The Official WineHunter Guide 2022 – 2023
La guida ufficiale firmata da The WineHunter, che racchiude tutte le eccellenze selezionate durante l’anno.
Redazione
La presentazione ufficiale della guida firmata The WineHunter, una rassegna di tutte le eccellenze selezionate da The WineHunter Helmuth Koecher e le commissioni d’assaggio da lui designate, i The WineHunter Scouts.
Nella splendida cornice della Terrazza Martini a Milano, la presentazione ufficiale della Guida The WineHunter, già presentata in anteprima alla 31° Edizione del Merano WineFestival.
Una guida frutto del lavoro di un anno da parte di Helmuth Koecher e dalle commissioni d’assaggio, i The WineHunter Scouts, che hanno degustato e selezionato quei prodotti che più rappresentano la filosofia The WineHunter “Excellence is an attitude”!
Non solo una guida ma un vero e proprio viaggio tra le regioni italiane, dove si raccontano i territori più vocati alla produzione di vino e di prodotti gastronomici di qualità.
La suddivisione in regioni permette di scoprire, passo dopo passo, i prodotti selezionati, da quelli vitivinicoli ai prodotti gastronomici, fino ai distillati e alle birre artigianali, ma anche quali sono le peculiarità dei vari territori della nostra penisola.
Novità di quest’anno è l’inserimento in Guida di “Itinerari Miscelati”, un percorso che porta alla scoperta dei locali, incentrati sull’attività di mixology per drink e cocktail, selezionati da The WineHunter attraverso l’annuale competition che vede sfidarsi i migliori bartender italiani.
Si troveranno i locali premiati con i The WineHunter Globe Rosso, The WineHunter Globe Gold e The WineHunter Globe Platinum, la massima espressione d’eccellenza nell’ambito della miscelazione di cocktail e drink. Itinerari Miscelati è un progetto in partnership con 5-Hats studiato per le aziende spirits presenti nella Guida.
Una Guida rappresentativa per la filosofia The WineHunter che ha l’obiettivo non solo di valorizzare i prodotti a livello nazionale, ma e soprattutto a livello internazionale, grazie alle nuove figure introdotto nel 2022, i The WineHunter Ambassador.
5-Hats è anche il Partner del servizio “Buyering&Financial” che coinvolge oltre agli Ambassador anche buyers e importatori da tutto il mondo che hanno sposato la filosofia di Helmuth Koecher per la selezione e la valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche. I The WineHunter Ambassador si fanno ambasciatori per il brand The WineHunter, veicolandolo attraverso i mercati internazionali di loro competenze per commercializzare e promuovere i produttori in Guida.
La Guida sarà presentata ufficialmente martedì 6 dicembre 2022 ad un evento esclusivo organizzato nella splendida location della Terrazza Martini di Milano.
L’evento verrà ripreso e trasmesso in streaming sul canale Facebook di Merano WineFestival dalle ore 15:30 di martedì 6 dicembre 2022.
Vi invitiamo a seguirci e ricordiamo che dal 7 dicembre sarà possibile acquistare la Guida attraverso i nostri canali.
SAVE THE DATE
THE WINEHUNTER GUIDE EVENT 2022
Martedì 6 dicembre 2022
Terrazza Martini – Milano
Helmuth Köcher presenta
la Guida The WineHunter Award 2022 con le sue novità
interviene inoltre:
Andrea Pilotti (Amministratore 5Hats)chepresenta le novità “Ambassador” e il nuovo format 2023 relativo al progetto “Buyering&Financial” in collaborazione con The WineHunter
PROGRAMMA:
Ore 15:00 – Accredito
Ora 15:30 – Conferenza Stampa post Merano WineFestival e Wine&Siena
Ore 16:00-18:30 – The WineHunter Guide Event 2022
Ore 18:30-19:45 – Cocktail e Serendipity
Azienda Agricola Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine
Quella che vi stiamo per raccontare è la storia di Riccardo Del Frate, un giovane Produttore del Comune di Lanuvio, nel cuore dei Castelli Romani, con una lunga storia vitivinicola alle spalle che ha saputo coltivare nel tempo partendo da molto lontano, dal suo trisavolo che faceva proprio questo mestiere.
Giunto alla quinta generazione, Riccardo più che un mestiere lo definisce un progetto personale che, seguendo le orme del suo antenato, ha inizio non da subito, ma strada facendo.
Girando un po’ il mondo prima di mettere radici, ha iniziato in Svizzera con l’incarico di Chef de partie nelle migliori cucine dei ristoranti a 5 stelle, ma la mente era sempre lì tra quei filari.
Il padre non voleva che facesse il mestiere del vignaiolo, era l’epoca in cui tutti abbandonavano i vigneti e quindi non pensava che potesse essere per il figlio un buon lavoro per vivere.
Poi dal 2009 al 2016 inizia a lavorare in pasticceria facendo sia il pasticcere sia il vignaiolo.
Con la sua caparbietà di portare avanti un sogno, quello del vignaiolo, lascia tutto per dedicarsi ai suoi filari e nel 2016 esce la sua prima annata.
Ad oggi cura tutti i suoi vigneti personalmente fino alle fasi di produzione e alla gestione diretta, nella maggior parte dei casi, dei suoi clienti. “Quando sono clienti nuovi vado io, voglio conoscere bene il mio cliente e farmi conoscere, spiegando la mia azienda e i miei prodotti. E poi voglio sapere dove va a finire il mio vino”.
Con la sua filosofia ribelle non vuole l’enologo, per cui in azienda c’è solo il grande Cantiniere Stefano Pinci che lo aiuta nelle sue innumerevoli sperimentazioni. “Non sono contro la figura dell’enologo, è solo che poi si parla più del vino dell’enologo rispetto al vino del vignaiolo”.
L’amore e la passione sono le caratteristiche di questo ragazzo di 34 anni che fa del suo lavoro una missione, non si annoia, piace e si vede.
I VIGNETI DI FAMIGLIA: Primo vigneto
Visitiamo la prima parte del vigneto, uno dei sette appezzamenti tutti collocati nello stesso Comune, ma a diverse distanze e con caratteristiche pedo-climatiche differenti.
Sono 8,5 ettari che fanno parte dell’azienda del trisavolo che a suo tempo produceva vino e lo vendeva sfuso come da tradizione in questo territorio.
Riccardo ci racconta che, da alcuni dati storici in possesso della Famiglia, la costituzione dell’azienda dovrebbe risalire alla fine dell’800. Poi con i due conflitti bellici si sono persi tutti i possedimenti, ripartendo poi nel dopoguerra con il nonno e il papà.
Fino agli inizi del 2000 si parla di una superficie di circa 5 ettari, conferendo una parte delle uve alle Cantine e la restante parte vinificata e venduta come vino sfuso in quella che era all’epoca, su quel terreno, una fraschetta di proprietà. “Si vende ancora oggi il vino sfuso mantenendo le tradizioni perché certe cose non si riescono a sradicare” .
Nel 2009 il nonno divide l’azienda tra i tre figli e al papà spettano i 2,5 ettari in affitto. A questo punto subentra Riccardo nel recupero e nella gestione dei vigneti, ripartendo proprio da questi pochi ettari, fino al 2018, anno in cui acquista di nuovo tutti i terreni che erano appartenuti al suo trisavolo.
Ad oggi sono 11 gli ettari di proprietà, certificati Bio, più 4 in affitto recuperati dall’abbandono, che vanno dai 110 ai 264 metri slm., coltivati su suolo vulcanico, a 15 km dal mare con una costante ventilazione.
PRATICHE IN VIGNA
Tra i filari, ad alternanza ogni anno, viene lavorato il terreno e messo a dimora il favino, una pianta che prende l’azoto dall’atmosfera e lo trasferisce nel terreno arricchendolo.
Il residuo delle potature viene utilizzato come compost e, dato il clima, viene fatto anche l’inerbimento per trattenere l’umidità nel terreno.
I vitigni recuperati dal 2009 fino al 2014 e i nuovi impianti sono: Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano, Malvasia Puntinata o del Lazio, Moscato giallo, Grechetto e Vermentino. Per i rossi: Merlot, Montepulciano, Sangiovese e Cesanese. Quattro le etichette prodotte di cui due bianchi, un rosso e un rosato.
Le rese sono tra 90/110 q/h. e vengono prodotte circa 10.000 bottiglie l’anno.
Nel 2009 ha inizio la prima vinificazione, facendo seguito sei anni di prove per poi uscire con la prima etichetta nel 2016 valorizzando e prediligendo gli allora vitigni autoctoni in possesso, ovvero la Malvasia di Candia e il Trebbiano Toscano, al contrario di ciò che gli era stato suggerito cioè espiantare la vecchia vigna del ’73 e piantare a filare uno Chardonnay.
Notiamo la particolarità dei filari misti, di tante varietà insieme come era una volta l’usanza.
Le lavorazioni in vigna sono tutte manuali tranne quelle del terreno, quindi dalla potatura alla raccolta è tutto a mano e questo consente nel periodo primaverile, quando insorgono le malattie della vite, durante la potatura verde, di osservare meglio e da vicino lo stato sanitario delle uve.
Quindi i trattamenti di zolfo e rame non vengono dati più a cadenza come una volta ma solo se servono. “Mi sento un custode del territorio, io sono molto attaccato al territorio”.
UN’ETICHETTA PER OGNI SUOLO
Ogni etichetta proviene da diversi appezzamenti con differenti esposizioni e altitudini, soprattutto con il terreno vulcanico che cambia colore tra un fazzoletto e l’altro.
Riccardo ci incuriosisce dicendoci che su 10.000 metri ci sono tre lingue di terra differenti.
Qui, in questo primo appezzamento, troviamo prettamente suolo vulcanico non troppo scuro, marrone rossastro.
Il “Metella” ad esempio, composto da Trebbiano in purezza, viene da questa prima porzione di terreno vulcanico, allevato a tendoni e piantato nel 1973.
Dalle parole di Riccardo “ho mantenuto i tradizionali tendoni perché non è vero che così facendo non si fa qualità, tanto dipende dalla potatura. Con il cambiamento climatico utilizzare il tendone è più salutare per le uve bianche, un riparo dal sole che consente di preservare la parte aromatica”.
Qual è l’etichetta che più ti rappresenta?
“Vallefiara perché è il primogenito, è un altro appezzamento che si trova sotto Lanuvio e l’unico che è rimasto a noi dal trisavolo ininterrottamente a differenza degli altri che invece sono stati persi e poi ripresi. Ha un valore soprattutto affettivo, diverso”.
ALLA SCOPERTA DEI TANTI FAZZOLETTI DI TERRA
Ci spostiamo in un’altra porzione dove i filari, piantati più stretti, sono studiati per essere lavorati orizzontalmente anziché seguire in verticale il pendio in discesa. Qui non c’è l’alternanza delle erbe spontanee perché la vigna è più giovane, risalente al 2021, quindi lavorata più spesso.
In questa parte di natura, c’è un ettaro di vigneto nuovo, insieme ad un altro ettaro risalente al ’92 e mezzo ettaro di uliveto in fondo ai vigneti presi in affitto da Riccardo nel 2014.
Troviamo il terreno spaccato perché non piove da settimane. Più scendiamo a valle più il terreno cambia colore.
Ci incuriosisce tantissimo la presenza di tre differenti suoli: in alto, il primo più scuro, più nero argilloso; scendendo il secondo a metà è sabbioso/pozzolanico con una consistenza molto diversa; il terzo, a fondovalle, un suolo di nuovo più scuro e ricco di sostanze organiche.
Ogni lingua di terra ha delle caratteristiche uniche e in pochi metri cambia la consistenza, il colore e la composizione del suolo. Quindi abbiamo lo stesso vitigno coltivato in diverse parcelle con differenti caratteristiche pedo-climatiche che danno vini diversi.
In definitiva, le quattro etichette prodotte provengono da quattro terreni diversi e ben distinti.
Altra differenza che notiamo è la crescita dei vigneti in tre differenti terreni ma piantati nello stesso anno e nello stesso luogo. In alto il terreno scuro è più ricco di sostanze e le vigne crescono con più vigoria; più in basso il terreno è povero e la vigna soffre di più.
Ogni appezzamento è una cosa a sé; le posizioni dei vitigni sono ben studiate perché Riccardo conosce fin troppo bene il suo territorio e non metterebbe mai un Moscato giallo a valle pur sapendo che soffrirebbe di marciume e botrytis a causa della troppa umidità, dove invece si trova il Grechetto.
LA STORIA DI LANUVIO
Prima di raggiungere un’altra parte vitata, Riccardo ci tiene a raccontarci il suo territorio perché sostiene che visitare soltanto l’azienda e i suoi Vigneti sia poca cosa in confronto alla completa panoramica che potremmo avere conoscendo la storia e visitando una parte del paese.
E così, entusiaste della proposta, ci porta a visitare una delle bellissime torri appartenente al Castello medievale di Civita Lavinia, costruito sopra le rovine dell’età Imperiale. Giunte alla sommità, affascinate dal quadro naturalistico davanti i nostri occhi, godiamo in silenzio questo scorcio sulla campagna romana, sui vigneti. All’orizzonte il mare.
Al giorno d’oggi la maggior parte delle torri è abitata.
Sicuramente conoscere e vivere il territorio e la sua storia aiuta a capire l’evolversi anche del tessuto urbano. “Il posto va vissuto a 360 gradi portando le persone in azienda, far vedere e vivere le vigne, e visitare il luogo come unico pacchetto”. Questa è l’accoglienza di Riccardo.
Lanuvio, situato all’interno del Parco Regionale, a 324 metri slm, è il più basso dei comuni dei Castelli Romani, in prov. di Roma, però è il primo colle che si incontra venendo dal mare, quindi durante la seconda guerra mondiale, con lo sbarco di Anzio delle truppe alleate, venne prima bombardato dal mare poi raso al suolo.
Il nome Lanuvio viene da Lanoios, un guerriero partito dalle coste della Grecia o dalla Sicilia, a seconda delle leggende, insieme ad Enea, che approdò sulla costa laziale e nell’entroterra fondò una cittadina che prese il suo nome dal latino. Nel corso degli anni il nome diventò Lanuvium, poi Lanuvio ed era una rocca circondata da cinque torri a scopo difensivo, inespugnabile perché circondata da una cinta muraria scarpata.
“LE VAGNERE”
Il terzo appezzamento vitato, sotto Lanuvio, è più selvaggio, il più alto, 264 metri slm, comprato negli anni ’60 dai nonni di Riccardo che all’epoca avevano la vigna a filari coltivata a Malvasia e Bombino, per poi ripiantare negli anni ’80 Malvasia e Trebbiano e nel 2001 Sangiovese.
Circondato da un boschetto di lauro, questo terreno è ricco di biodiversità sia animale sia vegetale, con tante specie di piante, coltivato su suolo vulcanico più chiaro, non argilloso ma sciolto, molto drenante.
Dal Sangiovese, presente in questo lotto, viene prodotta la prima annata del rosato “Le Vagnere”, che prende il nome proprio dal luogo.
Riccardo ci porta vicino ad un ruscello e ci racconta che qui prima c’erano tante canne che coprivano la sorgente e la collina terrazzata con muretti a secco che in seguito ha ripulito. A ridosso di questa collina ci sono delle Ville Romane, dei vasconi sempre di epoca romana dove finisce l’acqua della sorgente e da lì scende a valle vicino ai filari.
Queste colline, grazie alla loro posizione favorevole, erano molto care all’Imperatore Marco Aurelio che qui risiedeva per la salubrità del clima.
All’interno di queste ville ci sono degli splendidi mosaici. Riccardo si occupa della manutenzione esterna per preservare la loro bellezza.
Le ville romane sono state inserite nel percorso dell’Appia, antico tracciato che comprende settanta comuni, quattro regioni e dodici tra province e Città metropolitane. Progetto presentato da pochi mesi che ci auspichiamo in futuro porti al riconoscimento di questa Via, così importante, come patrimonio dell’UNESCO.
Qui davanti alle viti c’è da poco più di un anno un’arnia piena di api e dal prossimo anno ci sarà anche la produzione di un po’ di miele. Posizione ideale vicino all’acqua, i mandarini in fiore, rovi in fiore. Simbolo della biodiversità!
Giriamo intorno alla vigna e troviamo una bella collinetta piena di ciclamini, una scala antica fatta di legno appoggiata ad un albero, pietre vulcaniche scure, panche di legno e una vista sulla vallata con un albero e il muretto a secco che ci ricorda il disegno sull’etichetta del rosato. Su per la collina, sotto il bosco si vede benissimo tutta l’attività vulcanica, le varie colate laviche con basalto nero, un toccasana per queste vigne. Ci stupisce tantissimo il mutare dei colori del terreno in così poca distanza, ci sembra di aver cambiato territorio.
“IL VALLEFIARA”
Siamo nel quarto podere di 6000 metri, più aperto verso il mare. Non si sa l’anno d’impianto dell’ultimo filare che segna il confine, ma il resto della vigna è stata ripiantata nell’86 e coltivata a Malvasia e Trebbiano. Da queste viti, alternate da due filari di Malvasia e un filare di Trebbiano, viene prodotto il “Vallefiara”. Praticamente il taglio si fa direttamente in vigna!
Dalla collina di fronte ai vigneti possiamo ammirare il panorama che si estende fino al mare e quando non c’è foschia si vedono perfettamente le isole pontine. Siamo nell’agro romano e vediamo l’agro pontino.
Mentre ammiriamo il paesaggio, ascoltando il canto degli uccelli, alle spalle abbiamo Lanuvio e voltandoci osserviamo sotto il campanile vicino ai pini un grande terrazzo.
Si narra che tutti i terreni sotto la rocca fossero di proprietà del trisavolo. In passato, da questo terrazzo, si vedeva alzarsi un grande fumo dai campi, dovuto all’uso della vanga da parte delle tante persone che lavoravano per lui.
Tutti gli ettari vitati sono circondati da uliveti che rappresentano un ettaro con 500 piante miste tra moraiolo, rosciola, carbonella, frantoio, itrana. Non poteva mancare la produzione di olio.
LA CANTINA E IL PROGETTO FUTURO
Dopo questo bel peregrinare tra i filari, entriamo a visitare la cantina e ci troviamo di fronte le vasche d’acciaio e a fianco la sala di stoccaggio piena di opere d’arte magnifiche, che ritroviamo anche nell’abitazione, dipinte dal nonno materno, ritratti di famosi personaggi, volti conosciuti e non nell’ambito religioso. Una grande passione e non un lavoro a conferma che nella vita faceva ben altro.
Per gli affinamenti in barrique del rosso, di secondo e terzo passaggio, si appoggia ad un’altra cantina. Infatti ci rendiamo conto anche noi che lo spazio è piccolo.
Riccardo racconta che uno dei progetti più importanti sarà proprio quello di realizzare una cantina più grande e crescere con il numero delle bottiglie prodotte.
UNA GRADITA DEGUSTAZIONE CASALINGA
Siamo, inaspettatamente e sorprendentemente felici di essere accolte nella casa privata, nella quale la Mamma ci viene incontro con un gran sorriso e con una bellissima accoglienza. Eh sì, apparecchiamo la tavola insieme perché il pranzo si tiene proprio qui nella loro casa.
Un calore familiare così non lo abbiamo mai provato!
La tavola è imbandita di tante cose buone: formaggi, salumi, pizza fatta in casa, frittata, fettine panate, verdure. Insomma potremmo dire una meravigliosa accoglienza.
Da questa tavola parte la nostra degustazione dei vini dell’azienda.
“Il Metella” IGP Lazio 2021 Trebbiano Toscano in purezza
Il Metella porta il nome di “Cecilia Metella balearica maggiore”, vestale e sacerdotessa del tempio in onore della Dea Giunone Sospita. La leggenda narra che vicino al tempio c’era e c’è tutt’oggi una grotta all’interno della quale c’era un serpente. In primavera venivano mandate delle vergini con un cestino di focaccia come rito propiziatorio. Se il serpente accettava le focacce sarebbe stato un buon raccolto; se lo rifiutava colei che aveva perso la verginità, veniva sacrificata per scongiurare la carestia.
Queste sono le uve impiantate nel 1973 e coltivate a tendone. Vengono raccolte a mano e subiscono una pressatura soffice, dopo la fermentazione il mosto riposa tre mesi sulle fecce fini, matura 5 mesi in acciaio e poi affina tre mesi in bottiglia.
È di un bel giallo paglierino con alcuni accenni dorati, al naso ci colpisce la sua impronta di frutta esotica, mentre al palato ha un’ottima acidità con note minerali e una piacevole sapidità ben bilanciate. Un calice di buona struttura, fresco e beverino, molto poliedrico negli abbinamenti culinari.
“Vallefiara IGP Lazio 2021 70% Malvasia bianca di Candia e 30% Trebbiano Toscano
Il nome deriva da una delle zone sotto Lanuvio, dove sono coltivati a filari questi antichi vitigni di 25 anni di età, mai persi, nel corso del tempio, dalla Famiglia.
Raccolte sempre a mano, le uve sono sottoposte ad una pressatura soffice, decantazione statica, poi il liquido riposa 5 mesi sulle fecce fini, matura otto mesi di acciaio e poi affina qualche mese in bottiglia.
Ci sorprende come questi vini siano “vivi”. Ogni calice è diverso dal primo.
L’idea di non usare il legno ma solo acciaio sui bianchi è data dal voler mantenere integri i vini valorizzando gli autoctoni Malvasia di Candia e Trebbiano Toscano. “Questa è l’uva e questo è il vino che ne esce fuori”.
Alla visiva notiamo un colore più carico, di un giallo paglierino più intenso con riflessi dorati. I profumi di frutta a polpa gialla al naso ci rapiscono, è delicatamente aromatico, con lievi note agrumate. Una bella fusione tra l’aromaticità della Malvasia di Candia e la forza del Trebbiano Toscano. La sua mineralità lo contraddistingue. D’altronde con questo terreno vulcanico così ricco di sostanze organiche e argilla non poteva essere altrimenti. Un gran bel calice!
“Lanoios” IGP Lazio 2021 Merlot in purezza, provenienza uve da due filari del primo appezzamento visitato risalenti agli anni ’90.
15 giorni di fermentazione a contatto con le bucce, rimontaggi in assenza di ossigeno all’interno del silos, quindi niente solforosa. Tolte le bucce, viene fatto il travaso poi matura una parte in acciaio e una parte in barrique per otto mesi. Infine assemblaggio delle masse e affinamento 5 mesi di bottiglia.
15 gradi e non sentirli! Bassi solfiti, caldo, morbido, ancora giovane, acidità e tannini ancora non perfettamente integrati all’unisono. Al naso come al palato sentiamo queste note erbacee molto presenti per la sua gioventù, non è ruffiano come tanti Merlot, “rispecchia proprio chi lo fa” o ti piace o non ti piace.
Riccardo ci dice che fa il vino come piace a lui. Mai andato incontro alle tendenze e alle mode del mercato “ho fatto sempre quello che mi diceva la testa”.
I suoi sono vini identitari e vivaci che rispecchiano perfettamente anche il carattere.
Al palato c’è una dolce speziatura, sentori di pepe nero, liquirizia. Ci sembra ancora che da una parte ci sia questo fiore e frutto rosso predominante, e dall’altra, separata, una nota erbacea che devono ancora accordarsi insieme. Note ancora distinte non integre tra loro. Colore molto bello, rosso rubino intenso. Secondo noi, con un grande potere di invecchiamento.
I vini di Riccardo rispecchiano proprio lui, la storia della sua famiglia e del suo territorio. Sono il territorio perché Riccardo lo è. Un esempio perfetto di amore, determinazione e valorizzazione delle proprie tradizioni, della propria cultura e di tutti i differenti terreni che possiamo trovare anche spostandosi di pochi metri.
Noi lo ringraziamo infinitamente per averci aperto le porte della sua casa e fatto sentire davvero a nostro agio, per essersi raccontato a 360° e per averci fatto capire davvero chi è e che cosa si cela dietro ai suoi meravigliosi vini.
Vi vogliamo lasciare questa volta con una frase situata proprio tra i suoi vigneti: “In questo lembo di terra l’uomo lavora in simbiosi con la natura e l’accompagna preservando gli ecosistemi e la biodiversità. Sono bandite tutte le sostanze chimiche di sintesi permettendo e mantenendo la coesistenza di diverse specie animali e vegetali che grazie alle loro reciproche relazioni creano un ecosistema in equilibrio”.
Di Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine
“Il vino è cultura, è un mondo che mi affascina e mi appassiona tantissimo e cerco di trasmetterlo attraverso questo evento. Il mio mestiere è quello di vendere il vino, il vostro invece, che io invidio tanto, è quello di trasmettere tutti questi concetti su dei fogli ancora bianchi. Oggi sono qui per chiedervi, con invidia quasi, ma anche con grande piacere, di trasmettere la bellissima cultura dei vini internazionali, in questo caso dei Greci che ho visitato personalmente, scoprendo qualcosa di grandioso “.
Con queste parole di Olfa Haniche, ideatrice di “EnoMundus 2022“, la Fiera Mercato Dei Vini Internazionali, Export Manager di cantine vinicole italiane all’estero e Consulente per importatori/distributori nazionali di vini esteri, iniziamo a raccontarvi una delle entusiasmanti Masterclass che si è svolta nella Sala Michelangelo dell’Hotel Albani a Firenze. L’evento è stato organizzato con la collaborazione di Carol Agostini, Commissario internazionale enologico e titolare dell’Agenzia FoodandWineAngels.com e della Rubrica “Papillae.it“.
I vini Greci e il loro grande Potenziale
La Masterclass sui vini Greci e sulla loro storia è stata condotta da Haris Papandreou, Segretario del Consolato Onorario della Grecia a Firenze e presentata da Olfa Haniche, con la straordinaria partecipazione di Carol Agostini e di esperti del settore.
Protagonista di questo incontro è stata la Cantina “Hatzidakis Winery” di Konstantina Chryssou.
Abbiamo ascoltato, con fervida attenzione, il racconto della bellissima Santorini, una delle isole situate nell’arcipelago delle Cicladi, nel mare Egeo. Nel 1627 a.C fu distrutta da un’eruzione vulcanica, la più grande avvenuta in Europa, e ricoperta quasi interamente dal mare. In seguito a tutto ciò si creò la famosa caldera, un insieme di quattro isole, Thitasia (unica isola abitata), Nea Kameni, Polia Kameni e Aspronisi.
Prima degli anni ’90, Santorini era conosciuta soltanto per i suoi meravigliosi paesaggi e per il suo famoso tramonto ed erano soltanto quattro i produttori che imbottigliavano il loro vino (contadini che lo vendevano per strada in bottiglie di plastica). Ad oggi, quei quattro produttori sono diventati diciotto.
Il terreno è vocato per la coltivazione della vite, in quanto particolarmente fertile grazie ai minerali contenuti nel sottosuolo, un mix di lava, cenere, pietre e sabbia. Esistono, ad oggi, viti ultracentenarie, alcune di quasi 200 anni che non sono state attaccate a suo tempo dalla Fillossera. Il vitigno re di Santorini è l’Assyrtiko. Il primo a portarlo in Italia per farlo conoscere e poter sperimentare fu il Professor Rainer Zierock che lo impiantò nel Südtirol in Alto-Adige creando la cantina Ansitz Dolomytos Sacker, anche con l’aiuto del professor Attilio Scienza, altro grande conoscitore del vitigno greco.
Dalle parole di Haris Papandreou: “Il vino di Santorini ha una potenzialità enorme. L’Assyrtiko per me rappresenta gran parte dei vitigni greci ed è quello che ha trainato il nostro vino all’estero, quello che è entrato nei migliori ristoranti europei e ultimamente del mondo. Ci sono alcuni ristoranti italiani, come ad esempio a Venezia, dove possiamo trovare bottiglie della famiglia Hatzidakis”.
La storia di un grande amore: quello della famiglia Hatzidakis
Nel 1996 Haridimos Hatzidakis, enologo e già grande produttore, portò sua moglie Konstantina Chryssou a vedere un vitigno abbandonato dal 1956 dopo il terremoto dell’isola che fece scappare quasi tutti i suoi abitanti, anche parte della loro famiglia. Si innamorano subito di quel terreno, acquistandolo e decidendo di lavorare tutto in regime biologico e con il vitigno Aidani in purezza. Fu uno di tre produttori a farlo.
Papandreou ci racconta: “ Nel 1997, al di sotto dei vigneti, scoprirono una grotta e Haridimos disse alla moglie “è qui che faremo la nostra cantina”. Ad oggi, esiste soltanto la loro posizionata in quel modo, tutti gli altri hanno creato delle grandi cantine moderne. La loro, però, ha qualcosa di magico. Haridimos sperimentò molto e uscì con il suo primo vino nel ’97. Anche se non ho mai avuto l’onore di conoscerlo di persona ma solo telefonicamente, fu per me un grande maestro, lui diceva sempre: “il buon vino si fa in cantina”.
Nel 2017 purtroppo Haridimos muore, lasciando un grande vuoto nella sua famiglia e ai tanti amanti del buon vino. Questo accade proprio durante la vendemmia. Dopo tante difficoltà e tanti dubbi se andare avanti con la produzione, Konstantina e i suoi quattro figli decidono di non vendere, ma di continuare con determinazione e passione il grande lavoro svolto dal padre. Con l’aiuto dei giovani enologi (due donne ed un uomo) che studiarono al fianco di Haridimos e seguendo tutti gli appunti che aveva lasciato, ad oggi la Cantina produce dei vini davvero eccellenti.
L’azienda ad oggi situata nel villaggio di Pyrgos Kallistis, coltiva: l’Aidani vinificandolo in purezza, il Mavrotragano, una varietà a bacca rossa che ha rischiato l’estinzione e la cui superficie vitata sull’isola è passata,grazie ad Haridimos, dal 2% al 5% ed infine l’Assyrtiko, che copre circa l’ 80% del territorio.
In questa Masterclass abbiamo avuto il privilegio di degustare:
P.G.I Cyclades Aidani 100% 2021
P.D.O Santorini Familia Assyrtiko 100% 2020
P.G.I Cyclades Mavrotragano 100% 2016
P.D.O Santorini Vinsanto Assyrtiko 80% Aidani 20% 2004, 16 anni invecchiato in botti di rovere , Vino Bianco naturalmente dolce.
Correva l’anno 2000
Il Segretario del Consolato continua a raccontarci che: “Era l’anno 2000 e, mentre la figlia Stella di 3 anni e mezzo stava disegnando, Haridimos e sua moglie discutevano sulle percentuali utilizzate nel nuovo vino, ossia 80% Aidani e 20% Assyrtiko. Contrariamente a quanto era stabilito dalla DOC Santorini che prevedeva l’impiego del 70% di Assyrtiko e il resto Aidani. Con tanti dubbi, ma fiduciosi, decisero di continuare nel loro progetto, dando il nome Aidani al vino e creare l’etichetta con l’unione dei quattro disegni che la figlia stava facendo in quel momento”.
Mentre l’etichetta è rimasta la stessa, ad oggi, l’ Aidani è in purezza. La resa è molto bassa, sui 18-22hl/ha e le uve provengono da vigne che hanno dai 10 ai 30 anni di vita. La fermentazione avviene con i lieviti indigeni a temperatura controllata, rimanendo poi 6 mesi sulle fecce nobili e 2 mesi in bottiglia. Non è filtrato. Se ne producono circa 4700 bottiglie l’anno.
Nel nostro primo calice ci sorprende un colore giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso respiriamo da subito delle note tropicali di mango e papaya molto persistenti, profumi di agrumi e fiori di limone. Una bocca vivace ed equilibrata con sentori di frutta secca, noce moscata e con un lungo retrogusto aromatico di caramello e burro che avvolge tutto il nostro palato.
Un vino, una Famiglia
Il vino Santorini Familia, 100% Assyrtico, è stato chiamato così poiché le uve con il quale viene prodotto oltre ad essere di proprietà, sono di altri vecchi produttori considerati da loro come una “Famiglia”. Anche qui rese bassissime, quasi 13 hl-ha, vigne d’età comprese tra i 15 e gli 80 anni e altitudini tra i 200 e i 300 m s.l.m.
Per la scelta dell’annata 2020, Olfa interviene, trascinandoci all’emozione: “Ho chiesto a Konstantina una 2020 poiché, non essendo noi abituati ai vini bianchi da invecchiamento lungo, avevo il piacere semplicemente di farvi notare come un vino bianco può essere dimenticato in cantina e come quest’ultimo possa già avere, dopo pochi anni, una specie di carta d’identità con caratteristiche decisamente forti“.
Qualità che noi riscontriamo notevolmente nel calice iniziando dal colore dorato intenso che ci troviamo ad ammirare. Al naso sentori di frutta, fiori con note vegetali. Un palato fresco ed energico, con un’acidità rinfrescante sul finale e con sentori di cedro candito. Una nota di mela cotogna in un connubio perfetto di frutta secca più acerba come una mandorla pelata. Un retrogusto lungo di fieno, pietra focaia e salvia conquista il nostro palato. Guardandoci capiamo che questo vino già ci emoziona adesso, immaginiamo tra 5 anni.
Per questi primi due calici Tiziana Spera, proprietaria dell’azienda “Le Direzioni Del Gusto”, con sede ad Avezzano, ci spiega che in abbinamento all’Aidani ha deciso di portare una focaccia, la “Crescia Marchigiana” con tartufo nero all’interno e per l’Assyrtiko una tipologia di formaggio di mucca con miele, noci e zafferano fatto specificatamente più delicato per questa Masterclass.
Il Mavrotragano segreto
Dalle parole di Haris Papandreou: “Haridimos faceva delle sperimentazioni su tutti i vitigni, annotandosi tutto lo svolgimento e le vinificazioni. Prima di morire nascose due botti di Mavrotragano che, più tardi, furono trovate e lavorare dai suoi figli. Inizialmente risultò più acquoso, mentre oggi è più puro e più pulito”.
Le uve rimangono a contatto con le bucce per 5 giorni. Dopo la fermentazione, il vino matura in botti di rovere francese per 18 mesi e ulteriori 12 mesi all’interno dei serbatoi di acciaio inox. Il vino non è filtrato e ci coglie di sorpresa sapere che quasi il 91% delle viti è ultra centenario per una produzione di 7750 bt annue. Per la prossima annata i figli prevedono di piantarne delle nuove.
Al calice un rosso rubino brillante, di un’eleganza unica. Al naso un bellissimo sentore di frutti di bosco, erbe aromatiche, spezie e tabacco da sigaro che riscontriamo poi anche al palato. Un tannino e un’acidità legati in maniera sorprendentemente equilibrata. Un buon corpo con una grande complessità, note avvolgenti di pepe nero, fiori appassiti e cioccolato in un connubio perfetto. In abbinamento a questo terzo calice una soffice focaccia bianca con un buonissimo Jamón iberico Pata Negra di Bellota. Che meraviglia degustarlo!
Dall’intervento di Konstantina: “Il buon vino si fa in cantina ma il lavoro più grande si fa in vigna poiché facciamo una selezione dell’uva davvero minuziosa, per questo motivo la nostra resa è ancora più bassa”.
Un finale degno di nota
Vin Santo è il nome che, secoli orsono, i Veneziani diedero al vino proveniente da Santorini. Vin Santo è quindi una contrazione e significa Vino di Santorini.
Le uve vengono lasciate appassire sotto il sole estivo per 15 giorni, in modo da concentrare gli zuccheri e non perdere acqua. Successivamente avviene la spremitura e la vinificazione ed infine l’affinamento in botti di rovere per molti anni. Alcuni anche 6-8 anni.
In questa occasione, abbiamo degustato un blend di 80% Assyrtiko e 20% Aidani, annata 2004. Anche qui prodotto da vigne ultra centenarie con una resa di 20 hl/ha e una produzione di sole 6000 bt annue. Residuo zuccherino di 300g al litro.
Questo calice è stato per noi un colpo di fulmine. Un colore rosso granato, ambrato con riflessi color caramello. Profumi intensi di frutta secca, uva passa, miele, caramello al burro sorprendono il nostro naso che ne rimane affascinato.
Un palato così pieno e vellutato caratterizzato da sentori di caffè liquoroso, cioccolato, tabacco e un lungo retrogusto di scorza d’arancia candita. Ancora tanta ma tanta mineralità.
Lo abbiamo degustato in abbinamento ad un gorgonzola muffa blu, lavorato con Ratafià, un liquore a base di succhi di frutta e alcol, gocce di frutti di bosco all’interno e cacao amaro all’esterno. Decisamente un finale perfetto.
In questa grande Edizione abbiamo anche degustato varie tipologie di vini di diverse nazionalità.
Ci siamo domandate: Cosa ci aspettiamo da un calice di vino degustandolo?
Andiamo alla ricerca e alla scoperta di tutti quei sentori diversi o nascosti, con aromi differenti tra loro, tra note speziate decise o eleganti oppure note più succose. Abbiamo scoperto “un mondo”.
I vini della Turchia, ad esempio, dell’Azienda Kastro Tireli – Akhisar ci hanno sorpreso ed emozionato, ci sono entrati nel cuore. Come anche quelli francesi della Maison Marigny eleganti e sofisticati, quelli della Romania dell’Azienda Lechburg Winery in Transilvania energici e puri. Il loro Moscato Giallo è stato qualcosa di stupefacente. L’Argentina, la Spagna ed il Cile con i loro vini avvolgenti e calorosi ed il Libano più decisi ed austeri.
Ci teniamo a ringraziare davvero di cuore Olfa Haniche e Carol Agostini per l’invito, la calorosa accoglienza e per la perfetta organizzazione di questo evento.
Un caloroso ringraziamento merita anche tutta la Famiglia Hatzidakis che ci ha accolto in maniera impeccabile come fossimo anche noi “Una Famiglia”.
Questa volta vi lasciamo con le belle parole di Konstantina Chryssou che ci fa comprendere come dietro ad una semplice bottiglia di vino ci sia davvero Vita: “Prima di tutto vorrei ringraziarvi per essere venuti tutti qui, un grazie speciale ad Olfa e ad Haris per tutto questo. Io amo molto l’Italia, Firenze e siamo felici di questa manifestazione. La nostra filosofia non è quella di partecipare a tantissimi eventi ma ci piacciono quelli dove c’è questa emozione, questo feeling che sentiamo qui.
Quest’anno celebriamo i 25 anni dell’azienda, sarebbe stato molto bello celebrarlo con mio marito che ad oggi purtroppo non c’è più ma bisogna comunque viverlo in modo diverso. Amo da morire i miei figli e non è stato facile lasciarli decidere di andare avanti con l’attività di famiglia perché ognuno di loro ha una grande voglia di vivere e avrebbero potuto crearsi un loro futuro. Alla fine ho capito che i miei ragazzi avevano il vero e autentico desiderio e la volontà di portare avanti il lavoro del papà e questo è il loro grande risultato.”
Siamo in Sicilia, esattamente a Butera , provincia di Caltanissetta .
La cantina viene fondata nel 1977 dal padre di Domenico Ortoleva , attuale proprietario, ma solo dal 2004, quando appunto Domenico forte dell’esperienza accumulata negli anni e della grande motivazione di darle una identità, la fa diventare competitiva passando da una produzione di quantità ad una di qualità. Il nome della cantina deriva dal ritrovamento di numerosi massi cavi durante i lavori per gli impianti viticoli e la contrada dove si trova, si chiama Chiarchiaro che in italiano vuol dire cava di pietra.
Da tre generazioni il lavoro è improntato con cura al rispetto dei ritmi natuarli. Il sapere del lavoro in vigna e la mano dell’uomo con caparbietà, nel dare identità e valore nel tempo alle eccellenze del territorio. Molte sono le etichette in quanto molti sono i vitigni coltivati fra autoctoni e internazionali, i vini sono tutti da monovitigno.
L’azienda è situata in collina sul lato sinistro del torrente Comunelli a 390 metri slm.
Il terreno è ricco di carbonato di calcio che con il clima hanno fatto sì, che vi trovassero habitat ideale molti vitigni . Gli ettari vitati sono circa 22 e la produzione si aggira sulle 35.000 bottiglie.
L’azienda vinifica solo uve di proprietà e si sta convertendo al biologico , in vigna già vengono utilizzati concimi organico-naturali.
Il vino della Cantina in degustazione si chiama Sofalè, Moscato secco in purezza, annata 2018.
Le viti sono allevate a spalliera in un impianto di 4000 ceppi per ettaro. La raccolta avviene manualmente per la selezione dei grappoli . Fermenta in vasche di acciaio inox a temperatura controllata ed affina per tre mesi in bottiglia.
È un vino leggero, 12,5% di alcol, da bere fresco che ad ogni sorso può far evocare la primavera con i sentori di rosa e pesca tabacchiera.
Analisi olfattiva
Intenso, mediamente complesso, fine. Al naso attacca leggermente aromatico, tipicamente varietale ma in maniera composta, piacevole. Spuntano sentori floreali, colpisce la nota di rosa gialla, elegantemente leggiadra. Evoluzione su note fruttate, dove la pesca tabacchiera dà l’impronta maggiore. Che lascia spazio nel finale ad un mix fresco di macchia mediterranea .
Analisi gusto-olfattiva
Secco, abbastanza caldo. Il sorso asciutto da spazio però ad una piacevole morbidezza.
Una buona spalla acida dona una definita freschezza che va a rendere gradevole tutte le sensazioni olfattive che si ritrovano pienamente nel sorso. Corpo non troppo strutturato, nel complesso abbastanza equilibrato, comunque fine. Finale sapido, non troppo persistente, da bere con leggerezza nelle giornate siciliane.
Neofos 2018 Sicilia Doc Sauvignon Blanc Cantina PietraCava
Di Piergiorgio Ercoli
Siamo in Sicilia, esattamente a Butera , provincia di Caltanissetta .
La cantina viene fondata nel 1977 dal padre di Domenico Ortoleva , attuale proprietario, ma solo dal 2004, quando appunto Domenico forte dell’esperienza accumulata negli anni e della grande motivazione di darle una identità, la fa diventare competitiva passando da una produzione di quantità ad una di qualità. Il nome della cantina deriva dal ritrovamento di numerosi massi cavi durante i lavori per gli impianti viticoli e la contrada dove si trova, si chiama Chiarchiaro che in italiano vuol dire cava di pietra.
Da tre generazioni il lavoro è improntato con cura al rispetto dei ritmi natuarli. Il sapere del lavoro in vigna e la mano dell’uomo con caparbietà, nel dare identità e valore nel tempo alle eccellenze del territorio. Molte sono le etichette in quanto molti sono i vitigni coltivati fra autoctoni e internazionali, i vini sono tutti da monovitigno.
L’azienda è situata in collina sul lato sinistro del torrente Comunelli a 390 metri slm.
Il terreno è ricco di carbonato di calcio che con il clima hanno fatto sì, che vi trovassero habitat ideale molti vitigni . Gli ettari vitati sono circa 22 e la produzione si aggira sulle 35.000 bottiglie.
L’azienda vinifica solo uve di proprietà e si sta convertendo al biologico , in vigna già vengono utilizzati concimi organico-naturali.
Il vino che degustiamo è un Sauvignon Blanc in purezza, il “Neofos”, annata 2018 .
Le viti si trovano nella zona di Butera, su terreno calcareo di medio impasto.
Il sistema di allevamento è la contro spalliera con potatura a Guyot.
La raccolta manuale avviene nella prima decade di Settembre. Le uve selezionate vengono quindi sottoposte a pressatura soffice dei grappoli , cui segue una macerazione a freddo con le bucce. La fermentazione si sviluppa in vasche di acciaio inox termo controllate.
L’affinamento avviene in bottiglia per due mesi, prima della commercializzazione.
Degustazione
Analisi visiva
Cristallino, giallo paglierino con riflessi dorati, consistente.
Analisi olfattiva
Intenso e complesso, decisamente fine. Alle note tipicamente varietali, si susseguono intensi ma equilibrati sentori di frutta tropicale a polpa gialla croccante. Evoluzione sul tenore floreale, erbaceo. Immancabile la spalla minerale, degna rappresentante delle brezze marine che si fanno sentire di notte, dalla vicina costa mediterranea. Sottile sentore di spezia bianca.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, caldo, morbido. Piacevole freschezza d’attacco nel sorso, però. Si rivela un vino di corpo, equilibrato, comunque croccante, un sorso che riempie la bocca. Il finale sapido e persistente invita al a riempire riempire il calice.
La Cantina Podere Moretti, nasce dall’unione di due famiglie : Moretti e Occhietti .
Affonda le radici nella storia del suo territorio. Dal 1630 in quel di Monteu Roero (CN), costruisce un azienda vitivinicola che pur mantenendo viva la tradizione, riesce a guardare avanti e non trascurare le nuove tecniche enologiche nel rispetto del territorio, della vigna e del lavoro in cantina. “ Il vino ha bisogno di tempo perché possa esprimere al massimo il suo potenziale” cit. del titolare Francesco Moretti che racchiude la filosofia dell’azienda.
Questa filosofia, ha portato Podere Moretti ad ottenere nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia , il prestigioso riconoscimento come “IMPRESA STORICA D’ITALIA”.
Riconoscimento dato a tutte quelle aziende storiche che hanno trasmesso il loro patrimonio di esperienze e valori alle nuove generazioni.
Siamo nella Basa Langa , Roero, sul lato sinistro del fiume Tanaro.
Territorio unico, caratterizzato da dolci colline e profonde insenature chiamate Rocche del Roero , risultato di un fenomeno di erosione causato dal fiume e da fenomeni sismici di molti anni fa.
Il suolo è molto fertile , composto da arenarie, rocce di origine marina con strati di calcare e argilla e sopratutto sabbie ricche di fossili.
Il clima concede sole anche nelle stagioni fredde e le piogge non sono abbondanti.
Questo Arneis Riserva Occhetti 2019 DOCG, viene vinificato secondo un protocollo atto a garantirne la durata nel tempo.
La sottoscrizione in etichetta del vigneto Occhetti, da cui provengono le uve, evidenzia l’importanza della MGA ( Mensione Geografica Aggiuntiva ).
La vigna è situata a Sud de comune Monteu Roero, ed è allevata su un terreno ricco di sabbia di origine marina e in una zona non fredda. Dopo la raccolta mano delle uve, il mosto che ne deriva viene fatto fermentare in botti di legno di rovere e acacia sui propri lieviti per 12 mesi a temperatura controllata. Successivamente affina 6 mesi in bottiglia a temperatura controllata.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, caldo, morbido, di buona freschezza, sicuramente sapido e di corpo. Nel complesso una bella struttura.
La sapidità è decisa e ritorna nel finale lungo e persistente ma non va ad alterarne l’equilibrio e l’armonia perché dotato di una bella morbidezza.
Il sorso evidenzia la corrispondenza fra naso e bocca caratterizzati da Ananas maturo, mango, spezie bianche e questa mineralità che fa pensare ad una sapidità marina ed invita al sorso successivo.
E’un vino pronto, maturo, ma con prospettive di invecchiamento di ancora qualche anno.
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
Una ricetta composta da pochi ingredienti in un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso.
Ingredienti per 4 porzioni:
1 kg di Asparagi bianchi
8 uova
olio Evo qb
sale qb
pepe nero qb
Procedimento:
Tagliare la parte finale dell’asparago, in modo da eliminare la parte dura e pelatelo con l’aiuto di un pelapatate o un coltello in modo da eliminare i filamenti duri che rendono il tutto stopposo.
Per praticità potete legare a mazzetti di circa 10 asparagi con l’aiuto del spago da cucina e pareggiarli per far si che siano della stessa grandezza.
La cottura ottimale sarebbe per immersione nella parte finale e a vapore le punte, ecco che è ideale la pentola che si chiama asparagera, che è una pentola alta e stretta con uno cestello estraibile e un coperchio, per una cottura perfetta, al dente quanto basta senza avere gli asparagi troppo molli.
Se non se ne è provvisti si può usare la pentola più stretta che si ha e costruirsi dei distanziatori con della carta alluminio. Altrimenti si possono cuocere semplicemente per immersione, stando attenti però che le punte sono tenerissime e si potranno rompere, oppure cuocerli al vapore.
Portare a bollore dell’acqua e salarla leggermente, calare gli asparagi, coprire e cuocere per circa 15 / 20 minuti a seconda della grandezza dell’asparago o della durezza. Estrarre gli asparagi, scolarli per bene, disporli nel piatto condirli con pepe e olio extra vergine d’oliva.
Cuocere le uova in acqua bollente per circa 5 minuti se si vogliono barzotte, per circa 8/9 minuti se si preferiscono sode.Quando sono cotte passarle in acqua fredda spelarle e servirle tagliate a metà oppure sminuzzate. Impiattare gli asparagi accompagnati dalle uova i vostri asparagi con uova alla veneta sono pronti per essere serviti.
31° Merano WineFestival 4-8 novembre 2022, Radici, arte e sostenibilità le tematiche dell’edizione“Respiro e grido della terra”.
Redazione
Un summit sulla sostenibilità, il consueto appuntamento con Naturae et Purae e uno speciale focus sui vini sostenibili con Georgia, Campania e Abruzzo a confronto: la rassegna ideata da The WineHunter Helmuth Köcher, prestigioso palcoscenico delle eccellenze wine & food italiane e internazionali, valorizza e sostiene sempre più il tema green, in un ricco programma che include anche talk, masterclass e showcooking che vede coinvolti celebri nomi in campo enogastronomico e istituzionale.
Tra gli appuntamenti in rilievo, la premiazione dei Platinum Award durante la cerimonia di apertura del festival e il cortometraggio di Carlo Guttadauro che narra le origini della manifestazione meranese. Tanti gli ospiti d’eccezione del mondo wine&food, istituzionale e di cultura come Franco Pepe, Peppe Aversa, Luca Gardini, Luca d’Attoma, Luigi Moio, Paolo De Castro, Herbert Dorfmann, Andrea Prete, Attilio Scienza e Gerry Scotti.
Fino a 6.500 i visitatori attesi, oltre 700 produttori presenti tra Wine, Food – Spirits – Beer, più di 330 etichette nella The Winehunter Area, oltre 50 eventi tra 16 materclass, 1 summit suddiviso in 6 presentazioni, 7 talks, 2 presentazioni di libri e 18 chef ospiti per numerosi shoowcooking e special dinner: tra radici, arte e sostenibilità, ecco i numeri del 31° Merano WineFestival.
Da una storia che disegna le sue origini, a un importante summit sulla sostenibilità che si fa portavoce di uno dei temi attuali più urgenti: Merano WineFestival apre i battenti della 31^ edizione unendo passato, presente e futuro all’insegna dell’eccellenza tra radici, arte e – tema centrale di quest’anno – sostenibilità. La kermesse meranese, in programma da domani venerdì 4 novembre a martedì 8 novembre, si conferma autorevole palcoscenico del panorama wine & food, con un programma ricco di novità e ospiti d’eccezione.
Dagli opinion leader e stakeholders coinvolti nel summit “Respiro e grido della terra”, artisti e nomi illustri del mondo dello spettacolo che sostengono il mondo del vino, difendendone qualità e cultura in Italia e nel mondo. Dal panorama wine & food: gli chef stellati Franco Pepe e Peppe Aversa, l’enologo Luca D’Attoma, il wine critic Luca Gardini.
Dal mondo delle istituzioni: Luigi Moio, presidente OIV e Paolo De Castro, Commissione Agricoltura UE, in diretta streaming; Herbert Dorfmann, Deputato Parlamento Europeo e membro commissione Agricoltura UE. Dal mondo della cultura e dello spettacolo: il ricercatore, professore, visionario Attilio Scienza e il conduttore, nonché produttore di vino, Gerry Scotti.
Dal 4 all’8 novembre, i migliori prodotti vino e culinaria selezionati durante l’anno da The WineHunter entrano in scena tra le sale del Kurhaus e la Gourmet Arena, oltre 700 in totale, suddivisi in due sessioni espositive. Trovano inoltre spazio 7 talks, 16 masterclass, showcooking, 2 presentazioni di libri e un “Red Wave”, il fuorisalone che anima Merano nelle giornate del festival, ancor più coinvolgente, per non dimenticare le oltre 330 etichette presenti nella The WineHunter Area.
SOSTENIBILITÀ.
Ad aprire il 31° Merano WineFestival è il summit “Respiro e grido della terra”, il 4 e 5 novembre:
sei incontri, gruppi di analisi e approfondimento che affrontano il problema dell’acqua, in quanto risorsa primaria e fondamentale per la vita, l’innovazione, la sicurezza alimentare e la sostenibilità delle filiere enologiche, le certificazioni in viticoltura, nonché alcuni case history come il modello “Abruzzo sostenibile”.
Summit che avrà come scopo finale la redazione di un MANIFESTO che verrà sottoscritto da tutti gli opinion leader e stakeholders e verrà consegnato al Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
Focus sulla sostenibilità anche attraverso i modelli messi in pratica da Campania e Georgia a confronto, tra talk, degustazioni e showcooking.
Per finire con l’ormai consolidato appuntamento Naturae et Purae (dal 4 al 7 novembre), convegno ideato da Helmuth Köcher e dal giornalista Angelo Carrillo, quest’anno dedicato al tema “Wine Resilience – Spiriti Estremi” – Dalle isole del mediterraneo a quelle dello spirito.
RADICI.
Ieri, oggi, domani: Merano WineFestival affonda le sue radici nel passato e guarda al futuro.
La storia che simbolicamente disegna le sue origini riporta al 1830 quando l’Arciduca Giovanni d’Austria, pioniere della nuova viticoltura, introduce nel territorio nuove varietà come il Riesling e contribuisce allo sviluppo della gamma di vini che oggi l’Alto Adige può vantare.
È la prima volta che si parla di ricerca dell’eccellenza, della selezione della migliore qualità: la stessa che Helmuth Köcher eredita e valorizza quando mette in scena una delle kermesse del panorama wine & food più importanti in Italia e in Europa.
Un passaggio di testimone simbolicamente ritratto nel cortometraggio del regista Carlo Guttadauro che narra le origini di Merano WineFestival attraverso un breve docu-film in presentazione a Teatro Puccini venerdì 4 novembre alle 18.30.
ARTE.
A partire dalle location meranesi che la ospitano, dalle affascinanti sale del Kurhaus al Teatro Puccini, la rassegna meranese di The WineHunter è da sempre un inno all’arte e alle sue innumerevoli espressioni. In questa 31^ edizione sono tante le iniziative legate al mondo della creatività: la partnership con Merano Arte, presente tra i The WineHunter Talks presso l’Hotel Therme, la presentazione di due libri quali “Il Bicchiere d’Argento” a cura di Cucchiaio d’Argento e in collaborazione con Luca Gardini.
E ancora una panoramica sulle anfore Georgiane “Terracruda” (domenica 6) e l’arte della mixology con Itinerari Miscelati (martedì 8) quando nella Sala Rotunde al 2° piano del Kurhaus 8 bartender provenienti da tutta Italia si sfideranno con la mistery box dei prodotti selezionati da The WineHunter per il The WineHunter Globe Platinum, i titoli di miglior Bartender Cocktail, miglior Bartender Drink d’Italia e miglior locale d’Italia.
Durante il festival, come di consueto, la selezione Wine Italia, The WineHunter Selection Area, Wine internazionale e Catwalk Champagne sono ospitate all’interno del Kurahus, mentre la GourmetArena rimane location prediletta per “Food – Spirits – Beer”, con l’area riservata a Territorium & Consortium Campania tra eccellenze e showcooking e, novità di quest’anno, un format simile dedicato alla regione Abruzzo.
Nel prolungamento della Gourmet Arena, invece, viene inaugurata la Buyer & Financial Area che, nata da una partnership tra Merano WineFestival e 5 Hats, è luogo d’incontro tra le aziende italiane premiate da The WineHunter e i buyers provenienti da tutto il mondo individuati dai The WineHunter Ambassador.
Uno spazio espositivo a cui si aggiunge una Buyers Room, presso l’Hotel Terme Merano, dove sono programmati 150 appuntamenti durante le giornate del festival. The WineHunter Talks Naturae et Purae, il focus targato Merano WineFestival sui vini biologici, biodinamici, naturali, orange, PIWI di agricoltura integrata, si svolgerà all’interno dell’Accademia degli Studi Italo Tedeschi, mentre all’Hotel Terme Merano si svolgono tutte le masterclass della 31^ edizione.
Spazio d’eccezione anche quest’anno per la Georgia, presente con 10 produttori, 2 showcooking con la partecipazione di chef georgiani e un “Exclusive Dinner Georgia & Campania”. E nello storico Teatro Puccini ritorna l’appuntamento con il concorso “Emergente Sala” (sabato 5) che coinvolge e premia giovani talenti emergenti nel settore sala. A fare da prestigiosa cornice alla rassegna, il Red Wave: il tappeto rosso del Fuori Salone.
La cerimonia di apertura del Festival, sabato 5 novembre dalle 19.00, è anche occasione per la premiazione dei Platinum Award 2022, massimo riconoscimento assegnato dal The WineHunter Helmuth Köcher. Tra gli ospiti della serata, anche Gerry Scotti che che ha ottenuto la Corona dei Vinibuoni d’Italia 2023 per il suo Oltrepò Pavese Metodo Classico Docg Extra Brut e riceverà dalla guida del Touring Club Italiano un premio speciale in qualità di ambasciatore del vino italiano.
Il Gobbo Nero 2015 Toscana Syrah IGT Tenuta Moriniello
Di Piergiorgio Ercoli
Storia di una famiglia che trasforma un desiderio in realtà. Due fratelli, Tania e Luigi,ereditano dal padre Beniamino il sogno di realizzare un progetto.
La passione per il vino, l’amore per la natura e la buona capacità imprenditoriale di Beniamino, hanno permesso alla generazione successiva di creare Tenuta Moriniello.
La proprietà è stata acquisita da un altro titolare e siccome “ogni cambiamento nasce dalla conoscenza approfondita delle origini”, la famiglia ha mantenuto legami con la precedente gestione e con il suo enologo. Si mantiene la tradizione guardando al futuro.
Lavorano in modo naturale senza l’utilizzo di sostanze chimiche per tutelare l’ecosistema e la biodiversità.
Un proverbio rappresenta la loro filosofia “ la terra non è un’eredità ricevuta dai nostri padri, bensì un prestito da restituire ai nostri figli” da qui,un modello di agricoltura responsabile diventa un assoluto.
La tenuta si trova a Montaione (FI), piccolo borgo toscano sito nel cuore della regione dove troviamo un areale privilegiato per la coltivazione della vite e la produzione di grandi vini.. I terreni sono prevalentemente di origine sedimentaria, composto da argille calcareo marnose, con arenaria e galestro. Circa 20 ht di superficie vitata una altitudine compresa tra i 280 e 450 m slm.
Le condizioni pedoclimatiche fanno sì, che le uve maturino sviluppando caratteristiche alcoliche e fenoliche equilibrate che daranno vita ad corredo gusto olfattivo intenso ai vini.
Producono 70.000 mila bottiglie di cui 55.000 dedicate al Chianti. Hanno dato vita a tre CRU al fine di esaltarle caratteristiche di ogni zona.
L’azienda è certificata Biologica dal 1999.
Il vino in degustazione “ Il Gobbo Nero” 2015” è un Syrah in purezza, prodotto da viti allevate su un terreno misto di origine sedimentaria con prevalenza di alberese del chianti,argilla, arenaria e galestro.
Le uve raccolte rigorosamente a mano nella prima decade di Ottobre,vengono poi selezionate prima della diraspatura. Fermenta a temperatura controllata in tini di cemento e la macerazione sulle bucce dura circa un mese con rimontaggi e frollature manuali. L’affinamento avviene in barrique di rovere francese per oltre 16 mesi, e riposa ulteriori 12 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.
La peculiarità del suolo dove si allevano li viti, la cura e l’attenzione per il lavoro in cantina li ritroviamo alla beva. Morbido e potente, ricco, complesso con note speziate in prima battuta che ci accompagnano anche dopo aver deglutito, intervallate da frutti di bosco e una bella ciliegia presente anch’essa nel finale lungo e persistente.
I tannini eleganti, si accordano bene ad una struttura solida e nell’insieme tutto è equilibrato.
Degustazione
Analisi visiva
Rosso rubino intenso e impenetrabile. Limpido e consistene nel bicchiere.
Analisi olfattiva
Intenso, complesso. Dominante fruttata di ciliegia e frutta rossa in confettura, poi sentori floreali, rosa rossa e viola. Arrivano i toni eleganti di spezia scura, tipicamente varietali. Non mancano terziari piacevoli con note di tostatura e cuoio.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, caldo, morbido. Sorso pieno, potente e suadente. Corpo e struttura ben espressi, in una eleganza complessiva elevata.
Ottimo lavoro sui polialcoli che regalano una piacevolezza tattile da grande vino. L’opulenza del sorso non si rivela mai tronfia però, restando su toni di grande equilibrio. Tannini morbidi. L’equilibrio fra morbidezze e durezze ammansisce i 14,5° di tenore alcolico dichiarati, tutto a favore della piacevolezza di beva.
Elegante, armonico nel lungo finale, dove ritroviamo la corrispondenza olfattiva delle note speziate e di frutto.
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
Una ricetta composta da pochi ingredienti in un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso.
Ingredienti per 4 porzioni:
Patate 1 kg
Uova 1
Farina 00 (q.b.)
Polpa di cinghiale 500 gr
Cipolla rossa1
Sedano1 costola
Carota1
Rosmarino1 rametto
Salvia 5 foglie
Alloro 3 foglie
Aglio 1 spicchio
Vino rosso della Tenuta Moriniello 2 bicchieri
Passata di pomodoro400 gr
Olio extra vergine di oliva(q.b.)
Sale (q.b.)
Pepe (q.b)
Procedimento:
Fare il ragù per prima cosa seguendo queste indicazioni: in una ciotola versate un bicchiere di vino della Tenuta Moriniello e lavate la polpa di cinghiale. Svuotate la ciotola e versate sulla polpa l’altro bicchiere di vino rimasto aggiungendo la salvia, l’alloro e il rosmarino, potete aggiungere anche altre erbe aromatiche a vostro piacimento; lasciate in infusione per una notte.
Il giorno successivo, in una casseruola, preparate un trito con cipolla, sedano, carota e aglio. Fate rosolare con un po’ di olio Evo.
Nel frattempo tagliate a pezzettini piccolissimi la polpa di cinghiale che unirete al trito; aggiungete la passata di pomodoro, il sale ed il pepe. Cuocete a fuoco moderato per circa 90 minuti, di tanto in tanto mescolate con un cucchiaio di legno.
Per gli gnocchi: lavate le patate con la buccia, mettetele in un tegame ricoprendole con acqua fredda e fatele lessare; scolatele, passatele nello schiacciapatate e disponetele su una spianatoia di legno.
Create una spezie di vulcano e nel mezzo al composto versateci l’uovo e un po’ di sale, impastate con l’aggiunta di un po’ di farina fino a quando non è tutto compatto. Formate delle palle che stenderete fino a formare delle lunghe strisce rotonde di circa 1 cm di diametro che successivamente taglierete ogni 2 cm circa (durante questa lavorazione spolverateci sopra un po’ di farina per evitare che si attacchino).
Nel frattempo portate ad ebollizione l’acqua con un po’ di sale in una capiente pentola, quindi versateci gli gnocchi. Quando vengono a galla toglieteli con una schiumarola e metteteli in una zuppiera e conditeli con il ragù di cinghiale, impiattate possibilmente con piatti tenuti al caldo nel forno a circa 80°/100°, attenzione a non scottarvi.
LA TRATTORIA AL CACCIATORE DE LA SUBIDA PREMIATA FRA LE MIGLIORI 10 CARTE DEI VINI ALLA MILANO WINE WEEK
Redazione
Si è tenuta ieri sera alla Milano Wine Week la seconda edizione degli Awards dedicati alle Carte dei vini della ristorazione, che ha coinvolto locali da tutta la penisola, divisi per categoria di appartenenza e durante la quale La Subida della famiglia Sirk è stata premiata nella selezione delle migliori carte dei vini dei ristoranti presenti sulla guida Michelin con una stella.
La carta del ristorante comprende una fetta rappresentativa della produzione vinicola regionale – sia per numero di produttori che per profondità di annate – e fu pensata, ai tempi in cui la Subida era ancora una locanda, da Josko Sirk, pioniere della valorizzazione dei prodotti del suo territorio, con un’attenzione a quell’epoca nuova alle storie di chi il vino lo produceva.
Negli anni Mitja Sirk ha preso in mano la carta dei vini aggiungendo la sua selezione di nuovi progetti friulani, d’oltre confine e vini dal resto d’Italia e dal mondo, in abbinamento al menu di quello che nel frattempo è diventato il ristorante stellato Trattoria al Cacciatore de La Subida, di cui gestisce la sala insieme alla sorella Tanja e alla mamma Loredana.
L’attenzione alla proposta dei vini ha portato i Sirk ad aprire all’interno dell’Osteria la Preda de La Subida, ad aprile 2022, un altro luogo dedicato ai vini: la bottiglieria, con oltre 150 etichette disponibili per l’assaggio in Osteria o per l’acquisto.
PIÙ DI 2.000 VISITATORI, 1.000 BOTTIGLIE STAPPATE, OLTRE 350 ETICHETTE DA 60 CANTINE ITALIANE ED EUROPEE, 61 VINI DEGUSTATI IN 8 MASTERCLASS ESCLUSIVE.
Più di 2.000 visitatori, 1.000 bottiglie stappate, oltre 350 etichette di 60 produttori italiani ed europei, 50 vini degustati in 6 masterclass esclusive, e decine di post, hashtag e condivisioni sulla nuova pagina PartesaForWine: questi i numeri di “Wine Cube – A Great Experience”.
L’evento ideato da Partesa, azienda leader in Italia nei servizi di vendita, distribuzione, consulenza e formazione per il canale Ho.Re.Ca., che il 10 e 11 ottobre allo Spazio Antologico di Milano ha proposto ai professionisti del fuoricasa tre nuove modalità di vivere l’esperienza vino, tra Degustazione, Formazione e Comunicazione.
Un format che ha permesso di creare vere occasioni di condivisione, dialogo, incontro e di business tra operatori, esperti e produttori vinicoli, e un successo che ha segnato il ritorno di Partesa ai grandi eventi in presenza, il primo a Milano, nella cornice della Milano Wine Week, con cui ha confermato la partnership per il terzo anno consecutivo.
È stata infatti la settimana meneghina ad ospitare poi, il 13 e il 14 ottobre, la presentazione di WunderGlass – la nuova linea Premium di calici di Partesa, tra i più leggeri al mondo (solo 100 grammi a bicchiere), pensati appositamente per l’alta ristorazione, progettati in collaborazione con il Best Sommelier of the World WSA 2018 Eros Teboni e realizzati da Sophienwald in esclusiva per Partesa – e le masterclass dedicate a due fuoriclasse del vino francese:
i rossi di Bordeaux con Olivier Cuvelier, titolare di H. Cuvelier & Fils, che ha guidato i partecipanti alla scoperta di 6 pregiati vini della rinomata azienda familiare nata a Lille nel 1804, e gli Champagne con Eric Taillet, che ha condotto la degustazione di 5 tra le sue produzioni più raffinate, nate da oltre 4 ettari piantati a Meunier nella valle di Beval, zona settentrionale della Vallè de la Marne.