‘Burc 2017 Colli Tortonesi DOC Barbera Riserva Cantina di Tortona
Di Piergiorgio Ercoli
Cantina di Tortona dal 1931, degustazione in presenza dei vini dell’azienda.
Storica Cantina (dal 1931) quella di Tortona, nata dall’unione delle forze e delle volontà di un gruppo di viticoltori che fortemente vollero tutelare le campagne, il lavoro nelle campagne e i frutti di questo operare nella tradizione. Il momento della nascita della Cantina coincise con un periodo di forte recessione innescatasi, qualche anno prima, nei mercati americani: l’Europa ne fu presto investita, segnando nelle zone rurali, in particolare, la fine di molte piccole attività private.
Punto vendita della Cantina di Tortona dal 1931
Tra le varie conseguenze sociali ed economiche che ne derivarono, nel settore vitivinicolo fu che la vendita dei frutti del lavoro nei campi, il vino quindi, avveniva a prezzi davvero bassi e rovinosi.
L’idea quindi fu quella di fondare una Cooperativa con lo scopo di vinificare in comune le uve: di li a poco i vantaggi, oltre all’immediato abbattimento dei costi di produzione, si allargarono ad altri aspetti. Di rilievo, fu il riconoscimento della qualità per lavoro svolto con il conseguimento della DOC Colli Tortonesi.
Areale importante e di recente rivalutazione, quello dei Colli Tortonesi si estende ad ovest di Alessandria, tra il fiume Scrivia ed il torrente Curone: colline morbide, ondulate dove i terreni hanno impronta di marne e arenarie. La “barbera”, che notoriamente è il vitigno simbolo e più coltivato in Piemonte, nei Colli Tortonesi offre le sue massime espressioni sulle argille serravalliane e sulle marne di Sant’Agata Fossili.
Il protagonista della degustazione di oggi è il Burc, annata 2017, Selezione Fiumana della Cantina, una barbera riserva della DOC Colli Tortonesi.
‘Burc 2017 Colli Tortonesi DOC Barbera Riserva Cantina di Tortona
Viti allevate nella Frazione Vho di Tortona, in Costa Vescovato e Viguzzolo dove i terreni, dal medio impasto con profondo scheletro calcareo, risultano esposti a sud, ad un’altezza media di 350 m. s.l.m..
Il mosto viene lasciato in macerazione per circa 10 giorni a temperatura controllata, con almeno 3 delestage per accentuare l’estrazione delle sostanze solubili. Successivamente l’affinamento avviene in cemento per 12 mesi con risospensione periodica delle fecce fini.
Degustazione
‘Burc 2017 Colli Tortonesi DOC Barbera Riserva Cantina di Tortona, calice di vino rosso rubino intenso
Analisi visiva
Rosso rubino scarico, trasparente, limpido e consistente.
Analisi olfattiva
Intenso, mediamente complesso sui toni di piccoli frutti rossi e fine. Dominante fruttata: ribes, mirtilli e ciliegia. Vegetale. Note balsamiche e speziatura scura.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, caldo, moderatamente morbido. Sorso diretto, note dure in evidenza ma comunque equilibrate da tannini sufficientemente morbidi. Buona freschezza. Corpo e struttura ben espressi, sensazioni di fragranza e croccantezza di frutto, esemplari note di sottobosco.
Beva sufficientemente armonica con finale sapido.
Durante la degustazione confesso che lo sguardo è stato spesso rapito dall’immagine in etichetta: “il contadino del passato consumato dalla fatica, ma con la fierezza di portare a oggi vini di eccellenza” (cit. Sito della Cantina di Tortona).
“Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, realizzato dall’artista intorno al 1880 durante una manifestazione di protesta per il caro-pane.
L’immagine è colta dal carboncino originale su carta, custodita nella pinacoteca di Alessandria, che raffigura uno studio del personaggio centrale del dipinto “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, realizzato dall’artista intorno al 1880 durante una manifestazione di protesta per il caro-pane.
Cheers!!!
Tartare di Angus tagliata a coltello con altri ingredienti: pomodori secchi, acciughe del Cantabrico, peperoni, cipolla di Tropea e capperi di Pantelleria.
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
In abbinamento un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso di formaggi di varie tipologie e stagionature.
Tartare in abbinamento alla Barbera Riserva 2017 degustata.
Ingredienti per due Tartare:
carne di Angus 500 gr
pomodori secchi qualche pezzo
acciughe del Cantabrico 4
peperoni gialli o rossi metà di uno
cipolla dolce tritata 1
capperi di Pantelleria dissalati tritati q.b.
prezzemolo tritato finissimamente q.b.
senape q.b.
salsa Worcester q.b.
tabasco q.b.
olio di oliva extra vergine q.b.
sale q.b.
pepe macinato o pestato al momento q.b.
succo di limone q.b.
tuorlo d’uovo 4
Procedimento:
Preparate la tartare di manzo tagliando al coltello la carne di manzo e realizzando una sorta di trito non troppo fine.
Aggiungete la cipolla dolce tritata, e condite con il prezzemolo e i capperi tritati, il sale, il pepe, il succo di limone, e l’olio. Mescolate bene il tutto.
Nel frattempo tagliare a pezzi molti piccoli il peperone, le acciughe e i pomodori secchi, lasciatene 1/3 da tagliare a julienne sottile per la decorazione.
Usando un coppapasta rotondo o quadrato ( a piacere ) formate con la carne di manzo una polpetta piatta e circolare e deponetela al centro di un piatto.
Schiacciate la polpetta con un cucchiaio e ponete al centro di essa il rosso d’uovo.
Presentate in tavola la tartare di manzo accompagnata da salsa worchester, tabasco e senape in diverse ciotoline.
Degustazione di Piergiorgio Ercoli
Piergiorgio Ercoli, sommelier, winewriter ed esperto marchigiano di enogastronomia territoriale
A Ischia, nel golfo di Napoli, non si produce solo Biancolella e Piedirosso. C’è anche chi produce vini diversi. Sicuramente da provare.
Vini Bajola: tempeste ischitane 2022, articolo di Zombiwine
Decomposti e decomposte, buona sera e bentornati con Zombiwine: l’unico sommelier che se non lo segui morde. Non potevo esimermi di parlare anche qui, su Papillae di una delle aziende vinicole che amo in assoluto di più al mondo.
Badate bene, non si tratta di bottiglie costose. Non si tratta di uno Cheval Blanc del quale quasi sempre possiamo solo leggerne storia e recensioni e poi (almeno per la maggior parte di noi) dilungarci in atti di onanismo intellettuale\enologico.
I vini Bajola non superano i trentacinque/quaranta euro, che anche se non è proprio il costo di un etto di lupini, ancora è affrontabile.
Cominciamo a dire dove ci troviamo: Isola di Ischia, golfo di Napoli, Campania.
Nonostante l’isola sia famosa per la vinificazione del Biancolella e del Piedirosso, la nostra azienda – Baiola – ha deciso di perseguire una strada diversa.
Il loro vigneto di circa settemila mq (0,7 h, quindi quanto molti vigneti in Borgogna) è piantato con uve Vermentino, Viogner, Sauvignon Blanc, Incrocio Manzoni, Malvasia delle Lipari. Uve del Mediterraneo, queste, uve di popoli migranti, uve della storia.
Su ogni bottiglia troverete scritto “foglia n 13, 14, 15…” ecc.; questo perché la prima vendemmia ufficiale è avvenuta dopo tredici anni (tredici foglie) da quando il vigneto è stato piantato, cioè nel 2000.
Quindi, per osmosi, foglia 17 significherà vendemmia 2017, e così via.
Vini Bajola: tempeste ischitane.
Perché la scelta di queste uve?
Perché nella loro essenza c’è il mare, ci sono i viaggi, le tempeste e la storia dell’Europa: in pochi metri si parte dai Fenici e si arriva alla Seconda guerra mondiale.
I due vini Bajola sono davvero unici nella loro storia: andiamo a vedere perché e per poterlo fare, magari, può esserci utile avere sotto occhio il loro sito: https://bajoladalice.wordpress.com.
Il vigneto di Bajole è coltivato seguendo le pratiche biodinamiche, in biologico dal 2011, ma già da prima non si praticava un’agricoltura interventista. Oggi le uniche sostanze usate sono il rame, lo zolfo, il corno letame e la corno silice e un sovescio studiato appositamente per il vigneto.
Come potete già intuire da queste poche parole, l’azienda crede assolutamente nella filosofia naturale. Devo, per correttezza intellettuale, aggiungere che sono avvantaggiati dal terreno vulcanico di Ischia: un connubio perfetto quello fra biodinamica – supporto mio e microbiologico – e terreni vulcanici.
Sul sito aziendale c’è l’andamento della vendemmia di ogni singola annata, questo perché le peculiari caratteristiche di questi vini fanno si che davvero ogni singola annata sia storia a sé. Ne parleremo.
Vini Bajola: macchine del tempo
“Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino” di Zombiwine
Ora, perché dico che questi vini sono una macchina del tempo? Perché seguono un processo di vinificazione molto particolare. Comprenderlo ci permetterà di fare un viaggio lungo migliaia e migliaia di anni.
Tutti (spero) saprete che il vino nasce in Georgia, in Iran, in Iraq e in Armenia e che poi è stato portato in Europa prima dai Fenici e poi dai Greci; infine, a Roma, la vite diventa la compagna dei popoli.
All’epoca strumento di trasporto e di vinificazione era l’anfora di terracotta, questo contenitore sta vivendo oggi una nuova primavera; in Georgia ancora oggi le anfore interrate Qvevri (o Queveri) vengono utilizzate per verificare e invecchiare il vino.
Tuttavia c’è anche di un altro archeo-metodo che sicuramente era utilizzato dai popoli ellenici: il Palmento. Ai fini di questo articolo non mi interessa decidere quale dei due sia nato prima, anche perché probabilmente erano entrambi utilizzati nel medesimo periodo.
Ma cosa è un palmento?
È una vasca in pietra che si utilizzava per la raccolta delle acque piovane, che poi erano impiegate per irrigare i campi; una forma che si prestava perfettamente ad essere usata come contenitore per uve da pigiare e per agevolare la partenza della fermentazione. Poi, probabilmente, il liquido vinoso veniva messo nelle anfore.
In Italia, sopratutto sull’Etna e in Sicilia, i palmenti si sono utilizzati sino all’inizio del Novecento e qualcuno dei più tradizionalisti fra i produttori li usano ancora per pigiare le uve.
Ma cosa centra questa storia con Ischia e con Bajola?
Sull’isola ci sono ritrovamenti archeologici che attestano la presenza di grossi palmenti utilizzati, appunto, per la vinificazione. Quando i proprietari Francesco ed Alice decisero di vinificare la propria uva avevano un enorme problema: per vincoli paesaggistici non potevano costruire una cantina, e allora ebbero un lampo di genio: trasformare il palmento in una specie di anfora a modo loro.
Vini Bajola: il lampo di genio
Come funziona, quindi, il palmeto di Bajola? È tutto molto semplice.
In mezzo alla vigna sono state ricavate tre vasche da una cisterna interrata utilizzata un tempo per la raccolta dell’acqua piovana.
Le uve appena raccolte vengono solo di raspate e messe nelle vasche per caduta, senza l’uso di pompe o altro ausilio.
La fermentazione parte spontanea.
Non c’è nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e nessun filtraggio.
Quando la fermentazione tumultuosa termina si svina e da questo momento in poi il vino affina sempre nelle stesse vasche sulle sue fecce fini.
Le vasche sono mantenute sature di gas inerte per evitare ossidazioni.
Dopo sei mesi si imbottiglia e, voilà, ecco il Bajola.
A questo vino va affiancato, dal 2017, uno strano esperimento, ovvero il vino perpetuo Bajola in tiano.
Bajola in “tiano”
Bajola in “tiano”, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.
A questo punto si fa un salasso dal palmeto e lo si trasferisce nel tiano.
Il tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).
Il tiano è protetto esternamente con un composto a base di cera d’api, olio di lino ed essenza di agrumi.
La ricetta proviene da lunghi studi finalizzati a non renderlo completamente impermeabile, ma di mantenere una certo contatto con l’aria adatto all’affinamento del vino.
Vino prodotto nel tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).
Prima del primo utilizzo, l’interno del tiano viene sottoposto a una sorta di encausto esclusivamente a base di prodotti vinosi, ciò per ridurre la porosità della terracotta.
Il tiano non si riempie mai totalmente, in modo da consentire un sostanziale contatto fra superficie vino e aria, favorendo così la creazione di un Flor di lieviti.
Il tiano non viene mai svuotato; al momento dell’imbottigliamento si lascia almeno il 10% del vino ricco di feccia fine, memoria delle annate precedenti.
È questo il metodo “perpetuo” di Bajola.
Vini Bajola: come sono?
Ma come sono questi due vini? Estremi e adatti. Chi non ha paura di sporcarsi il naso o il palato fanno per lui: non sono vini per novellini, insomma, o verginali enoici.
Io li amo molto.
Il Bajola foglia
Il Bajola foglia, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.
Il Bajola foglia è un vino in cui coesistono piacevolezze e difetti, proprio come nel ciclo della natura: il colore è intenso e scuro, quasi marsalato, e il vino ha una sua personale quantità di volatile e una riduzione per cui bisogna berlo, se ci si crede. Che voglio dire? Che se per te il vino è solo giallo paglierino lascia stare, questo non è un vino da bacetti sotto al muschio. È un vino che ti prende e ti zompa addosso come una pazza meretrice! Ti strappa l’anima, il cuore e ci gioca a carte e poi – non contenta – ti chiede anche di sposarla!
Ma dietro quella volatile c’è tutta la bellezza dell’isola di Ischia! Odore di pesca percoca, quella gialla. Macchia mediterranea, ginepro, profumo di mare e risacca, quella sensazione olfattiva prima che venga a piovere e su tutto, poi, al sorso, una strabiliante complessità aromatica. Questo è uno di quei vini che o lo ami o lo odi, e non sono io a volerne tessere per forza le lodi. Se non dovesse piacervi potrei capirlo, io lo amerei comunque.
Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata.
“Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata” di Zombiwine
Il Tano
Diversa è la storia del Tano, che invece è un vino oscuro e tempestoso: qui le sensazioni sono portate al limite della sopportazione, arricchite anche dall’ossidazione. Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino. Io, ancora, non ci sono riuscito, ma – avendone bevuto solo una bottiglia – mi concedo il diritto di riberlo. Assolutamente assurdo, credetemi, e so benissimo che, per la metà di voi, è una cosa profondamente sbagliata.
Di colore quasi neutro, va aperto e lasciato almeno qualche ora a decantare, meglio se proprio in un decanter. Poi da tutti quegli strati di sensazioni assolute lentamente sorgerà un fiore, un profumo di tè, di tabacco, di caffè, con note tostate, un sentore di funghi, di fior scuri, di pietra vulcanica, di mare in tempesta, con vaghe note ossidative.Un’esperienza assolutamente unica.
Il sorso non si può descrivere. Sappiate solo che io l’ho bevuto in tre giorni, come se fosse una turista misteriosa con cui trascorrere un weekend folle di sesso.
Conclusioni
Questo è Bajola, una storia d’amore per un isola, per una terra, per un modo di fare vino e per un approccio al vino stesso: non ho la pretesa che a piaccia. ma visto che ormai siamo in un mondo che accetta le altrui differenze, datemi retta: non fate gli enofobici! Prendetevene una bottiglia (meglio due) e cercate di capire cosa mi ha emozionato in questi cinque meravigliosi anni, da quando mio sono avvicinato per la prima volta ai vini di Bajola.
Di Zombiwine
Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
Settembre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
16-19 settembre 2022 – Enologica Montefalco – Montefalco (PG)
22-26 settembre 2022, Torino presso Parco Dora, Piemonte – Terra madre salone del gusto con un programma fitto di appuntamenti
23-25 settembre 2022, Roma, Lazio – Vendemmiata Romana per vivere la vendemmia all’Orto Botanico di Roma. Tanti laboratori e attività gratuite per scoprire la magia del vigneto.
23-24 settembre 2022, Cupramontana (Ancona) Marche – Il Grande Verdicchio. Un programma ricco di appuntamenti (anche su prenotazione) per degustare e conoscere il territorio
23-25 settembre 2022, Giovo, Trentino Alto Adige – Festa dell’uva. La festa dell’Uva più antica del Trentino compie quest’anno 65 anni
24-25 settembre 2022, Landscape Festival Berlucchi visita speciale in cantina. Un’esperienza all’insegna della natura e del total relax, assaporando il gusto della Franciacorta nel calice.
24-26 settembre 2022, Agrigento, Sicilia – Sicilia in Bolle evento dedicato alle bollicine siciliane e non solo, con tanta musica e divertimento oltre a cultura, arte, natura e territorio
25 settembre 2022, Alba (Cuneo) Piemonte– Festa del Vino Il centro storico di Alba diventa per due domeniche una “via del vino” – questa la seconda
26 settembre 2022, Pavia, Lombardia – Oltrepò – Terra di Pinot Nero. Evento riservato e su prenotazione
29 settembre – 3 ottobre 2022, Bardolino (Verona) Veneto – Festa dell’uva e del vino, 5 giorni di festa con: concerti musicali serali, chioschi enogastronomici, vino Bardolino, degustazioni guidate a cura del Consorzio Tutela Vino Classico DOC, sfilate di bande musicali, spettacoli teatrali, convegni, incontri sul tema del vino, mostre delle migliori uve e del miglior vino Bardolino
OTTOBRE 2022
Ottobre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Tutti i weekend: Divin Ottobre Strada del Vino e dei Sapori del Trentino
1-31 ottobre 2022, Pisa, Toscana – cantine aperte in Vendemmia con molte attività organizzate sul territorio info a Strada del Vino delle Colline Pisane
8-16 ottobre 2022 – Milano Wine Week – Milano
9 ottobre 2022, Valpolicella (Verona) – Val Polis Cellae 6 percorsi – 25 cantine della Valpolicella per degustare ottimo vino, il tutto circondato da gustosi piatti tipici e arte
16-17 ottobre 2022 – Modena Champagne Experience – Modena
17-18 ottobre 2022 Autochtona Award 2022 – Forum nazionale dei vini autoctoni – Bolzano
20-21 ottobre 2022 EnoNautilus Wine Metaverse Conference online – www.ewmc.enonautilus.it
22-24 ottobre 2022, Taormina (Messina) Sicilia – Taormina Gourmet evento in collaborazione con centinaia di cantine, birrifici e aziende agroalimentari
22-23 ottobre 2022, Villa Cavazza, Bomporto (Modena) – Terre di Vite
23 ottobre 2022 – Life of Wine – Roma
23 ottobre 2022 – Fermento Milano – Milano
30-31 ottobre 2022 – Vini di Vignaioli – Fornovo di Taro (PR)
NOVEMBRE 2022
Novembre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Cantine Aperte in Vendemmia: settembre e ottobre con Movimento Turismo Vino + Cantine Aperte a San Martino: dal 5 al 13 novembre
4-8 novembre 2022 – Merano Wine Festival – Merano (BZ)
5-7 novembre 2022 – VAN Vignaioli Artigiani Naturali – Roma
Dall’11 novembre – Benvenuto Brunello, Montalcino, Toscana
13-14 novembre 2022 – The Wine Revolution – Sestri Levante (GE)
21-22 novembre 2022 – World Bulk Wine Exhibition – Amsterdam (Olanda)
21-22 novembre 2022 – Biennale Internazionale del Vino (B2B) – Sovizzo (VI)
24 novembre -11 dicembre Trentodoc: Bollicine sulla città, il metodo classico di montagna incontra le eccellenze gastronomiche locali lungo la Strada del Vino e dei Sapori del Trentino
26-28 novembre 2022 – Mercato dei Vini FIVI – Piacenza
DICEMBRE 2022
Dicembre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Cantine Aperte a Natale: dicembre con Movimento Turismo del Vino
3-4 dicembre 2022, Livorno, Toscana – Mare di Vino prodotti gastronomici toscani proposti in degustazione al pubblico di operatori e di appassionati
8-11 dicembre 2022, Santa Massenza (Trento) Trentino Alto Adige – La notte degli Alambicchi. Uno spettacolo itinerante per le vie del borgo, un momento magico per rivivere il passato, celebrare la finezza della grappa di oggi e brindare al suo futuro
9 dicembre 2022, presso Palazzo Caetani, Latina (Fondi) Lazio – Brunello a palazzo: un percorso enogastronomico dedicato al Brunello di Montalcino in abbinamento a specialità gastronomiche del territorio
Prosegue fino all’11 dicembre 2022, Trentodoc: Bollicine sulla città, per scoprire le eccellenze gastronomiche locali lungo la Strada del Vino e dei Sapori del Trentino
GENNAIO 2023
Gennaio calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
15-16 gennaio 2023 – Nebbiolo nel Cuore – Roma
21-25 gennaio 2023, Rimini, Emilia Romagna – Fiera di Rimini Sigep Salone Internazionale della Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè evento dedicato ai professionisti del settore
DATE DA CONFERMARE MA TROVATE QUI SOTTO LA TIPOLOGIA DI EVENTI CHE SONO OGNI ANNO CONFERMATI
Bologna fiere, Emilia Romagna – Biennale internazionale del Vino e del vino bio evento riservato agli operatori con degustazioni e appuntamenti con le aziende italiane e internazionali
gennaio 2023, Milano, Lombardia – Autoctono si nasce. Evento da non perdere per professionisti e appassionati organizzato da GoWine
31 gennaio 2022, Bologna – Buono… non lo conoscevo! Winter Edition: una degustazione tematica riservata ai soci Go Wine, ai loro amici e agli enoappassionati
FEBBRAIO 2022
Febbraio calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
13-15 febbraio 2023, Wine Paris & Vinexpo Paris evento dedicato ai professionisti del settorepresso Paris Expo
26-28 febbraio 2023, Bologna – Slow Wine Fair un programma ricco di degustazioni e masterclass per professionisti e appassionati
26-27 marzo 2023 – Terre di Toscana – Lido di Camaiore (LU)
27-28 febbraio 2023, febbraio 2023, Cesena, Emilia Romagna – CesenaInBolla evento riservato ai professionisti del settore Ho.Re.Ca.
febbraio 2023, Bardolino (Verona) Veneto – Lago di Garda in Love. La manifestazione dedicata a tutti gli innamorati colora il lungolago e il centro storico con decine di appuntamenti e di intrattenimenti per rendere ancora più romantica la passeggiata tra le vie di Bardolino
MARZO 2023
Marzo calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
DiVinNosiola per celebrare l’unico vitigno autoctono a bacca bianca della provincia. Tante degustazioni e occasioni per conoscere i prodotti della zona: il vino Nosiola trentino, il Vino Santo Trentino Doc, le grappe di Nosiola e di Vino Santo. Organizzata anche la DiVinNosiola Ecorunning: una corsa tra i vigneti, le cantine e i borghi della valle.
19-21 marzo 2023 – Prowein Düsseldorf (Germania) – riservato ai professionisti del settore
marzo 2023, Firenze, Toscana – Vini Migranti. Con la pratecipazione di oltre 60 produttori e 250 vini da degustare e acquistare
marzo 2023, Roma, Lazio – VAN Vignaioli Artigiani Naturali.
marzo 2023, Siena, Toscana –Wine&Siena – Capolavori del gusto
marzo 2023, Roma, Lazio –Vini Selvaggi fiera indipendente del vino naturale. Presenti oltre 500 etichette di vino naturale: Italia, Spagna, Francia, Slovenia, Slovacchia e Germania
marzo 2023, Milano, Lombardia –Live Milano Wine.
marzo 2023, Anteprime Toscane
marzo 2023, Lido di Camaiore, Lucca, Toscana Terre di Toscana un evento organizzato con la collaborazione di 130 produttori cha hanno come obiettivo quello di fare conoscere la Toscana attreaverso il bicchiere
marzo 2023, Fiera di Trento, Trentino – 4 edizione del salone dedicato ai vini e ai cibi dei territori dell’arco alpino Vinifera 2023
31 marzo-10 aprile 2023, Strada del Vino e dei Sapori del Trentino – A tutto Nosiola. Un evento per degustare l’unico vitigno bianco autoctono del territorio e del Vino Santo
APRILE 2023
Aprile calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
1-2 aprile 2023 – Summa – Magrè (BZ)
2-5 aprile 2023 – Vinitaly– Verona (VR)
15-17 aprile 2023 – Contrade dell’Etna – Castiglione di Sicilia (CT)
22-23 aprile 2023 – Only Wine Festival – Città di Castello (PG)
DATE DA CONFERMARE
aprile 2023, Le Contrade dell’Etna tante le degustazioni e gli incontri dedicati alle cantine dell’Etna
aprile 2023, Torino, Piemonte – Anteprima Grandi Langhe con la degustazione dedicata alle nuove annate delle Docg e Doc di Langhe e Roero presso gli spazi dell’Ogr (Officine Grandi Riparazioni).
aprile 2023, Gambellara (Vicenza) Veneto –VinNatur. Degustazione dei vini di 180 vignaioli da tutta Europa
aprile 2023, Isola della Scala (Verona) Veneto – Natural Born Wines fiera dei Vignaioli Naturali
aprile 2023, Verona, Veneto – VANItaly. Vignaioli Artigiani Naturali – Natural Critical Wine in tour
aprile 2023, Lido di Camaiore (Lucca) Toscana –Terre di Toscana
Cerea (Verona) Veneto – ViniVeri storica manifestazione italiana di vini e prodotti alimentari ottenuti da processi naturali
aprile 2023, Sicilia Anteprima Tre Bicchieri
aprile 2023, Bardolino (Verona) Veneto –Anteprima del Chiaretto di Bardolino 2022 presso Istituto Salesiano Tusini
aprile 2023, Roma – Vignaioli Naturali evento con tante degustazioni dedicato al vino naturale
MAGGIO 2023
Cantine aperte – scopri il programma Movimento Turismo Vino
Maggio calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
15-17 maggio – London Wine Fair – Londra Wine week end Scandicci (Firenze) –organizzato da L’angolo del vino con 50 aziende e oltre 100 etichette in degustazione Festa del Bonarda a Rovescala (Pavia)– tutte le domeniche di Maggio. Gemme di gusto– tutti i weekend del mese appuntamento in Trentino con gli eventi organizzati dalla Strada del Vino e dei Sapori del Trentino
maggio 2023, Milano, Lombardia, Cantine & Motori @Malpensafiere. Una realtà innovativa dove vino, cibo e motori si uniscono alla perfezione per creare un grande evento mai visto nella zona
maggio 2023, Nibbiano Alta Val Tidone Piacenza (Emilia Romagna) – Vin in curte
maggio 2023, Grottaglie (Taranto) Puglia – Evoluzione Naturale. Con laboratori, incontri e tante degustazioni: apertura dei banchi di assaggio con oltre 60 vignaioli in degustazione libera.
maggio 2023, Pesaro, Marche – Pesaro Wine Festival. Degustazioni, assaggi, spettacoli teatrali e seminari per appassionati ed esperti
maggio 2023, Spilamberto (Modena) Emilia Romagna – Vignaioli Contrari oltre 50 vignaioli da tutta Italia.
maggio 2023, San Felice del Benaco, Brescia (Lombardia) – Tasta e Camina, una passeggiata enogastronomica sul territorio, evento su prenotazione!
maggio 2023, Pescara (Abruzzo) – Viva la Vite – ARTIGIANI DEL VINO con tante degustazioni ed eventi
maggio 2023, Milano, Lombardia – Best Wine Stars Palazzo del Ghiaccio. Oltre tante degustazioni direttamente con i produttori
maggio 2023, Milano, Lombardia – Distillo nuovo evento dedicato alle microdistillerie presso Officine del Volo
maggio 2023, Roma, Lazio – Roma Wine Expo. Banchi di assaggio, masterclass e meeting, amicizia e passione, business e incontri
maggio 2023, Napoli, Campania – VitignoItalia.
maggio 2023,Bardolino (Verona) Veneto – Palio del Chiaretto Lago di Garda si colora di rosa in onore del Chiaretto, prodotto all’omonimo vitigno.
GIUGNO 2023
Giugno calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
8-12 giugno 2023 – Radici del Sud – Bari Anteprima Amarone – focus sull’annata 2017 e con due convegni dedicati al settore Horeca organizzati da Consorzio Tutela Vini Valpolicella
giugno 2023, Torrazza Coste, Pavia – Tramonto diVino con Emilia Pennac.
giugno 2023, Napoli, Campania – Salone VitignoItalia: 300 cantine con oltre 2000 etichette: tante le degustazioni nazionali, i buyer e i visitatori
giugno 2023, Castelletto di Cuggiono, Milano (Lombardia) –Camminar Mangiando passeggiata gastronomica nel Parco del Ticino: ogni tappa un piatto da scoprire
giugno 2023, Roma – Vinofòrum
giugno 2023, Roma – Roma Hortus Vini
LUGLIO 2023
Luglio calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
luglio 2023, Santa Vittoria d’Alba (Cuneo) Piemonte – Sotto il Cielo del Roero cena tra i filari organizzata presso la cantina Cornarea di Canale
Agosto 2023
Agosto calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Prosegue fino al 15 agosto la rassegna Calici di stelle 2023 scopri le degustazioni e gli appuntamenti vicino a te
Calici di Stelle Abruzzo
Calici di Stelle Basilicata
Calici di Stelle Emilia Romagna
Calici di Stelle Friuli-Venezia Giulia
Calici di Stelle Toscana
Calici di Stelle Trentino Alto Adige
Calici di Stelle Umbria
Calici di Stelle Veneto
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SETTEMBRE 2023
Settembre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Proseguono gli appuntamenti del Movimento Turismo del Vino
• Cantine Aperte in Vendemmia: settembre e ottobre
• Cantine Aperte a San Martino: dal 5 al 13 novembre
• Cantine Aperte a Natale: dicembre
settembre 2023, Pisa, Toscana – cantine aperte in Vendemmia tante le attività organizzate sul territorio info a Strada del Vino delle Colline Pisane
settembre 2023, Serralunga d’Alba (Cuneo) Piemonte – Festa della Vendemmia: manifestazione dedicata a grandi e piccini, all’insegna della sostenibilità, del territorio di Langhe, Monferrato e Roero e del vino. Visite guidate alle cantine storiche di Fontanafredda con spettacoli musicali
settembre 2023, Roma, Lazio – Vendemmiata Romana
settembre 2023, Bardolino (Verona) Veneto – Festa dell’uva e del vino, 5 giorni di festa con: concerti musicali serali, chioschi enogastronomici, vino Bardolino, degustazioni guidate a cura del Consorzio Tutela Vino Classico DOC, sfilate di bande musicali, spettacoli teatrali, convegni, incontri sul tema del vino, mostre delle migliori uve e del miglior vino Bardolino
OTTOBRE 2023
Ottobre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Ottobre 2023, Pisa, Toscana – cantine aperte in Vendemmia con molte attività organizzate sul territorio info a Strada del Vino delle Colline Pisane
ottobre 2023, Spello (Perugia) Umbria. Borgo diVino in tour. La bellezza di un borgo arroccato dove degustare una selezione dei migliori vini italiani e vini locali come: il Grechetto, il Merlot e il Sangiovese
ottobre 2023, Taormina (Messina) Sicilia – Taormina Gourmet evento in collaborazione con centinaia di cantine, birrifici e aziende agroalimentari
Novembre 2023
Novembre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Cantine Aperte in Vendemmia: settembre e ottobre con Movimento Turismo Vino + Cantine Aperte a San Martino: dal 5 al 13 novembre
Benvenuto Brunello, Montalcino, Toscana
DICEMBRE 2023
Dicembre calendario delle date eventi enoici 2022 e 2023
Cantine Aperte a Natale: dicembre con Movimento Turismo del Vino
LE DATE DEGLI EVENTI ENOICI 2023 SONO IN DIVENIRE, stiamo aspettando le conferme dagli organizzatori, intanto trovate le indicazioni della tipologia di manifestazione e mese, il prima possibile verranno introdotte anche le giornate esatte di evento.
Per la chiusura dell’anno 2022 si possono acquistare biglietti e/o di richiedere accrediti per gli eventi segnalati, vi invitiamo a consultare i siti di ciascuna manifestazione, per vagliare le offerte economiche, i programmi e le procedure di iscrizione.
Se siete a conoscenza di eventi di rilievo nazionale o internazionale potete segnalarli a questa email info@papillae.it o contattandoci tramite i canali social di Carol Agostini, FoodandWineAngels, Papillae.
Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine
Alcuni giorni fa spinte dalla passione e dalla curiosità, ormai fedeli Partners in WINE, abbiamo deciso di immergerci in questo grande FOCUS sul Grechetto. Il vitigno che ha, in alcune zone del Centro Italia, trovato il suo terroir come unico comun denominatore.
Sala di degustazione MUVIS Castiglione in Teverina VT, articolo TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto
Partecipando ad un incontro tenutosi nello splendido scenario del MUVIS “ Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari” a Castiglione in Teverina in prov. di Viterbo, diretto da Carlotta Salvini (Miglior Sommelier Fisar 2019) ed organizzato dalla Delegazione Fisar Viterbo in collaborazione con il Comune, abbiamo ascoltato il racconto sulle molteplici sfumature e declinazioni di questo particolare vitigno, e abbiamo confrontato, nel calice, il lavoro di sette Produttori della Tuscia.
Particolarità che vengono esaltate anche dalle diverse vinificazioni, dai differenti tempi di affinamento e dai distinti materiali per la maturazione che vanno dall’acciaio al legno, finendo anche alla sperimentazione, da parte di alcuni produttori nel corso degli anni, dell’anfora.
Da sinistra Leonardo Zannini (Sindaco di Castiglione in Teverina), Giuseppe Mottura, Cristina Baglioni (Delegata Fisar Viterbo), Carlotta Salvini (Relatore Fisar), Laura Verdecchia (Tenuta La Pazzaglia), Ludovico Trebotti e Erminio Papalino.
Ma la prima domanda ovviamente che ci sorge spontanea è: COME MAI QUESTO VITIGNO E’ COSI’ SPECIALE?
Iniziamo con il raccontarvelo usando le parole della stessa Carlotta, con le quali ci spiega un po’ la storia di questo vitigno, emozionante e intrinseco di sfaccettature. “Da Grechetto Greco o Greci ci sono tanti vitigni con rappresentanze simili. Per motivi storici, per Greco o Grechetto in passato si intendevano quei vitigni che, o venivano importati dalla Grecia o che, nel medioevo si facevano alla Greca. Caratteristiche simili ma con nomi differenti, in altri casi, si trova lo stesso Grechetto ma con biotipi e caratteristiche ampelografiche differenti”.
In questo incontro, abbiamo affrontato il tema sulla diversità dei due biotipi del vitigno: il Clone G109 o Grechetto di Orvieto e il clone G5 o Grechetto di Todi, declinati in tante denominazioni e caratteristiche differenti, e diffusi esclusivamente in Toscana, Umbria e Lazio. Prima di parlarvi delle caratteristiche di questi due grandi cloni, vi scriviamo qualche riga sul percorso e sul cammino di questi differenti ma così uniti Grechetti.
La Storia e le sue differenze
Il Grechetto è un vitigno introdotto sicuramente nelle regioni del sud Italia dai Greci per poi trovare il suo habitat ideale soprattutto in Umbria e Lazio. Anche il nome della varietà ci suggerisce un’origine greca, proprio come altri vitigni aventi un nome simile, ma con caratteristiche ampelografiche diverse, come il Greco, il Grecanico, il Greco Bianco o il Grechetto Gentile. Probabilmente, nel VIII secolo a.C. in Magna Grecia, i coloni importarono e diffusero nell’entroterra della penisola fino ad arrivare in Umbria anche le barbatelle di Grechetto. La famiglia di questo vitigno si compone quindi di due cloni, il Grechetto di Orvieto (clone G109) e il Grechetto di Todi (clone G5).
Questi cloni presentano diverse analogie e caratteristiche che vanno sottolineate per capirne la diversità. Innanzitutto il G5, detto anche e non per caso Grechetto Gentile, ha dei toni più aromatici, una più marcata freschezza e un finale meno ammandorlato. Ha anche una maturazione più precoce rispetto il G109; il Grechetto di Orvieto, invece, ha più scontrosità e carattere quindi un semi aromatico, con un’acidità più vestita; si sposa benissimo in blend con altri vitigni (Procanico, Trebbiano, Malvasia e/o autoctoni a bacca bianca) che danno più note di freschezza alla sua struttura e alcolicità.
Ottima riuscita anche nella versione passita e muffata, dove lo zucchero residuo maschera il carattere “poco morbido” del vitigno, ma che si sposa perfettamente con tutte le sue caratteristiche.
Nonostante le note organolettiche e aromatiche siano diverse, molti vini provenienti da uve Grechetto hanno una sorprendente capacità di invecchiamento ed una nota inconfondibile in tutti di mandarla sul finale.
sette calici di grechetto a confronto, articolo TUSCIA 2022: Le grandi sfumature del Grechetto
La degustazione: il confronto
Importanti e diverse le aziende che troviamo in degustazione e con le parole, le spiegazioni e le emozioni di Carlotta iniziamo:
Fattoria MADONNA DELLE MACCHIE Grechetto Belcapo Lazio IGT 2021
L’Azienda è situata su una delle splendide colline in Castiglione in Teverina e ha radici ben salde nel territorio dell’alta Tuscia. Una passione, quella di fare vino ed olio, che si tramanda da tre generazioni, lavorando la terra in maniera sostenibile e bio in via di certificazione, con il minimo intervento in campagna e una grande attenzione alle materie prime.
Azienda che utilizza il clone G109 e lo vinifica in acciaio.
Insieme a Carlotta ci immergiamo nella descrizione delle emozioni e dei sentori che proviamo nel degustare il primo calice della serata.
Ai nostri occhi si presenta di un bel giallo paglierino con sfumature verdoline.
All’olfatto non abbiamo picchi aromatici, ma sentori che “somigliano a strati di nuvole” come suggerisce la Salvini. Molto floreale, sentori di fieno e frutta a pasta bianca, nel bicchiere pian piano si apre donandoci sentori di macchia mediterranea e di vegetale. Palato molto fine, delicato, buona freschezza e sapidità ben bilanciata; nel finale si perde un po’ data l’annata ancora giovane. Un vino semplice, di piacevolissima bevuta. Presenti note molto interessanti di mughetto, fiori delicati, fiori di campo e una nota che vira sull’anice attraente e delicata. Buona struttura, buon equilibrio e un’acidità vestita che non crea squilibri.
TREBOTTI “INCANTHUS” Tuscia Grechetto DOP 2021
Qui a spiegarci la sua azienda è direttamente Ludovico che, con passione e costanza, porta avanti, insieme ai due suoi fratelli, l’azienda ereditata dal nonno. Bio certificata dal 2006, la TREBOTTI è leader in Italia per innovazione ed ecosostenibilità con molti progetti attuati contro lo spreco energetico, con l’utilizzo di prodotti riciclati, riducendo al minimo l’impatto ambientale.
Ludovico ci racconta:
“Nella nostra azienda seguiamo una selezione massale dei vecchi vigneti, scegliamo quelli che hanno delle caratteristiche peculiari. Il nostro Grechetto, ad esempio, è un vigneto piantato nel 2010 e ci sta dando degli ottimi risultati. Facciamo vinificazione in acciaio ed il colore sarà più tendente al dorato poiché l’annata è stata molto più calda“.
Al calice riscontriamo effettivamente un colore che verte al dorato più che al verdolino e al naso una parte aromatica più pronunciata del vino precedente. Un mix di Sentori che vanno dalla frutta a guscio alla pesca gialla, con una leggera nota di mela cotogna e mela gialla che si sposano perfettamente ai sentori di ginestra, fiori gialli, spezie e zafferano.
Al palato un’acidità vestita, un incontro molto accogliente in bocca di frutta matura. Un vino succoso e giustamente alcolico che va in larghezza, rotondo. Più strutturato del precedente con note amaricanti leggere ma con un finale di bocca sospeso come se attendesse qualcosa. Solido, piacevole e compatto.
TRAPPOLINI Grechetto Lazio IGT 2021
L’Azienda, consolidata nel territorio dagli anni 60, giunta anch’essa alla terza generazione, ha un profondo rispetto per la terra natia, uno sguardo sempre puntato verso la qualità mantenendo un sano equilibrio tra la vite e l’ambiente circostante. Distribuiti tra Castiglione in Teverina, Civitella D’Agliano e Montefiascone, i vigneti poggiano sia su suolo vulcanico, che dona una buona sapidità ai vini, sia su suolo argilloso, di origine alluvionale, che regala una struttura importante.
Il vino in degustazione è un Grechetto composto da più cloni, il G109, il G5 e cloni di selezioni massali dei loro vigneti vinificato in acciaio.
Per cui ci aspettiamo ed immaginiamo subito una complessità maggiore, dato che, dal momento che si assemblano 5 cloni insieme, si mira ad estrapolare tutte le proprietà positive del vino che i produttori vogliono ottenere e quindi, molto probabilmente avremo un picco aromatico più alto dei precedenti.
Avvicinando il calice al naso lo abbiamo trovato, infatti, più intenso e con un grande slancio in più, note di uva spina e di gelso che all’improvviso ci portano alla mente questa distesa di vigneti dell’azienda. Una nota di agrumi molto interessante si abbraccia perfettamente a note floreali e fiori di arancio. Note citriche dolci si sposano a pennello con quelle del mandarino e della macchia mediterranea.
Ritroviamo tutto questo anche al palato con più note vegetali e un’intensità marcata, un mix di fiori e frutta in equilibrio tra di loro. Ci colpisce soprattutto questa freschezza intrigante e questa eleganza vestita come la sua acidità, chiudendo con una leggera alcolicità e una lieve scia sapida.
PAOLO E NOEMIA D’AMICO “AGYLLA” Grechetto IGP
Arrivate a questo vino ci rendiamo conto che loro sono l’unica azienda ad avere vinificato il loro Grechetto in anfora. Grande innovazione che negli ultimi anni sta prendendo piede. Azienda biologica che troviamo nel Vaiano, nel cuore della Tuscia, tra i “Calanchi”, zona vulcanica che si estende nell’alta valle del Tevere, al confine tra Toscana, Lazio ed Umbria.
Lasciano invecchiare il loro Grechetto in purezza in anfora per circa 8 mesi e 3 mesi di bottiglia. Una prova che tradizione ed innovazione possono coesistere insieme. L’anfora qui gioca la stessa funzione del legno, solo che non vi è cessione ma un alto potere traspirante che micro ossigena il vino senza cedere nulla. E’ un materiale poroso, apprezzato infatti da alcuni produttori perché, con esso, non si alterano le caratteristiche del vitigno.
Ci immergiamo con la vista in un colore giallo paglierino con dolci sfumature dorate. Al naso ci dona subito sensazioni di frutta matura, spezie ed erbette. Una leggera nota di noce moscata si unisce al fieno, al pepe bianco e alla frutta a guscio. Al palato riscopriamo una nota tropicale di mango legata alla pesca matura, fiori secchi appassiti e agrumi che si uniscono per donarci sensazioni meravigliose ed un finale di fico, scorza di arancia e mandorla che rende questo vino fluido, compatto e diretto.
Un’acidità che spicca, un’importante eleganza sul finale e una scia sapida che in bocca un po’ si blocca. Una bella struttura ed un bell’impatto ci fanno capire che sì, al momento questo vino è ancora giovane, ma che potrebbe regalarci altre grandissime meraviglie durante l’affinamento in bottiglia negli anni.
Ludovico Trebotti, Erminio Papalino e con la visita gradita dell’Azienda Vigne del Patrimonio
PAPALINO “AMETIS” Grechetto IGP 2019
Piccola realtà nel cuore di Castiglione in Teverina, l’Azienda Papalino, a conduzione famigliare, nata negli anni 60, fino al 1997 non ha subito cambiamenti sostanziali. Da qualche anno, Erminio, l’attuale proprietario, ha iniziato un processo di ristrutturazione e modernizzazione, ancora in corso, con il quale vuole portare l’azienda a produrre vino di qualità, sperimentando in Cantina le varie soluzioni e mantenendo inalterati gli antichi sapori.
Durante l’incontro, Erminio ci racconta che, per produrre il suo Grechetto, utilizza una tecnica interessante ovvero la vendemmia a scalare per ottenere un ventaglio aromatico più generoso e più ampio.
Inizialmente opera una vendemmia anticipata, poiché predilige la parte varietale del vitigno, la parte più delicata, più sensibile alle temperature di fermentazione troppo alte, concedendo un’importante spalla acida alla prima massa. In seguito la vendemmia va a scalare fino a quella più tardiva. Le masse poi prendono strade diverse, il 90% matura in acciaio e il 10 % in tonneaux di secondo passaggio. Il blend ha una percentuale maggiore di Clone G109 e una piccola percentuale di G5.
Questo ci fa capire subito che avremo un vino al calice molto più complesso con una texture e una bocca più consistente e piena di aromi. Al calice, infatti, ritroviamo un vino fine, elegante e molto definito. Un mix di frutta agrumata sposata benissimo con note di mela, pera e fiori freschi.
Una piccola sensazione di cerino appena spento, macchia mediterranea, erbe officinali, speziature e una lieve nota sulfurea molto interessante fa da cornice alle nostri emozioni che sentiamo al naso. Capiamo subito la complessità di questo vino. Sulla bocca ritroviamo la stessa complessità, una sua consistenza gentile, un impatto di bocca molto fine. Una nota salata che non dispiace affatto e un’acidità al centro che ci sgrassa la bocca. Note di miele, anice e fiori di sambuco ci inondano il palato con un finale di speziature e fiori secchi. Questa parte terziaria sul finale lo rende identitario e riconoscibile. Questo vino è NARRATIVO.
TENUTA LA PAZZAGLIA “POGGIO TRIALE” Grechetto IGP 2018
L’Azienda, ben nota agli appassionati del Grechetto, è della Famiglia Verdecchia che dal 1990 ne è proprietaria. Tradizioni di famiglia e rispetto per il territorio sono i mantra aziendali che conducono ad un unico obiettivo: fare vino di elevata qualità partendo dalla cura dei vigneti fino alla raccolta di uve sane e perfette.
Il Grechetto, ad oggi, è il fiore all’occhiello della loro produzione, in degustazione noi abbiamo il loro G5 in purezza . Uve raccolte a mano nelle ore fresche della mattina, selezione e pressatura immediata del grappolo con fermentazione a temperatura controllata. Lavorazione sulle fecce fini per 6 mesi, vinificazione in acciaio e affinamento in bottiglia di 9/12mesi. Lo troviamo attualmente in commercio con qualche anno di ritardo per scelta aziendale.
Al calice notiamo subito un giallo paglierino con sfumature dorate e nuance di verde. All’olfatto ha una vividezza e un impatto notevole che ci lascia immaginare quello che troveremo da ora in poi. Si apre con sentori di frutta generosa, lime, frutta tropicale e note floreale di gelsomino. Una nota leggera sulfurea è il valore aggiunto di questo vino. Man mano che si apre, ci avvolgono note balsamiche, note di miele, anice e fiore di sambuco.
Al palato abbiamo un impatto molto diretto, verticale, secco e salato. Si apre molto sul finale con una bella struttura ed un buon equilibrio. La sapidità sostiene l’acidità ancora più vestita rispetto agli altri. Una dinamica gustativa complessa con note balsamiche, di mele e di spezie sul finale che lasciano il segno facendotelo sicuramente ricordare.
Giuseppe Mottura e Laura Verdecchia
SERGIO MOTTURA “LATOUR A CIVITELLA” Grechetto di Civitella d’Agliano IGT 2020
A presentarci questa azienda troviamo il figlio di Sergio Mottura, Giuseppe con il quale apriamo il dibattito: “Dei sette Grechetto in degustazione, questo non è di Castiglione in Teverina ma di Civitella D’Agliano. La differenza la fa il terroir, perché i nostri vigneti sono piantati in un’area, principalmente alluvionale, circoscritta tra i due Comuni, Civitella D’Agliano e Castiglione in Teverina, data dal Tevere che 300.000 anni fa, dopo una grande alluvione lasciò sul terreno una grossa quantità di ghiaia e sabbia; quindi la tessitura diretta del terreno è completamente diversa da quella di Orvieto che è prettamente vulcanica “.
Della nascita e della storia della Famiglia Mottura ve ne abbiamo già parlato nell’articolo del 2 settembre dedicato interamente alla “Tana dell’Istrice” e al lavoro sul loro Grechetto.In questo calice di Latour a Civitella del 2020 troviamo un mondo. Questa bottiglia rappresenta un grechetto di estrema potenza e di grande raffinatezza. La caratteristica principale per capire fino in fondo un Grechetto, è quella di percepire la tannicità, come un vino rosso. Qui la sua potenza e la sua identità sono molto forti.
Al naso note interessanti di agrumi freschi, scorza di arancio, mandarino e lime si avvolgono in un mix sensazionale con sentori di ginestra, fiori gialli, erbette e macchia mediterranea. Nonostante l’affinamento in barrique non si percepiscono sentori forti di legno; questo ci fa capire che viene utilizzato bene ed a supporto nel processo produttivo. Al palato è molto elegante, fine e sottile.
La sua sensazione, gradevolmente lineare, si percepisce lenta in bocca; non è un vino diretto, che sparisce, ma costante. Sul finale abbiamo note di una leggerissima parte terziaria ma che essenzialmente vira sulla frutta, sulla croccantezza, sulla freschezza e sulla parte citrica. È presente una leggera scia sapida ma con un tenore alcolico composto.
Un vino che EMOZIONA.
Bottiglie degustate
Alla fine di questa degustazione, con un solenne applauso ci guardiamo e ci rendiamo conto che il nostro amato Lazio ha tanto ancora da dare, da dimostrare e tante emozioni da farci provare.
Una panoramica finale coinvolgente di sensazioni, aromi e sentori che ci fa comprendere innanzitutto la diversità dei vari terroir esistenti, del lavoro di affinamento e delle diverse filosofie aziendali. Nonostante ciò, i produttori sono rimasti uniti da una passione comune e costante, quella per un grande ed eclettico vitigno: IL GRECHETTO.
Amiamo chiudere, come sempre, con una frase stavolta “farina del nostro sacco”. “Per creare tutto ciò ci vuole caparbietà, costanza, solidarietà, tenacia nel lavoro e un pizzico di fantasia.Perché diciamocelo gli Artigiani sono sempre gli artisti più veri.”
Ilaria Castagna e Cristina Santini
Partners in Wine
Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
Viaggio emozionale tra sapori, esperienze e ricordi di una nuova stella della Cucina Campana 2022.
Di Gaetano Cataldo
Chef Giuseppe Molaro Contaminazioni Restaurant di Somma Vesuviana
Probabilmente è il ricordo estivo che maggiormente perdura in questo autunno e che mette nostalgia al pensiero di una brezza marina che va al di là della semplice comprensione di un’esperienza balneare o comunque di una gita all’aperto.
Un ricordo indelebile, fondato su un’esperienza indimenticabile, quella fatta al Contaminazioni Restaurant di Somma Vesuviana, ristorante stellato di proprietà dello chef Giuseppe Molaro che promette esperienze che vanno ben oltre l’edonismo.
Ricerca degli ingredienti, padronanza della tecnica, senso dell’estetica sono certo fondamentali ma temo la cucina non sia un’equazione semplice da estrapolare, nemmeno se celebrata in una location da urlo: non è il risultato della somma di ogni singolo elemento utile al suo svolgimento e non può semplicemente rifarsi ad una semplice strategia, per quanto estrinsecata dal più bravo dei food & beverage manager.
Occorre qualcosa in più, di non necessariamente codificabile semplicemente nell’ambito di una degustazione sensoriale o che debba essere scritto, per forza di cose, in qualche esoterico manuale di cucina.
L’esperienza culinaria deve poter essere completa, appagante ed edificante: scuotere possibilmente il palato mediante la concentrazione di sapori e l’appeal edonistico, destare l’intelletto grazie ad un arricchimento culturale incentrato sulla filosofia del piatto e far vibrare le corde emotive dell’assaggiatore è la conditio sine qua non a cui uno chef deve aspirare per esaudire le aspettative di palati sempre più colti ed esigenti.
Un obiettivo difficilissimo che richiede sacrificio, studio, tecnica, dedizione e passione. Ma non è la naturale conseguenza del diventare chef, non basta. Certo il Territorio, la Tradizione, un Food Concept innovativo, ma non tralasciamo di ricordare quel detto biblico che afferma che nihil sub sole novum, altrimenti si rischia di scadere nell’ovvietà di pratiche meccanicistiche e story telling più che scontati.
L’arte creativa e culinaria dello Chef Giuseppe Molaro
Occorre ancora qualcosa in più, qualcosa che Giuseppe Molaro: la vocazione per l’alta cucina e quel suo 110% costante tra tecnica, sentimento, visione, istinto ed armonia.
Lo riesce a trasmettere con gli occhi e col sorriso, a voce, soprattutto facendolo risuonare al palato mentre si assaggiano, senza accorgersene, i suoi personali ricordi, ricordi di un percorso che alla fine di un viaggio tra i suoi sapori, si rimescolano tra gli ingredienti e diventano anche i nostri, facendoci percepire la struttura materiale ed immateriale di piatti che concettualmente nascono in Giappone, fanno il giro del mondo e diventano Vesuviani.
Chef Giuseppe Molaro Dal Giappone finalmente nella sua terra d’origine
Recentemente insignito dalla Guida Michelin da quando è rientrato in Italia dal Giappone ecco un esempio della sua cucina mirabile.
È il cocktail hibiscus ad aprire le danze: ottenuto dall’aceto dei fiori di ibisco con una soluzione di alcool ed acqua, zucchero di canna, olio al peperoncino, kombucha al tè verde e bitter d’agrume, questo drink originale, e per certi versi esotico, accarezza il senso dell’olfatto con le sue note odorose e predispone sin da subito il palato, grazie al sapore intrigante, una lievissima astringenza ed alla piacevole acidità che rende ancor più succoso il sorso.
Il pane fatto con lievito madre, semi di lino e di papavero arriva a tavola caldo e con tutte le sue fragranze, assieme alla carta musica aromatizzata al rosmarino ed ai grissini al porro bruciato, accompagnati da un olio evo fruttato e di media struttura, dal burro di bufala e dal sale di Maldon. Insomma l’ospitalità mediterranea a tavola, celebrata da subito con bollicine di Caprettone Metodo Classico del Vesuvio Doc, perché il trittico della Dieta del Mare Nostrum sia soddisfatto.
Mise en Place Contaminazioni Restaurant
Cena sensoriale in un percorso degustativo
Da qui arriva subito una svolta e ci ritroviamo a Tokyo assieme allo chef Molaro per condividere con lui la descrizione di un attimo tramite una delle pietanze ordinate, entrando in ristorante locale, dopo essersi perso tra le strade della metropoli, con tutte le sensazioni del momento e con un menu scritto esclusivamente in lingua giapponese davanti a sé… la melanzana cotta alla brace accompagnata da un brodo dashi leggero e del katsuobushi.
Una preparazione semplicissima ma spettacolare che al Contaminazioni Restaurant è diventata più ricca nella sua elaborazione e nella complessità dei sapori: dapprima cotta sotto vuoto e poi grigliata, la melanzana presenzia anche nella versione cremosa per accompagnare il kamobushi di petto d’anatra, il dashi e lo yukari, la foglia di shiso usata normalmente nella fermentazione dell’umeboshi e qui essiccata e poi ridotta in polvere. Al termine la pelle di melanzana a guarnire la preparazione e a relegarle ulteriore consistenza.
Le squame soffiate di ricciola vengono servite con una salsa ricavata dalla soia, dal sesamo bianco tostato e poi pestato, dal mirin, ossia un tipo di sake dolce da cucina, e dal miele. Un componimento croccante e decisamente gustoso a cui segue il panino al collo di maiale con cipolla rossa caramellata e dressing di salsa tare, portata che omaggia la perizia di abile “paninaro” di suo padre.
La pasta fillo ripiena di polpa di cosce di pollo cotte a bassa temperatura con timo, rosmarino, alloro e carote, poi servita con una salsa barbecue fatta in casa con in aggiunta un pizzico di curry, è davvero un bocconcino delicato e ricco di percezioni gustative per quanto bilanciato, perfettamente tenuto nella sua sfoglia.
Viaggio emozionale tra sapori, esperienze e ricordi di una nuova stella della Cucina Campana 2022.
Il battuto di ricciola con fragola fermentata, sedano ed acetosella stupisce non soltanto per l’intensità dei sapori ma persino per una sottilissima untuosità, per nulla impattante, nonostante sia composta da un blend di olio alla maggiorana sia fritto che ossidato.
A seguire un succulentissimo sgombro waraiaki con emulsione di mare, limone e spinaci: in pratica il pesce viene dapprima marinato in aceto di riso e successivamente cotto con la tecnica giapponese waraiaki, ossia da un fuoco dolce alimentato dal fieno.
In perfetta linea di continuità ed in un crescendo di sapori e profumi, pur sempre bilanciati, ecco la trota salmonata. Appena scottata in padella, viene servita in salsa tom kha gai, lime e lattuga.
Passaggi decisamente laboriosi per donare una esperienza decisamente tailandese, molto autentica: la salsa viene aromatizzata con verdure, lime, peperoncino, lemon grass, foglie di limone ed anice che veicolano nel brodo tutti i loro umori, per poi rafforzarli e condensarli con radice di curcuma, curry, latte di cocco e nuove note citriche rinverdite. Risultato? Un velluto per il palato ed un bilanciamento di spezie ed aromi pazzesco.
Lo spaghetto freddo con alghe e zenzero è stato un vero e proprio tuffo nel blu: soffritto di zenzero nel suo olio, sfumatura leggera con aceto di pomodoro home made ed un brodo di sedano, carote, cipolla, porro, funghi e finocchio, eseguito nella pentola a pressione, sono gli elementi caratterizzanti il liquido in cui cuocere la pasta.
Si raffredda il tutto a bagnomaria una volta aggiunto altro olio di zenzero, alga nori ed alga wakame in sosta nell’aceto di chardonnay ed una purea di prezzemolo. Di una delicatezza così disarmante e tale da non lasciar sospettare una tale complessità di elaborazione, il piatto è un’immersione sui fondali marini, circondati da ostriche e foreste di alghe. Soprattutto crea dipendenza.
L’esperienza marinara continua con lo scorfano: le carni vengono fatte frollare per una settimana e quindi lasciate macerare per una giornata nell’alga kombu,idratata e tostata al forno. Il pescato viene appena scottato, servito con concentrato di pomodoro, rucola saltata, fagiolini, ravanelli e malto al pomodoro. Una salsa insospettabilmente fatta con lische di pesce tostate e cotte con acqua di pomodoro, filtrata a fine cottura, raffreddata ed emulsionata con succo di lime e olio evo, ha costituito il legante perfetto per imprimere la giusta coralità al piatto.
Viaggio emozionale tra sapori, esperienze e ricordi di una nuova stella della Cucina Campana 2022.
La mela verde al sorbetto di finocchio e la sua barba croccante, come pre-dessert, è stato un ulteriore elemento di valutazione che non lascia dubbio alcuno sul lavoro metodico di Giuseppe Molaro, svolto per ammansire l’anetolo ed il fenitolo, senza però privare le materie prime del loro autentico gusto. Il rotolo di mela verde è ricavato dalla centrifuga del frutto in osmosi e la comunione col finocchio, oltre che ad essere ben congeniata, è a prova di vino.
Il kinako, caffè e liquirizia è un dessert di tale eleganza, bilanciamento di dolcezza ed aromaticità da mettere in crisi gli amanti del tiramisù, tanto più che non è affatto un tiramisù ma convertirebbe chiunque: preparata una crema namelaka con polvere di fagioli di soia, viene disposta su un crumble al caffè ed adornata di cioccolato fondente, gelato al kinako, gelato alla liquirizia con polvere di caffè e liquirizia.
A coronamento di un menu ricco, appagante e complesso il petit-four composto da marshmallows al fleur de bière e fragola, semifreddo al mango e verbena, semifreddo al pistacchio ed il suo croccante ed il mini cocco.
La cucina come forma d’arte dal Giappone all’Italia
Conclusione
La cucina di Giuseppe Molaro rivela ingegno e passione, è un centro di gravità permanente sugli equilibri di ingredienti inediti nella loro combinazioni e che risultano sempre in perfetta armonia. Col suo cuore mediterraneo e la sua nipponica cura del dettaglio Molaro non è soltanto riuscito ad avvicinare due vulcani, il Vesuvio ed il Monte Fuji, lontani anni luce ma con la sua empatia riesce a trasmettere la matrice più intima della sua idea di ricetta, come in un viaggio condiviso tra sapori, scenari di vita vissuta e stati d’animo. Oggi possiamo ben dire che quando un piatto ha qualcosa da dire lo fa in bocca, lo trasmette alla testa e lo sussurra al cuore, facendo vibrare l’animo dell’assaggiatore.
“Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022”
Sergio Mottura e il Grechetto, il racconto di un’antica storia d’Amore
Di Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine
“Nelle Terre del Grechetto XIX edizione “
Ci troviamo rapite nella “Tana dell’Istrice” come nel film “Le Cronache di Narnia“, entrando nell’armadio ci ritroviamo in un’altra dimensione. Inondate da pareti di pietra, scendendo molte scale, sempre più in profondità, veniamo immerse in una grotta scavata nel tufo risalente al XV Sec.
Adornato da così tanta storia, tradizione e cultura riposa qui lo spumante, in un accumulo stratificato di cenere vulcanica che isola e mantiene una temperatura di 13 gradi che improvvisamente ci da una sensazione rigenerativa dopo il gran caldo vissuto in questa giornata .
Ci colpisce la muffa ovunque depositata sulle bottiglie a riposo, la stessa che troviamo nelle cantine dello Champagne.
“Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022” Sergio Mottura e il Grechetto, il racconto di un’antica storia d’Amore
Siamo a Civitella D’Agliano, nell’Alta Tuscia viterbese, all’evento “Nelle Terre del Grechetto XIX edizione “ organizzato dalla Proloco e condotto dal giornalista enogastronomico Carlo Zucchetti.
Ci troviamo dal grande Sergio Mottura, pioniere del biologico dagli anni 90 e grande icona del grechetto, vitigno emblema di questo territorio. Colui che ha fondato la propria immagine e la propria produzione su di esso.
Ritrovandoci in questa suggestiva piazza medievale, ci accoglie Giuseppe che, accompagnandoci all’interno della sala di degustazione, ci racconta la storia della sua Famiglia che noi vi riportiamo con immenso piacere.
Civitella D’Agliano, nell’Alta Tuscia articolo: “Nelle Terre del Grechetto Edizione 2022” Sergio Mottura e il Grechetto, il racconto di un’antica storia d’Amore
Una bella storia: la volete sentire?
Giuseppe Mottura, figlio del “Boss” Sergio Mottura, così da lui soprannominato, ci porta con la mente direttamente al 1933, quando Sergio, giovane ragazzo intraprendente e grande sognatore, eredita da un suo prozio paterno, originario del Piemone, la tenuta a Civitella D’Agliano.
Fino agli anni 60 molte zone d’Italia, compresa questa dove ci troviamo, erano gestite con contratti di mezzadria, finché nel Settembre del 64 fu rivoluzionato tutto il sistema agrario.
Le scelte che cambiano la prospettiva
Qui, Sergio, inizia a prendere delle decisioni fondamentali per lo sviluppo dell’azienda e una delle più importanti in assoluto fu quella di innamorarsi follemente del grechetto. Oggi la chiameremmo intuizione, all’inizio fu una semplice scelta derivata dall’aspetto organolettico.
Tra tutti i vitigni presenti in questa zona, principalmente vitigni della denominazione dell’Orvieto doc, Malvasia, Trebbiano, Procanico, Grechetto e altri, Sergio si rende conto che quest’ultimo era quello che dava risultati migliori e qualitativamente più alti, assaggiandolo nelle cisterne dei mezzadri.
Ha inizio così questa lunga storia d’amore con il grechetto, partendo proprio dal “Poggio della costa”, vigneto piantato a filare negli anni 70. Giacché negli anni precedenti, i mezzadri, non potendo impiegare un ettaro di terra per la coltivazione della vite, utilizzavano il terreno per altre colture. Quindi la vite era maritata ad un albero da frutto o ad un olmo (stucchio).
Tutto questo, ovviamente, cadde con l’arrivo dell’imprenditoria agricola, con i proprietari che divennero imprenditori e con l’impianto dei primi vigneti.
Altra scelta fondamentale arrivò alla fine degli anni 80, quando Sergio decise di imbottigliare i propri vini, passando da conferitore di uve a produttore, occupandosi di tutte la fasi produttive fino alla commercializzazione, creando il proprio marchio aziendale e divenendo così vignaiolo al 100%.
Terza scelta, anche questa estremamente importante per il progresso aziendale, è stata quella di dedicarsi completamente al biologico da subito, conversione che inizia nel 91 per poi ottenere la certificazione nel 96.
Perche l’istrice in etichetta ?
“L’idea dell’istrice nasce quando mio padre, accanito sostenitore del biologico, comincia a lavorare la terra in maniera più salutare, sostenibile e si accorge del ritorno degli istrici nei vigneti come parte integrante dell’eco sistema.
Le tane sono bellissime sotto i nostri 37 ettari vitati.
L’istrice diventa così un simbolo di unificazione dei vignaioli che decidono di seguire le orme del bio, del rispetto per la natura creando un mondo agricolo diverso da come era apparso negli anni 70/80. Un mondo fatto di chimica.
Per tanti anni siamo stati produttori anche di soia e di grano e questo significava usare prodotti chimici, di nitro. Ma dalla conversione al bio è cambiato tutto e l’istrice oggi, rappresenta proprio questo cambiamento, questa conversione al mondo che si apre”.
Dopo anni di utilizzo del verde rame come prodotto previsto per la coltivazione biologica contro la malattia peronospora, oggi alcuni produttori bio di questo territorio, hanno abbandonato questo metallo pesante che si accumula nel terreno per fare spazio al tannino di castagno. L’azienda Mottura da quest’anno utilizza esclusivamente questo prodotto con un grande vantaggio che è quello di essere organico al 100%. Inoltre, viene usata la zeolite come prodotto naturale per rendere la vite più resistente alla siccità e migliorare le caratteristiche fisiche e chimiche del terreno, in collaborazione a sorgenti idriche di soccorso.
Oggi, l’ azienda fa parte di un gruppo di produttori di Orvieto, l’ORV (oltre le radici della vite), che da anni sta cercando di ricostruire l’immagine dell’Orvieto Doc e di lavorare insieme per una sua identità. Assaggiando e confrontando i vini, questi produttori sono giunti alla conclusione che il grechetto non è un’uva che vale per tutti i territori.
Un territorio diversificato
A questo proposito facciamo un’analisi sulla distinzione delle tre macro-aree che troviamo in questa parte della Tuscia e che hanno origini geologiche completamente diverse: c’è l’area vulcanica che parte del lago di Bolsena e arriva ad Orvieto; c’è la parte nord sedimentale e marina con grosse percentuali di argilla nei terreni; e infine la terza area, principalmente alluvionale, circoscritta tra i due Comuni, Civitella D’Agliano e Castiglione in Teverina, data dal Tevere che 300.000 anni fa, dopo una grande alluvione lasciò sul terreno una grossa quantità di ghiaia e sabbia.
Produzioni diverse e terroir completamente diversi fanno sì che la percentuale di uve nell’Orvieto Doc cambi di zona in zona. Chiaramente in questa azienda il grechetto ne è protagonista.
Dalla rivalutazione dei vitigni autoctoni, alla ricerca scientifica ed alla sperimentazione su campo, agli studi sul DNA e alle varie vinificazioni scelte per esaltare al meglio le grandi potenzialità del vitigno grechetto, la Famiglia Mottura ha voluto creare soprattutto un lavoro d’ identità e di qualità del prodotto, selezionando come unico denominatore, il Clone G109 ovvero il Grechetto di Orvieto.
E’ un’uva difficile, tannica, bisognosa di una pressatura delicata ma una garanzia per la sua longevità come ci dimostrano le bottiglie degustate in questa occasione.
Ascoltando Giuseppe:
“L’atteggiamento giusto del vignaiolo è considerare il vigneto eterno. Poiché la vite per 40/50 anni subisce stress, bisogna andare a lavorare con la sostituzione delle fallanze della vite che muore il prima possibile in modo che l’età media del vigneto rimanga alta, soprattutto facendo sì che tutte le viti rimangano in produzione”.
Partiamo con la degustazione
Spumante Metodo Classico Brut Magnum 100% Chardonnay millesimato 2011 10 anni sui lieviti sboccatura 05/22.
Nasce da uve Chardonnay, provenienti dal Cru San Martino, situato sulla parte alta dell’azienda.
Nobile con un perlage fine ed elegante. Intreccio di sentori di erbe aromatiche con nuances complesse di crema pasticcera e nocciola. In bocca si avverte una grande freschezza vibrante con ritorni di agrumi e frutta secca.
Acidità molto alta, poiché nelle annate in cui la maturazione avviene in giornate ancora molto calde, le uve sono raccolte nelle prime ore mattutine proprio per avere delle uve fresche e acidità maggiore.
Le prime prove di metodo classico furono fatte con uve Verdello e grechetto
“Mio padre mi racconta che nell’ 83 le prime prove di metodo classico furono fatte con uve Verdello e grechetto, ma con scarsissimi risultati, quindi molto velocemente passò ai vitigni classici quali Chardonnay e Pinot Nero.
Prima annata ufficiale però uscì nell’ 84 da uve verdicchio e grechetto”.
Tragugnano Orvieto Doc 2021 vs 2011 50% Procanico 50% Grechetto. Acciaio. (Entrambi tappi a vite plus)
In questo caso l’obiettivo è quello di rilanciare la DOC sia dal punto di vista comunicativo che organolettico. La strategia è quella di mantenere sempre alto l’interesse del proprio territorio.
L’ azienda si regge sulla produzione dell’orvieto doc e del grechetto in purezza; insieme rappresentano quasi il 90% della produzione. L’ orvieto doc è stato il vino fondamentale per questa zona e se, ad oggi si coltiva grechetto, è proprio perché nella doc da sempre c’è la sua presenza.
L’annata 2021 è stata molto generosa, creando un vino semplice, godurioso e dinamico con piacevoli sentori di mela smith, glicine, pera williams, zenzero e mandorla amara , che rappresentano il connubio perfetto centrando l’equilibrio tra la sapidità e l’acidità alta pur mantenendo un tenore alcolico più alto.
Tornando 10 anni indietro, ci troviamo a degustare la 2011 che ci colpisce per la sua spalla acida ancora alta e non spigolosa. La mandorla è sempre presente ma più dolce al palato con un arricchimento di frutta a polpa matura e miele con ritorni di pera, mela e nocciola.
POGGIO DELLA COSTA CIVITELLA D’AGLIANO IGT 100% Grechetto CRU 2020 vs 2014 (50% tappo a vite plus e 50% sughero a scelta del cliente)
Uve raccolte rigorosamente a mano, pressate in maniera soffice con decantazione a freddo. Fermentazione e maturazione in acciaio per 6 mesi più due mesi in bottiglia. La 2020 è un vino molto giovane caratterizzato da grande acidità e sapidità. Venature minerali, evidenti note balsamiche e richiami di nocciola tostata e miele di castagno. La sua vibrante freschezza lo rende godibile in qualsiasi occasione. Poliedrico.
ESTREMA.
Questa è la nostra parola assegnata alla 2014 a conferma della longevità del Grechetto.
Il colore dorato ci conquista prima ancora di poggiare il calice al naso, abbiamo l’oro nelle mani. Un mix di frutta tropicale, frutta secca e miele di castagno ci avvolgono l’olfatto che ritroviamo anche al palato. Un leggero picco di ossidazione ci fa sorridere ma uno spiccato e bellissimo finale di fiori appassiti e erbe secche ci convince.
Alcune bottiglie degustate della cantina
COS’E’ POGGIO DELLA COSTA?
Dalle parole di Giuseppe:
“Poggio della costa è un vigneto piantato nel 1970; solo 7 ettari di grechetto. Inizialmente mio padre prese tralci di grechetto da chi, per tradizione, coltivava e vinificava il grechetto “buono”. In realtà dopo tanti anni di lavorazione, questo vigneto è diventato il nostro CRU aziendale. Io ho una definizione tutta nostrana e paesana di CRU, ovvero che se da un vigneto, 10 volte su 10, esce il vino più buono della cantina allora quella è sicuramente una vigna di pregio. E’ un vitigno che ha tutta una serie di elementi che in realtà neanche il produttore conosce fino in fondo.
Il Grechetto non sbaglia mai sia per qualità sia per costanza; sa vivere a lungo e dopo tanti anni per questa azienda è stato un successo “.
LATOUR A CIVITELLA 2020 vs 2016 Grechetto in purezza fermentato in barriques di rovere francese (95% sughero e 5% tappo a vite plus)
Prima parte di fermentazione in acciaio, seconda fase di fermentazione in barrique fino a giugno; affinamento 9 mesi in legno e riposo in acciaio nella cantina sotterranea per 6 mesi prima dell’imbottigliamento.
Il percorso fatto per questo prodotto è un percorso più ampio rispetto a quello su Poggio della costa.
In realtà la prima annata fu prodotta nel 94.
In quel periodo, Sergio Mottura conosce l’ amico produttore francese, Louis Fabrice Latour, il quale rimasto colpito dalla qualità del suo vino, ne suggerì l’affinamento in legno, donandogli cinque barrique di sua proprietà. Da qui il nome riportato in etichetta.
Chiaramente da allora ad oggi l’ affinamento è cambiato moltissimo. L’obiettivo principale è stato quello di mantenere l’idea di un grechetto elaborato in legno ma senza perdere l’ espressione autentica del vitigno unita all’identità dell’azienda. Una 2020 intensa e luminosa con un impatto olfattivo complesso ed elegante, con sentori di frutta a polpa bianca, burro fuso e nocciola. Decisamente morbido e tattile al palato con un finale piacevole di vaniglia e scorza di agrumi.
SOLENNE E POTENTE la 2016 ci fa innamorare partendo già dal colore. Un dorato intenso che si riflette al calice. Al naso un connubio perfetto di fiori appassiti, sentori di nocciola, fiori bianchi e burro; assaggio solido, complesso con sentori di pasticceria per un finale di gran classe. Chapeau!
MUFFO LAZIO IGT Grechetto Passito 2016
Elegante e complessa espressione di Grechetto passito, ottenuta da uve colpite da muffa nobile e maturato in barrique per 12 mesi.
Suntuoso vino da meditazione dal colore ambrato, affascinante nei suoi sentori di miele, burro, fiori gialli, scorza di agrumi canditi e pietra focaia.
Intrigante al naso, ci dona anche sentori di frutta esotica. Al palato cremoso, armonico e di buon corpo con una sapidità travestita da dolcezza con timide nuances eteree. Finale speziato. SUBLIME!
Tanta materia a conferma del grande potenziale di questo vitigno.
La cantina di Giuseppe Mottura
Un ringraziamento speciale a Giuseppe Mottura che ci ha ospitate nella sua dimora regalandoci emozioni, nozioni, curiosità su un grande vitigno, il Grechetto, che ha fatto e farà la storia della nostra Regione.
Ilaria Castagna, Cristina Santini e l’Azienda Sergio Mottura
Conclusioni
Vi lasciamo, a conclusione di questa bellissima esperienza, con una citazione di Andy Warhol perfetta per questa occasione. Citazione che rispecchia totalmente la filosofia della Famiglia Mottura. “ Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”
Di Ilaria Castagna e Cristina Santini
Partners in Wine
Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine, Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
Di Piergiorgio Ercoli
Da uve montepulciano in purezza, coltivate sulle colline molisane a Montenero di Bisaccia (CB) ad un’altezza di circa 300 metri slm, terreni argillo-calcarei, dove il clima è caratterizzato dall’influenza delle correnti marittime dall’Adriatico che favoriscono l’arieggiamento del corpo vitato evitando la formazione di muffe e donando una identitaria sapidità.
Raccolta manuale, diraspatura, pigiatura morbida per mantenere l’integrità degli acini.
Macerazione di circa 10 ore cui segue una pressatura soffice del mosto, quindi fermentazione in bianco per circa 10 giorni a temperatura controllata di 16°-18°.
Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
Degustazione
Vino rosa Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
Analisi visiva
Nel calice rosa corallo, trasparente e limpido. Di consistenza media.
Analisi olfattiva
Sufficientemente intenso, di media complessità e finezza. Dominante olfattiva fruttata, ciliegia e fragoline di bosco; toni vegetali di erba appena tagliata, toni minerali di humus e terra bagnata.
Leggera spezia scura.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, moderatamente caldo, morbido. Fresco, tannini duri, sapido. Corpo medio, sufficientemente armonico, buona permanenza. Sufficientemente fine e sufficientemente armonico. Pronto.
Alcuni vini della Cantina Terresacre arrivati in degustazione in Agenzia FoodandWineAngels
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
In abbinamento un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso di formaggi di varie tipologie e stagionature.
Tagliere in abbinamento al Rosavite di Terresacre
Tagliere di formaggi provenienti dall’Altopiano di Asiago da Asiago pressato dolce, a quello saporito, al mezzano di 6 mesi di malga, con fragole, crostini tostati, asparagi in agrodolce, cestino di grana padano con erbette di montagna stufate, caciotta di pecorino di malga alle foglie di olivo.
A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022
Di Gaetano Cataldo
Nell’universo della gastronomia stellata i fatti di cronaca non mancano mai, la vita degli chef viene spesso passata sotto la lente di ingrandimento ed al pubblico non dispiace affatto scoprire vizi e virtù dei maghi dei fornelli più in vista, leccandosi le orecchie ascoltando i loro segreti più intimi e pizzicarli con le dita nella marmellata… che poi chi più di loro solo i pasticcieri in fondo, no?
Buttata giù così magari uno potrebbe arrivare a pensare che ci sia un sottile piacere dietro l’ingrato compito di divulgare certe notizie, specialmente quando si tratta di mettere a nudo uno tra i principali interpreti della cucina stellata in Campania, manco fosse un gambero da sgusciare per benino. Di ciò non è dato sapere, lasciamolo pure all’immaginazione smaliziata del lettore, però qualcuno ‘sta cosa ve la doveva pur dire…
A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022 : “La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella” da sito Rear Restaurant di Nola
A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo!
Lo so, la notizia in sé non dovrebbe fare poi così tanto scalpore: insomma c’è comunque gente che se ne va in giro sbarazzina a praticare la sitofilia, quella forma di feticismo legata al cibo in cui viene raggiunta l’eccitazione sessuale mangiando dal corpo di un’altra persona eccetera, però in fin dei conti occorre essere pratici e di ampie vedute, lasciando che ciascuno usi per la propria contentezza il condimento che più gli aggrada e ribadire solennemente “l’importante è che ti ritiri contento a casa” o limitarsi semplicemente ad abbozzare un “de gustibus”… ma questa è un’altra storia e non so se c’ho voglia di raccontarvela.
In fondo perché giudicare il gusto altrui quando posso raccontarvi questa chicca riguardante niente poco di meno che l’executive chef del Rear Restaurant al Ro World di Nola?Comunque il fatto è sempre quello, non distraiamoci: a Francesco Franzese piace proprio coi tacchi a spillo!
Eppure sembrava fosse ieri quando assurse alla primissima stella Michelin stando alla direzione delle cucine di Casa del Nonno 13 a Mercato San Severino, riuscendo a confermarla in seguito.
Chi è Francesco Franzese?
Ma prima che tutto ciò accadesse ha dovuto farne di sacrifici: originario di Saviano e classe dell’89, Francesco ha lavorato sodo prima di farsi strada in questo settore altamente competitivo, militando tra i fornelli di location al top, tanto per prestigio quanto per il forte carico di impegno e tensione richiesto per poter dare sempre il massimo di sé, affiancando i protagonisti della cucina italiana e non solo…
E’ stato al fianco dello chef Vito Mollica a Firenze, sia al Four Season che al Palagio, successivamente con lo chef Giorgio Locatelli a Londra, poi in Campania, precisamente a Capri, dapprima al Ristorante l’Olivo con lo chef Andrea Migliaccio e successivamente al ristorante il Riccio, affiancando lo chef Salvatore Elefante per l’ennesima esperienza stellata.
Chef Francesco Franzese Executive chef al Rear Restaurant di Nola
Francesco avrebbe anche potuto pure accontentarsi di questa intensa formazione, ma sapete come sono fatti i cuochi che ci mettono il cuore:
deciso ad accrescere le proprie conoscenze culinarie e convinto che nella vita come in cucina ci sia sempre da imparare, decide di avventurarsi a Parigi, precisamente presso l’Atelier de Joël Robuchon, due stelle Michelin, per poi approdare in Sardegna al ristorante Il Fico D’india del Resort Le Dune della Delphina ed infine ritornare in Campania al Roji Japan fusion Restaurant di Nola dove nel 2018 non tarderà ad arrivare un primo riconoscimento: nominato chef dell’anno per la guida Mangia&Bevi del Mattino.
D’altronde il sentiero era già tracciato dall’amore per la cucina avvertito sin da piccolo, osservando con gioia e curiosità la mamma e la nonna cucinare per la famiglia, una famiglia che contempla contadini e pescatori, l’odore del pane fatto in casa, il sapore degli ortaggi e la freschezza delle materie prime ittiche della pescheria del padre.
Praticamente nessuno se lo sarebbe mai aspettato eppure, malgrado tutto ciò, a Francesco piace coi tacchi a spillo!
Ma che avete capito!? A Francesco piace la lardiata con i tacchi a spillo!
Certo che nell’immaginario di feticisti come voi sarà già venuto in mente la figura di chef Franzese china sul piatto ad adeguare la calzata a ciascun mezzanello con delle mini scarpette uso Pittarosso, preparate con chissà quale improponibile cibo… bravissimi! Siete fuori strada però!!
Oh, e allora di che cosa stiamo parlando? Di stravaganza ed allontanamento dalla tradizione?
Non direi proprio. E chi conosce bene Francesco per lo chef compiuto qual è e dai forti legami territoriali non si sognerebbe neanche di pensarlo. Francesco Franzese guarda risoluto alla tradizione e sa che essa non deve essere una scusa per dormire sugli allori, che non deve rappresentare un salvacondotto per fare cucina scontata e non deve costituire un freno per il miglioramento, l’innovazione e l’evoluzione del piatto.
Certamente i mezzanelli lardiati sono di diritto una delle eccellenze della cucina campana, e questo almeno dal XVIII secolo, ma costituiscono una ricetta squisitamente contadina, figlia della sussistenza, della capacità di valorizzare anche il più povero degli ingredienti e del bisogno di mettere in tavola cibo saporito e di consistenza, al fine di riempire la pancia, di mettere di buon umore, esattamente in linea coi tempi e con i mezzi di allora, apportando le giuste calorie a persone che vivevano di duro lavoro, del duro lavoro proprio di quell’epoca per niente sedentaria.
Protagonista indiscusso è dell’ottimo lardo di maiale ed a seguire pochi ingredienti, quelli di allora, e variabili a seconda del poco o niente che si aveva e delle scuole di pensiero…
Aglio o Cipolla? Basilico o Prezzemolo? Gambi di Sedano? Pepe o Peperoncino? Pecorino o Parmigiano Reggiano? Non importa, sappiamo che il piatto nasce per fare di necessità virtù, l’importante è che il lardo sia “allacciato”, cioè minutamente tagliato al coltello sino ad ottenere una crema, e che vi sia del pomodoro per cortesia.
A Francesco Franzese piace coi tacchi a spillo…2022 articolo di Gaetano cataldo, Chef Executive chef al Rear Restaurant di Nola
Francesco Franzese non ha dubbi sulla scelta degli ingredienti per ricreare la lardiata secondo la sua personale interpretazione: partendo da un soffritto di olio evo all’aglio col lardo di pancia di maiale nero casertano, lardo di Colonnata e lardo di wagyu della prefettura di Kobe, lavorati a bassa temperatura, si aggiunge l’acqua di pomodoro ramato per poter risottare i mezzanelli rigati. A mantecare arriva il battuto di pomodoro di San Marzano e l’olio evo da esso ricavato, assieme alla crema di datterino, tutte e tre in versione confit, ed infine polvere di pomodoro alla brace.
A completamento del piatto di nuovo il pomodoro in polvere alla brace, la cotica soffiata, le fette sottilissime di lardo di Colonnata a crudo, che amplificano la delizia fondendo, e gocce di olio extravergine al basilico.
La versione franzesiana della lardiata nasce per esaltare ed amplificare i punti cardine su cui si fonda il sapore della ricetta originaria, disinnescando ogni attacco da parte dei dietologi e convertendo pure loro al Principio di Müller, spogliata così com’è da una eccessiva grassezza e resa leggera, briosa e biodisponibile. Piatto estroverso, certamente frutto della passionalità di Francesco ma anche di un ragionamento sull’estrazione degli ingredienti molto meditato e su uno studio altrettanto accorto del “maridaje” degli stessi.
Cotture millimetrate, estrazione massima del licopene e dell’umami dal pomodoro, inclusa la tendenza dolce in quello confit e la componente aromatica di quello cotto alla brace; la sinfonia dei lardi impiegati estende ulteriormente la persistenza a questo sontuoso primo piatto, dove non manca il gioco delle consistenze per diversità di struttura. Insomma una lardiata che non perde la sua identità, anzi ne assume una ancora più marcata.
E adesso potete anche pensare alla lardiata come ad una Cenerentola birichina che il galante chef nobilita con la sua arte, facendole esprimere tutta la sua leggiadra eleganza con un pizzico di rock.
Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.
Di Gaetano Cataldo
Chimica, barrique nuove, enologo di grido ed espianto di viti storiche… più o meno questa l’equazione propinata attraverso l’evangelizzazione delle guide fino a ieri l’altro.
Poi arriva lui fresco fresco, e come pochi a quei tempi, ha avuto la “presunzione” di appiccicare l’etichetta alla bottiglia che si faceva a casa per autoconsumo senza ricorrere alla consulenza tecnico-scientifica, con apprezzamenti immediati da parte del pubblico di consumatori e della critica, rendendo accattivante e provocatoria la bottiglia semplicemente facendo questo: citare in retro etichetta tutto quello che non si è mai sognato di mettere nel vino, cosa che oggigiorno è diventata più una cosa figa ed una faccenda di marketing che sana e genuina concretezza.Ah, nel frattempo ha restituito lo spirito contadino al vino irpino così come quasi non ce lo ricordavamo più e nobilitarlo come pochi.
Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900, foto dal sito https://luigitecce.com/cantina-vini-vigneti/
Luigi Tecce
Lui è Luigi Tecce, classe del ’71. Non crede in Dio ma ad una prima occhiata pare sappia campare molto meglio di chi lo fa e vive i suoi tempi col distacco tipico di chi ha subito il fascino ed il successivo disincanto dai grandi ideali, facendolo da pragmatico e anche con una sottile vena da nostalgico sognatore, ma non ditelo a nessuno sennò finisce che perde la sua aria di strafottente.
Dopo il diploma in ragioneria si iscrive subito alla facoltà di economia e commercio e, conquistato l’esonero militare, giusto per farvi capire che il tipino in questione già sapeva quel che voleva, abbandona subito l’università ottenendo il suo scopo.
Nel mentre, come molti di noi in quegli anni d’altronde, vive quel momento storico in cui, dopo tangentopoli, sembrava fosse giunto il tempo per una grande ventata di innovazione e, col ’94, le prime elezioni fondate sull’onestà, assistendo invece alla frammentazione del Partito Comunista in tutt’altro e alla deflagrazione degli ideali della gioventù.
Il 20 Marzo del ’97, con la morte del papà ha ereditato una fattoria tradizionale, ultimo embrione di una anarchia produttiva; di punto in bianco la responsabilità e la fatica di portare avanti le vacche da latte, i vitelli, gli ulivi, tutta sulle sue spalle e la determinazione amorevole di riqualificare la vigna ereditata e conferire all’inizio il vino alle aziende come ha sempre fatto la sua famiglia, preservandone una quantità per il suo consumo personale, negli anni in cui la critica enogastronomica era univoca semplicemente perché non era critica e non si faceva massa critica.
Ogni anno però conferiva sempre meno, tenendo sempre più per sé, fino a decidere di diventare produttore nel 2003, anno ufficiale della prima annata.
Luigi Tecce in vigna
Occhio vispo, sorriso sornione e volto scarno, tipico di quei consumati pescatori che fanno di una piccola barca la loro repubblica indipendente, anche se si tiene ben lontano dal mare, Luigi ha l’aria di uno che la sa proprio lunga, più o meno, specie con quella parlantina svelta poi, mediante la quale probabilmente nasconde un animo molto sensibile e costantemente in bilico tra lo slancio narrativo e misurato di un vignaiolo e quell’esigenza di riserbo sulla sua singolare persona, forse sospettosa per qualche disavventura con dei suoi simili, e su di un’epoca spazio temporale remota di cui pretende di essere custode.
Detesta il rumore e contempla il silenzio; dice di non avere un buon orecchio per la musica, ma andate a dirlo al suo amico Vinicio Capossela che lo aiuta a comporre i vestiti per le sue bottiglie e con il quale c’è questo traghettarsi vicendevole in un mondo onirico fatto di odissee moderne ed antiche credenze, un grande amore in forma chiusa per l’umanità e l’immagine del Mito che si cela nell’uomo comune, dervisci rotanti e chimere.
Luigi ama di Capossela la trasversalità ed il suo essere spugna, eternamente curioso ed aperto alla vita, , ascolta con piacere la musica classica, il jazz, la musica folk di un certo livello e Fabrizio De André, anche per un retaggio ideologico di una vecchia sinistra ormai andata.
La cantina di Luigi Tecce un vignaiolo colto e spontaneo
Nel bene o nel male il vino è anche frutto degli umori, dei pensieri e delle emozioni di chi il vino lo fa e tutto ciò è paradigmatico nel suo Maman, dedicato a sua madre ed alla madre di Capossela: questa triangolazione di umanità immateriale dovette fondersi tutta quando Luigi ne imbottigliava l’unica edizione proprio mentre la mamma lasciava questa sonda terrena e la luce del suo bianco venne ricoperta da un velo di dolore e tristezza che molti scambiarono per difetto invece di un irrecuperabile pezzo di anima disciolto, tanto che decise venisse ritirato dal mercato.
E questo a dimostrazione di quanto il vino vivo subisca, nel bene o nel male, gli effetti delle emozioni e dei sentimenti dell’uomo che lo fa.
Agli esordi forse qualcuno dovette muovere qualche critica sul prezzo delle bottiglie probabilmente ma poi, quando arrivò a realizzare la fatica che serve a fare il vignaiolo e che i suoi vini non sono fatti per accontentare tutti, dovette ricredersi, inclusi i detrattori che urlarono allo scandalo nel 2011 per quelle innocue piantine di marijuana messe a dimora nel vigneto e che lo videro, naturalmente, scagionato da tutte le accuse. Luigi lavora bene tanto in vigna che in cantina, lo fa così bene che le bottiglie non gli vengono mai uguali e questo a dimostrazione che conosce il valore interpretativo di ogni singola vendemmia e come tirarlo fuori.
Ecco forse perché non legge mai quello che scrivono su di lui e sui suoi vini. E speriamo che non cominci proprio adesso…
I vini di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.
Intervista
Qual è il tuo primissimo ricordo sul vino?
Mio nonno Luigi, classe 1902, amava tantissimo il vino bianco dolce, insomma quello lambiccato fatto col cappuccio di canapa. Da piccolo andai in cantina con una tazzina da caffè, la riempii con quel nettare e mi ubriacai per la prima volta. Avevo 4 anni.
Una frase che ti caratterizza…
Il non fare secondo propria coscienza non è né prudente né legittimo. Persone che ti hanno ispirato?
Proprio mio nonno Luigi. Avevo 11 anni quando se ne è andato ma mi è rimasta la sua impronta. I vecchi non sono necessariamente interessanti per via dell’età e quelli che hanno vissuto dopo di lui, andando avanti negli anni, sono appartenuti ad una storia recente, una storia dalla quale sono stati sopraffatti.
Nonno Luigi invece sì che era un vecchio interessante: apparteneva ad una generazione di uomini millenari per il loro legame ad una grande storia passata, un tempo molto più lungo e profondo di quello che abbiamo vissuto dopo le prime decadi del ‘900.
La Barricaia di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.
Cosa ti piace leggere?
Sono un amante della letteratura, della storia antica e della saggistica, anche se da quando pratico il mestiere del vino leggo un po’ meno. Flaubert, Herman Hesse, tutto Hemingway, Pavese e Svevo. Anche poesia: “I Fiori del Male” di Rimbaud, Neruda, Pedro Salinas e, di grande arricchimento per me, Charles Bukowsky. Il libro più importante per me resta sicuramente “Cristo si è Fermato ad Eboli”, poi “Il Rosso e il Nero” di Stendhal. Di John Fante adoro “La Confraternita dell’Uva”, costituisce per me il trionfo dell’uomo quotidiano contrapposto all’osannato uomo mito. Prima di ogni vendemmia leggo “Sparta e Atene. Il racconto di una guerra” di Sergio Valzania ma non chiedermi il perché.
E del cinema che mi dici?
Che per me è la seconda arte dopo la letteratura. Sono affascinato da questo componimento di letteratura visiva fatto di recitazione, sceneggiatura e regia. I film di e con Buster Keaton, i registi come Fellini, Ettore Scola, Vittorio De Sica, Sergio Leone, Stanley Kubrick, Akira Kurosawa e Pedro Almodovar non ti stanchi mai di vederli.
Dammi tre titoli…
Eh, tre titoli… complicato dartene solo tre. Facciamo “La corazzata Potëmkin”, “Quarto Potere” ed “Otto e Mezzo”.
Ed una frase tratta dal cinema che avresti voluto pronunciare?
Una carica di significato e per niente banale, quella di Alberto Sordi quando dice “Maccarone… m’hai provocato e io te distruggo, maccarone! Io me te magno!”.
A proposito di mangiare, cosa ti piace abbinare ai tuoi vini?
Intanto sappi che non condivido granché le rigide griglie degli abbinamenti, sono più per l’abbinamento anarchico all’inglese: “bevi quello che ti piace con quello che ti piace mangiare”. Amo decisamente gli abbinamenti storico culturali, questo perché sono loro a raccontarti dei luoghi e della tradizione di mettersi a tavola.
Alle volte ci vuole un vino buono senza grande personalità e senza troppe distrazioni per vivere al meglio la convivialità ed il buon mangiare. Se proprio devo darti degli abbinamenti penserei ad un cosciotto di agnello cotto al fieno col Poliphemo, col Purosangue un brasato di vacca podolica e col Satirycon una grande lasagna alla napoletana.
E col Maman? Il pane con la frittata oppure una zuppa di baccalà con qualche patata. Quando è che ci fai un altro bianco?
Per il momento accontentati di un rosato: è il frutto di uve aglianico vendemmiate nel 2018 e vinificate in bianco 2018. La Cyclope, un rosé che ambisce al lunghissimo affinamento.
Linea di demarcazione tra il Poliphemo ed il Purosangue?
TAURASI POLIPHEMO Il Poliphemo é il simbolo del viaggio di Luigi Tecce, l’Ulisse della verde Irpinia che ha riscoperto i valori della campagna e dei vigenti di famiglia dando vita a un nettare di Bacco che stuzzica il palato in modo potente e progressivo.
Semplicemente il Poliphemo è più anarchico e figlio di viti vecchie ed irrazionali, mentre il Purosangue è aristocratico e proviene da una vigna più moderna.
Raccontami di qualche tua contraddizione….
Mi viene in mente una frase di Oscar Wilde… “La buona società è una cosa necessaria: farne parte è solo una gran noia, ma esserne fuori è una tragedia”.
IRPINIA CAMPI TAURASINI SATYRICON Il Satyricon passa 12 mesi in legno, sempre vecchio, salvo necessità di aggiungerne di nuovi per il ricambio naturale dovuto all’usura.
Penso anche di avere la fortuna di provare la libertà indescrivibile che provano i vecchi di 90 anni nel dire ciò che vogliono dall’alto del loro vissuto ma facendolo con la sfrontatezza di un adolescente, senza essere fuori gioco, senza essere per forza oggetto di riverenza e senza essere fuori dal tempo.
Un tuo hobby?
A parte il mio mestiere, dei libri a me cari e del cinema di cui si è parlato prima nessuno. Avevo un grande legame con Ferruccio il mio cane, purtroppo è venuto a mancare lo scorso settembre. Ci ho rimuginato su parecchio ma oggi con me c’è un altro fedele amico: il piccolo Gino, mi segue sempre e sa già molto di me.
Cosa suggerisci di bere ai lettori di Papillae.it?
Suggerisco di bere qualsiasi tipologia di vino purché sia un vino fatto bene. Per imparare a bere però ed assumere una buona consapevolezza occorre metterci impegno, tempo ed energia fisica… con una certa autonomia di pensiero.
Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022
Di Gaetano Cataldo
L’ostrica è un mollusco bivalve presente praticamente in tutti i mari, dove si riproduce e cresce liberamente; molti però sostengono, e a ragion veduta, che le migliori e più saporite ostriche non siano quelle selvatiche ma quelle di allevamento della costa francese che guarda all’Oceano Atlantico, verso il sud della Bretagna e nella regione del Merennes-Oléron anche se in realtà non mancano le eccellenze in diverse aree del Mar Mediterraneo e del mondo.
L’ostricoltura è diffusissima principalmente in Cina, Corea del Sud e Giappone; si pensi che circa il 70% della produzione annua di ostriche giapponesi proviene dalla Baia di Hiroshima… qui le ostriche sono chiamate “Latte del Mare”, sono molto apprezzate per dimensione, tenerezza e gusto, e sono rinomate soprattutto per le condizioni in cui crescono: i nutrienti di ben sei fiumi discendenti dai monti del Chugoku, che si riversano nella baia, ed il conseguente blend tra acqua dolce ed acqua salata rende questa specie ittica davvero speciale; nella classifica mondiale troviamo la Francia al quarto posto, prima in Europa, poi l’Irlanda e la Spagna.
Allevamento di Arcachon Basin di ostriche
Ostrica Concava, articolo Il Sake e le Ostriche 2022
L’ostrica concava del Pacifico, la Crassostrea Gigas, è la più coltivata al mondo, proviene dal Giappone ed è presente anche in altre aree di Oriente ed Estremo Oriente.
L’ostrica concava viene selezionata da molti allevatori europei grazie alla sua crescita rapida ed alla sua adattabilità: infatti a causa della scomparsa dell’ostrica portoghese, la Crassotrea Angulata, verso gli anni ’70 ha trovato vasta diffusione sul Vecchio Continente assieme all’ostrica piatta, detta Ostrea Aedulis.
Ostrica Piatta, articolo Il Sake e le Ostriche 2022
Le due specie sono entrambe molto apprezzate dai consumatori di tutto il mondo anche se dal punto di vista gastronomico le ostriche piatte vengono ritenute più pregiate grazie alla morbida aromaticità e delicatezza della texture, mentre le ostriche concave o allungate sono generalmente più carnose e posseggono un sapore salmastro spiccato che le rende più persistenti.
Per poter ottenere le larve di ostriche necessarie agli allevamenti, dette anche “naissain”, si provvede alla captazione del novellame in ambiente marino aperto, oppure selezionando gli esemplari adulti per l’avanotteria.
Dagli stock di allevamento gli esemplari che avranno compiuto in media 18 mesi verranno prelevati per mezzo dei cosiddetti “plates”, piccole imbarcazioni dallo scafo e dalla chiglia piatta, portati fino alle aree adibite ad ostricoltura e disposti a seconda di come si intende allevarli.
Al giorno d’oggi esistono diverse tecniche di allevamento come ad esempio quella a “poches”, ossia la disposizione delle giovani ostriche in sacche consistenti in piccole reti di plastica, a loro volta disposte su tavole di metallo o a sparse al suolo di modo però che siano esposte alla risacca del mare, sacche che dovranno essere periodicamente rivoltate per garantire la crescita regolare di questi frutti di mare ed assicurare loro buone condizioni di vita ed un’ottimale circolazione dell’acqua di mare.
Il modello di ostricoltura cambia nella laguna mediterranea, ne sono un esempio lo stagno di Leucate e lo stagno di Thau, dove l’allevamento è verticale vista la scarsa escursione di marea e le ostriche vengono ancorate a corde vegetali a tre legnoli, oppure a corde sintetiche di nylon, piuttosto che a tavole di legno di mangrovia, ma sempre ad immersione permanente e con crescita più rapida rispetto agli esemplari allevati in Nord Europa.
Allevamento di ostriche, Oyster farm Azienda Agricola Costa Mare
Dopo la fase di pre-ingrasso ed ingrasso durante l’allevamento le ostriche passano alla rifinitura in apposite vasche o bacini di decantazione perché possano espellere melma e sabbia, dove talvolta degli iniettori di ossigeno aiutano a far affiorare i batteri nocivi in forma di schiuma facilmente eliminabile.
Caratteristici della Charente Marittima e della Vandea i bacini d’argilla alimentati da una miscela di acqua di mare e d’acqua dolce, detti “claires”, conferiscono alle ostriche un gusto particolare ed il tipico colore da “verdissement”.
Per quanto si suppone che l’ostricoltura sia stata avviata per prima dal popolo cinese non ci sono tracce evidenti e sufficientemente attendibili a dimostrarlo mentre, come la storia dimostra, questa pratica dell’acquacoltura pare più evidente essere stata inventata dagli Antichi Romani ed avviata persino nell’antica Albione da cui partivano cospicui carichi per Roma, tanto gli antichi latini ne andavano ghiotti e le reputassero indispensabili per la migliore riuscita di un banchetto:
Vassoio di ostriche articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022
fu così che da piatto povero, sotto Nerone, le ostriche divennero un piatto estremamente prelibato ed alla moda, tanto più che quelle provenienti dal Canale della Manica erano decisamente diverse rispetto a quelle che si raccoglievano lungo le coste della penisola italica, dell’Egitto e dell’Antica Grecia, ove il delizioso frutto di mare era considerato sì un cibo prelibato ma alla portata di tutti:
d’altronde il termine ostracismo, la pratica di votare o meno a favore l’esilio per un cittadino, si compiva proprio trascrivendo tale scelta su di una conchiglia di ostrica.
Naturalmente, per quanto le notizie scarseggino o non vengano valutate alcune fonti, le ostriche hanno costituito per millenni un cibo fondamentale per l’alimentazione umana grazie alla loro reperibilità e semplicità di consumo, tanto nell’area mediterranea quanto in Cina ed in Giappone: l’allevamento delle ostriche risale ad epoche remote e la singolarità dell’ostricoltura nel Sol Levante consisteva nell’impiegare rocce e canne di bambù a cui i bivalvi si attaccavano molto agevolmente.
Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022
Tra le ostriche piatte più famose vanno menzionate le Ostriche Belon, dalla tipica forma tondeggiante e dal gusto delicato, chiamate così perché un tempo venivano affinate esclusivamente sulle rive del fiume Belon in Bretagna, e le Ostriche Marenne, dal tipicissimo color verde acqua dovuto ad un’alga chiamata navicula blu che ne rilascia il colore… assieme all’Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato.
Il recipiente più antico per bere il sake è la sakazuki, una coppa dall’apertura molto ampia fatta in terracotta o porcellana, finemente laccata e decorata, oggi disponibile sia in vetro che in oro o argento, in realtà però ne esisteva un altro ancora più vetusto e fornito dalla natura stessa: le conchiglie di ostrica.
In realtà la sintonia tra questi frutti di mare ed il nihonshu non si limita soltanto all’antica consuetudine di sfruttare la concavità dei loro gusci per favorirne la mescita: se è vero che il sake non litiga mai col cibo addirittura con le ostriche ci fa l’amore!
Ostriche Belon
Le ostriche consumate crude ed il sake artigianale giapponese vivono un rapporto simbiotico che nessuna altra bevanda riesce a vantare, i due elementi hanno infatti delle caratteristiche simili che derivano dalla salinità, dalla tendenza dolce, dalla texture setosa e dalla cremosità che rendono entrambi compagni per la vita e per la gioia a tavola, ma c’è di più: l’umami!
L’umamiè la quintessenza del pairing tra ostriche e nihonshu
Costituisce il quinto gusto, quello che aiuta a bilanciare e migliorare gli altri quattro, ossia il salato, l’acido, l’amaro ed il dolce, traducendo appieno il sapore degli aminoacidi e nello specifico di glutammato, inosinato e guanilato… e guarda caso l’ostrica è tra i cibi più ricchi in natura di glutammato e di inosinato.
Ecco dunque spiegato attraverso queste straordinarie affinità elettive, di cui Madre Natura ha voluto dotare entrambi gli elementi, il perché bere sake e mangiare ostriche costituisce un abbinamento armonico perfetto. Si noti che, rispetto alla birra o al vino, il sake contiene mediamente una quantità di acido glutammico anche 20 volte superiore.
Ostriche e Sake di vario tipo e provenienza 2022
Ovviamente esistono delle prerogative che nell’abbinamento già congeniale tra ostrica e sake di per sé possono rendere il matrimonio ancora più felice…
Per quanto riguarda il frutto di mare terremo in considerazione quindi non soltanto la tipologia ma anche la provenienza, il rapporto tra acqua dolce ed acqua salata, la rifinitura, la modalità di apertura, il profumo, la consistenza e le caratteristiche gusto-olfattive.
Per quanto attiene al sake occorrerà fare invece attenzione all’umami, alla sapidità ed alla tendenza dolce: che il primo non superi quello dell’ostrica e che la seconda non sia particolarmente presente quando è già contenuta nel bivalve che, al contrario, se avesse una spiccata tendenza dolce potrà in questo caso giovarsi della sapidità di un otoko-zake.
Dunque la percezione di quanto queste caratteristiche comuni siano intense è fondamentale tanto quanto la persistenza aromatica dei due elementi in abbinamento ed il nihonshudo del fermentato giapponese: infatti un’ostrica dalle carni sode e dal gusto deciso vorrà un sake dal sapore più deciso e con una struttura più consistente, mentre un frutto di mare più delicato avrà bisogno di un sake satinato e gentile.
Ostriche di vario tipo e provenienza, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022
Alcuni esempi?Abbinamenti
L’Ostra Regal viene direttamente dall’Irlanda: trascorre i primi due anni di vita nella parte nord dell’isola, dove si nutre di fitoplancton, poi viene trasferita al sud presso la foce del fiume Snaney, dove le acque dolci ne completano l’affinamento. Un’ostrica dalla spiccata tendenza dolce con una consistenza tattile cremosa ed un finale di raffinata sapidità.
Un Junmai delicato ma con un carattere salino per tener testa alla prevalente tendenza dolce del bivalve. Si potrebbe persino azzardare con un cremoso e raffinato Junmai Daiginjo, stravolgendo le regole per un’esperienza sensoriale intrigante ed in sintonia con la texture dell’ostrica.
L’Ostrica Tsarskaya viene allevate a Cancale nella Bretagna Settentrionale, precisamente nelle aree di Park St. Kerber e della Baia di Mont St. Michel. Il gusto di questa varietà dal profumo iodato è ricco ed equilibrato al tempo stesso, il frutto è setoso e consistente con un gusto salino, una lieve nota di nocciola ed una bilanciata tendenza dolce.
Si abbina con piacevolmente con un Junmai Ginjo con una sbramatura del chicco attorno al 50% che conservi una buona nota cerealicola e che sia di grande equilibrio tra morbidezza, freschezza, sapidità ed umami. Ed uno sparkling sake? Perché no?
Ostrica Tarbouriech del Delta del Fiume Po
L’Ostrica Tarbouriech, di quelle proveniente dall’Emilia Romagna però e precisamente dalla Sacca degli Scandinavi, presso il delta del fiume Po:
è raffinata a partire già dall’aspetto, con quelle sue nuances rosa, si presenta all’olfatto con note salmastre e vegetali, mentre all’assaggio è consistente, succulenta e con una persistenza che orbita attorno a note vegetali sia marine che di sottobosco.
Un Junmai Ginjo affilato ed asciutto, capace di arginare la succulenza del frutto di mare e che ne raggiunga in persistenza le stesse vette.
Ostrica del Calvados
L’Ostrica del Calvados è praticamente l’ostrica allevata più a Nord di tutta la Francia ed è stata premiata diverse volte nella categoria ostriche normanne.
Essa cresce proprio nella patria del famoso distillato di mele, ossia nel dipartimento di Calvados, precisamente nella Côte de Nacre, nei paesi di Asnelles e Meuvaines. È un’ostrica molto singolare in quanto riconoscibilissima grazie al suo guscio estremamente bianco, grazie alla limpidezza delle acque da cui proviene, e soprattutto per il suo sapore tendente all’aglio.
Le durezze e la nota iodata di questo frutto di mare, assieme al alla nota agliata, vorrebbero un sake morbido, persistente e con una buona nota umami.
Un Koshu Sake, prodotto con metodo Kimoto e magari invecchiato in grotta, sarebbe un abbinamento davvero piacevole.
L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricoltura in Sardegna
L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricoltura in Sardegna: viene allevata a ciclo completo, ossia a partire dal seme, nella laguna di San Teodoro in provincia di Nuoro.
La conchiglia è tendenzialmente omogenea ed a forma di goccia, mentre il frutto è copioso e croccante, con note gusto-olfattive iodate ma con tendenza dolce, sentori vegetali e di frutta secca.
Un Tokubetsu Junmai fragrante, dai toni sia fruttati che erbacei magari.
L’Ostrica della Baia Hiroshima: immaginate questi esemplari di gran calibro arrivare alla vostra tavola direttamente dal kakifune, letteralmente barca delle ostriche. Preparate con la caratteristica ricetta kaki nabe, con porri, funghi e tofu, meritano certamente un Genshu Junmai, ma anche un Tokubetsu Junmai ci starebbe alla grande. Ci sono tra i Junmai dei veri e propri fuoriclasse che con le loro note burrose e boschive creerebbero comunque un match ad alto impatto emotivo e gustativo però.
Ostriche classiche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro 5
Le ostriche, diversamente da quelle allevate che sono state modificate geneticamente e rese sterili, vedono il miglior consumo nel mese di gennaio ed anche in altri periodo dell’anno, eccetto che da maggio ad agosto, epoca di riproduzione, poiché in questa fase diventano più molli, lattiginose, meno saporite e soprattutto più deperibili.
Le ostriche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro: dal 5 allo 0, rispettivamente dalle più piccole e dal peso di 30-45 fino alle più grosse che arrivano a superare i 150 grammi.
Inoltre, in base all’affinamento, si suddividono così come segue:
Fines: affinate in mare aperto per almeno 1 mese con densità di 20 ostriche per metro quadro. Speciales: affinate per almeno 2 mesi in mare aperto con densità di 10 ostriche per metro quadro. Pousse: se affinate per 4-8 mesi in mare aperto con densità di 5 ostriche per metro quadro. De Claires: affinate in bacini di acqua dolce poco profondi e argillosi, i claires appunto. Vert: affinate in presenza della microalga navicula blu, come menzionato in precedenza.
Ostriche e Sake un abbinamento intrigante, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022
Composizione
Le ostriche sono composte d’acqua per l’85% circa, apportano 40 kilocalorie di proteine, 21 di carboidrati ed 8 di grassi per ogni etto e costituiscono una miniera ricchissima di sali minerali quali ferro, fosforo, potassio, rame, sodio e zinco, oltre che di vitamina B12, e sono considerate un alimento afrodisiaco per una ragione specifica: favoriscono lo sviluppo degli spermatozoi, fanno bene all’amore e pertanto è meglio tenere sempre una bottiglia di sake a portata di mano in camera da letto, assieme alle ostriche e ad una sana inventiva perché, afrodisiaco o non afrodisiaco, è il pensiero quello che conta.