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  • “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022”

    “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022”

    “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022”
    Sergio Mottura e il Grechetto, il racconto di un’antica storia d’Amore

    Di Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Civitella D'Agliano, nell'Alta Tuscia viterbese, all’evento “Nelle Terre del Grechetto XIX edizione “
     “Nelle Terre del Grechetto XIX edizione “

    Ci troviamo rapite nella “Tana dell’Istrice” come nel film “Le Cronache di Narnia“, entrando nell’armadio ci ritroviamo in un’altra dimensione. Inondate da pareti di pietra, scendendo molte scale, sempre più in profondità, veniamo immerse in una grotta scavata nel tufo risalente al XV Sec.
    Adornato da così tanta storia, tradizione e cultura riposa qui lo spumante, in un accumulo stratificato di cenere vulcanica che isola e mantiene una temperatura di 13 gradi che improvvisamente ci da una sensazione rigenerativa dopo il gran caldo vissuto in questa giornata .
    Ci colpisce la muffa ovunque depositata sulle bottiglie a riposo, la stessa che troviamo nelle cantine dello Champagne.

    “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022” SERGIO MOTTURA E IL GREGHETTO IL RACCONTO DI UN’ANTICA STORIA D’AMORE
    “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022”
    Sergio Mottura e il Grechetto, il racconto di un’antica storia d’Amore

    Siamo a Civitella D’Agliano, nell’Alta Tuscia viterbese, all’evento “Nelle Terre del Grechetto XIX edizione “ organizzato dalla Proloco e condotto dal giornalista enogastronomico Carlo Zucchetti.
    Ci troviamo dal grande Sergio Mottura, pioniere del biologico dagli anni 90 e grande icona del grechetto, vitigno emblema di questo territorio. Colui che ha fondato la propria immagine e la propria produzione su di esso.
    Ritrovandoci in questa suggestiva piazza medievale, ci accoglie Giuseppe che, accompagnandoci all’interno della sala di degustazione, ci racconta la storia della sua Famiglia che noi vi riportiamo con immenso piacere.

    Civitella D'Agliano, nell'Alta Tuscia articolo: “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022” SERGIO MOTTURA E IL GREGHETTO IL RACCONTO DI UN’ANTICA STORIA D’AMORE
    Civitella D’Agliano, nell’Alta Tuscia articolo: “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022”
    Sergio Mottura e il Grechetto, il racconto di un’antica storia d’Amore

    Una bella storia: la volete sentire?

    Giuseppe Mottura, figlio del “Boss” Sergio Mottura, così da lui soprannominato, ci porta con la mente direttamente al 1933, quando Sergio, giovane ragazzo intraprendente e grande sognatore, eredita da un suo prozio paterno, originario del Piemone, la tenuta a Civitella D’Agliano.

    Fino agli anni 60 molte zone d’Italia, compresa questa dove ci troviamo, erano gestite con contratti di mezzadria, finché nel Settembre del 64 fu rivoluzionato tutto il sistema agrario.

     

    Le scelte che cambiano la prospettiva

    Qui, Sergio, inizia a prendere delle decisioni fondamentali per lo sviluppo dell’azienda e una delle più importanti in assoluto fu quella di innamorarsi follemente del grechetto. Oggi la chiameremmo intuizione, all’inizio fu una semplice scelta derivata dall’aspetto organolettico.
    Tra tutti i vitigni presenti in questa zona, principalmente vitigni della denominazione dell’Orvieto doc, Malvasia, Trebbiano, Procanico, Grechetto e altri, Sergio si rende conto che quest’ultimo era quello che dava risultati migliori e qualitativamente più alti, assaggiandolo nelle cisterne dei mezzadri.

    Ha inizio così questa lunga storia d’amore con il grechetto, partendo proprio dal “Poggio della costa”, vigneto piantato a filare negli anni 70. Giacché negli anni precedenti, i mezzadri, non potendo impiegare un ettaro di terra per la coltivazione della vite, utilizzavano il terreno per altre colture. Quindi la vite era maritata ad un albero da frutto o ad un olmo (stucchio).
    Tutto questo, ovviamente, cadde con l’arrivo dell’imprenditoria agricola, con i proprietari che divennero imprenditori e con l’impianto dei primi vigneti.

    Altra scelta fondamentale arrivò alla fine degli anni 80, quando Sergio decise di imbottigliare i propri vini, passando da conferitore di uve a produttore, occupandosi di tutte la fasi produttive fino alla commercializzazione, creando il proprio marchio aziendale e divenendo così vignaiolo al 100%.
    Terza scelta, anche questa estremamente importante per il progresso aziendale, è stata quella di dedicarsi completamente al biologico da subito, conversione che inizia nel 91 per poi ottenere la certificazione nel 96.

    Perche l’istrice in etichetta ?

    “L’idea dell’istrice nasce quando mio padre, accanito sostenitore del biologico, comincia a lavorare la terra in maniera più salutare, sostenibile e si accorge del ritorno degli istrici nei vigneti come parte integrante dell’eco sistema.
    Le tane sono bellissime sotto i nostri 37 ettari vitati.

    L’istrice diventa così un simbolo di unificazione dei vignaioli che decidono di seguire le orme del bio, del rispetto per la natura creando un mondo agricolo diverso da come era apparso negli anni 70/80. Un mondo fatto di chimica.
    Per tanti anni siamo stati produttori anche di soia e di grano e questo significava usare prodotti chimici, di nitro. Ma dalla conversione al bio è cambiato tutto e l’istrice oggi, rappresenta proprio questo cambiamento, questa conversione al mondo che si apre”.

    Dopo anni di utilizzo del verde rame come prodotto previsto per la coltivazione biologica contro la malattia peronospora, oggi alcuni produttori bio di questo territorio, hanno abbandonato questo metallo pesante che si accumula nel terreno per fare spazio al tannino di castagno. L’azienda Mottura da quest’anno utilizza esclusivamente questo prodotto con un grande vantaggio che è quello di essere organico al 100%. Inoltre, viene usata la zeolite come prodotto naturale per rendere la vite più resistente alla siccità e migliorare le caratteristiche fisiche e chimiche del terreno, in collaborazione a sorgenti idriche di soccorso.

    Oggi, l’ azienda fa parte di un gruppo di produttori di Orvieto, l’ORV (oltre le radici della vite), che da anni sta cercando di ricostruire l’immagine dell’Orvieto Doc e di lavorare insieme per una sua identità. Assaggiando e confrontando i vini, questi produttori sono giunti alla conclusione che il grechetto non è un’uva che vale per tutti i territori.

    Un territorio diversificato

    A questo proposito facciamo un’analisi sulla distinzione delle tre macro-aree che troviamo in questa parte della Tuscia e che hanno origini geologiche completamente diverse: c’è l’area vulcanica che parte del lago di Bolsena e arriva ad Orvieto; c’è la parte nord sedimentale e marina con grosse percentuali di argilla nei terreni; e infine la terza area, principalmente alluvionale, circoscritta tra i due Comuni, Civitella D’Agliano e Castiglione in Teverina, data dal Tevere che 300.000 anni fa, dopo una grande alluvione lasciò sul terreno una grossa quantità di ghiaia e sabbia.

    Produzioni diverse e terroir completamente diversi fanno sì che la percentuale di uve nell’Orvieto Doc cambi di zona in zona. Chiaramente in questa azienda il grechetto ne è protagonista.
    Dalla rivalutazione dei vitigni autoctoni, alla ricerca scientifica ed alla sperimentazione su campo, agli studi sul DNA e alle varie vinificazioni scelte per esaltare al meglio le grandi potenzialità del vitigno grechetto, la Famiglia Mottura ha voluto creare soprattutto un lavoro d’ identità e di qualità del prodotto, selezionando come unico denominatore, il Clone G109 ovvero il Grechetto di Orvieto.
    E’ un’uva difficile, tannica, bisognosa di una pressatura delicata ma una garanzia per la sua longevità come ci dimostrano le bottiglie degustate in questa occasione.

    Ascoltando Giuseppe:

    “L’atteggiamento giusto del vignaiolo è considerare il vigneto eterno. Poiché la vite per 40/50 anni subisce stress, bisogna andare a lavorare con la sostituzione delle fallanze della vite che muore il prima possibile in modo che l’età media del vigneto rimanga alta, soprattutto facendo sì che tutte le viti rimangano in produzione”.

    Partiamo con la degustazione

    Spumante Metodo Classico Brut Magnum 100% Chardonnay millesimato 2011 10 anni sui lieviti sboccatura 05/22.
    Nasce da uve Chardonnay, provenienti dal Cru San Martino, situato sulla parte alta dell’azienda.
    Nobile con un perlage fine ed elegante. Intreccio di sentori di erbe aromatiche con nuances complesse di crema pasticcera e nocciola. In bocca si avverte una grande freschezza vibrante con ritorni di agrumi e frutta secca.
    Acidità molto alta, poiché nelle annate in cui la maturazione avviene in giornate ancora molto calde, le uve sono raccolte nelle prime ore mattutine proprio per avere delle uve fresche e acidità maggiore.

    le prime prove di metodo classico furono fatte con uve Verdello e grechetto
    Le prime prove di metodo classico furono fatte con uve Verdello e grechetto

    “Mio padre mi racconta che nell’ 83 le prime prove di metodo classico furono fatte con uve Verdello e grechetto, ma con scarsissimi risultati, quindi molto velocemente passò ai vitigni classici quali Chardonnay e Pinot Nero.

    Prima annata ufficiale però uscì nell’ 84 da uve verdicchio e grechetto”.

     

     

     

    Tragugnano Orvieto Doc 2021 vs 2011 50% Procanico 50% Grechetto. Acciaio. (Entrambi tappi a vite plus)

    In questo caso l’obiettivo è quello di rilanciare la DOC sia dal punto di vista comunicativo che organolettico. La strategia è quella di mantenere sempre alto l’interesse del proprio territorio.
    L’ azienda si regge sulla produzione dell’orvieto doc e del grechetto in purezza; insieme rappresentano quasi il 90% della produzione.
    L’ orvieto doc è stato il vino fondamentale per questa zona e se, ad oggi si coltiva grechetto, è proprio perché nella doc da sempre c’è la sua presenza.

    L’annata 2021 è stata molto generosa, creando un vino semplice, godurioso e dinamico con piacevoli sentori di mela smith, glicine, pera williams, zenzero e mandorla amara , che rappresentano il connubio perfetto centrando l’equilibrio tra la sapidità e l’acidità alta pur mantenendo un tenore alcolico più alto.
    Tornando 10 anni indietro, ci troviamo a degustare la 2011 che ci colpisce per la sua spalla acida ancora alta e non spigolosa. La mandorla è sempre presente ma più dolce al palato con un arricchimento di frutta a polpa matura e miele con ritorni di pera, mela e nocciola.

    POGGIO DELLA COSTA CIVITELLA D’AGLIANO IGT 100% Grechetto CRU 2020 vs 2014 (50% tappo a vite plus e 50% sughero a scelta del cliente)

    Uve raccolte rigorosamente a mano, pressate in maniera soffice con decantazione a freddo. Fermentazione e maturazione in acciaio per 6 mesi più due mesi in bottiglia.
    La 2020 è un vino molto giovane caratterizzato da grande acidità e sapidità. Venature minerali, evidenti note balsamiche e richiami di nocciola tostata e miele di castagno. La sua vibrante freschezza lo rende godibile in qualsiasi occasione. Poliedrico.
    ESTREMA.

    Questa è la nostra parola assegnata alla 2014 a conferma della longevità del Grechetto.
    Il colore dorato ci conquista prima ancora di poggiare il calice al naso, abbiamo l’oro nelle mani. Un mix di frutta tropicale, frutta secca e miele di castagno ci avvolgono l’olfatto che ritroviamo anche al palato. Un leggero picco di ossidazione ci fa sorridere ma uno spiccato e bellissimo finale di fiori appassiti e erbe secche ci convince.

    Alcune bottiglie degustate della cantina
    Alcune bottiglie degustate della cantina

    COS’E’ POGGIO DELLA COSTA?

    Dalle parole di Giuseppe:

    “Poggio della costa è un vigneto piantato nel 1970; solo 7 ettari di grechetto. Inizialmente mio padre prese tralci di grechetto da chi, per tradizione, coltivava e vinificava il grechetto “buono”.
    In realtà dopo tanti anni di lavorazione, questo vigneto è diventato il nostro CRU aziendale. Io ho una definizione tutta nostrana e paesana di CRU, ovvero che se da un vigneto, 10 volte su 10, esce il vino più buono della cantina allora quella è sicuramente una vigna di pregio.
    E’ un vitigno che ha tutta una serie di elementi che in realtà neanche il produttore conosce fino in fondo.

    Il Grechetto non sbaglia mai sia per qualità sia per costanza; sa vivere a lungo e dopo tanti anni per questa azienda è stato un successo “.

    LATOUR A CIVITELLA 2020 vs 2016 Grechetto in purezza fermentato in barriques di rovere francese (95% sughero e 5% tappo a vite plus)

    Prima parte di fermentazione in acciaio, seconda fase di fermentazione in barrique fino a giugno; affinamento 9 mesi in legno e riposo in acciaio nella cantina sotterranea per 6 mesi prima dell’imbottigliamento.
    Il percorso fatto per questo prodotto è un percorso più ampio rispetto a quello su Poggio della costa.
    In realtà la prima annata fu prodotta nel 94.
    In quel periodo, Sergio Mottura conosce l’ amico produttore francese, Louis Fabrice Latour, il quale rimasto colpito dalla qualità del suo vino, ne suggerì l’affinamento in legno, donandogli cinque barrique di sua proprietà. Da qui il nome riportato in etichetta.

    Chiaramente da allora ad oggi l’ affinamento è cambiato moltissimo. L’obiettivo principale è stato quello di mantenere l’idea di un grechetto elaborato in legno ma senza perdere l’ espressione autentica del vitigno unita all’identità dell’azienda.
    Una 2020 intensa e luminosa con un impatto olfattivo complesso ed elegante, con sentori di frutta a polpa bianca, burro fuso e nocciola. Decisamente morbido e tattile al palato con un finale piacevole di vaniglia e scorza di agrumi.

    SOLENNE E POTENTE la 2016 ci fa innamorare partendo già dal colore. Un dorato intenso che si riflette al calice. Al naso un connubio perfetto di fiori appassiti, sentori di nocciola, fiori bianchi e burro; assaggio solido, complesso con sentori di pasticceria per un finale di gran classe. Chapeau!

    MUFFO LAZIO IGT Grechetto Passito 2016

    Elegante e complessa espressione di Grechetto passito, ottenuta da uve colpite da muffa nobile e maturato in barrique per 12 mesi.
    Suntuoso vino da meditazione dal colore ambrato, affascinante nei suoi sentori di miele, burro, fiori gialli, scorza di agrumi canditi e pietra focaia.
    Intrigante al naso, ci dona anche sentori di frutta esotica. Al palato cremoso, armonico e di buon corpo con una sapidità travestita da dolcezza con timide nuances eteree. Finale speziato. SUBLIME!

    Tanta materia a conferma del grande potenziale di questo vitigno.

    La cantina di Giuseppe Mottura
    La cantina di Giuseppe Mottura

    Un ringraziamento speciale a Giuseppe Mottura che ci ha ospitate nella sua dimora regalandoci emozioni, nozioni, curiosità su un grande vitigno, il Grechetto, che ha fatto e farà la storia della nostra Regione.

    Ilaria Castagna, Cristina Santini e l'Azienda Sergio Mottura
    Ilaria Castagna, Cristina Santini e l’Azienda Sergio Mottura
    Conclusioni

    Vi lasciamo, a conclusione di questa bellissima esperienza, con una citazione di Andy Warhol perfetta per questa occasione.
    Citazione che rispecchia totalmente la filosofia della Famiglia Mottura.
    “ Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”

    Di Ilaria Castagna e Cristina Santini
    Partners in Wine

    Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
    Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine, Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.

    Sito cantina: http://www.sergiomottura.com/it/#

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

  • Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre

    Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre

    Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre

    Di Piergiorgio Ercoli

    Da uve montepulciano in purezza, coltivate sulle colline molisane a Montenero di Bisaccia (CB) ad un’altezza di circa 300 metri slm, terreni argillo-calcarei, dove il clima è caratterizzato dall’influenza delle correnti marittime dall’Adriatico che favoriscono l’arieggiamento del corpo vitato evitando la formazione di muffe e donando una identitaria sapidità.

    Raccolta manuale, diraspatura, pigiatura morbida per mantenere l’integrità degli acini.
    Macerazione di circa 10 ore cui segue una pressatura soffice del mosto, quindi fermentazione in bianco per circa 10 giorni a temperatura controllata di 16°-18°.

    Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
    Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre

    Degustazione

    Vino rosa della Cantina Terresacre Molise Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
    Vino rosa Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre

    Analisi visiva
    Nel calice rosa corallo, trasparente e limpido. Di consistenza media.

    Analisi olfattiva
    Sufficientemente intenso, di media complessità e finezza. Dominante olfattiva fruttata, ciliegia e fragoline di bosco; toni vegetali di erba appena tagliata, toni minerali di humus e terra bagnata.
    Leggera spezia scura.

    Analisi gusto-olfattiva
    Secco, moderatamente caldo, morbido. Fresco, tannini duri, sapido. Corpo medio, sufficientemente armonico, buona permanenza. Sufficientemente fine e sufficientemente armonico. Pronto.

    Alcuni vini della Cantina Terresacre
    Alcuni vini della Cantina Terresacre arrivati in degustazione in Agenzia FoodandWineAngels

    Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini

    In abbinamento un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso di formaggi di varie tipologie e stagionature.

    Tagliere in abbinamento al Rosavite di Terresacre
    Tagliere in abbinamento al Rosavite di Terresacre

    Tagliere di formaggi provenienti dall’Altopiano di Asiago da Asiago pressato dolce, a quello saporito, al mezzano di 6 mesi di malga, con fragole, crostini tostati, asparagi in agrodolce, cestino di grana padano con erbette di montagna stufate, caciotta di pecorino di malga alle foglie di olivo.

    Degustazione di Piergiorgio Ercoli

    Piergiorgio Ercoli autore articolo Iloghe 2019 Isola dei Nuraghi IGT Cantine Spanu
    Piergiorgio Ercoli autore articolo Iloghe 2019 Isola dei Nuraghi IGT Cantine Spanu

    Sito Cantina: https://www.terresacre.com/

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

     

  • Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022

    Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022

    Evento ROSA ROSATI ROSE’ Sabato 23 Aprile 2022 a “Le Vigne di Clementina Fabi” organizzato da FoodandWineAngels

    Di Piergiorgio Ercoli

    Le MARCHE si tingono di ROSA

     

    Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022
    Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022

    Si è svolto a Montedinove (AP), Sabato 23 Aprile 2022, l’evento “ROSA ROSATI ROSE’” con la presenza di Renato Rovetta, pioniere del Vino Rosa in Italia e fondatore della Guida omonima.
    Organizzato dall’Agenzia FOODANDWINEANGELS di Carol Agostini, nella splendida cornice della Tenuta di “Le Vigne di Clementina Fabi”, ospiti di Loretta Di Maulo e Gianluca Giorgi, eleganti padroni di casa.

    Tavola Rotonda coi protagonisti della giornata di territorio, Renato Rovetta, Carol Agostini e Le Vigne di Clementina Fabi
    Tavola Rotonda coi protagonisti della giornata di territorio, Renato Rovetta, Carol Agostini e Le Vigne di Clementina Fabi

    Hanno partecipato alla Tavola Rotonda, esperti di settore, giornalisti, rappresentanti di Associazioni territoriali dal carattere enogastronomico ed autorità locali: spiccano la Dottoressa Paola Cocci Grifoni, enologa e vera Donna del Vino Made in Marche, l’enologo Luigi Costantini, il giornalista Francesco Massi per il Corriere Adriatico, il Sig. Domenico Sacconi dell’ Associazione Gemme Marche, il Sig. Enzo Malavolta , Presidente Marche del Biodistretto Picenum ed il Sindaco di Montedinove, il Sindaco di Montedinove Dott. Antonio Del Duca.

    E’ stata l’opportunità quindi per conoscere, innanzi tutto, la realtà della Cantina ospite, che vanta una storia che affonda le radici nel 1800, quando la Famiglia Fabi acquista alcuni poderi nella Marca Picena, provenendo dal Lazio, e vi avvia la pratica dell’arte contadina impiantando già allora le vigne.

    Vini rosa in degustazione durante l'Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022
    Vini rosa in degustazione durante l’Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022

    Vigne che poi, rinnovate negli anni, vedono protagoniste prima Clementina e poi sua figlia Loretta, dal 2008, nel continuare l’arte della produzione del vino, fino ai giorni nostri.

    Storia antica, tecnologia moderna, sempre puntando all’eccellenza, valorizzando ed interpretando un terroir unico e ricco di risorse, ai piedi dei Sibillini e poco distante dal Mar Adriatico.

    Tema fortemente rappresentato ed eviscerato dai presenti, poi, è stata la ricerca della migliore eccellenza del territorio, vero e proprio obiettivo ma anche motore per il raggiungimento di un livello di produzione qualitativo e di offerta turistica concorrenziale del Piceno.

    Renato Rovetta Guida Rosa Rosati Rosé e Carol Agostini dell'Agenzia FoodandWineAngels
    Renato Rovetta Guida Rosa Rosati Rosé e Carol Agostini dell’Agenzia FoodandWineAngels

    Vino Rosa

    Guida Rosa Rosati Rosé di Renato Rovetta
    Guida Rosa Rosati Rosé di Renato Rovetta

    Ma la giornata, dalla scaletta davvero serrata, è stata soprattutto l’opportunità per far conoscere in territorio vinicolo ben definito, dal carattere “rossista” come il Piceno, tutte le sfumature del “ROSA”, del Vino Rosa, guidati da un istrionico Renato Rovetta che ha introdotto in maniera coinvolgente tematiche circa la natura, la storia, le qualità e le potenzialità di questa tipologia di vini, fortemente in espansione in Italia e nel Mondo.

     

    Tavola Rotonda coi suoi protagonisti

    La Tavola Rotonda è stata arricchita da due principali momenti di degustazione.

    Guida Rosa Rosati Rosé di Renato Rovetta
    Guida Rosa Rosati Rosé di Renato Rovetta

    In apertura, masterclass di Rovetta sul Vino Rosa Nazionale, con i vini selezionati dall’esperta enogastronomica, sommelier, commissario enologico internazionale, esperta di comunicazione e marketing (…e potrei continuare) Carol Agostini, “deus ex machina” dell’Agenzia FOODANDWINEANGELS:

    tutte le sfumature di Rosa, tutte le fragranze aromatiche e sensoriali che il Vino Rosa riesce esprimere da tutto il territorio nazionale italiano, dal Piemonte alla Campania passando per Liguria ed Abruzzo.

     

    La Platea di ospiti, giornalisti ed esperti vitivinicoli, alcune cariche politiche della zona, l'assoziazione Le Gemme dei Sibillini
    La Platea di ospiti, giornalisti ed esperti vitivinicoli, alcune cariche politiche della zona, l’assoziazione Le Gemme dei Sibillini

    Vini Rosa fermi ma anche bollicine, vini che affascinano con le loro nuances brillanti ed i sapori delicati ma decisi, capaci di abbinamenti a tavola sia con piatti tradizionali locali che a quelli di più ampio respiro internazionale.

    La partecipazione attiva dei presenti, continuamente coinvolti dal Rovetta, ha dato un piglio frizzante alla masterclass.

    Nella seconda degustazione sono stati invece protagonisti i vini della Tenuta ospite:
    naturalmente la loro interpretazione in rosa di uno dei vitigni principe delle Marche “rossiste”, il sangiovese, proposto in due annate, la 2018 e la 2020, che hanno stupito per capacità di interpretazione identitaria, in una vinificazione in rosa che ha esaltato comunque il varietale, donandone una sfaccettatura davvero piacevole alla beva e comunque dalle sensazioni gusto-olfattive davvero ampie.

    Radio Serena con Carla Latini e Luca Tortuga, enologo Paola Cocci Grifoni, Carol Agostini, le Vigne di Clementina Fabi con Loretta di Maulo e Gianluca Giorgi, Renato Rovetta
    Radio Serena con Carla Latini e Luca Tortuga, enologo Paola Cocci Grifoni, Carol Agostini, le Vigne di Clementina Fabi con Loretta di Maulo e Gianluca Giorgi, Renato Rovetta

    Spazio anche ai vitigni bianchi autoctoni del territorio, passerina e pecorino, in una veste importante, per la Linea Cerì (top di gamma dell’Azienda): brillanti, freschi, agrumati e con una evidente mineralità; le uve, infatti, allevate ai piedi dei Sibillini (le vigne sono a circa 600 m. s.l.m) sono accarezzate dalle correnti di valle dal vicino Mar Adriatico che dona particolare carattere di sapidità nel lungo finale.

    I vini di Le Vigne di Clementina Fabi in degustazione
    I vini di Le Vigne di Clementina Fabi in degustazione

    Davvero entusiasmante la versione spumantizzata della passerina, nel “Terre di Offida DOC”: un metodo charmat lungo di circa 15 mesi (in base alle annate, con certificazione in retroetichetta dei tempi della permanenza sui lieviti), fortemente voluto da Gianluca Giorgi che pure ha portato lustro alla DOC “Terre di Offida”, con delle bollicine fini e persistenti, dove alle note agrumate e di leggera spezia bianca si accompagna una cremosità tipica di un metodo classico, con le sensazioni di tostatura e piccola pasticceria che arrivano nel finale del sorso.

    Chiude il blend Rosso Piceno (montepulciano e sangiovese), vero cavallo di razza per i rossi marchigiani, qui in un rubino intenso e brillante, con note di frutti rossi di sottobosco e fragoline, tannini ben integrati in un armonico sorso fresco.

    Conclusioni

    Arrivano gli applausi, per la chiusura delle masterclass:

    Locandina evento articolo: Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022
    Locandina evento articolo: Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022

    A Renato Rovetta profeta del “Vino Rosa” nelle Marche, ha sicuramente conquistato il gusto dei presenti e lasciato vari spunti per l’educazione al buon bere, alla piacevolezza da ricercare nel calice; a Carol Agostini che ci lascia l’esempio di come un evento va organizzato, quando la qualità dell’eccellenza si distingue; a Loretta e Gianluca per l’accoglienza e la disponibilità dimostrata per l’intera giornata.

    Appuntamento

    Appuntamento sul Lago d’Iseo per la fine di Maggio, a Riva di Solto (BG), quando si è tenuto il Concorso Nazionale dei Vini Rosa, che è stato una nuova vetrina per il mondo del “Rosa” in Italia.

    Cheers!!!

    Di Piergiorgio Ercoli

    Piergiorgio Ercoli autore articolo Iloghe 2019 Isola dei Nuraghi IGT Cantine Spanu
    Piergiorgio Ercoli autore articolo Iloghe 2019 Isola dei Nuraghi IGT Cantine Spanu

    Sito Guida Rosa Rosati Rosè di Renato Rovetta: https://rosarosatirose.eu/

    Sito Cantina: https://www.levignediclementinafabi.it/

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/

    https://carol-agostini.tumblr.com/

  • ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà

    ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà

    ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà

    Di Piergiorgio Ercoli

    Da uve Sangiovese, Merlot e Ciliegiolo allevate sulle colline di Bonassola (SP), sulla Costa Ligure di Levante, nell’ambito del Parco Nazionale delle Cinque Terre dove i terreni argillosi a medio impasto hanno origine vulcanica.

    Il clima è caldo e ventilato, con forti influenze delle salmastre brezze marine. Tipici i terrazzamenti che diradano sulla costa.

    Alcune vigne di CàduFerrà
    Alcune vigne di Cà du Ferrà azienda vinicola e agriturismo, espressione dialettale di “casa del fabbro” perché in queste terre, oggi solcate dai filari di vite, un tempo si ferravano i cavalli.
    ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà
    ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà

    La fermentazione avviene in vasche di acciaio a temperatura controllata, dopo la svinatura segue la malolattica. L’affinamento in di acciaio inox per minimo 6 mesi.Vino ben rappresentativo della filosofia aziendale di “valorizzare il luogo a partire dal rispetto della terra e per chi la abita”, fedeli alle tradizioni con uno sguardo al futuro.Vino rustico, dove i cloni degli uvaggi sono rappresentati in maniera semplice ma senza perdere un tocco di piacevolezza complessiva, in un gusto genuino.

    Degustazione

    Analisi visiva
    Nel calice rubino violaceo, poco trasparente. Limpido e con una buona densità.

    Analisi olfattiva
    Sufficientemente intenso, di media complessità e finezza. Dominante olfattiva fruttata e pungente, ciliegia e melograno, frutti rossi acidi; toni vinosi, fresco e balsamico. Evidenti richiami minerali sia nei toni del salmastro che dell’affumicato. Speziatura nel finale.

    Analisi gusto-olfattiva
    Secco, moderatamente caldo, moderatamente morbido. Fresco, tannini ruvidi, sapido. Corpo medio, sufficientemente armonico, inizialmente squilibrato verso la parte acida ma che poi evolve , integra i tannini ed i polialcoli. Sufficientemente fine e sufficientemente armonico. Pronto.

    ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà ( ngilu)
    ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà

    Azienda nata dall’unione di due anime e dalla stessa passione per il mondo vitivinicolo, Antonio Zoppi e Aida Forgione, lasciano le loro professioni per vivere assieme nel borgo di Bonassola, diventando così viticoltori, creando sinergia tra saperi e vino.

    Davide Zoppi articolo: ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà
    Davide Zoppi articolo: ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà

    Nel 2000 acquistato terreni e casolari fondano l’azienda vitivinicola e l’agriturismo; l’attività si espande ulteriormente con l’inserimento del figlio Davide portando Cà du Ferrà alla certificazione biologica dei propri prodotti.

    Un’area di paradiso tra panorama, brezza marina e i muretti a secco, Patrimonio Unesco che rappresentano un valore inestimabile per la regione, che attualmente conta 42mila ettari di aree terrazzate, tra cui le vigne dell’ azienda.

     

     

    Azienda seguita da due enologi in linea con la filosofia aziendale, il rispetto del territorio e della qualità di produzione: Barbara Tamburini e Vittorio Fiore, ormai da anni seguono personalmente la vigna, la produzione e l’etica di Cà du Ferrà.

    Spaghettini Carla Latini con cubetti di Speck di Asiago, pancetta tostata,mentuccia selvatica, crema di tartasale con ngilu vino càduferrà
    Spaghettini Carla Latini con cubetti di Speck di Asiago, pancetta tostata, mentuccia selvatica, crema di tartasale

    Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini

    Una ricetta composta da pochi ingredienti in un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso.

    Ingredienti per 4 porzioni:

    • 400 gr di spaghetti
    • 100 g di speck affettato e tagliato a pezzetti
    • 100 g di pancetta
    • 4 cucchiai di olio di oliva
    • 1 spicchio di aglio
    • 1 peperoncino
    • 4 cucchiai di pomodori a pezzettoni
    • Basilico q.b.
    • un rametto di mentuccia selvatica
    • Parmigiano grattugiato q.b.
    • Sale q.b.

    Procedimento:

    Mentre lessate gli spaghetti rosolate in 2 o 3 cucchiai di olio, l’aglio senza camicia, oppure a piacere leggermente schiacciato per un sapore più intenso, il peperoncino e la pancetta tagliata a dadini come lo speck, avendo cura di girarli spesso.

    A distanza di qualche minuto aggiungere i pezzettoni di pomodoro per completare la salsa.

    Fate cuocere per una decina di minuti, aggiungete il parmigiano grattugiato, salate e pepate quanto basta e togliete dal fuoco. Condite gli spaghetti e serviteli subito con una spolverata di parmigiano grattugiato e qualche fogliolina di mentuccia selvatica.

    Degustazione di  Piergiorgio Ercoli

    Piergiorgio Ercoli autore articolo Iloghe 2019 Isola dei Nuraghi IGT Cantine Spanu
    Piergiorgio Ercoli autore articolo Iloghe 2019 Isola dei Nuraghi IGT Cantine Spanu

     


    Sito Cantina: https://caduferra.wine/it/

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

  • Fatalone a Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017

    Fatalone a Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017

    A Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017

    Di Gaetano Cataldo

    È giunta alla fine di una piacevole e tanto desiderata cena tra amici e, per quanto fosse logicamente coperta dalla patina del tempo, riusciva ad irradiare qualcosa di tangibilmente vivo dentro la casa-trullo padronale quella sera del 30 Agosto del 2017, illuminata come i nostri volti dalla sua presenza.

    Antica Cantina Fatalone, articolo: A Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017 di Gaetano Cataldo
    Antica Cantina Fatalone, articolo: A Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017 di Gaetano Cataldo
    La vigna Cantina Fatalone , Autentico, Biologico, Sostenibile
    La vigna Cantina Fatalone , Autentico, Biologico, Sostenibile

    Era entrata quasi di soppiatto, senza annunci e sensazionalismi, con quella calma e la semplicità tipica delle persone che vivono le stagioni in mezzo alla vigna e lo fanno vivendo di valori concreti, offrendo una spontanea e sincera ospitalità, così sincera e generosa da farti sentire a casa, malgrado casa quella sera fosse ad un qualche centinaio di chilometri.

    È giunta quasi presentandosi da sola per quel che diceva di sé implicitamente, è giunta come una benedizione e quando Pasquale Petrera mi ha sussurrato che si trattava della bottiglia di Primitivo prodotta nel 1981 da Giuseppe Orfino, suo nonno materno, mi è balzato il cuore in gola.

    Filippo Vito Petrera, Pasquale Petrera con Gaetano Cataldo autore dell'articolo
    Filippo Vito Petrera, Pasquale Petrera con Gaetano Cataldo autore dell’articolo

    Quasi non riuscivo a credere che la visita che attendevo di fare da tanto tempo all’amico Pasquale, per il piacere di rivederlo, potesse sortire addirittura l’apertura di una bottiglia di tale inestimabile valore, una vera e propria pietra miliare non soltanto per la famiglia Petrera ed Orfino, ma per la comunità gioiese e l’Italia tutta del Vino, quell’Italia che sa attestarsi fieramente nel contesto internazionale senza temere rivali.

    Bottiglia di annata molto vecchia in degustazione
    Bottiglia di annata molto vecchia in degustazione

    Non ci credevo, sono uno che riconosce che al mondo nulla ci è dovuto e che ogni giorno ci attende un esame nuovo, e non credevo di meritare affatto il privilegio di accedere al contenuto di una bottiglia tanto preziosa e rara, così preziosa al punto da racchiudere essa stessa l’embrione di un sogno di seguito dischiuso e avverato, incarnando dunque il testimone verace del cammino del padre di Pasquale:

    Filippo Petrera, l’uomo che ha valorizzato e concepito il Primitivo di Gioia del Colle in purezza, creando il Fatalone, sinonimo del frutto di questo straordinario vitigno classificato dal primicerio Filippo Indellicati nel XVII secolo.

    Cantina Fatalone vini pugliesi Primitivo di Gioia Del Colle
    Cantina Fatalone Botti per i vini pugliesi Primitivo di Gioia Del Colle

    La sorpresa e l’ammirazione con la quale il buon Filippo, ad occhi chiusi, riscopriva nell’assaporare il gusto e le sensazioni che quel Vino è riuscito a donare a tutti noi, e soprattutto alla sua persona capace di decifrarne il sentimento racchiuso, è stato decisamente un momento di grazia:

    infatti, sorso dopo sorso, l’intensità e la fragranza di aromi intessuti di ricordi affioranti dal calice hanno fatto sì che quel lontano passato comparisse di nuovo e gioiosamente Filippo stava rivivendo i ritmi frenetici di una vendemmia lontana ben 37 anni, ove non c’era posto per la stanchezza, poiché il richiamo della Natura creava un’atmosfera incantevole, fatta di felicità collettiva.

    Fatalone Teres Puglia DOC Primitivo
    Fatalone Teres Puglia DOC Primitivo
    fatalone Gioia Del Colle DOC Primitivo
    fatalone Gioia Del Colle DOC Primitivo
    Fatalone Gioia Del Colle DOC Primitivo Riserva
    Fatalone Gioia Del Colle DOC Primitivo Riserva

    Sensorialità

    E tale è la felicità per aver condiviso il Vino che nel 1981 sarebbe divenuto la chiave di volta, l’elemento irrinunciabile e decisivo per la nascita della prima bottiglia ufficiale di Primitivo di Gioia del Colle del 1987 e del conseguente disciplinare. E così il Vino è giunto a noi:
    D’ambra ed oro antico, cristallino…

    Al naso le note eteree di acetone si fanno strada per lasciare lentamente spazio alla ciliegia sotto spirito, ad un sorprendentemente ancor succoso gelso nero e alla “monachella” (susina selvatica della Maiella), una scia foglie di mirto e chiodi di garofano su cui insiste l’odore della scatola di sigari.
    Silenzio. Passa il tempo, gli occhi di Filippo Petrera brillano, anche quelli di Pasquale si inarcano ammiccando ad un sorriso guardando il padre rivivere l’allegria di una stagione lontana ancora una volta.E ancora… scorza di arancia candita, noci e frutta essiccata ancora non dischiuse del tutto, il ricordo della carruba volta in cacao, s’ollu e stincu ed una piacevole mineralità iodata.

    Al palato entra come fosse quasi un sercial per esplodere in una piacevole freschezza agrumata appena “addolcita” dalla nota mielata del corbezzolo. Sorprendente acidità ed una buona concentrazione di sapidità, quasi da umami. Retro olfattiva a confermare l’arancia, una piacevole percezione di datteri e fichi essiccati, la precedente nota del mirto alla via diretta che si ammansisce mutando in timo, tabacco che sigilla il sorso con un’ombra appena di astringenza ripulita dalla succulenza del nettare…

     Conclusioni sensoriali

    I profumi ed il sapore percepiti mi hanno accompagnato in una fresca notte stellata lungo tutto il percorso dal pianoro gioiese sino al borgo salentino di Melendugno con una persistenza niente affatto scontata.

    La luce negli occhi di Filippo Petrera, pioniere e padre adottivo del Primitivo di Gioia del Colle in purezza, che durante questa degustazione senza tempo ha rivissuto un arco temporale lunghissimo tutto racchiuso nella luminescenza che quel vino irradiava come la folgorazione ispiratrice che lo ha portato a desiderare il legittimo riscatto per un vitigno tanto nobile, a diventare il fondatore del consorzio di tutela e dunque alla realizzazione di un sogno, quel sogno racchiuso nella promessa della bottiglia giunta a tutti noi quella sera come una benedizione che viene da lontano e che si rinnova vendemmia dopo vendemmia.

  • A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022

    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022

    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022

    Di Gaetano Cataldo

     

    Nell’universo della gastronomia stellata i fatti di cronaca non mancano mai, la vita degli chef viene spesso passata sotto la lente di ingrandimento ed al pubblico non dispiace affatto scoprire vizi e virtù dei maghi dei fornelli più in vista, leccandosi le orecchie ascoltando i loro segreti più intimi e pizzicarli con le dita nella marmellata… che poi chi più di loro solo i pasticcieri in fondo, no?

    Buttata giù così magari uno potrebbe arrivare a pensare che ci sia un sottile piacere dietro l’ingrato compito di divulgare certe notizie, specialmente quando si tratta di mettere a nudo uno tra i principali interpreti della cucina stellata in Campania, manco fosse un gambero da sgusciare per benino. Di ciò non è dato sapere, lasciamolo pure all’immaginazione smaliziata del lettore, però qualcuno ‘sta cosa ve la doveva pur dire…

    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo...2022
    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022 : “La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella” da sito Rear Restaurant di Nola

    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo!

    Lo so, la notizia in sé non dovrebbe fare poi così tanto scalpore: insomma c’è comunque gente che se ne va in giro sbarazzina a praticare la sitofilia, quella forma di feticismo legata al cibo in cui viene raggiunta l’eccitazione sessuale mangiando dal corpo di un’altra persona eccetera, però in fin dei conti occorre essere pratici e di ampie vedute, lasciando che ciascuno usi per la propria contentezza il condimento che più gli aggrada e ribadire solennemente “l’importante è che ti ritiri contento a casa” o limitarsi semplicemente ad abbozzare un “de gustibus”… ma questa è un’altra storia e non so se c’ho voglia di raccontarvela.

    In fondo perché giudicare il gusto altrui quando posso raccontarvi questa chicca riguardante niente poco di meno che l’executive chef del Rear Restaurant al Ro World di Nola?Comunque il fatto è sempre quello, non distraiamoci: a Francesco Franzese piace proprio coi tacchi a spillo!

    Eppure sembrava fosse ieri quando assurse alla primissima stella Michelin stando alla direzione delle cucine di Casa del Nonno 13 a Mercato San Severino, riuscendo a confermarla in seguito.

    Chi è Francesco Franzese?

    Ma prima che tutto ciò accadesse ha dovuto farne di sacrifici: originario di Saviano e classe dell’89, Francesco ha lavorato sodo prima di farsi strada in questo settore altamente competitivo, militando tra i fornelli di location al top, tanto per prestigio quanto per il forte carico di impegno e tensione richiesto per poter dare sempre il massimo di sé, affiancando i protagonisti della cucina italiana e non solo…

    E’ stato al fianco dello chef Vito Mollica a Firenze, sia al Four Season che al Palagio, successivamente con lo chef Giorgio Locatelli a Londra, poi in Campania, precisamente a Capri, dapprima al Ristorante l’Olivo con lo chef Andrea Migliaccio e successivamente al ristorante il Riccio, affiancando lo chef Salvatore Elefante per l’ennesima esperienza stellata.

    Chef Francesco Franzese Executive chef al Rear Restaurant di Nola
    Chef Francesco Franzese Executive chef al Rear Restaurant di Nola

    Francesco avrebbe anche potuto pure accontentarsi di questa intensa formazione, ma sapete come sono fatti i cuochi che ci mettono il cuore:

    deciso ad accrescere le proprie conoscenze culinarie e convinto che nella vita come in cucina ci sia sempre da imparare, decide di avventurarsi a Parigi, precisamente presso l’Atelier de Joël Robuchon, due stelle Michelin, per poi approdare in Sardegna al ristorante Il Fico D’india del Resort Le Dune della Delphina ed infine ritornare in Campania al Roji Japan fusion Restaurant di Nola dove nel 2018 non tarderà ad arrivare un primo riconoscimento: nominato chef dell’anno per la guida Mangia&Bevi del Mattino.

    D’altronde il sentiero era già tracciato dall’amore per la cucina avvertito sin da piccolo, osservando con gioia e curiosità la mamma e la nonna cucinare per la famiglia, una famiglia che contempla contadini e pescatori, l’odore del pane fatto in casa, il sapore degli ortaggi e la freschezza delle materie prime ittiche della pescheria del padre.
    Praticamente nessuno se lo sarebbe mai aspettato eppure, malgrado tutto ciò, a Francesco piace coi tacchi a spillo!

    Ma che avete capito!?
    A Francesco piace la lardiata con i tacchi a spillo!
    Certo che nell’immaginario di feticisti come voi sarà già venuto in mente la figura di chef Franzese china sul piatto ad adeguare la calzata a ciascun mezzanello con delle mini scarpette uso Pittarosso, preparate con chissà quale improponibile cibo… bravissimi! Siete fuori strada però!!

    Oh, e allora di che cosa stiamo parlando? Di stravaganza ed allontanamento dalla tradizione?

    Non direi proprio. E chi conosce bene Francesco per lo chef compiuto qual è e dai forti legami territoriali non si sognerebbe neanche di pensarlo. Francesco Franzese guarda risoluto alla tradizione e sa che essa non deve essere una scusa per dormire sugli allori, che non deve rappresentare un salvacondotto per fare cucina scontata e non deve costituire un freno per il miglioramento, l’innovazione e l’evoluzione del piatto.

    Certamente i mezzanelli lardiati sono di diritto una delle eccellenze della cucina campana, e questo almeno dal XVIII secolo, ma costituiscono una ricetta squisitamente contadina, figlia della sussistenza, della capacità di valorizzare anche il più povero degli ingredienti e del bisogno di mettere in tavola cibo saporito e di consistenza, al fine di riempire la pancia, di mettere di buon umore, esattamente in linea coi tempi e con i mezzi di allora, apportando le giuste calorie a persone che vivevano di duro lavoro, del duro lavoro proprio di quell’epoca per niente sedentaria.

    Protagonista indiscusso è dell’ottimo lardo di maiale ed a seguire pochi ingredienti, quelli di allora, e variabili a seconda del poco o niente che si aveva e delle scuole di pensiero…
    Aglio o Cipolla? Basilico o Prezzemolo? Gambi di Sedano? Pepe o Peperoncino? Pecorino o Parmigiano Reggiano? Non importa, sappiamo che il piatto nasce per fare di necessità virtù, l’importante è che il lardo sia “allacciato”, cioè minutamente tagliato al coltello sino ad ottenere una crema, e che vi sia del pomodoro per cortesia.

    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo...2022 articolo di Gaetano cataldo, Chef Executive chef al Rear Restaurant di Nola
    A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022 articolo di Gaetano cataldo, Chef Executive chef al Rear Restaurant di Nola

    Francesco Franzese non ha dubbi sulla scelta degli ingredienti per ricreare la lardiata secondo la sua personale interpretazione: partendo da un soffritto di olio evo all’aglio col lardo di pancia di maiale nero casertano, lardo di Colonnata e lardo di wagyu della prefettura di Kobe, lavorati a bassa temperatura, si aggiunge l’acqua di pomodoro ramato per poter risottare i mezzanelli rigati. A mantecare arriva il battuto di pomodoro di San Marzano e l’olio evo da esso ricavato, assieme alla crema di datterino, tutte e tre in versione confit, ed infine polvere di pomodoro alla brace.

    A completamento del piatto di nuovo il pomodoro in polvere alla brace, la cotica soffiata, le fette sottilissime di lardo di Colonnata a crudo, che amplificano la delizia fondendo, e gocce di olio extravergine al basilico.

    La versione franzesiana della lardiata nasce per esaltare ed amplificare i punti cardine su cui si fonda il sapore della ricetta originaria, disinnescando ogni attacco da parte dei dietologi e convertendo pure loro al Principio di Müller, spogliata così com’è da una eccessiva grassezza e resa leggera, briosa e biodisponibile. Piatto estroverso, certamente frutto della passionalità di Francesco ma anche di un ragionamento sull’estrazione degli ingredienti molto meditato e su uno studio altrettanto accorto del “maridaje” degli stessi.

    Cotture millimetrate, estrazione massima del licopene e dell’umami dal pomodoro, inclusa la tendenza dolce in quello confit e la componente aromatica di quello cotto alla brace; la sinfonia dei lardi impiegati estende ulteriormente la persistenza a questo sontuoso primo piatto, dove non manca il gioco delle consistenze per diversità di struttura. Insomma una lardiata che non perde la sua identità, anzi ne assume una ancora più marcata.

    E adesso potete anche pensare alla lardiata come ad una Cenerentola birichina che il galante chef nobilita con la sua arte, facendole esprimere tutta la sua leggiadra eleganza con un pizzico di rock.

    Di Gaetano Cataldo


    Sito Ristorante: https://www.rearrestaurant.com/

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

  • I vini di Francesca Fiasco tra il Cilento e Vallo di Diano 2022

    I vini di Francesca Fiasco tra il Cilento e Vallo di Diano 2022

    I vini di Francesca Fiasco in bilico tra il Cilento e il Vallo di Diano 2022

    Di Gaetano Cataldo

     

    È in località Campanaro, nel comune di Felitto, che l’azienda agricola di Francesca Fiasco ha avuto a costituirsi nel 2015. Il piccolo paese di Felitto è una delle perle dell’hinterland cilentano, conta meno di 1300 abitanti ed è la sede amministrativa dell’unione dei comuni dell’Alto Calore.

    Territorio e Borgo

    Comune di Felitto articolo: I vini di Francesca Fiasco in bilico tra il Cilento e il Vallo di Diano 2022
    Comune di Felitto articolo: I vini di Francesca Fiasco in bilico tra il Cilento e il Vallo di Diano 2022

    Questo borgo vede come centri abitati più vicini il comune di Castel San Lorenzo e quello di Roccadaspide, è diviso da Magliano Vetere da una costa montuosa frastagliata ed è separato dal torrente Ripiti, affluente del fiume Fasanella, da Bellosguardo, perfettamente incastonato tra il Monte Chianiello, il Monte Ceglie ed il Monte Cerzito.

    Posto in bilico tra le alture del Cilento e del Vallo di Diano a 275 metri sul livello del mare il territorio felittese è tipicamente mediterraneo, vede la presenza dell’acero campestre, localmente detto occhiano, e dell’olmo, è immerso nella natura del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e costituisce una vera e propria oasi di tranquillità, tanto da essere diventato sede eletta di lontre, volpi, cinghiali e furetti.

    Curiosità, leggenda e mistero…

    Esistono diverse storie sul borgo di Felitto che negli anni si sono tramandate da generazione a generazione, una di esse è legata al castello medievale. Secondo la leggenda, all’interno di esso ci viveva un Barone che, abusando del suo potere, chiedeva di diritto di trascorrere la prima notte di nozze con ogni nuova sposa, per poi rimandarla dal neo-coniuge.

    Chiunque si sarebbe opposto sarebbe stato spedito, attraverso il trabucco, un’antica macchina d’assedio, nelle gole del Calore, perdendo così la vita, ma dopo parecchi anni, un giovane sposo un giorno decise di mettere fine a quella tale ingiustizia.

    Il giorno delle sue nozze, i soldati sostavano come sempre fuori dalla chiesa, in attesa del termine della celebrazione per accompagnare la giovane al castello, però questa volta, a destinazione non arrivò la sposa, bensì lo sposo, che grazie ad un camuffamento riuscì a raggirare le guardie.

    Il ragazzo, dopo aver colpito con una pugnalata il barone, lo scaraventò, come da rituale, nel fiume. Ben presto anche le guardie si arresero, travolti dalla popolazione che, incoraggiata dall’amore della sposa per suo marito, invase il castello.

    I felittesi e soprattutto le giovani coppie, festeggiarono, attraverso canti e balli, la conquista della loro indipendenza e tutti vissero serenamente la loro prima notte di nozze.

    Cantina

    Francesca Fiasco che mescita il tuo vino in cantina
    Francesca Fiasco che mescita il tuo vino in cantina

    In un territorio pressoché inviolato insistono i vigneti di proprietà, circa sette ettari, e le radici affondano in suoli mediamente calcareo argillosi e, poiché siamo nei pressi delle Gole del Calore, a tratti non mancano i colori e le stratificazioni tipiche del Flysch del Cilento e la roccia carbonatica.

    Con grande cura questa giovane donna si diletta tra vigna, produzione e vendita comunicandolo attraverso la sua presenza e voce con grande passione e impegno.

     

    VINI DI FRANCESCA FIASCO
    VINI DI FRANCESCA FIASCO

    Non molto distanti dalla cantina di Francesca Fiasco i tenimenti agricoli sono vitati prevalentemente con vecchi ceppi di Aglianico, poi di Aglianicone e quindi di Fiano e Coda di Volpe con la presenza di altri vitigni, come ad esempio il Piedirosso, tra quelli più recenti messi a dimora ed altre varietà che di consuetudine vengono da sempre allevate anche nella vicinissima Castel San Lorenzo.

    La vendemmia in vigna di Francesca Fiasco
    La vendemmia in vigna di Francesca Fiasco

    Vini

    “Un grande vino nasce prima di tutto nel vigneto… 
    E’ da qui che ne scaturisce il recupero della naturalità nella coltivazione…” citazione presa dal sito
    "Un grande vino nasce prima di tutto nel vigneto...  E' da qui che ne scaturisce il recupero della naturalità nella coltivazione..."
    “Un grande vino nasce prima di tutto nel vigneto… 
    E’ da qui che ne scaturisce il recupero della naturalità nella coltivazione…”

    Quattro le referenze, tutte nel disciplinare Igt Paestum: i rossi Mèrcori, Difesa ed Ersa col bianco Lapazio.

    Francesca Fiasco mentre cura le spedizioni dei suoi vini ai clienti
    Francesca Fiasco mentre cura le spedizioni dei suoi vini ai clienti

    Francesca Fiasco ha esordito con la sua prima annata nel 2016 grazie al supporto dell’enologo Emiliano Falsini e, dopo le successive vendemmie e tanto impegno, comincia ad affiorare la filosofia produttiva ed una linea produttiva protesa al miglioramento.

    Dopo aver ereditato vigneti e passione dai nonni Francesca persegue l’ambizione di produrre vini di territori che sappiano narrare, con un certo filo edonistico ed estetico, la beltà cilentana con un tocco evidentemente femminile.

  • Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.

    Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.

    Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.

    Di Gaetano Cataldo

     

    Chimica, barrique nuove, enologo di grido ed espianto di viti storiche… più o meno questa l’equazione propinata attraverso l’evangelizzazione delle guide fino a ieri l’altro.

    Poi arriva lui fresco fresco, e come pochi a quei tempi, ha avuto la “presunzione” di appiccicare l’etichetta alla bottiglia che si faceva a casa per autoconsumo senza ricorrere alla consulenza tecnico-scientifica, con apprezzamenti immediati da parte del pubblico di consumatori e della critica, rendendo accattivante e provocatoria la bottiglia semplicemente facendo questo: citare in retro etichetta tutto quello che non si è mai sognato di mettere nel vino, cosa che oggigiorno è diventata più una cosa figa ed una faccenda di marketing che sana e genuina concretezza.Ah, nel frattempo ha restituito lo spirito contadino al vino irpino così come quasi non ce lo ricordavamo più e nobilitarlo come pochi.

     

    Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di '900.
    Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900, foto dal sito https://luigitecce.com/cantina-vini-vigneti/

    Luigi Tecce

    Lui è Luigi Tecce, classe del ’71. Non crede in Dio ma ad una prima occhiata pare sappia campare molto meglio di chi lo fa e vive i suoi tempi col distacco tipico di chi ha subito il fascino ed il successivo disincanto dai grandi ideali, facendolo da pragmatico e anche con una sottile vena da nostalgico sognatore, ma non ditelo a nessuno sennò finisce che perde la sua aria di strafottente.

    Dopo il diploma in ragioneria si iscrive subito alla facoltà di economia e commercio e, conquistato l’esonero militare, giusto per farvi capire che il tipino in questione già sapeva quel che voleva, abbandona subito l’università ottenendo il suo scopo.

    Nel mentre, come molti di noi in quegli anni d’altronde, vive quel momento storico in cui, dopo tangentopoli, sembrava fosse giunto il tempo per una grande ventata di innovazione e, col ’94, le prime elezioni fondate sull’onestà, assistendo invece alla frammentazione del Partito Comunista in tutt’altro e alla deflagrazione degli ideali della gioventù.

    Il 20 Marzo del ’97, con la morte del papà ha ereditato una fattoria tradizionale, ultimo embrione di una anarchia produttiva; di punto in bianco la responsabilità e la fatica di portare avanti le vacche da latte, i vitelli, gli ulivi, tutta sulle sue spalle e la determinazione amorevole di riqualificare la vigna ereditata e conferire all’inizio il vino alle aziende come ha sempre fatto la sua famiglia, preservandone una quantità per il suo consumo personale, negli anni in cui la critica enogastronomica era univoca semplicemente perché non era critica e non si faceva massa critica.

    Ogni anno però conferiva sempre meno, tenendo sempre più per sé, fino a decidere di diventare produttore nel 2003, anno ufficiale della prima annata.

    Luigi Tecce in vigna
    Luigi Tecce in vigna

    Occhio vispo, sorriso sornione e volto scarno, tipico di quei consumati pescatori che fanno di una piccola barca la loro repubblica indipendente, anche se si tiene ben lontano dal mare, Luigi ha l’aria di uno che la sa proprio lunga, più o meno, specie con quella parlantina svelta poi, mediante la quale probabilmente nasconde un animo molto sensibile e costantemente in bilico tra lo slancio narrativo e misurato di un vignaiolo e quell’esigenza di riserbo sulla sua singolare persona, forse sospettosa per qualche disavventura con dei suoi simili, e su di un’epoca spazio temporale remota di cui pretende di essere custode.

    Detesta il rumore e contempla il silenzio; dice di non avere un buon orecchio per la musica, ma andate a dirlo al suo amico Vinicio Capossela che lo aiuta a comporre i vestiti per le sue bottiglie e con il quale c’è questo traghettarsi vicendevole in un mondo onirico fatto di odissee moderne ed antiche credenze, un grande amore in forma chiusa per l’umanità e l’immagine del Mito che si cela nell’uomo comune, dervisci rotanti e chimere.

    Luigi ama di Capossela la trasversalità ed il suo essere spugna, eternamente curioso ed aperto alla vita, , ascolta con piacere la musica classica, il jazz, la musica folk di un certo livello e Fabrizio De André, anche per un retaggio ideologico di una vecchia sinistra ormai andata.

    La cantina di Luigi Tecce un vignaiolo colto e spontaneo
    La cantina di Luigi Tecce un vignaiolo colto e spontaneo

    Nel bene o nel male il vino è anche frutto degli umori, dei pensieri e delle emozioni di chi il vino lo fa e tutto ciò è paradigmatico nel suo Maman, dedicato a sua madre ed alla madre di Capossela: questa triangolazione di umanità immateriale dovette fondersi tutta quando Luigi ne imbottigliava l’unica edizione proprio mentre la mamma lasciava questa sonda terrena e la luce del suo bianco venne ricoperta da un velo di dolore e tristezza che molti scambiarono per difetto invece di un irrecuperabile pezzo di anima disciolto, tanto che decise venisse ritirato dal mercato.

    E questo a dimostrazione di quanto il vino vivo subisca, nel bene o nel male, gli effetti delle emozioni e dei sentimenti dell’uomo che lo fa.

    Agli esordi forse qualcuno dovette muovere qualche critica sul prezzo delle bottiglie probabilmente ma poi, quando arrivò a realizzare la fatica che serve a fare il vignaiolo e che i suoi vini non sono fatti per accontentare tutti, dovette ricredersi, inclusi i detrattori che urlarono allo scandalo nel 2011 per quelle innocue piantine di marijuana messe a dimora nel vigneto e che lo videro, naturalmente, scagionato da tutte le accuse. Luigi lavora bene tanto in vigna che in cantina, lo fa così bene che le bottiglie non gli vengono mai uguali e questo a dimostrazione che conosce il valore interpretativo di ogni singola vendemmia e come tirarlo fuori.

    Ecco forse perché non legge mai quello che scrivono su di lui e sui suoi vini. E speriamo che non cominci proprio adesso…

    I vini di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di '900.
    I vini di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.

    Intervista

    Qual è il tuo primissimo ricordo sul vino?

    Mio nonno Luigi, classe 1902, amava tantissimo il vino bianco dolce, insomma quello lambiccato fatto col cappuccio di canapa. Da piccolo andai in cantina con una tazzina da caffè, la riempii con quel nettare e mi ubriacai per la prima volta. Avevo 4 anni.
    Una frase che ti caratterizza…

    Il non fare secondo propria coscienza non è né prudente né legittimo.
    Persone che ti hanno ispirato?

    Proprio mio nonno Luigi. Avevo 11 anni quando se ne è andato ma mi è rimasta la sua impronta. I vecchi non sono necessariamente interessanti per via dell’età e quelli che hanno vissuto dopo di lui, andando avanti negli anni, sono appartenuti ad una storia recente, una storia dalla quale sono stati sopraffatti.

    Nonno Luigi invece sì che era un vecchio interessante: apparteneva ad una generazione di uomini millenari per il loro legame ad una grande storia passata, un tempo molto più lungo e profondo di quello che abbiamo vissuto dopo le prime decadi del ‘900.

    La Barricaia di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di '900.
    La Barricaia di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.

    Cosa ti piace leggere?

    Sono un amante della letteratura, della storia antica e della saggistica, anche se da quando pratico il mestiere del vino leggo un po’ meno. Flaubert, Herman Hesse, tutto Hemingway, Pavese e Svevo. Anche poesia: “I Fiori del Male” di Rimbaud, Neruda, Pedro Salinas e, di grande arricchimento per me, Charles Bukowsky. Il libro più importante per me resta sicuramente “Cristo si è Fermato ad Eboli”, poi “Il Rosso e il Nero” di Stendhal. Di John Fante adoro “La Confraternita dell’Uva”, costituisce per me il trionfo dell’uomo quotidiano contrapposto all’osannato uomo mito. Prima di ogni vendemmia leggo “Sparta e Atene. Il racconto di una guerra” di Sergio Valzania ma non chiedermi il perché.

    E del cinema che mi dici?

    Che per me è la seconda arte dopo la letteratura. Sono affascinato da questo componimento di letteratura visiva fatto di recitazione, sceneggiatura e regia. I film di e con Buster Keaton, i registi come Fellini, Ettore Scola, Vittorio De Sica, Sergio Leone, Stanley Kubrick, Akira Kurosawa e Pedro Almodovar non ti stanchi mai di vederli.
    Dammi tre titoli…
    Eh, tre titoli… complicato dartene solo tre. Facciamo “La corazzata Potëmkin”, “Quarto Potere” ed “Otto e Mezzo”.

    Ed una frase tratta dal cinema che avresti voluto pronunciare?

    Una carica di significato e per niente banale, quella di Alberto Sordi quando dice “Maccarone… m’hai provocato e io te distruggo, maccarone! Io me te magno!”.

    A proposito di mangiare, cosa ti piace abbinare ai tuoi vini?

    Intanto sappi che non condivido granché le rigide griglie degli abbinamenti, sono più per l’abbinamento anarchico all’inglese: “bevi quello che ti piace con quello che ti piace mangiare”. Amo decisamente gli abbinamenti storico culturali, questo perché sono loro a raccontarti dei luoghi e della tradizione di mettersi a tavola.

    Alle volte ci vuole un vino buono senza grande personalità e senza troppe distrazioni per vivere al meglio la convivialità ed il buon mangiare. Se proprio devo darti degli abbinamenti penserei ad un cosciotto di agnello cotto al fieno col Poliphemo, col Purosangue un brasato di vacca podolica e col Satirycon una grande lasagna alla napoletana.

    E col Maman?
    Il pane con la frittata oppure una zuppa di baccalà con qualche patata.
    Quando è che ci fai un altro bianco?

    Per il momento accontentati di un rosato: è il frutto di uve aglianico vendemmiate nel 2018 e vinificate in bianco 2018. La Cyclope, un rosé che ambisce al lunghissimo affinamento.

    Linea di demarcazione tra il Poliphemo ed il Purosangue?

    TAURASI POLIPHEMO Il Poliphemo é il simbolo del viaggio di Luigi Tecce, l’Ulisse della verde Irpinia che ha riscoperto i valori della campagna e dei vigenti di famiglia dando vita a un nettare di Bacco che stuzzica il palato in modo potente e progressivo.
    TAURASI POLIPHEMO
    Il Poliphemo é il simbolo del viaggio di Luigi Tecce, l’Ulisse della verde Irpinia che ha riscoperto i valori della campagna e dei vigenti di famiglia dando vita a un nettare di Bacco che stuzzica il palato in modo potente e progressivo.

    Semplicemente il Poliphemo è più anarchico e figlio di viti vecchie ed irrazionali, mentre il Purosangue è aristocratico e proviene da una vigna più moderna.
    Raccontami di qualche tua contraddizione….

    Mi viene in mente una frase di Oscar Wilde… “La buona società è una cosa necessaria: farne parte è solo una gran noia, ma esserne fuori è una tragedia”.

    IRPINIA CAMPI TAURASINI SATYRICON Il Satyricon passa 12 mesi in legno, sempre vecchio, salvo necessità di aggiungerne di nuovi per il ricambio naturale dovuto all’usura.
    IRPINIA CAMPI TAURASINI SATYRICON
    Il Satyricon passa 12 mesi in legno, sempre vecchio, salvo necessità di aggiungerne di nuovi per il ricambio naturale dovuto all’usura.

    Penso anche di avere la fortuna di provare la libertà indescrivibile che provano i vecchi di 90 anni nel dire ciò che vogliono dall’alto del loro vissuto ma facendolo con la sfrontatezza di un adolescente, senza essere fuori gioco, senza essere per forza oggetto di riverenza e senza essere fuori dal tempo.

     

     

     

     

     

    Un tuo hobby?

    A parte il mio mestiere, dei libri a me cari e del cinema di cui si è parlato prima nessuno. Avevo un grande legame con Ferruccio il mio cane, purtroppo è venuto a mancare lo scorso settembre. Ci ho rimuginato su parecchio ma oggi con me c’è un altro fedele amico: il piccolo Gino, mi segue sempre e sa già molto di me.

    Cosa suggerisci di bere ai lettori di Papillae.it?

    Suggerisco di bere qualsiasi tipologia di vino purché sia un vino fatto bene. Per imparare a bere però ed assumere una buona consapevolezza occorre metterci impegno, tempo ed energia fisica… con una certa autonomia di pensiero.

    Di Gaetano Cataldo


    Sito Cantina: https://luigitecce.com/cantina-vini-vigneti/

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

  • Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Di Gaetano Cataldo

     

    L’ostrica è un mollusco bivalve presente praticamente in tutti i mari, dove si riproduce e cresce liberamente; molti però sostengono, e a ragion veduta, che le migliori e più saporite ostriche non siano quelle selvatiche ma quelle di allevamento della costa francese che guarda all’Oceano Atlantico, verso il sud della Bretagna e nella regione del Merennes-Oléron anche se in realtà non mancano le eccellenze in diverse aree del Mar Mediterraneo e del mondo.

    L’ostricoltura è diffusissima principalmente in Cina, Corea del Sud e Giappone; si pensi che circa il 70% della produzione annua di ostriche giapponesi proviene dalla Baia di Hiroshima… qui le ostriche sono chiamate “Latte del Mare”, sono molto apprezzate per dimensione, tenerezza e gusto, e sono rinomate soprattutto per le condizioni in cui crescono: i nutrienti di ben sei fiumi discendenti dai monti del Chugoku, che si riversano nella baia, ed il conseguente blend tra acqua dolce ed acqua salata rende questa specie ittica davvero speciale; nella classifica mondiale troviamo la Francia al quarto posto, prima in Europa, poi l’Irlanda e la Spagna.

    Allevamento di Arcachon Basin di ostriche
    Allevamento di Arcachon Basin di ostriche

     

    Ostrica Concava, articolo Il Sake e le Ostriche 2022
    Ostrica Concava, articolo Il Sake e le Ostriche 2022

    L’ostrica concava del Pacifico, la Crassostrea Gigas, è la più coltivata al mondo, proviene dal Giappone ed è presente anche in altre aree di Oriente ed Estremo Oriente.

    L’ostrica concava viene selezionata da molti allevatori europei grazie alla sua crescita rapida ed alla sua adattabilità: infatti a causa della scomparsa dell’ostrica portoghese, la Crassotrea Angulata, verso gli anni ’70 ha trovato vasta diffusione sul Vecchio Continente assieme all’ostrica piatta, detta Ostrea Aedulis.

     

    Ostrica Piatta, articolo Il Sake e le Ostriche 2022
    Ostrica Piatta, articolo Il Sake e le Ostriche 2022

    Le due specie sono entrambe molto apprezzate dai consumatori di tutto il mondo anche se dal punto di vista gastronomico le ostriche piatte vengono ritenute più pregiate grazie alla morbida aromaticità e delicatezza della texture, mentre le ostriche concave o allungate sono generalmente più carnose e posseggono un sapore salmastro spiccato che le rende più persistenti.

     

    Per poter ottenere le larve di ostriche necessarie agli allevamenti, dette anche “naissain”, si provvede alla captazione del novellame in ambiente marino aperto, oppure selezionando gli esemplari adulti per l’avanotteria.

    Dagli stock di allevamento gli esemplari che avranno compiuto in media 18 mesi verranno prelevati per mezzo dei cosiddetti “plates”, piccole imbarcazioni dallo scafo e dalla chiglia piatta, portati fino alle aree adibite ad ostricoltura e disposti a seconda di come si intende allevarli.

    Al giorno d’oggi esistono diverse tecniche di allevamento come ad esempio quella a “poches”, ossia la disposizione delle giovani ostriche in sacche consistenti in piccole reti di plastica, a loro volta disposte su tavole di metallo o a sparse al suolo di modo però che siano esposte alla risacca del mare, sacche che dovranno essere periodicamente rivoltate per garantire la crescita regolare di questi frutti di mare ed assicurare loro buone condizioni di vita ed un’ottimale circolazione dell’acqua di mare.

    Il modello di ostricoltura cambia nella laguna mediterranea, ne sono un esempio lo stagno di Leucate e lo stagno di Thau, dove l’allevamento è verticale vista la scarsa escursione di marea e le ostriche vengono ancorate a corde vegetali a tre legnoli, oppure a corde sintetiche di nylon, piuttosto che a tavole di legno di mangrovia, ma sempre ad immersione permanente e con crescita più rapida rispetto agli esemplari allevati in Nord Europa.

    Allevamento di ostriche, Oyster farm Azienda Agricola Costa Mare
    Allevamento di ostriche, Oyster farm Azienda Agricola Costa Mare

    Dopo la fase di pre-ingrasso ed ingrasso durante l’allevamento le ostriche passano alla rifinitura in apposite vasche o bacini di decantazione perché possano espellere melma e sabbia, dove talvolta degli iniettori di ossigeno aiutano a far affiorare i batteri nocivi in forma di schiuma facilmente eliminabile.

    Caratteristici della Charente Marittima e della Vandea i bacini d’argilla alimentati da una miscela di acqua di mare e d’acqua dolce, detti “claires”, conferiscono alle ostriche un gusto particolare ed il tipico colore da “verdissement”.

    Per quanto si suppone che l’ostricoltura sia stata avviata per prima dal popolo cinese non ci sono tracce evidenti e sufficientemente attendibili a dimostrarlo mentre, come la storia dimostra, questa pratica dell’acquacoltura pare più evidente essere stata inventata dagli Antichi Romani ed avviata persino nell’antica Albione da cui partivano cospicui carichi per Roma, tanto gli antichi latini ne andavano ghiotti e le reputassero indispensabili per la migliore riuscita di un banchetto:

    Vassoio di ostriche
    Vassoio di ostriche articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    fu così che da piatto povero, sotto Nerone, le ostriche divennero un piatto estremamente prelibato ed alla moda, tanto più che quelle provenienti dal Canale della Manica erano decisamente diverse rispetto a quelle che si raccoglievano lungo le coste della penisola italica, dell’Egitto e dell’Antica Grecia, ove il delizioso frutto di mare era considerato sì un cibo prelibato ma alla portata di tutti:

    d’altronde il termine ostracismo, la pratica di votare o meno a favore l’esilio per un cittadino, si compiva proprio trascrivendo tale scelta su di una conchiglia di ostrica.

     

    Naturalmente, per quanto le notizie scarseggino o non vengano valutate alcune fonti, le ostriche hanno costituito per millenni un cibo fondamentale per l’alimentazione umana grazie alla loro reperibilità e semplicità di consumo, tanto nell’area mediterranea quanto in Cina ed in Giappone: l’allevamento delle ostriche risale ad epoche remote e la singolarità dell’ostricoltura nel Sol Levante consisteva nell’impiegare rocce e canne di bambù a cui i bivalvi si attaccavano molto agevolmente.

    Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato
    Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Tra le ostriche piatte più famose vanno menzionate le Ostriche Belon, dalla tipica forma tondeggiante e dal gusto delicato, chiamate così perché un tempo venivano affinate esclusivamente sulle rive del fiume Belon in Bretagna, e le Ostriche Marenne, dal tipicissimo color verde acqua dovuto ad un’alga chiamata navicula blu che ne rilascia il colore… assieme all’Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato.

    Il recipiente più antico per bere il sake è la sakazuki, una coppa dall’apertura molto ampia fatta in terracotta o porcellana, finemente laccata e decorata, oggi disponibile sia in vetro che in oro o argento, in realtà però ne esisteva un altro ancora più vetusto e fornito dalla natura stessa: le conchiglie di ostrica.

    In realtà la sintonia tra questi frutti di mare ed il nihonshu non si limita soltanto all’antica consuetudine di sfruttare la concavità dei loro gusci per favorirne la mescita: se è vero che il sake non litiga mai col cibo addirittura con le ostriche ci fa l’amore!

    Ostriche Belon
    Ostriche Belon

    Le ostriche consumate crude ed il sake artigianale giapponese vivono un rapporto simbiotico che nessuna altra bevanda riesce a vantare, i due elementi hanno infatti delle caratteristiche simili che derivano dalla salinità, dalla tendenza dolce, dalla texture setosa e dalla cremosità che rendono entrambi compagni per la vita e per la gioia a tavola, ma c’è di più: l’umami!

    L’umami è la quintessenza del pairing tra ostriche e nihonshu

    Costituisce il quinto gusto, quello che aiuta a bilanciare e migliorare gli altri quattro, ossia il salato, l’acido, l’amaro ed il dolce, traducendo appieno il sapore degli aminoacidi e nello specifico di glutammato, inosinato e guanilato… e guarda caso l’ostrica è tra i cibi più ricchi in natura di glutammato e di inosinato.

    Ecco dunque spiegato attraverso queste straordinarie affinità elettive, di cui Madre Natura ha voluto dotare entrambi gli elementi, il perché bere sake e mangiare ostriche costituisce un abbinamento armonico perfetto. Si noti che, rispetto alla birra o al vino, il sake contiene mediamente una quantità di acido glutammico anche 20 volte superiore.

    Ostriche e Sake di vario tipo e provenienza 2022
    Ostriche e Sake di vario tipo e provenienza 2022

    Ovviamente esistono delle prerogative che nell’abbinamento già congeniale tra ostrica e sake di per sé possono rendere il matrimonio ancora più felice…

    Per quanto riguarda il frutto di mare terremo in considerazione quindi non soltanto la tipologia ma anche la provenienza, il rapporto tra acqua dolce ed acqua salata, la rifinitura, la modalità di apertura, il profumo, la consistenza e le caratteristiche gusto-olfattive.

     

    Per quanto attiene al sake occorrerà fare invece attenzione all’umami, alla sapidità ed alla tendenza dolce: che il primo non superi quello dell’ostrica e che la seconda non sia particolarmente presente quando è già contenuta nel bivalve che, al contrario, se avesse una spiccata tendenza dolce potrà in questo caso giovarsi della sapidità di un otoko-zake.

    Dunque la percezione di quanto queste caratteristiche comuni siano intense è fondamentale tanto quanto la persistenza aromatica dei due elementi in abbinamento ed il nihonshudo del fermentato giapponese: infatti un’ostrica dalle carni sode e dal gusto deciso vorrà un sake dal sapore più deciso e con una struttura più consistente, mentre un frutto di mare più delicato avrà bisogno di un sake satinato e gentile.

     

    Ostriche di vario tipo e provenienza
    Ostriche di vario tipo e provenienza, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Alcuni esempi?Abbinamenti

    L’Ostra Regal viene direttamente dall’Irlanda: trascorre i primi due anni di vita nella parte nord dell’isola, dove si nutre di fitoplancton, poi viene trasferita al sud presso la foce del fiume Snaney, dove le acque dolci ne completano l’affinamento. Un’ostrica dalla spiccata tendenza dolce con una consistenza tattile cremosa ed un finale di raffinata sapidità.

    Un Junmai delicato ma con un carattere salino per tener testa alla prevalente tendenza dolce del bivalve. Si potrebbe persino azzardare con un cremoso e raffinato Junmai Daiginjo, stravolgendo le regole per un’esperienza sensoriale intrigante ed in sintonia con la texture dell’ostrica.

    L’Ostrica Tsarskaya viene allevate a Cancale nella Bretagna Settentrionale, precisamente nelle aree di Park St. Kerber e della Baia di Mont St. Michel. Il gusto di questa varietà dal profumo iodato è ricco ed equilibrato al tempo stesso, il frutto è setoso e consistente con un gusto salino, una lieve nota di nocciola ed una bilanciata tendenza dolce.

    Si abbina con piacevolmente con un Junmai Ginjo con una sbramatura del chicco attorno al 50% che conservi una buona nota cerealicola e che sia di grande equilibrio tra morbidezza, freschezza, sapidità ed umami. Ed uno sparkling sake? Perché no?

    Ostrica Tarbouriech del Delta del Fiume Po
    Ostrica Tarbouriech del Delta del Fiume Po

    L’Ostrica Tarbouriech, di quelle proveniente dall’Emilia Romagna però e precisamente dalla Sacca degli Scandinavi, presso il delta del fiume Po:

    è raffinata a partire già dall’aspetto, con quelle sue nuances rosa, si presenta all’olfatto con note salmastre e vegetali, mentre all’assaggio è consistente, succulenta e con una persistenza che orbita attorno a note vegetali sia marine che di sottobosco.

     

    Un Junmai Ginjo affilato ed asciutto, capace di arginare la succulenza del frutto di mare e che ne raggiunga in persistenza le stesse vette.

     

    Ostrica del Calvados
    Ostrica del Calvados

    L’Ostrica del Calvados è praticamente l’ostrica allevata più a Nord di tutta la Francia ed è stata premiata diverse volte nella categoria ostriche normanne.

    Essa cresce proprio nella patria del famoso distillato di mele, ossia nel dipartimento di Calvados, precisamente nella Côte de Nacre, nei paesi di Asnelles e Meuvaines. È un’ostrica molto singolare in quanto riconoscibilissima grazie al suo guscio estremamente bianco, grazie alla limpidezza delle acque da cui proviene, e soprattutto per il suo sapore tendente all’aglio.

    Le durezze e la nota iodata di questo frutto di mare, assieme al alla nota agliata, vorrebbero un sake morbido, persistente e con una buona nota umami.

    Un Koshu Sake, prodotto con metodo Kimoto e magari invecchiato in grotta, sarebbe un abbinamento davvero piacevole.

    L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell'ostricoltura in Sardegna
    L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricoltura in Sardegna

    L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricoltura in Sardegna: viene allevata a ciclo completo, ossia a partire dal seme, nella laguna di San Teodoro in provincia di Nuoro.

    La conchiglia è tendenzialmente omogenea ed a forma di goccia, mentre il frutto è copioso e croccante, con note gusto-olfattive iodate ma con tendenza dolce, sentori vegetali e di frutta secca.

    Un Tokubetsu Junmai fragrante, dai toni sia fruttati che erbacei magari.

     

    L’Ostrica della Baia Hiroshima: immaginate questi esemplari di gran calibro arrivare alla vostra tavola direttamente dal kakifune, letteralmente barca delle ostriche. Preparate con la caratteristica ricetta kaki nabe, con porri, funghi e tofu, meritano certamente un Genshu Junmai, ma anche un Tokubetsu Junmai ci starebbe alla grande. Ci sono tra i Junmai dei veri e propri fuoriclasse che con le loro note burrose e boschive creerebbero comunque un match ad alto impatto emotivo e gustativo però.

    Ostriche classiche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro 5
    Ostriche classiche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro 5

    Le ostriche, diversamente da quelle allevate che sono state modificate geneticamente e rese sterili, vedono il miglior consumo nel mese di gennaio ed anche in altri periodo dell’anno, eccetto che da maggio ad agosto, epoca di riproduzione, poiché in questa fase diventano più molli, lattiginose, meno saporite e soprattutto più deperibili.

    Le ostriche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro: dal 5 allo 0, rispettivamente dalle più piccole e dal peso di 30-45 fino alle più grosse che arrivano a superare i 150 grammi.

     

    Inoltre, in base all’affinamento, si suddividono così come segue:

    Fines: affinate in mare aperto per almeno 1 mese con densità di 20 ostriche per metro quadro.
    Speciales: affinate per almeno 2 mesi in mare aperto con densità di 10 ostriche per metro quadro.
    Pousse: se affinate per 4-8 mesi in mare aperto con densità di 5 ostriche per metro quadro.
    De Claires: affinate in bacini di acqua dolce poco profondi e argillosi, i claires appunto.
    Vert: affinate in presenza della microalga navicula blu, come menzionato in precedenza.

    Ostriche e Sake un abbinamento intrigante
    Ostriche e Sake un abbinamento intrigante, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Composizione

    Le ostriche sono composte d’acqua per l’85% circa, apportano 40 kilocalorie di proteine, 21 di carboidrati ed 8 di grassi per ogni etto e costituiscono una miniera ricchissima di sali minerali quali ferro, fosforo, potassio, rame, sodio e zinco, oltre che di vitamina B12, e sono considerate un alimento afrodisiaco per una ragione specifica: favoriscono lo sviluppo degli spermatozoi, fanno bene all’amore e pertanto è meglio tenere sempre una bottiglia di sake a portata di mano in camera da letto, assieme alle ostriche e ad una sana inventiva perché, afrodisiaco o non afrodisiaco, è il pensiero quello che conta.

    Di Gaetano Cataldo


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  • Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?

    Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?

    Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?

    Di Olfa Haniche

    Ho avuto il piacere di incontrare Laurent Ternynck e sua moglie Marie – Noëlle a Parigi durante il Wine Paris.

    Un mio carissimo amico che conosce bene il mio approccio diffidente verso i vini Naturali / Biodinamici (soprattutto per certe appellations), mi consigliò di andare ad assaggiare i loro vini dicendomi semplicemente che ne valeva la pena.

    Marronniers Mauperthuis Vignes, articolo Figli d’arte nel vino… Si o No? Domaine Ternynck 2022
    Marronniers Mauperthuis Vignes, articolo Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?

    Grata per questo prezioso consiglio mi avvio al padiglione della Borgogna piena di curiosità ed aspettative, anche se non avendo appuntamento temevo già di ricevere poca considerazione… Ma così non è stato, Laurent mi riceve con un incoraggiante sorriso e mi fa accomodare per iniziare la degustazione senza troppe chiacchiere, un uomo pratico, competente e con tutto il suo focus sui vini (di solito ti fanno il terzo grado sul chi sei, cosa vuoi e in do vai ).

    Cominciamo con uno Petit Chablis 2020 di un bel giallo oro brillante, mentre ne godo i profumi fruttati e minerali Laurent ribadisce che tutti i suoi vini sono Biologici e Biodinamici, a questa affermazione il mio naso insiste a cercare puzze e difetti ma non ne trova.

    Degustazione

    Petit Chablis Bottiglia Domaine Ternynck
    Petit Chablis Bottiglia Domaine Ternynck

    Il Petit Chablis di Laurent è pulito, si apre ancora regalando sentori di albicocca polposa ed un piacevole finale agrumato. Al palato spicca la freschezza che fa salivare invitando ad un nuovo sorso che mi fa gustare una buona sapidità. Un vino fine senza eccessiva struttura, il che lo rende ancor più apprezzato per una quotidianità ed abbinamenti non troppo impegnativi.

    Si passa al Premier Cru Côte de Jouan, nel calice un luminoso giallo oro con una bella intensità che mi fa presagire una notevole complessità che in effetti non tarda a manifestarsi all’olfatto: Profumi di roccia bagnata, sambuco, nocciola ed un lieve accenno di vaniglia mi confermano il suo importante affinamento in botti di varie dimensioni (da 132l a 400l).

    Al palato è rotondo, equilibrato con una bella armonia tra le sue durezze e morbidezze. Un vino elegante che chiude con note di caramello ed una notevole lunghezza.

    Figli d’arte nel vino… Si o No? Domaine Ternynck 2022
    Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?, alcuni vini della gamma produttiva

    Laurent mi chiede se voglio continuare con i bianchi o se passiamo ai rossi dei quali vorrebbe con entusiasmo farmi conoscere un paio fatti in anfora nel villaggio di Irancy, ma in realtà assaggiati i primi due vini volevo saperne di più, no solo sui loro vini, ma su di loro come vignerons. Gli chiedo quindi la loro storia aspettandomi le solite “il mio bisnonno ha iniziato nel 1800 e rotti… di padre in figlio ect ect…”, ed invece no!

    Con uno sguardo carico di emozione guarda la moglie, impegnata in un’altra degustazione al tavolo accanto, e mi dice che più di 20 anni fa all’età di 25 anni, finiti gli studi di contabilità si lanciò nel mondo del vino per pura passione piantando le sue prime vigne, 3 anni dopo produce il suo primo vino che commercializza già l’anno successivo. 5 anni dopo anche Marie-Noëlle lascia la sua boutique a Parigi per raggiungerlo in Borgogna.

    Oltre a sposare lui sposa anche le vigne ed insieme crescono quello che è adesso Domaine Ternynck. Niente nonni quindi  e genitori che ti lasciano una storia secolare da mandare avanti.

    Intervista a Laurent e Marie Noëlle

    Qui la storia se la sono fatta con le proprie mani. Sempre più intrigata da questi personaggi, gli chiedo se secondo lui è più facile diventare vigneron avendo alle spalle generazioni di famiglia produttori di vino, ovvero, se pensa che sia più difficile in questo settore scrivere su una pagina totalmente bianca come hanno fatto loro?

    Mi risponde convinto che per loro è stato un bene il fatto di non avere famiglie e storie precedenti sulle quali appoggiarsi, ma anche paragonarsi e ahimè, misurarsi…
    Da soli forse ci è stato più facile crescere sempre di più, abbiamo cominciato da zero e adesso ci stiamo specializzando nei vini naturali con sempre più voglia di fare qualità eccellente rispettando il nostro terroir e la natura.

    Uva sana del Domaine Ternynck
    Uva sana del Domaine Ternynck

    Mentre riflettevo sul fatto che mi spiegavo perfettamente l’entusiasmo e la passione di questa coppia che li ha spinti a non accontentarsi di appartenere ad una regione chiamata Borgogna adagiandosi nel produrre vini Chablis e via, tanto meno si sono fatti intimorire dal fatto di non avere bisnonni vignerons proprietari terreni da secoli…

    D’altronde se non si è “Brave” come lo sono loro, la scelta di vita che hanno fatto neanche ti passa per il cervello, Laurent si scusa dicendomi che è arrivato il suo cliente con appuntamento e che mi aspettava più tardi per continuare con i rossi.

    Lascio lo stand con dispiacere ma anche con un paio di consapevolezze: non ci sarò tornata quel pomeriggio perché a mia volta avevo un paio di appuntamenti prima di andare in aeroporto, e soprattutto, che quei vini e questa coppia mi avevano lasciato una bella traccia, un misto di ammirazione e certezza che avrei trovato il modo di assaggiare i famosi vini rossi di Irancy!

    Marie-Noëlle et Laurent Ternynck
    Marie-Noëlle et Laurent Ternynck, articolo di Olfa Haniche Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?

    Giugno scorso dovevo organizzare una degustazione di Chablis con il tema affinamento acciao vs legno…Non c’ho pensato due volte: “Allo! Laurent, ti ricordi di me? Sono Olfa la sommelière italiana… ci siamo incontrati al Wine Paris, ho bisogno dei tuoi Chablis e magari se puoi fare un salto qui a Firenze!” …
    ” Ma certo Olfa che mi ricordo di te!!!….”

    E niente, la degustazione è stata assolutamente fantastica, non solo perché guidata maestosamente dal collega Davide d’Alterio dell’Enoteca Pinchiorri Firenze, ma anche perché al mio invito a Laurent di prendere un aereo e venire a Firenze a farsi conoscere da noi non ha esitato neanche un secondo.

    La passione è sempre il faro illuminante del meraviglioso percorso di queste rarissime persone che seguono il cuore in tutto quello che fanno.Ascoltare Laurent raccontare la sua relativamente recente ma intensa storia spiegando i suoi obiettivi al nostro pubblico è stata una vera soddisfazione.

    Degustazione con Laurent Ternynck e Davide d'Alterio dell'Enoteca Pinchiorri Firenze, organizzata da Olfa Haniche
    Degustazione con Laurent Ternynck e Davide d’Alterio dell’Enoteca Pinchiorri Firenze, organizzata da Olfa Haniche

    Ho cercato di ricambiare la gentilezza e considerazione da parte di Laurent andando di persona a Luglio a trovarli, spinta anche dalla mia di passione e della curiosità di quei vini rossi mancati a Parigi. Arrivo nel domaine e lo trovo che mi aspetta con stivali fangosi ed il solito sorriso incoraggiante.

    Non perde tempo neanche sta volta, mi fa visitare personalmente la sua bellissima tenuta,mi spiega le sue tecniche di affinamento, le sue anfore e parla di nuovi progetti eco sostenibili per le loro vigne: Sta infatti introducendo la selvicoltura nei vigneti per apportare ombra alle viti, ma anche per creare una rete di micorrize che aiuta le piante a comunicare tra loro ed assimilare gli elementi minerali della piante. Quest’uomo non si ferma mai!

    Irancy Bottiglia Domaine Ternynck
    Irancy Bottiglia Domaine Ternynck

    Ci raggiunge Marie – Noëlle e andiamo nella cave sotterranea ad assaggiare finalmente l’Irancy:
    Vino prodotto nel villaggio di Irancy nel Auxerrois, un altopiano vicino al fiume Yonne che scorre ai piedi dei vigneti esposti a sud, con spesso forti pendenze. Blend di Pinot nero e César, si dice vitigno portato dai romani ( Ave Cesare!).

    Nel calice color porpora con riflessi granati, sprigiona intensi profumi fruttati di cassis, mora e ciliegia matura ma dona un finale speziato grazie a questo singolare vitigno che da struttura e spalla tannica al Pinot nero. In bocca una bella armonia tra acidità e tannino integrato da una parte, morbidezza vellutata ed elegante dall’altra. Finale fruttato con una buona persistenza, una gran bella scoperta!

    Irancy Mazelot Bottiglia Domaine Ternynck
    Irancy Mazelot Bottiglia Domaine Ternynck

    Si passa a Irancy Mazelot: Vino prodotto da un’unica parcella (Cru) di vecchie vigne dove predomina la singolare geologia del terroir risalente al Kimmeridgiano, 100% Pinot Nero, di color porpora intenso e luminoso, al naso sprigiona intensi e molto piacevoli profumi fruttarti ma anche il floreale di violette ed un bel finale di chiodi di garofano, una travolgente complessità.

    Al palato è pulito con tannini setosi ed una bella struttura.

    Un gran bel vino…

    Irancy Mazelot: Vino prodotto da un'unica parcella (Cru) di vecchie vigne
    Irancy Mazelot: Vino prodotto da un’unica parcella (Cru) di vecchie vigne

    Ero più che soddisfatta e grata, ma il meglio doveva ancora arrivare in quanto Marie – Noëlle aveva già fissato la nostra cena in uno dei più tradizionali ristoranti; Le Mafoux Chablis, dove non solo mi sono gustata le buonissime “Escargots à la Chablisienne” ma ho avuto l’abbinamento più azzeccato provato fin’ora: Chablis Amphore 2018.

    Se mi avessero un giorno detto che un vino in anfora mi avrebbe lasciato senza parole avrei inteso tutto un altro senso della frase…invece le parole mancano perché c’è posto solo per l’emozione.

    Non avrei potuto chiudere meglio la giornata, avevo ancora da fare 300km per essere al mio appuntamento nel Beaujolais il giorno dopo… ma non avevo fretta, avevo tutta la notte ancora per guidare ripassando ogni singola emozione che mi hanno trasmesso questi vini.

    Figli d’arte nel vino… Si o No? Domaine Ternynck 2022
    Domaine Ternynck 2022…Figli d’arte nel vino…Si o no?

     

    Conclusione e riflessione emozionale

    Prima di salutarvi torniamo insieme al titolo dell’articolo; Figli d’arte nel vino, Si o No? Personalmente la penso come Laurent, il farsi da soli può essere più difficile inizialmente e ci vuole più tempo ma si ha un’energia, una voglia di farcela ed una libertà di azione tali da ritenere questo status una benedizione…

    E voi cosa ne pensate?

    Di Olfa Haniche

    Olfa Haniche sommelier Ais e lavoro come export manager per alcuni produttori italiani e come consulente commerciale per i vini esteri sul mercato italiano
    Olfa Haniche sommelier Ais e lavoro come export manager per alcuni produttori italiani e come consulente commerciale per i vini esteri sul mercato italiano

    Sito Maison: https://ternynck.com/

    Partner: https://carol-agostini.tumblr.com/ https://www.foodandwineangels.com/