acqua perché la si potesse disinfettare, renderla più sicura ed aromatica, ma ciò poteva avvenire anche con il vino, ottenendo in entrambi i casi degli ottimi digestivi. L’infuso era molto apprezzato dai greci ed infatti assenzio deriva dalla loro lingua: apsinthion, ossia privo di dolcezza.
Ufficialmente fu inventato dal medico francese Pierre Ordinaire, che riparò in Svizzera nel 1792 per sfuggire alla Rivoluzione Francese, precisamente nella cittadina di Couvet, piccola frazione del comune di Val-de-Travers del Canton Neuchâtel.
Il dottor Ordinaire, come d’altronde i medici di campagna a quel tempo, utilizzava le erbe officinali per preparare medicamenti e rimedi naturali e, nella zona dove si trasferì, trovò anche l’artemisia absinthium di cui ben conosceva le proprietà tramandate dagli antichi e fu così che cominciò a preparare un forte distillato a partire dalla macerazione delle erbe di circa 60°, contenente non solo l’assenzio maggiore ma anche piante come anice, issopo, dittamo, acoro e melissa… Il liquore divenne prese subito fama di toccasana in quell’area e fu a Couvet che prese il soprannome di Fée Verte.
Fée Verte
Prima di passare a miglior vita il dottor Ordinaire affidò la ricetta segreta ad Henriette e Suzanne-Marguerite Henriod, non si capisce bene però se fossero sorelle oppure madre e figlia, mentre altre versioni vorrebbero invece che fu la signorina Grandpierre, governante del dottore, a consegnare loro il procedimento. Infine, alcuni sostengono che le Henriod avessero già la ricetta ben prima dell’arrivo del medico francese in Svizzera e questo perché amari e liquori a base di assenzio erano preparati comuni nelle valli montane dell’Europa Centrale:
il Wermut ad esempio, nome tedesco dell’artemisia maggiore, era un liquore piuttosto antico e si beveva mescolandolo al vino.
Al di là di quella che potrebbe essere la versione più accreditata che le signore Henriod cedettero nel 1797 la ricetta dell’assenzio al maggiore Daniel Henri Dubied è ormai storia, il resto lo fece la figlia di questo maggiore svizzero che decise di andare in sposa ad un certo Henry Louis Pernod.
Da queste nozze venne fuori al maggiore Dubied l’idea di costituire assieme al figlio Marcelin e suo genero una società che dà vita alla prima fabbrica di assenzio al mondo nel 1798: la Dubied Père et Fils. È proprio quest’anno che avviene un cambio paradigmatico nella concezione dell’assenzio, che passerà da medicinale e digestivo ad aperitivo.
Visto il grande potenziale del verde liquore e dopo la rottura col genero ed il cognato avvenuta nel 1805, Henry Louis Pernod si persuade a portare l’assenzio in Francia ed aprire una produzione tutta sua a Pontarlier, chiamandola Pernod Fils, diversamente dagli omonimi che nel 1860 fonderanno ad Avignone la Pernod Père et Fils e che 24 anni dopo si lanceranno anch’essi nella produzione dell’absinthe.
Da qui agli asti ed alle battaglie legali sarà un nonnulla ma nel 1928 le due famiglie si metteranno d’accordo, dando vita ad una delle più potenti corporate nel settore degli alcolici al mondo: il gruppo Pernod-Richard.
Artemisia Absinthium
L’assenzio quindi è prodotto dalla macerazione dei fiori e delle foglie di artemisia absinthium, pianta erbacea della famiglia delle asteracee diffusa in tutt’Europa, semi di anice verde e di finocchio che, una volta distillato, viene trattato con delle erbe in infusione quali melissa, issopo, artemisia pontica, menta, genepì, coriandolo, veronica, badiana ed altre appunto, a seconda della ricetta e per la volontà di conferire ulteriori aromi, la tipica freschezza dell’anice e il colore caratteristico, variabile dal giallo chiaro a tutte le tonalità del verde a seconda delle scelte del produttore.
Pertanto il distillato, giova ripeterlo, si ottiene per distillazione dell’intera pianta, previa macerazione della stessa in alcool alla quale si possono aggiungere, oltre alle già succitate essenze, persino camomilla, radici di angelica, scorze d’agrume, noce moscata, vaniglia e resina di mirra.
Un mondo poliedrico quello dell’assenzio, ricchissimo di sfumature aromatiche e di interessantissime variabili, mutevoli a seconda dell’estro, della filosofia e dello scopo di chi lo produce nel voler realizzare un assenzio di gran pregio e che possa lasciare il segno.
Nel tempo, come già detto, se ne sono diffuse di opinioni tanto errate quanto diffuse sull’assenzio, non di meno sulla maniera di berlo! Il rituale classico vuole si beva in un bicchiere a bolla sul cui bordo si appoggia il classico cucchiaio forato con una zolletta di zucchero disciolta direttamente con acqua ghiacciata, mentre la versione della zolletta flambata è stata erroneamente diffusa dalla filmografia e dalla consuetudine nata in Repubblica Ceca per creare l’effetto wow tra i turisti, propinando loro un surrogato e fomentando associazioni errate con l’eroina.
Uso passato dell’assenzio
L’uso di allungare l’assenzio con l’acqua fu introdotto dalla milizia francese in rientro dall’Algeria verso il 1830, la quale contribuì molto a diffonderne fama e consumo… l’assenzio veniva impiegato come disinfettante, aiutava a prevenire problemi di malaria e dissenteria, possedeva inoltre, ieri come oggi, proprietà toniche per l’organismo: è infatti colagogo, ossia favorisce lo svuotamento della bile dalla cistifellea, è emmenagogo, cioè stimolante della mestruazione o comunque dell’afflusso di sangue in area pelvica, ed è notoriamente febbrifugo.
Nelle opere di Charles Baudelaire, precursore del simbolismo, e nelle poesie di Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Villiers de L’Isle-Adam, Tristan Corbière e Stéphane Mallarmè, rivivono le pagine di un’esistenza segnata dall’assenzio, dalla miseria, dagli scandali e dall’eccesso, ma pur sempre un’esistenza riscattata dalla poesia, poesia creata per suscitare impressioni intense ed emozioni fino ad allora sconosciute.
Grazie al simbolismo decadentista e a quei folli pindarici slanci tesi a voler superare i limiti imposti dalla coscienza attraverso un “lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi”, come direbbe il “poeta veggente”, vennero sperimentate, con folgorazioni ed intuizioni, figure retoriche come l’analogia, la metafora e la sinestesia… la metrica tradizionale dovette cedere il passo al verso libero e all’alchimia del verbo.
Ma il prezzo da pagare, per una vita votata ad atteggiamenti eccentrici, ai “paradisi artificiali” e a morbosi compiacimenti, fu quell’irrazionalità che ha nulla di romantico e che altro non è che la frustrazione per l’incapacità di impegnarsi nella società, superando l’emarginazione e la non comunicazione; un’irrazionalità questa che costringe lo scrittore-poeta decadentista a piegarsi in se stesso anziché farsi portavoce della crisi popolare, ricercando nell’individualismo e nell’oblio l’alibi dell’ignoto piuttosto che ricercare gli stimoli a trovare il coraggio di vivere e lottare per migliorare il proprio presente.
Poco poetico ma follemente attuale!
Oltre ai versi dei poètes maudits anche la pittura di artisti del calibro di Édouard Manet, Vincent Van Gogh e Pablo Picasso, ha contribuito ad immortalare l’assenzio ed i luoghi di culto dove si consumava il rito della “heure verte”: il Cafè de Cluny, il Cafè Guerbois, iI Cafè Riche, il Cafè de Bade, Le Lapin Agile ed il Nouvelle Athènes, locale reso ancor più celebre grazie a “Dans un cafè”, quadro del pittore Edgar Degas del 1876… pennellate di storie di vita vissuta tra bistrot e caffè letterari dal tramonto di periodo di fermento e tormento all’inizio della Belle époque.
Colori e zone produttive
A voler distinguere gli assenzi è molto importante considerare aspetti come il colore, il tenore alcolico e la zona di produzione. Per quel che attiene al colore infatti un tempo si distinguevano l’assenzio blanche, ossia non colorato per ulteriore infusione di erbe dopo la distillazione, verte, cioè quelli che dopo essere stati distillati vedono un’aggiunta di erbe perché rilascino i pigmenti, hanno un profilo aromatico ricco di elementi botanici, la pienezza e la complessità gusto olfattiva.
Infine abbiamo gli absinthe la bleue: nati dopo la messa al bando della Fata Verde in Svizzera, per uso domestico o per contrabbando, venivano distillati in maniera decisamente molto casalinga per mezzo di alambicchi a fiamma diretta… per quanto non posseggano la raffinata eleganza dei blanche, coi quali hanno in comune solo la trasparenza, oggi se ne apprezza l’artigianalità ed il gusto ruvido e l’impiego di erbe officinali autoctone.
Rispetto all’alcol l’absinthe si distingue in ordinario, quando la gradazione è compresa tra i 40 ed i 50°, semi fine, se tra i 50 ed i 55°, fine quando arriviamo tra i 55 ed i 60° e poi l’assenzio di qualità superiore alcolicità compresa tra i 60 ed i 72°, ricordando però che questo distillato può raggiungere anche i 75°.
Naturalmente tra le prime aree produttive va citata la Svizzera, paese che per primo si è battuto contro la contraffazione della Fata Verde, mettendo sotto tutela il distillato col disciplinare IGP Val-de-Traverse Absinthe nel 2012, disciplinare che arriva finalmente anche per la Francia il 19 agosto del 2019 grazie a François Guy, tra i principali produttori di Pontarlier.
Bevuto anche in Spagna che, come Portogallo e Regno Unito, non lo ha mai bandito, per quanto ne abbia visto il declino attorno agli anni ’40, oggi se ne producono validissime versioni in terra catalana con una ripresa al consumo già a partire dal 2007.
In Italia l’assenzio non ha mai conosciuto una diffusione tale come in Svizzera o in Francia e malgrado ciò venne ugualmente bandito ma con ritardo:
nel 1939 furono i fascisti a proibirlo più per imporre rigore che per un reale allarme sociali… ma ve li immaginate certi bellimbusti brindare al loro duce con un bel bicchiere di vermouth, perfettamente legale per quanto ne contenesse eccome di artemisia absinthium, ed il barman che se ne stava dietro al bancone a sbellicarsi dalle matte risate?
Oggi in Italia ci sono diverse realtà industriali ed artigianali e, non a caso, la Distilleria Pascale è tra le aziende storiche d’Italia e la più vecchia in Campania, nascendo ad Ottaviano nel 1810 come opificio medicale rinomato per la produzione di liquori ed amari artigianali di pregio.
In realtà le peculiarità dell’assenzio vanno scorte nell’origine delle materie prime e nella maestria e nell’esperienza delle diverse distillerie sparse per l’Europa: per avvicinare gli estimatori ed i curiosi nel 2007 è stata creata la Route de l’Absinthe, che parte da Fontaine Froide du Creux-du-Van e termina a Pontarlier, sfiorando diversi opifici dove s’è fatta la storia della Fata Verde.
Come si fa a riconoscere un Assenzio di qualità?
Intanto non lasciandosi fregare dall’aspetto: un colore verde brillante, manco fosse una spremuta di smeraldi e malachite, spesso è frutto di colorazione artificiale mentre, come si è già detto, le sfumature dell’absinthe sono fatte anche di tonalità più pacate che vanno dal giallo al verde non troppo acceso fino all’azurro, dal marroncino al rosso, come nel caso unico di Un Emile Rouge, o addirittura se ne possono vedere neri, i quali prevedono aggiunta di frutti selvatici a bacca nera, e di quelli trasparenti cui si è già fatto cenno.
Fattore determinante per l’esame visivo dell’assenzio è lo sviluppo della louche, ossia quella nebulosa lattiginosa che si propaga lentamente dal fondo del bicchiere fino a pervadere tutto il contenuto e che si ottiene aspergendo poche gocce di acqua alla volta… il rapporto, se decidete di annacquarlo dovrebbe essere di tre parti di assenzio ed una di acqua, ma cinque ad uno sarebbe meglio, anche perché berlo liscio costituisce la vera esperienza di assaggio, se poi siete in vena di battezzarlo affari vostri.
Organoletticità e sensorialità
All’esame olfattivo l’assenzio deve possedere una buona intensità e complessità, senza che la nota alcolica arricci il naso e senza che il sentore dell’anice verde, men che meno quello stellato, sia prevaricante, lasciando debitamente spazio all’erbaceo dell’artemisia maggiore e di altre essenze, insomma un bouquet tutt’altro che monocorde… in alcune tipologie si avverte chiaramente la nota di elicriso, fieno essiccato e grano saraceno.
All’esame gusto-olfattivo l’impatto tattile deve conferire percezioni suadenti, cremose e quindi la densità gioca un ruolo determinante nella degustazione, inoltre un assenzio di qualità non deve essere eccessivamente amaro e non deve risultare alcolico, poiché ciò potrebbe essere un segnale della presenza di code, piuttosto che integralmente dal cuore del processo di distillazione.
Infine il sapore deve poter conferire riconoscimenti che vanno dall’erbaceo alla frutta essiccata, dal floreale a quelli tipici del cognac o del brandy, fino ad un certo tipo di speziato, purché il tutto sia in equilibrio e con una persistenza aromatica intensa di buona durata.
Ai prodi che si sono indefessamente avventurati nella lettura giungendo fino a qui debbo suggerire di farsela un poco di introspezione, perché un qualche problema ci dev’essere visto che l’assenzio non si spiega ma si beve. O no?
Conclusioni
Intanto è bene ricordare che oltre ai vari vermouth, l’assenzio in quanto a varietà botanica, è presente nel Benedectine, nello Chartreuse e nel Genepì, oltre che in moltissimi altri amari, inoltre il distillato è parte fondamentale della preparazione del famoso Sazerac, il primo cocktail ad essere miscelato negli States in quel di New Orleans, inventato dal farmacista Antoine Amédée Peychaud, padre dei bitter aromatici, nel 1830.
Stando ai francesi l’assenzio andrebbe bevuto come aperitvo, precisamente à boire avec modération, accompagnato da crostini con acciuga marinata, magari pigramente e senza dover per forza di cose eseguire la liturgia del rituale, bensì avercelo bell’e versato direttamente dall’apposita fontana.
Potreste anche immaginare di abbinarci dei biscotti all’anice o del cioccolato fondente aromatizzato all’artemisia absinthium mentre ascoltate L’importanza di essere Oscar Wilde dei Marlene Kuntz oppure The Spy dei Doors… la prima se siete costretti ad ubriacarvi per passare il tempo tra gli idioti, come direbbe Ernest Hemingway, e la seconda se state affianco alla vostra musa.
Poi se siete proprio fissati col latte + aggiungetevi il Mansinthe di Marilyn Manson ma non fate i “tujoni” e bevete consapevolmente.