Beviamoci Sud a Roma dal 6 maggio 2023 quinta edizione
Redazione
Carol Agostini
Riserva Grande, in collaborazione con Andrea Petrini di Percorsi di Vino e con il giornalista Luciano Pignataro, anche quest’anno realizzerà la manifestazione Beviamoci Sud Roma, giunta alla sua quinta edizione, dedicata esclusivamente ai grandi vini del Sud Italia, con una rappresentanza anche di vini del Lazio, quale regione che ospita l’evento.
Per questa nuova edizione, l’evento si svolgerà presso il Grand Hotel Palatino di Roma il 6, 7 e 8 maggio 2023.
Beviamoci Sud a Roma dal 6 maggio 2023 quinta edizione, locandina da comunicato stampa
Beviamoci Sud quest’anno presenterà un programma arricchito con nuove idee e novità, finalizzate ad ottenere una valorizzazione ancora maggiore della grande qualità enoica, storica e culturale del Sud d’Italia vitivinicolo.
Luciano Pignataro e Chiara Giannotti, foto da comunicato stampa, Beviamoci Sud
Data la rilevanza e importanza di tali novità, l’organizzazione ha deciso di indire una conferenza stampa a cui siamo lieti di poterLa invitare, che si terrà mercoledì 26 aprile, alle ore 18.00, presso il locale Astemio Wine&Food, in via Cavour, 93, Roma.
Momenti dell’edizione passata, Beviamoci Sud a Roma dal 6 maggio 2023 quinta edizione
A conclusione della conferenza, ai partecipanti verrà offerto un brindisi con vini che saranno anche presenti in degustazione nella manifestazione.
Si prega di comunicare, entro e non oltre il 20 p.v., conferma della propria presenza (in risposta al presente indirizzo mail), con l’avvertenza che i posti presso il locale sono limitati e che verrà, pertanto, assicurata la partecipazione ad esaurimento degli stessi.
Beviamoci Sud a Roma dal 6 maggio 2023 quinta edizione, foto da comunicato stampa
Antica Tenuta Palombo, memorie e tradizioni vinicole ad Atina: Radici profonde in una terra nobile
Di Cristina Santini
L’universalità della bellezza risiede in un luogo e nel suo trascorso che non può e non deve essere dimenticato e a volte l’unico punto di partenza è riprendere il filo da dove lo si è interrotto. Questa è la storia di Antica Tenuta Palombo di Atina, in provincia di Frosinone, Città dalle origini antichissime, patria di facoltose famiglie patrizie.
Antica Tenuta Palombo di Atina, foto di Cristina Santini
Con un press tour organizzato dai ragazzi di Vinario4, in collaborazione con l’Azienda ospitante e gli Enologi, Pierpaolo Pirone e Roberto Mazzer, di At Wine Consulenze Enologiche, abbiamo avuto prova di tanta bellezza osservando da vicino la Valle di Comino, circondata dall’Appennino abruzzese, fatta di paesaggi meravigliosi e molto generosa di una vegetazione differente dalle altre zone pedemontane del Lazio.
Piena di ruscelli, sorgenti, boschi è conservatrice di una lunghissima tradizione vitivinicola, esistente già in età romana, che ebbe inizio dalla coltivazione dei vitigni provenienti dal Medoc francese, impiantati più di 160 anni fa, fino ad arrivare ai nostri giorni alla riscoperta di rarità enologiche locali.
Il Press Tour all’Antica Tenuta Palombo 2023, foto di Cristina Santini
Nel 1860 la zona ricadeva nel Regno delle due Sicilie e un tale Pasquale Visocchi, allora Ministro dell’Agricoltura del Regno di Napoli nonché nobile di zona, fu inviato per conto del Regno in missione in Francia. Appassionato di viticoltura, notando delle similitudini con il terreno di Atina, portò con sé varietà, come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah, Sauvignon Blanc, Sémillon per creare campi sperimentali in questo angolo di natura.
Giunti poi all’Unità d’Italia, la zona rimase rurale, esclusa dagli investimenti per lungo tempo fino al secondo dopoguerra, diventando terra di emigranti e rimanendo isolata e sconosciuta.
Anche dopo la morte del Visocchi, il tempo cancellò la memoria e le piante di Cabernet e Merlot furono confuse l’una con l’altra.
Si dovrà attendere gli anni ‘80 per vedere la ripresa territoriale e la produzione di vini di qualità con Giovanni Palombo, Fondatore dell’Antica Tenuta Palombo.
La Valle di Comino, articolo: Antica Tenuta Palombo 2023, foto di Cristina Santini
L’areale è circondato dalle montagne che lo proteggono dai venti freddi del Nord. Circa 200 milioni di anni fa, l’Appennino era una barriera corallina che si trovava nell’attuale Mar Rosso; oggi troviamo un territorio, originato dal fondo del mare molto friabile, con tre fiumi principali che lo attraversano (il Liri, il Fibreno e il Melfa). Tutti questi corsi d’acqua in milioni di anni hanno eroso tutta la parte centrale dell’Appennino portando all’attuale conformazione caratterizzata da colline di marne calcaree che vanno dai 400 mt ai 700 mt di altitudine.
Questi rappresentano i terreni più nobili per la coltivazione della vite che regalano vini di grande profumo, di grande eleganza e acidità, con colori poco compatti, molto vivi, mai concentrati sull’estratto e sulla struttura.
Il suolo è abbastanza uniforme, cambia un pò la dotazione di scheletro con aree più ricche o più povere a seconda di quanto sono distanti dagli originari corsi d’acqua.
E’ una zona con una buona piovosità, anche durante il periodo estivo, con un clima continentale e precipitazioni nevose che creano disponibilità idrica per tutto l’anno e grandi escursioni termiche che vanno dai 30 gradi di giorno ai 20 nel pomeriggio.
Questo permette di spostare la maturità di tutte le uve di circa un mese più avanti rispetto a tutta la zona, avendo da una parte una grossa freschezza e dall’altra morbidezza, espressioni peculiari del territorio. L’escursione termica non regala sensazioni di grande corposità al palato ma vini comunque molto eleganti e ancora sconosciuti al grande pubblico.
I vigneti intorno alla Antica Tenuta Palombo, foto dell’autrice
Tutto inizia nel 1980 quando Giovanni Palombo, in principio per gioco poi per una vera e propria attività, inizia a produrre vino, in particolar modo il Cabernet di Atina. Ottenendo da subito i primi riconoscimenti continua nella sua espansione, aumentando la produzione. Credeva molto in questo progetto e nel 1999 spinse per la realizzazione della Denominazione Atina Dop Cabernet, per il riconoscimento di questa zona considerata di elite per la viticoltura e successivamente per la costituzione del Consorzio di Tutela Atina Dop.
Sala di degustazione Antica Tenuta Palombo, foto di Cristina Santini
Oggi il Consorzio consta di 17 aziende e ogni produttore ha una piccolissima produzione che copre soprattutto il consumo interno con qualche esportazione al di fuori del territorio. E’ una vera e propria nicchia enologica di grande qualità.
Nel 2000 viene costruita l’attuale struttura, realizzata da Roberto Mazzer, Architetto ed Enologo della Tenuta, inizialmente con fini di produzione, recuperando i vecchi vigneti e impiantandone di nuovi. Poi nel 2016 subentrata la nuova proprietà a supporto della quarta generazione del fondatore con Giacomo Palombo e suo fratello che sono ancora parte attiva nell’Azienda e portano avanti il lavoro del nonno. Un ulteriore salto di qualità è dato anche dalla nuova struttura ricettiva e ristorativa che mette a disposizione degli ospiti una cucina gourmet del territorio e sale per le degustazioni e gli aperitivi.
Oggi insieme ai vitigni internazionali si porta avanti la coltivazione degli autoctoni come Maturano, Capolongo, Lecinaro, Ottonese, impianti sperimentali già messi a dimora da Giovanni Palombo nel 1996, accuratamente selezionati per le microvinificazioni.
Attorno al corpo aziendale e nei vigneti sono state collocate anche delle splendide opere d’arte, realizzate dall’artista Mario Velocci, che si intrecciano perfettamente con questo meraviglioso paesaggio montano; una collezione permanente di sculture di arte contemporanea che compongono “La Collina Sonora”, un bellissimo connubio tra arte e vino.
La Collina Sonora, Antica Tenuta Palombo, foto dell’autrice
Passeggiando tra i vigneti, Pierpaolo Pirone, l’altro Enologo, ci racconta:
“Al momento l’Azienda dispone di 10 ettari: durante il periodo di fermo parte dei terreni sono stati dati in affitto e ogni anno che terminano i contratti tornano in proprietà. Il corpo principale dei vigneti si estende intorno alla struttura, verso le montagne c’è un anfiteatro dove sono piantati i vigneti storici di Cabernet e Merlot e proseguendo c’è un’altra terrazza con il Sauvignon dove le lavorazioni vengono fatte a mano per le pendenze accentuate. Di fronte le sale del ristorante invece si trova il vigneto sperimentale con il Maturano.
Qui nella parte nord est, più adatta per i bianchi, si andranno a piantare gli autoctoni Maturano, Capolongo, ma anche il Lecinaro adatto a comporre la base del nostro metodo classico. Questo è l’obiettivo principale: andare a riequilibrare la produzione che ad oggi è composta per l’80% dal rosso. Il Maturano e il Sauvignon sono produzioni ridotte che nell’ottica dovrebbero crescere nei prossimi anni come anche la parte delle uve impiegate per lo spumante.”
Aperitivo in barricaia, foto di Cristina Santini, Antica Tenuta Palombo 2023
Continua il nostro percorso all’interno della Cantina e giunti alla barricaia dove affinano i rossi, troviamo le pupitre dove riposa il Metodo Classico. Qui ci aspetta un gradito aperitivo di benvenuto con il Metodo Charmat e un piccolo buffet ad accompagnare i nostri calici. Degustiamo con curiosità un extra dry, 13 g/l e permanenza sui lieviti di 4 mesi in autoclave, molto fresco, immediato con una grande acidità. Questo prodotto, ideale per il ristorante e gli aperitivi, nasce per valorizzare quel poco di falanghina esistente.
Le Pupitre, Antica Tenuta Palombo, foto di Cristina Santini
La sala è stata disegnata e progettata per produrre circa 150000 bottiglie, ma già dal prossimo anno, con l’aumento degli ettari tornati in proprietà e il Sauvignon già pronto, la produzione aumenterà del 50% e sarà in continua crescita per gli anni a venire. L’uva viene raccolta a mano e messa in cassette lasciate un’intera notte all’esterno della Cantina. Tutte le fasi vengono seguite da remoto, dai travasi ai tagli, al controllo delle temperature, alla fermentazione, ai rimontaggi, protocolli impostati al minuto per qualsiasi necessità.
Le fermentazioni sono lunghe (35 giorni) lente e continue, come anche le macerazioni, fino ad arrivare ad un mosto con la migliore pulizia olfattiva. L’obiettivo è la costanza.
Si parte con uve portate la mattina in cantina a sette gradi, messe nei serbatoi a fermentazione, innestati i lieviti con temperature che salgono lentamente.
Non lavorando all’istante le uve, si riesce a sfruttare il picco di maturazione che si ha al momento del distacco dalla pianta in risposta allo stress per la mancata alimentazione che si esaurisce nel giro di 24 ore. Al contrario si perderebbe questa maturazione naturale che rilascia altri aromi varietali.
Tutti i rossi sono affinati in barriques, come da tradizione, differenti per tostature e doghe di rovere francese provenienti da varie zone.
Il Cabernet riserva fa sempre legno nuovo per almeno un anno poi dipende dall’annata, e successivamente un anno in bottiglia.
Il Cabernet e il Merlot vengono fatti affinare nelle barrique che hanno più di un anno fino ai tre, a seconda di quanto ancora possono regalare ai vini. Una parte viene mantenuta in acciaio, l’altra parte fa legno di secondo o terzo passaggio. Dopo un anno in genere vengono assemblati e imbottigliati oppure continuano l’affinamento in legno o in acciaio fino ad ottenere un prodotto pronto e mai anticipato nei tempi.
Questa era la filosofia di Giovanni Palomboe lo è ancora tutt’oggi, la stessa che riporta in bottiglia vini in purezza, nonostante il disciplinare permetta un’elasticità del 15%.
Amantata Charmat Extra Dry Antica Tenuta Palombo, foto dell’autrice
Anche il Metodo Charmat nasce dal vigneto sperimentale, la falanghina, mentre una parte dell’aglianico insieme ad altre varietà autoctone a bacca bianca e rossa, che non possono essere vinificate in purezza, vengono impiegate per lo spumante Metodo Classico che verrà sboccato in primavera. In futuro sarà il Lecinaro, altro vitigno autoctono che si adatta meglio alla zona, ad essere la parte portante di questo spumante.
Tra due anni uscirà una nuova referenza, da sempre vino di punta dell’azienda: un taglio bordolese composto per il 50% Merlot e 50% Cabernet. Dal 2018 infatti si è cominciato a metter da parte, in due barrique nuove, una frazione di Merlot destinata alla riserva, e la migliore partita risultante dall’assemblaggio del Cabernet Riserva che viene poi inserita un altro anno in barrique nuove. Quindi l’affinamento dura due anni in legno e tre anni in bottiglia con una produzione limitata a 600 bottiglie. Questo era un prodotto che Giovanni Palombo amava produrre per sé o regalare come omaggio a personaggi illustri.
Terminata la visita, siamo stati ospitati nella bellissima sala del ristorante con vista sui vigneti dove abbiamo degustato i vini accompagnati da un gustoso pranzo a menù tradizionale curato dallo Chef Dino Notarianni che ci ha proposto e illustrato piatti e prodotti locali rivisitati in chiave moderna.
Maturano 2020 e la Vellutata di Cannellini di Atina, mousse al Blu di Picinisco e pancetta croccante, Antica Tenuta Palombo, foto di Cristina Santini
La degustazione parte dal più atteso degli autoctoni, il Maturano 2020, vitigno poco aromatico, soprattutto nel primo anno di vinificazione, non ha un’estrema complessità, matura molto tardi e già di per sé non riesce a mantenere molto l’acidità. Quindi la raccolta delle uve è anticipata proprio per ottenere un vino fresco, piacevole, con note nette ed espressive del suolo marnoso calcareo. Per avere struttura ed equilibrio gustativo si esegue la stabulazione mantenendo il mosto torbido a bassa temperatura per diversi giorni.
Dopo la fermentazione di circa 12 giorni, riposa sulle fecce fini per otto mesi e poi viene imbottigliato.
Le sue note delicate e citriche al naso sono inconfondibili come anche al sorso lo è la sua piacevole acidità, freschezza, apportata da sensazioni salivari tipiche che si presentano né dolci come la sapidità del mare nelle zone costiere, né tendenti all’amaro come nelle zone vulcaniche.
Grazie agli Enologi che hanno esaudito le nostre curiosità, abbiamo avuto il piacere di assaggiare da vasca il nuovo Maturano 2022 che risulta essere un buon vino profumato, intenso e aromatico con evidenti nuance balsamiche. Una partenza straordinaria!
Con il Sauvignon Blanc 2021 viene fatta la criomacerazione delle uve, per una maggior estrazione di aromi primari dalla buccia, per circa 8/10 ore a seconda dell’annata. Dopo una leggera pressatura e la decantazione statica a freddo, affina 10 mesi in acciaio sulle fecce fini e poi riposa in bottiglia. Il naso pulito e fresco mostra la sua parte vegetale dominante coadiuvata dagli inconfondibili sentori di frutto della passione e sambuco. Dal sorso intenso e persistente, emerge la sua acidità pronunciata e un leggero finale balsamico piacevolmente gradevole.
Sauvignon 2021 Antica Tenuta Palombo, foto di Cristina Santini
Per questo Merlot 2018 i suoi acini interi vengono diraspati e caricati direttamente nel serbatoio dove avvengono entrambe le fermentazioni, alcolica e malolattica. Il 30% affina in legno di secondo/terzo passaggio, la restante parte invece in acciaio per poi essere assemblate. Riposa otto mesi in bottiglia prima della sua uscita sul mercato, altrimenti rimane in vasca per un ulteriore affinamento.
Inizialmente atteso qualche minuto per essere capito, all’olfatto si è aperto poi su note di fiori appassiti e frutto rosso pieno e maturo. La sua beva morbida dalle sfumature erbacee lascia una sensazione di asciutto con un fondo amarognolo nella parte superiore del palato. Ci piacerebbe degustarlo prima di questa annata.
Il Cabernet Sauvignon 2018 segue lo stesso percorso di affinamento del Merlot e impressiona per la sua freschezza. Caratterizzato da un naso intenso e concentrato sulle note vegetali, è un vino morbido ed elegante, frutto del suo territorio e al contempo ben strutturato con una bella acidità che lo rende molto godibile.
Cabernet 2018 e Cacio e pepe affumicato con riduzione al Cabernet, Antica Tenuta Palombo, foto dell’autrice
Primo anno per il Duca Cantelmo Cabernet Sauvignon Riserva 2017, una referenza che non veniva prodotta dal 2005 che affina in barrique nuove di media tostatura per 12 mesi. Sono i grappoli migliori selezionati per questo vino che macerano per 65 giorni a serbatoio colmo con frequenti rimontaggi.
Note di marasca matura, erbette che accompagnano il naso in un connubio tra il legno e la frutta scura. Elegante il suo sorso compatto sorretto da tannini prestanti in uno stile raffinato e di grande longevità. Il ragazzo ha carattere da vendere.
La Riserva e lo Stracotto di manzo al Cabernet Palombo con patate morbide affumicate, Antica Tenuta Palombo, foto di Cristina santini
Sboccato per noi in anteprima, il Metodo Classico da Aglianico, Lecinaro, Falanghina, millesimato 2020 è un altro importante nuovo progetto in via di sperimentazione che avrà un dosaggio extra brut e 30 mesi sui lieviti con l’obiettivo di andare avanti per vederne l’evoluzione.
Ottima base di partenza.
Anteprima Metodo Classico Antica Tenuta Palombo, foto dell’autrice
Nella Valle di Comino si respira un’aria pura e frizzante, c’è una squisita fluidità di movimenti, un intenso ardore e tanta voglia di cogliere i frutti della terra camminando con decisione sulle orme del suo Fondatore.
l’evento che abbraccia l’Italia della qualità che esalta il territorio mettendo al centro la cultura del vino italiano e internazionale attraverso banchi di assaggio e masterclass.
L’evento si terrà nei giorni 4/5/6 marzo nel cuore più antico di Roma, presso le sale del GRAND HOTEL PALATINO sito in via Cavour a 700 metri dlla stazione Termini, tra il Colosseo e piazza Venezia.
Rome Wine Expo 2023, foto da comunicato stampa
Sul sito ufficiale dell’evento è possibile prendere in esame il programma dettagliato delle 3 giornate di evento.
Nei prossimi giorni partiremo con la pubblicità sui canali social e prepareremo come di consueto il comunicato stampa.
Grazie all’esperienza maturata in quasi 20 anni di attività i nostri utenti sono esclusivamente appassionati wine lovers, sommelier e operatori stampa e Horeca.
Visitatori della edizione precedente, Rome Wine Expo, foto da comunicato stampa
Nei giorni 4/5/6 marzo ROME WINE EXPO. Sempre nelle sale del Grand Hotel Palatino a Roma, produttori dall’Italia e dal mondo faranno degustare i loro vini attraverso banchi di assaggio e masterclass. Vi daremo informazioni logistiche e modalità di prenotazione nella prossima newsletter.
Di seguito intanto trovate i Corsi di prossima partenza:
-Corso Champagne di 6 lezioni a partire da lunedì 31 gennaio. Lo spumante più celebrato del mondo raccontato da Chiara Pugina attraverso la degustazione di grandi e piccoli champagne.
Corso Champagne di 6 lezioni a partire da lunedì 31 gennaio, foto da comunicato stampa, articolo: Rome Wine Expo 2023
-Corso di Degustazione ABC DEL VINO di 8 lezioni a partire da martedì 28 febbraio. Il corso di degustazione per muovere i primi passi nel mondo del vino. Il best seller di Riserva Grande, un corso completo per mettere le prime basi della degustazione del vino.
Corso di Degustazione ABC DEL VINO di 8 lezioni a partire da martedì 28 febbraio, foto da comunicato stampa articolo: Rome Wine Expo 2023
-Corso di Avvicinamento al vino di 4 lezioni a partire da lunedì 13 marzo. Un tuffo nei sensi! Appena 4 lezioni per apprendere le nozioni basiche della degustazione del vino. Un corso sempre richiestissimo che spalanca le porte del magico mondo del vino.
Corso di Avvicinamento al vino di 4 lezioni a partire da lunedì 13 marzo, foto da comunicato stampa, articolo: Rome Wine Expo 2023
-Corso sui grandi vini del Trentino Alto Adige di 6 lezioni a partire da giovedì 16 marzo. I grandi vini del nord famosi in tutto il mondo per la loro altissima qualità e personalità. 6 lezioni per conoscere i territori e i vini più importanti. Le lezioni saranno tenute da Marco Cum.
Corso sui grandi vini del Trentino Alto Adige di 6 lezioni a partire da giovedì 16 marzo, foto da comunicato stampa, articolo: Rome Wine Expo 2023
Tutti i corsi si terranno a Roma presso il Centro Studi Liberté Voltaire in zona Eur a partire dall ore 20:00. Tutte le info e i programmi dettagliti delle lezioni sul sito www.riservagrande.com.
Ciociaria da Bere 2023, alla scoperta del Basso Lazio e dei suoi vini naturali
Di Cristina Santini
Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
Il 31 gennaio, nello Spazio Fare del Mercato Centrale di Roma è stata presentata, alla stampa e agli operatori di settore, l’Associazione “Ciociaria Naturale”, a cura di Andrea Petrini di Slow Food Roma e con la partecipazione del Presidente Amedeo Iafrati e dei produttori che ne fanno parte.
Al termine della conferenza stampa abbiamo approfondito e degustato ai banchi d’assaggio i vini di queste piccole realtà vitivinicole che rappresentano un sodalizio nato durante il periodo pandemico 2020, oggi costituito da dieci Aziende unite nel promuovere e dare un nuovo slancio al territorio del basso Lazio, nel far emergere il potenziale dei vitigni autoctoni locali e incentivare l’enoturismo.
Ciociaria da Bere 2023, alla scoperta del Basso Lazio e dei suoi vini naturali, foto di Cristina Santini
Dalle parole di Amedeo Iafrati: “Tutto è iniziato dall’incontro di quattro amici (Palazzo Tronconi, D.S. Bio, Fra i Monti e Il Vecchio Poggio) per buttare giù un’idea e fare qualcosa insieme, far struttura, un progetto per creare una grande entità vitivinicola, enologica, enogastronomica. Un’idea spontanea nata per trasformare la Ciociaria in un territorio turistico di grandi aspettative.”
La Ciociaria è un’area che si estende da Nord Ovest a Sud Est seguendo la direzione degli Appennini e comprende la Valle Latina, una depressione valliva, che separa i complessi montuosi.
Territori differenti caratterizzano la regione: nella zona nord-ovest, quella del Piglio, i vigneti si coltivano a 600/700 mt di altitudine su terre rosse di origine vulcanica e arenarie con componenti di argilla – i suoli perfetti per il Cesanese del Piglio e la Passerina del Frusinate. Le terre rosse donano vini molto più scorrevoli e gentili mentre le arenarie argillose vini più tesi, più compatti.
A sud est c’è l’altra zona che comprende Arce, Isola del Liri, Cassino, Pescosolido dove l’altitudine cambia notevolmente da comune a comune e il suolo calcareo dona una mineralità importante in tutti i vini rendendoli unici e diversi l’uno dall’altro con un profilo che identifica il territorio di origine.
Il territorio: “una sorta di mosaico”, foto di Cristina Santini
Una sorta di mosaico – come afferma Andrea Petrini – che va a comporre quest’area meridionale con tutte le sue caratteristiche morfologiche differenti e con i vini che raccontano un territorio al 100%.
È una filosofia di fare vino naturale che non disdegna un filo comune: sono vini senza lieviti aggiunti, con una quantità di solfiti mediamente bassa, senza filtrazioni e chiarificazioni, caratterizzati da una qualità tale da non poter generalizzare quando si parla di difetti sul “naturale”. Seguire le pratiche e produrre vini naturali è sicuramente più complicato rispetto alla classica vinificazione. Per cui “Date a Cesare quel che è di Cesare….”
Vi presento le Aziende degustate e qualche mia impressione sui vini:
Azienda biologica e biodinamica di circa 1,5 ettaro ubicata a Pescosolido in alta collina a 500 mt slm con una produzione di 3500 bottiglie l’anno. I suoli sono composti da sabbia calcarea bianca e più in alto da roccia calcarea dura. Anselmo è un agronomo nella vita e nel 2020 decide di vinificare le proprie uve. I vini sono ottenuti dalla vinificazione in purezza di Passerina, Pampanaro, Campolongo bianco e un blend da Lecinaro nero, Maturano Nero e Uva Giulia.
Pampanaro Igt 2021, vitigno autoctono antico e raro affinato in acciaio, avvolgente al naso in modo intrigante con sentori che ricordano la mela e il litchi, cenni mediterranei fanno da sfondo al profilo olfattivo. Sorso appagante, di buon corpo, mostra una struttura acida importante con un finale ricco, salino e leggermente balsamico.
Pampanaro Igt 2021 di Anselmo Ernesto Cioffi, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
Rocco Toti: “Il vino penso che sia l’elemento liquido più interessante per ricordare; un evento del genere è determinante per ricordare un grandissimo concetto fatto di Vigneron, di Donne, di Uomini che ci credono, si appassionano, hanno un progetto agricolo serio che punta al biologico, al biodinamico, alla ricerca più possibile pulita, a fermentazioni spontanee non filtrate, non chiarificate, un vero esempio di prodotto sano nel bicchiere.”
Situata a Terelle in provincia di Frosinone, l’Azienda nasce nel 2017 con il progetto di recupero di vecchi vigneti allevati su terre rosse limose e argillose, tra i 500 e i 1000 mt di altitudine. In Cantina vengono utilizzati serbatoi di cemento in vetroresina e anfore di terracotta per le lavorazioni del Maturano bianco, un’uva autoctona della Valle di Comino, Pinot nero coltivato a 920 mt di altitudine, Merlot e Cabernet Sauvignon. Produzione annua: 25000 bottiglie.
Sempre in due igt 2021 Maturano bianco proveniente da una piccola parcella con bassissime rese e affinato otto mesi in anfora sulle proprie fecce. È un vino macerato dai bellissimi riflessi aranciati che sorprende all’olfatto per le sue note di frutta fresca di papaya, mela gialla, pesca. La beva di piacevole freschezza denota una certa complessità e una buona spalla acida. Un bel finale con ritorni agrumati e nuance erbacee di sottofondo.
Fra i Monti di Rocco Toti e Benedetto Leone, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
L’Azienda agricola Carlo Noro, situata nel Comune di Piglio, rappresenta il punto di riferimento per la Biodinamica in Italia.
Nasce come produzione di ortaggi alla fine degli anni ’70 ad opera del Papà Carlo fino al 2009 quando, ristrutturata la vecchia casa di famiglia, i fratelli Noro, Simone e Valerio, decidono di creare l’azienda vitivinicola.
Simone Noro afferma: “Uno dei capisaldi del movimento è la libertà di espressione, è un vino libero, dove la fermentazione spontanea è il tassello finale. C’è ben altro prima! Mi riferisco alla professionalità agricola nel gestire i terreni e il contesto. Se migliora il contesto, migliora il mio vino anche a livello imprenditoriale.”
I cinque ettari vitati sono micro appezzamenti parcellizzati coltivati sulle terre rosse di origine pozzolanica ricche di argilla per una produzione totale di 20000 bottiglie l’anno. Di proprietà anche mille piante di olive sul Monte Scalambra e altri 5 ettari attorno al corpo aziendale che un tempo erano coltivati a ortaggi e che oggi invece sono utilizzati a scopo di ricerca sull’agricoltura biodinamica.
Due vini in degustazione: Oncia Bianca Igp 2020 Passerina e Malvasia di Candia e Collefurno IGP 2020 Cesanese di Affile.
Collefurno IGP 2020 Cesanese di Affile, foto di Cristina Santini
Il Cesanese Collefurno fermenta a contatto con le bucce per 18 giorni, matura dieci mesi in tonneaux esausti e affina dodici mesi in bottiglia. L’accostamento al naso rivela un mix di frutta rossa anche più scura molto generosa (Visciola, mora, Ciliegie) che incontra le note di fiori secchi.
Il Sorso è agile e di grande concentrazione, avvolgente e succoso con tannini fitti. Una bella vitalità che chiude in un finale persistente di note speziate e richiami terrosi.
Torniamo verso la parte appenninica, a Pescosolido, con un’Azienda che nasce nel 2012 per seguire le due passioni di Danilo, il vino e i cavalli. Si alleva il Pony di Esperia, una razza in via di estinzione del basso Lazio e si coltivano vitigni autoctoni della media Valle del Liri e della Valle di Comino come Maturano bianco, Lecinaro, Uva Giulia, Maturano nero, Capolongo, Pampanaro.
Dieci appezzamenti parcellizzati e allevati in regime biodinamico in un raggio di sei chilometri con sei suoli completamente diversi. Sei vini per sei etichette frutto di sei morfologie diverse di suolo.
Arcaro Igt2020 è il Maturano bianco coltivato su suolo ricco di scheletro e sedimenti calcarei a 630 mt di altitudine, affinato in cemento sulle fecce fini per qualche mese.
Al naso un dolce richiamo di sensazioni agrumate che si legano a leggere note speziate. Il sorso pieno, scattante di freschezza ha una bella mineralità molto netta. Un vino territoriale armonioso e di buona persistenza gustativa.
Arcaro Igt 2020 di Danilo Scenna, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
Vicino Picinisco, in piena valle del Comino, troviamo l’Azienda agricola dell’Avvocato italo-scozzese Cesidio Di Ciacca nata nel 2012 che coltiva solo Maturano in unico appezzamento di circa 5 ettari a 600 mt slm. È stato un progetto molto ambizioso, legato anche alla sostenibilità, che ha riguardato la riqualificazione del vecchio Borgo rurale Di Ciacca appartenuto alla Famiglia e risalente al XVI secolo. Il Borgo ospita, oltre la Cantina di vinificazione, una Scuola internazionale di agronomia ed enogastronomia, un’enoteca, un albergo con sala di degustazione e ospitalità.
Vigneto spettacolare a filiera biologica dal quale escono tre tipologie di Maturano.
I Ciacca, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
Da Presidente della “Strada del Vino Cesanese” a Vigneron con 3,5 ettari condotti insieme al marito Geminiano nella zona del Piglio.
Radici vinicole antiche quelle della Famiglia Massimi Berucci, ma di recente costituzione l’azienda che nasce nel 2008 ad opera del fratello Francesco.
Nel 2015 Maria incontra Geminiano, uomo dalle numerose esperienze anche all’estero in vari campi, e oltre ad unire le loro vite, uniscono le vigne, le idee progettuali dando vita all’azienda vitivinicola attuale, orientata verso il più naturale dei metodi, l’agro-omeopatia, favorendo la biodiversità e lavorando in funzione del benessere produttivo.
Attualmente producono 15.000 bottiglie l’anno divise in varie tipologie e concentrate soprattutto sul Cesanese del Piglio e Passerina del Frusinate.
Dalle parole di Maria: “Ciociaria Naturale per me è la conferma che questo areale – che è stato sempre un fanalino di coda del Lazio – in realtà va, si lavora con una grande serietà e rispetto per la vite in un contesto paesaggistico che non sempre è tutelato da chi lo governa. Invece chi lo lavora da diversi anni fa un lavoro molto differente e forse grazie a realtà come le nostre, non unite a caso, incentrate sulla professionalità, qualcosa sta cambiando anche nel consumatore che assaggia i nostri vini.”
Maria Ernesta Berucci, la sua produzione, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
Raphaël Cesanese del Piglio Docg 2021 blend di uve Cesanese di Affile e Nostrano provenienti dal vigneto di 1h di 45 anni di età coltivato su terreno di matrice vulcanica misto ad argilla e rocce calcaree. Vinificazione e affinamento in vasche di cemento con travasi di illimpidimento e anfore da 500 lt.
Un concentrato di frutta rossa e speziatura che dal naso si amplifica al palato riscontrando una facilità di beva, una freschezza vivace e una trama setosa. Conquista per il suo sorso lungo e persistente.
Realtà che nasce nel 2005 dalla passione di Piero Macciocca e la moglie Rosa con 1,5 h da subito adottando i principi della biodinamica e con una produzione di partenza di 700 bottiglie all’anno. Oggi ne producono 15000 provenienti da vigneti parcellizzati; ogni appezzamento è un vino diverso, vinificato separatamente. Una Cantina piccola ma con una grande qualità che produce quattro Cru da uve Cesanese di Affile, un vino base misto con uve degli altri appezzamenti e una Passerina rifermentata e in versione macerata.
Due vini in degustazione: Donna Rosa Passerina del Frusinate Igt 2019 e Priore Mozzatta Cesanese del Piglio Docg 2019
Il Cru “Mozzatta” è un Cesanese d’Affile che affina 12 mesi in Tonneaux e 24 mesi in bottiglia. Ha una grande eleganza che domina nel calice con una progressione impressionante ogni volta che si assaggia. La complessità di naso, tra visciola e ciliegia, sentori di sottobosco e note speziate si riscontra anche alla beva trascinata da una buona componente acido-sapida e una finezza di tannini ben integrati. Grande potere evolutivo.
Alcuni vini della produzione, foto di Cristina Santini
Siamo ad Arce, nella Valle del Liri, quasi al confine con la Campania.
Marco non era un vignaiolo e, spinto dalla passione per il suo territorio arcese, da ingegnere abbandona la professione e la vita romana per trasferirsi in campagna e dedicarsi al vino.
Oggi l’Azienda coltiva 33 ettari di cui 14,5 di vigna, 7,5 di uliveti, 1h di noccioleto ed è costituita dalla Cantina, dall’osteria e dal b&b all’interno di Palazzo Tronconi.
Nel 2010 compra i terreni e pianta le prime viti allevate in regime biodinamico.
Laureatosi poi in Enologia nel 2014 e grazie ad alcune conoscenze nel campo vitivinicolo, come il Prof. Gaetano Ciocchi – che è stato il primo a registrare nel 2009 queste rare varietà – punta sulla coltivazione di antichi vitigni come Lecinaro, Olivella, Maturano, Capolongo e Pampanaro, sconosciuti al Catasto Vitivinicolo prima di quell’anno.
“È sempre presente lo studio, la sperimentazione e il giocarsi tutto in campo perché poi quando l’uva arriva in cantina i giochi sono fatti non potendo utilizzare tutti quei stratagemmi che vengono usati nell’enologia moderna.”
Tra i vini in degustazione ho scelto di parlarvi di Zi’tore Lecinaro Igt 2021 che affina 15 mesi in vasche di cemento.
I suoi profumi di prugna e di cannella accolgono cenni di tabacco in foglia per un’armonia impressionante. Ingresso al palato pieno e succoso guidato da tannini morbidi.
Il vino in degustazione di Marco Marrocco, foto di Cristina Santini
L’Azienda, nata nel 2016 ad Esperia, nel Sud del Lazio, all’interno del Parco Naturale dei Monti Aurunci, ha una superficie vitata di 4 ettari di cui 1,5 h costituiscono il vigneto “Aurete” piantato nel 2018, 2 h il vigneto “Via Romana” e mezzo ettaro il vigneto più antico pre-fillossera di fine ‘800, a piede franco, il “Cariano”.
Nel corso dei millenni, l’erosione carsica e la sedimentazione di minerali a valle dovuta alle piogge ha determinato la formazione di suoli rosso scuro ricchi di ferro e magnesio, molto interessanti dal punto di vista geologico e ideali per la viticoltura. Un territorio completamente diverso dagli altri.
I movimenti tettonici frequenti hanno portato alla luce nel 2000 orme di dinosauri nei vigneti. Ecco spiegate le etichette!
Inseriti nel 2021 dall’Arsial nel Registro Nazionale, spiccano la Reale bianca semiaromatica dalla quale viene prodotto un Orange wine e il Raspato Nero, vinificati entrambi in anfora di terracotta con fermentazioni spontanee, riposo in anfora o clayver.
Theron 2020 Aurete, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini
Il Thero 2020 ottenuto da Reale bianca e un piccolo saldo di Trebbiano è un Orange wine dalla lunga macerazione di 45 giorni sulle bucce, svinatura, pressatura e continui bâtonnage durante il suo affinamento in anfora.
Il suo gradevole aroma di margherite e primule accompagna l’intensa nota agrumata e le sue spezie dolci. La beva così palpitante, minerale e fresca si allunga in un finale meraviglioso di frutta esotica.
A Isola del Liri si trova l’Azienda agricola di Amedeo Iafrati e sua moglie Graziella, nata nel 2017 ma legata alla viticoltura dagli anni ’60, con un ettaro di vigna messo a dimora su una collina ben esposta.
Amedeo Iafrati racconta: “L’idea di piantare la vigna mi è venuta quando ero bambino, a sei anni, perché già bevevo vino. C’è sempre stata questa idea. Poi ho piantato un po’ di vigna lì dove avevo due ettari di terreno. Abbiamo fatto la Cantina e la sala degustazione nuove e stiamo cercando di promuovere i nostri vini fatti principalmente da Syrah.”
Dopo varie sperimentazioni, si coltiva Syrah, Lecinaro, Passerina (da poco piantata che uscirà tra qualche anno), Malvasia del Lazio e Riesling da cui viene prodotto il bianco. Per gli affinamenti la scelta è orientata sulle anfore Tava, fuori terra e in ceramica fatte a mano, che riescono ad esaltare, nei vini, il territorio fatto di pietra calcarea argillosa.
In degustazione Puddinga IGP 2019 85% Cabernet Sauvignon e 15% Syrah ottenuto dalla macerazione di 20 giorni sulle bucce e 20 mesi di affinamento in anfora.
Un olfatto ricco di frutti rossi di Cassis e Ribes nero, sbuffi di cacao e liquirizia che vertono sulle note speziate e leggere di tabacco al profilo gustativo. Un vino leggiadro, goloso, di ottimo equilibrio.
Il Vecchio Poggio, foto di Cristina Santini, articolo: Ciociaria da Bere 2023, Basso Lazio di Cristina Santini Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperta vitivinicola
L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Di Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine
“In questi tre giorni proveremo a raccontarvi con il vino, con l’olio e con la birra i nostri terreni, i nostri paesaggi, la nostra storia e la nostra intelligenza. L’intelligenza dei tanti produttori e la loro capacità di lavorare. Vi racconteremo l’anima di questi luoghi”.
Con le parole del Giornalista Enogastronomico Carlo Zucchetti, noi Partners in Wine, abbiamo intrapreso questo grande viaggio immerse nei nostri sensi; una Masterclass alla cieca, alla scoperta di cinque vini differenti, di cinque zone diverse del nostro amato Lazio.
Siamo all’evento “Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale”, organizzato dalla Camera di Commercio di Rieti e Viterbo, nel meraviglioso centro storico. Un incontro “sensoriale” diretto e curato dal grande giornalista con il cappello, come lui ama definirsi.
Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale. Mordi il gusto del Lazio
Il tema affrontato durante la degustazione è complesso e coinvolgente: “Intreccio e trama, il vino racconta il paesaggio”.
Ma qual’è la storia del nostro territorio?
Una storia antica, quella del Vino nel Lazio. Storia di racconti, veri o presunti. Storia di popoli antichi, come gli Etruschi che portarono, per primi, la vite maritata e furono i primi viticoltori esistenti.
Svolsero un ruolo chiave nella diffusione della cultura del vino nel mondo occidentale e nel Lazio.
I primi ad esserne influenzati furono proprio i Romani, grazie al secondo Re di Roma, Numa Pompilio, di origine Etrusca. I Romani approfittarono poi, ovviamente, delle loro tecniche di fermentazione iniziando addirittura ad affinare i vini nelle anfore di terracotta. Le prime testimonianze dirette della produzione di vino in Italia risalgono, infatti, alla metà del VII secolo a. C., con il ritrovamento di ceramiche raffiguranti esempi di vita legate al vino presenti in alcune tombe dell’epoca.
Dall’antichità ad oggi
È attraverso la degustazione di cinque vini di produttori differenti, non tutti presenti perché impegnati all’esposizione nel Palazzo dei Papi, che vogliamo raccontarvi le peculiarità dei loro vini.
Una storia raccontata direttamente dalla terra, attraverso i prodotti che essa, ad oggi, ci dona.
Cinque terreni diversi, due della Tuscia Viterbese, uno situato nella zona delle Bonifiche dell’agro pontino, uno della zona di Atina e uno di Olevano Romano. Per quest’ultimo, abbiamo avuto proprio Giordano Mattei, giovane Produttore con grandi sogni ed obiettivi in mente, che ci ha raccontato il suo territorio.
Viterbo Centro Storico, L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Territori che raccontano il vino
Uno dei territori illustrati è quello del Lago di Bolsena, il lago vulcanico più grande d’Europa, nella parte più alta, ovvero quella di Montefiascone, circa a 600 m.s.l.m. E’ importante sapere che il terreno vulcanico in sintonia con le brezze del Lago, dona dei sentori particolari ai suoi vini. In molti casi vengono appunto chiamati “vini vulcanici o minerali” poiché questo connubio, ci regala in essi, una spiccata sapidità ed una grande mineralità.
Un altro vino proviene invece, dalla parte più antica della Tuscia, quella di Vignanello, nei Colli Cimini, sempre una zona vulcanica. La caratteristica di questi terreni è che sono composti da tufi stratificati che donano vini più “aggressivi”, ovvero con un astringenza ed un’acidità maggiore anche nei bianchi.
Con un altro dei calici in degustazione, ci siamo ritrovate direttamente nella zona dell’Agro Pontino, quindi una zona paludosa ed argillosa contemporaneamente, influenzata direttamente dalle brezze del mare, caratteristica che dona vini con maggiore struttura, maggiore alcolicità e molto più iodati.
Abbiamo poi assaggiato un altro calice proveniente da una zona tutta calcarea, la DOC di Atina, una DOC storica quasi scomparsa che fortunatamente da circa 5 anni molti produttori stanno recuperando riscattandola. E’ una DOC molto particolare in un territorio calcareo- argilloso che dona vini più grassi, più importanti e più alcolici ma con un’estrema finezza.
Per l’ultimo territorio Carlo Zucchetti ha invitato al microfono direttamente il produttore: GIORDANO MATTEI che ci ha raccontato la sua zona: “ E’ una zona che può variare molto, con terreni differenti anche a poca distanza. Possiamo trovare dei terreni rossi come quelli della mia zona ovvero la parte bassa di Olevano Romano oppure terreni prettamente argillosi e calcarei. Lo stesso vitigno può variare tantissimo, dipeso ovviamente, dal tipo di terreno in cui cresce.”
L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Territori alla cieca
“Io ho un approccio olistico con il vino, non mi piace fare la sua divisione, ma vederne un quadro completo. Non soffermiamoci, quindi, nei particolari, ma cerchiamo di sentire l’anima del vino. E’ il bicchiere che deve parlarci “.
Con queste meravigliose parole di Carlo Zucchetti abbiamo dato il via alla degustazione alla cieca, con le bottiglie coperte, partendo dall’analisi olfattiva e ricercando i profumi imprigionati nei calici.
L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Nel nostro primo calice abbiamo trovato un’esplosione di sentori vegetali e sentori di frutta rossa. Prugna e ciliegia matura in armonia con una mora scura, erba falciata e tabacco si sposano con dei leggeri sentori di appassimento di fiori. A primo impatto un vino ancora un po’ chiuso ma con una buona struttura alcolica e una bella acidità.Abbiamo capito subito che poteva essere il fantastico Cabernet di Atina descritto prima da Carlo.
Ma continuiamo!
Nel secondo calice ci siamo immerse in sentori corposi di sottobosco e note erbacee. Leggeri sentori di caffè e tostatura mescolati ad un leggero aroma di smalto e sentori ematici. Guardando nel calice un vino di un bel rosso intenso, tendente al granato, ci siamo rese conto che, forse quel vino aveva qualche anno in più rispetto al primo. Al palato una bella sapidità, un tannino pronunciato e corposo ma nonostante ciò un vino di gran fascino ed eleganza.
Al terzo calice Carlo ci ha comunicato che il vino era quello di Giordano Mattei ma che, per fortuna o sfortuna per noi, non era il loro Cesanese.Avvicinandolo al naso, questo calice è stato per noi una vera sorpresa. Alla mente i sentori inconfondibili del Moscato, vitigno aromatico per eccellenza, un po’ abbandonato purtroppo dalla cultura di massa.
Il nostro unico pensiero è stato “ Quant’è bello il moscato, questo è da ricordare! ”
La sua parte fruttata sposata in maniera sublime e perfetta con i suoi sentori balsamici. Un ottima lunghezza e una sorprendente mineralità fanno da protagoniste.
Giordano Mattei ci ha tenuto a sottolineare che:
“ Ad Olevano Romano era considerato il nostro Moscato Buono “
Infine, siamo giunte ai nostri due ultimi assaggi.
Il quarto calice ci ha rapito per il suo colore giallo intenso con dei riflessi dorati bellissimi. Al naso sentori sorprendenti di frutta matura come la pesca e l’ananas, sentori esotici come il mango e la papaya e aromi estremi di agrumi che dominano la scena. Un vino che per essere riconosciuto, ci ha fatto penare un po’.
Di buona struttura, elegante al palato e pieno di sfumature floreali e speziate. Impegnativo, bisognoso secondo noi, di un abbinamento gastronomico accanto per comprendere tutta la sua bellezza.
Il calice finale è stato di una bella pienezza, un bel brio, persistente e più alcolico.
La parte vegetale che lo ha caratterizzato sposa l’armonica dei sentori di albicocca e pesca. Morbido e cremoso, leggero nella struttura, ma anche lui con una grande mineralità e un finale agrumato.
Degustazione alla cieca, articolo: L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Finita la degustazione tra idee differenti, ragionamenti sui vitigni esistenti, conosciuti e non, sentori di vario tipo abbiamo pian piano scoperto tutti i grandi vitigni che componevano i nostri calici.
A tal proposito vi citiamo le aziende in ordine di degustazione:
Cabernet di Atina D.O.P Atino (Cabernet Sauvignon e Merlot) Tenuta Cervelli Anno 2018
Vignanello Riserva D.O.C Rosso Rulliano ( Sangiovese, Merlot) Viticoltori dei Colli Cimini Anno 2016
Moscato Giallo I.G.T. Lazio Lady ( Moscato) Mattei Giordano Anno 2020
Bellone I.G.T. Lazio Anthium ( Bellone) Casale del Giglio Anno 2021
Rossetto I.G.T. Lazio Luce di Lago (Rossetto) Antica Cantina Leonardi Anno 2021
Le aziende degustate alla cieca durante l’evento: Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Alla fine di questo bellissimo viaggio immerse, con la fantasia, tra i vigneti del Lazio, abbiamo continuato la serata degustando un’altra tipologia di prodotto. LA BIRRA ARTIGIANALE, una Masterclass tenuta da Roberto Muzi.
Docente, degustatore, Sommelier, Bartender e consulente di settore. E’ Consigliere Nazionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food, Editore e giurato di vari concorsi nazionali.
Grande la sua passione per il mondo delle birre, raccontata nel suo libro “Birra Per un avvicinamento felice e consapevole”, introducendoci, in questa serata di degustazione, in un mondo così particolare che si sta evolvendo, ad oggi, in maniera imponente.
Roberto Muzi e il suo libro
“ Confrontarsi e stimolare i nostri sensi è anche un sistema per conoscere noi stessi, ciò che mangiamo e beviamo. Il mondo della birra è un mondo particolarissimo e complicato. L’approccio all’enogastronomia deve essere olistico perché è tutto collegato e difficilmente noi possiamo riuscire a scollegarlo. Il nostro modo di fare spesa incide sul destino del nostro pianeta. Il cibo è salute”. La birra è cibo.
La birra ha quattro ingredienti fondamentali : l’Acqua conta nella birra in peso quasi il 90 % sul livello totale.Il Malto d’orzo o di cereali è il secondo ingrediente principe; sono pochissimi gli stili delle birre che non ne prevedono almeno il 40% .
Il malto è l ‘anima della birra, quello che definisce anche il colore ma smentiamo una leggenda: le birre non si dividono per colori. Il colore è la cosa meno importante.
“Il terzo ingrediente è importante ma non determinante ovvero il Luppolo. Nella birra, infatti, si parla di ricetta. Il messaggio sbagliato che in questi anni è stato trasmesso; è quello che nella birra più ci sono luppoli e più è buona. Questo è totalmente sbagliato”.
Ci sono più di 100 tipologie di luppolo ed ognuna ha degli aromi diversi. L’industria dei birrifici è in continua espansione, ogni giorno inventano una nuova ricetta.
Il quarto e ultimo ingrediente fondamentale è il lievito.
Dalle parole di Roberto: “ Una vita senza lievito non potevamo non averla. La birra, il vino, i formaggi, il cioccolato, il pane, la pizza e tutti i distillati vi fanno capire che il lievito è il miglior amico dell’uomo, perché ci permette di avere tutto questo. Quattro ingredienti che vengono mescolati insieme e creano una media di circa quattrocento stili birrari. Le birre infatti non si dividono in colori ma per STILI. Sono tanti e tutti diversi”.
Un grande maestro per tanti
Viterbo e la Tuscia sono importanti nella storia della birra poiché come ci ha raccontato Roberto, i primi birrifici artigianali comparvero alla fine degli anni 2000; piccole realtà che sono poi cresciute, consolidando la propria reputazione, convincendo il popolo degli appassionati. Un grande produttore davvero importante fu ORAZIO LAUDI del Birrificio Turan.
Quest’ultimo, nel 2008, decise di aprire il suo birrificio, il quale fu fondamentale per molti ragazzi che come lui, volevano intraprendere questa strada. Fu, per tutti loro ,un grande maestro che crebbe insieme alla sua industria di birra artigianale.
Al calice, continuando la degustazione alla cieca, abbiamo trovato due birre differenti ma con colori molto simili.
Nel primo, una birra dalla schiuma con una bella velatura, molto cremosa, fine e presente. Come ci viene spiegato, la schiuma è nostra alleata poiché difende la birra dall’ossidazione. In essa coesistono zuccheri e proteine e versandola facciamo uscire una buona parte di CO2. Ci viene anche spiegato che, nel caso al bicchiere avessimo una schiuma grossolana e poco persistente, risulterebbe esserci un problema.
Abbiamo ammirato fin da subito il suo colore molto chiaro ma dorato, sentori di frutta fresca ed esotica ci hanno inondato il palato. Note intense di pera kaiser e banana matura sono le protagoniste di questa birra. Sentori leggeri di speziatura , chiodo di garofano e zenzero si mescolano alla parte finale agrumata. Ha una tendenza dolce e l’aroma di cereale ci ha riportato alla mente il sentore di fetta biscottata evidenziando una parte proteica molto importante.
Le due birre a confronto
“Dobbiamo metterci in contatto con i nostri sensi e mettere quest’ultimi in contatto con il nostro cervello”.
Con questa frase di Roberto proseguiamo con la seconda birra.
La prima notevole differenza è stata la schiuma. Nettamente di meno, molto più ambrato il colore e un naso più confuso. Sentori di speziatura, mela ossidata, miele d’acacia e una nota mentolata che hanno ammorbidito quel sentore smaltato sentito in precedenza.
Amara all’entrata e nel finale, meno persistente e più corta della precedente. Abbiamo intuito da subito essere due stili birrari completamente differenti.
Francigena Triple e Cimina Weizen, articolo: L’ARTE DELLA DEGUSTAZIONE, Assaggi Salone dell’Enogastronomia Laziale 2022
Al primo calice ci siamo trovate di fronte ad una birra CIMINA WAIZEN “Birra della Tuscia” del produttore Birrificio Itineris di Civita Castellana, una birra di frumento ad alta fermentazione. Delicata e ideale per l’estate per la sua dote rinfrescante e molto piacevole d’inverno per la sua rotondità nel gusto. Il connubio dei sentori di banana ed i lieviti conferiscono un interessante retrogusto acidulo. Alc 5,5 % Vol.
Al secondo calice, dello stesso produttore, una FRANCIGENA TRIPLE. Una birra Belga ad alta fermentazione che viene prodotta in tipico stile trappista e subisce una doppia fermentazione in bottiglia. E’ decisamente morbida e amabile; una birra anche da meditazione poiché ti avvolge con il suo sapore corposo. Alc. 8,5 % Vol.
Due birre entrambe molto gastronomiche. La prima potremmo abbinarla a piatti di pesce molto delicati e freschi come un carpaccio di spada oppure di tonno, invece con la seconda, potremmo accompagnare formaggi stagionati e pasticceria secca.
Ringraziamo infinitamente Carlo Zucchetti e Roberto Muzi per il bellissimo viaggio che ci hanno fatto vivere; immerse in territori, paesaggi e calici differenti che hanno raccontato la loro Storia.
Ilaria Castagna, Cristina Santini Partners in Wine e Carlo Zucchetti
Vi lasciamo con una citazione, presa proprio dal libro di Roberto Muzi; che secondo noi, collega questi due grandi e bellissimi mondi. “ Ora sedetevi, osservate bene la luce, avvicinate al naso e odorate, portate alla bocca e bevete. Ma piano. Sorseggiate. La degustazione esige lentezza, pazienza, la disposizione d’animo di chi vuole apprendere. “
Ilaria Castagna e Cristina Santini
Partners in Wine
Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
Flaminio Rosso 2019 Lazio Rosso IGT Az. Agricola Sanvitis, assaggiato come tutte le nostre recensioni vitivinicole partono dalla degustazione dei vini tramite una scheda tecnica di analisi organolettica creata appositamente da Carol Agostini.
SanVitis, a San Vito Romanao (RM), è un progetto enoico nato dalla passione di tre amici, con lo scopo di valorizzare il Territorio Laziale (ricco di storia secolare e tradizioni), attraverso la vinificazione dei principali vitigni autoctoni, allevati con metodi di viticoltura naturale, quindi con un grande lavoro in vigna.
I vini degustati in Agenzia FoodandWineAngels e dall’autore articolo Piergiorgio Ercoli, sommerlier ed esperto vitivinicolo
Da uve?
Il Flaminio Rosso è un blend di cesanense (60%), petit verdot (20%) e cabernet sauvignon (20%).
L’utilizzo dei vitigni internazionali, in questo caso, ha lo scopo di ammansire la natura prorompente del cesanese, donando rotondità.
Le uve raccolte manualmente vengono selezionate ed avviate alla fermentazione in acciaio: macerazione e rimontaggio per un periodo di 10-12 giorni, malolattica svolta naturalmente in acciaio. Affinamento di 12 mesi, di cui i primi 6 in acciaio, il resto in botte grande.
Le vinificazioni avvengono separatamente per poi assemblare le masse.
Ulteriore riposo in bottiglia per sei mesi prima della commercializzazione.
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
I Tortelli casarecci di Carol Agostini abbinati al Flaminio Bianco dell’azienda SanVitis Lazio Vini che raccontano un territorio tutto da scoprire, SanVitis Lazio, Flaminio Bianco, ricetta di Carol Agostini
Analisi visiva
Rosso rubino intenso, brillante. Sufficientemente trasparente e consistente.
Analisi olfattiva
Intenso e sufficientemente complesso. Sentori di frutti rossi maturi, ciliegia e prugna. Note selvatiche e vegetali. Toni di speziatura scura e balsamicità.
Ricetta eseguita da Carol Agostini in abbinamento a Flaminio Bianco Azienda SanVitis Lazio
Flaminio Bianco abbinato ai nostri Tortelli di ricotta affumicata e spinaci con festo di mentuccia e basilico su letto di crema di formaggio Asiago dolce
Analisi gusto-olfattiva
Secco, moderatamente caldo, di buona morbidezza. Fresco, dal tannino non completamente maturo rilsascia sensazioni verdi ed aggressive. Equilibrio da raggiungere con ulteriore maturazione. Di buona struttura, con finale sapido e moderatamente persistente.