L’e-commerce di Birrificio del Ducato si arricchisce con i marchi Duvel, Chouffe e Maredsous, diventando una piattaforma multi-brand.
Redazione – Carol Agostini
Una novità assoluta:nel carrello del webshop di Birrificio del Ducato, oltre alle etichette della gamma brassicola di Soragna, da ora èpossibile inserire anche i prodotti del gruppo belga Duvel Moortgat. Chouffe, Duvel e Maredsous,comodamente a casa con un click Soragna, 19 ottobre è il grande giorno: l’e-commerce di Birrificio del Ducato diventa una piattaforma multi-brand, raggiungibile al seguente link: https://www.birrificiodelducato.it/shop/
Un modo comodo, pratico e veloce per acquistare la ricca selezione di birre del Gruppo Duvel Moortgat, così da ricevervele e gustarle comodamente a casa.
I marchi che fanno compagnia alle etichette del birrificio di Soragna, sono quelli già distribuiti dalle sue reti commerciali HORECA e GDO, ossia Duvel, Chouffee Maredsous. Una grande novità poiché, per la prima volta in Italia, si può accedere e usufruire di una piattaforma ufficiale dedicata alla vendita online dei prodotti del Gruppo Duvel Moortgat.
In aggiunta alle birre della gamma Duvel, Duvel Classica e Duvel 666, della linea Chouffe,La Chouffe, Mc Chouffe, Houblon Chouffe, Cherry Chouffe e Chouffe Blanche, e Maredsous, Maredsous Blonde, sono disponibili anche calici brandizzati e divertenti gadget, così da vivere un’esperienza totale di gusto tra i sapori della tradizione brassicola belga. Le novità non sono ancora finite!
Anche il pack dedicato alle spedizioni ha avuto un restyling, sia nella grafica sia nel contenuto.Nel primo caso, ogni facciata raffigura l’immagine iconica e rappresentativa di ciascuno dei quattro brand presenti sull’e-commerce. Per quanto riguarda il contenuto, è stato ridotto da 12 a 6 referenze, ma con la possibilità di comporreil pack a proprio piacimento in multipli di 6 senza minimi d’ordine imposti per ciascuna referenza.
Insomma, da oggi potrete ricevere alcune delle più classiche birre del Belgio a casa in un click… ovviamente assieme alle etichette del Birrificio del Ducato, il birrificio italiano più premiato al mondo.
Birrificio del Ducato
Nel 2007 a Roncole Verdi di Busseto (Pr), il paese natale di Giuseppe Verdi,si aprono le porte del Birrificio del Ducato. Un’importante realtà che ha saputo valorizzare al meglio la lunga tradizione territoriale della provincia di Parma, tanto da classificarsi, nel giro di pochi anni, come il Birrificio italiano più premiato al mondo con oltre 100 riconoscimenti.
Notevoli risultati ottenuti grazie a una ricerca scrupolosa di materie prime, ‘ingredienti’ che si intrecciano a una lavorazione rispettosa che porta alla produzione di birre invitanti, equilibrate e piacevoli da bere, frutto anche di metodi all’avanguardia ediun sistema automatizzato.In più, Birrificio del Ducato si avvale di un laboratorio interno che esegue analisi microbiologiche, chimiche e sensoriali, oltre alla decisione di non filtrare o pastorizzare le birre per preservare le caratteristiche organolettiche delle materie prime.
Premi e riconoscimenti
Come la doppia vincita a Birrificio dell’Anno nel 2010 e nel 2011 –hanno incrementato la fama del Birrificio che, da sempre, ha l’obiettivo dell’alta qualità. Fortedel suo valore e dopo l’apertura della nuova sede a Soragna, nel 2016 la famiglia belga Moortgat acquisisce il 35% delle quote, nel 2018 il 70% e, nel 2020, il 100%.
Oggi, Birrificio del Ducato si collocata trale realtà brassicole le cui birre risultano essere le più richieste dal mercato italiano, dal mercato internazionale e dai beerlovers.
DuvelMoortgat
Quella della famiglia Moortgat è una lunga storia, iniziata nel 1871 per mano di Jan-Leonard Moortgate della moglie, quando crearono il loro birrificio a Puurs-Sint-Amands, in Belgio. L’attività, successivamente, passò ai figli Albert e Victorche contribuirono in maniera consistente a produrre la birra oltre a darle il nome.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, proprio Albert Moortgat produsse una birra seguendo l’amato ‘stileinglese’, chiamandola, per celebrare la fine del conflitto bellico, Victory Ale.
Si narra che assaggiando la birra, un amico di famiglia, abbia commentato: “Questa è un vero Diavolo (Duvel)”. Un’affermazione forte ma avvincente, tanto da utilizzare dal 1923 il nome Duvel sulle etichette. Oggi, con la quarta generazione della famiglia Moortgat al comando, le birre Duvel Moortgat sono riconosciute a livello internazionale come standard perle birre speciali rifermentate in bottiglia e sono sinonimo di qualità ed eccellenza, frutto di attente selezioni delle materie prime pure e dell’utilizzo dello stesso ceppo di lievito dal 1918.
Birrificio del Ducato invita a Ducato³ al Cubo! La festa per tutti gli amanti della birra
Redazione – Carol Agostini
Il birrificio parmense invita tutti il 27 maggio a Ducato³ al Cubo, una giornata aperta al pubblico per celebrare la produzione brassicola dei marchi Birrificio del Ducato, Chouffe, Duvel e Maredsous con cibo, musica, assaggi e degustazioni. Appuntamento presso Cubo, ‘variegato contenitore culturale’ della città emiliana.
Il 27 maggio è la data che tutti gli intenditori, appassionati e amanti della birra devono segnare in agenda. Infatti andrà in scena Ducato³ al Cubo, la festa di Birrificio del Ducato, organizzata presso Cubo, la struttura multifunzionale in Via La Spezia 90 a Parma.
Un’occasione da non perdere, un appuntamento aperto a tutti coloro che hanno il piacere e la voglia di scoprire le eccellenze brassicole dell’azienda parmense, il Birrificio italiano più premiato al mondo, e di alcuni marchi del Gruppo Duvel Moortgat di cui fa parte e di cui si occupa della distribuzione e promozione per il mercato italiano dal 2022, come Chouffe, Duvel e Maredsous.
Una giornata intensa di attività e proposte che aprirà i battenti alle ore 12:00 presso il Cubo di Parma con 12 birre alla spina (in aggiunta anche qualche specialità in bottiglia) ‘firmate’ Ducato, Duvel, Chouffe e Maredsous, tutte accompagnate da street food a cura de I Due Gatti, pizzeria nata nella Food Valley – oggi con diversi punti vendita – conosciuta a livello internazionale.
Programma della giornata
Alle ore 14:30 ci sarà la presentazione del Gruppo Duvel Moortgat a cura di Eline Warrinnier, General Manager. Dalle 15:00 circa fino alle 18:00 circa ci saranno workshop e i Laboratori del Gusto, percorsi tecnico-degustativi sugli stili birrari a partire da due degli ingredienti principali, ossia malto e lievito: “Il malto nel bicchiere, degustazione di birre selezionate” (ore 15:00) e “Alla scoperta del lievito belga, un viaggio tra sapori e tradizioni” (ore 16:30).
I Laboratori saranno tenuti dai birrai di Birrificio del Ducato e sarà possibile partecipare solo su prenotazione fino a esaurimento posti (costo 10 euro a corso); tutti coloro che vorranno scoprire e vivere da vicino i ‘segreti’ che ruotano attorno alla birra potranno prenotare sul sito del birrificio.
Tutta da vedere la mostra “Arte in bottiglia”, un’esposizione delle opere d’arte dell’illustratrice Daniela Panfilo attiva per le etichette del Birrificio del Ducato. Dalle 18:30 in poi aperitivo con il concerto dei Rumba Pesa. La festa Ducato al Cubo³ proseguirà con ManaDj set dalle ore 21:30 sino alle 24:00.
L’ingresso alla giornata è gratuito; a pagamento i workshop con la degustazione di 3 birre per ogni laboratorio, con un massimo di 30 partecipanti e della durata di circa 2 ore: costo 10 euro per ogni laboratorio, comprensivo di assaggi.
Birrificio del Ducato
Nel 2007 a Roncole Verdi di Busseto (Pr), il paese natale di Giuseppe Verdi, si aprono le porte del Birrificio del Ducato. Un’importante realtà che ha saputo valorizzare al meglio la lunga tradizione territoriale della provincia di Parma, tanto da classificarsi, nel giro di pochi anni, come il Birrificio italiano più premiato al mondo con oltre 100 riconoscimenti.
Notevoli risultati ottenuti grazie a una ricerca scrupolosa di materie prime, ‘ingredienti’ che si intrecciano a una lavorazione rispettosa che porta alla produzione di birre invitanti, equilibrate e piacevoli da bere, frutto anche di metodi all’avanguardia e di un sistema automatizzato. In più, Birrificio del Ducato si avvale di un laboratorio interno che esegue analisi microbiologiche, chimiche e sensoriali, oltre alla decisione di non filtrare o pastorizzare le birre per preservare le caratteristiche organolettiche delle materie prime.
Premi e riconoscimenti – come la doppia vincita a Birrificio dell’Anno nel 2010 e nel 2011 – hanno incrementato la fama del Birrificio che, da sempre, ha l’obiettivo dell’alta qualità. Forte del suo valore e dopo l’apertura della nuova sede a Soragna, nel 2016 la famiglia belga Moortgat acquisisce il 35% delle quote, nel 2018 il 70% e, nel 2020, il 100%. Oggi, Birrificio del Ducato si collocata tra le realtà brassicole le cui birre risultano essere le più richieste dal mercato italiano, dal mercato internazionale e dai beerlovers.
Duvel Moortgat
Quella della famiglia Moortgat è una lunga storia, iniziata nel 1871 per mano di Jan-Leonard Moortgat e della moglie, quando crearono il loro birrificio a Puurs-Sint-Amands, in Belgio. L’attività, successivamente, passò ai figli Albert e Victor che contribuirono in maniera consistente a produrre la birra oltre a darle il nome.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, proprio Albert Moortgat produsse una birra seguendo l’amato ‘stile inglese’, chiamandola, per celebrare la fine del conflitto bellico, Victory Ale. Si narra che assaggiando la birra, un amico di famiglia, abbia commentato: “Questa è un vero Diavolo (Duvel)”. Un’affermazione forte ma avvincente, tanto da utilizzare dal 1923 il nome Duvel sulle etichette.
Oggi, con la quarta generazione della famiglia Moortgat al comando, le birre Duvel Moortgat sono riconosciute a livello internazionale come standard per le birre speciali rifermentate in bottiglia e sono sinonimo di qualità ed eccellenza, frutto di attente selezioni delle materie prime pure e dell’utilizzo dello stesso ceppo di lievito dal 1918.
Brasserie D’Achouffe
Nella suggestiva Valle delle Fate, in Belgio, verso la fine del 1970, i cognati Pierre Gobron e Chris Bauweraerts decisero di concretizzare la loro passione: produrre birra! Così, dopo una piccola lavorazione avviata nel garage della suocera di Chris, nell’arco di pochi anni, il Birrificio D’Achouffe, ampliò i suoi spazi e, nel 1986, i due soci acquistarono la fattoria dove, da qualche tempo, producevano l’amata birra. I consensi da parte dei consumatori crebbero a dismisura e in parallelo agli ettolitri di birra che, nel 1992, arrivarono a 5.000!
All’epoca la produzione comprendeva solo bottiglie da 75cl e fusti da 20 l; finalmente, nel 2009 apparvero anche le bottiglie da 33cl. Ma… qual è il significato del nome Chouffe e degli gnomi che compaiono sulle etichette? Il termine ‘Chouffe’, come hanno sempre raccontato i due fondatori, non ha nessun senso. È un termine un po’ storpiato e pronunciato per caso da un amico Chris mentre ingoiava un boccone di cibo!
L’idea degli gnomi, invece, nasce dal voler legare la produzione della birra non esclusivamente alle abbazie ma a un qualcosa di magico, una ricetta trovata in un libro di incantesimi o il frutto di divertenti avventure. Così Chris, dopo aver visto un acquarello nel quale era raffigurato uno gnomo che osservava una fattoria, nascosto tra ciuffi d’erba d’alta, pensò che il simpatico personaggio, assieme ad altri amici, potesse essere il testimonial adatto per le birre.
Maredsous Abbaye Abdij
Fondata nel 1872 nella Valle della Molignée (Belgio) dai monaci benedettini, l’Abbazia Maredsous, oltre a essere un rilevante centro storico-artistico, è un importante punto di riferimento per la gastronomia del territorio e per la tradizione brassicola. Infatti, questa dimora benedettina porta il nome della rinomata linea di birre Maredsous Abbey Ales.
Una tradizione che ben si coniuga alle moderne tecnologie di lavorazione, un connubio perfetto che dà vita a birre dai sapori fruttati e caramellati, con gradazione alcolica che oscilla dai 6% ai 10% in base alla tipologia.
Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C
Di Gaetano Cataldo
Non so a voi ma a me, quando bevo vini straordinari e birre artigianali di alto livello, senza manco dover andare in coma etilico o vedere alcolemiche allucinazioni, mi capita di fare certi viaggi a ritroso nel tempo che è uno spasso, viaggi che rispolverano antiche leggende, accadimenti ed aneddoti storici.
Il fluire del tempo…
Impigliati nel fluire del tempo e rievocati da una sorsata di vino appena prelevato da un grosso qvevri c’è la nascita dell’alfabeto cuneiforme sumerico e le gesta mitologiche di Gilgameš re di Uruk, la fiera ebrezza degli Argonauti alla vigilia della ricerca del Vello d’Oro nell’antica Colchide, la scia delle antiche navi fenicie giunte fino a Cartagine, in Croazia ed in altri angoli del Mar Mediterraneo.
Un boccale di birra dissetante tra amici non di rado porta a riscoprire le origini di questa bevanda oltre la spuma: la pratica di svezzare i neonati con lo zythum nell’Antico Egitto, i rituali religiosi officiati con la scura e concentratissima curmy, riservata al faraone ed il culto del gruit, miscela d’erbe antesignana del luppolo, custodito dalle popolazioni etrusche in un’epoca in cui la Campania non era stata ancora colonizzata dai Romani e quindi costoro non erano ancora riusciti a monopolizzare le abitudini di beva col nettare dionisiaco.
Al di là del fascino e dell’alone leggendario che si cela dietro al consumo di vino o di birra quel che conta è saper bere e bere consapevolmente, pertanto anche chi sorseggia un sake artigianale potrebbe idealmente fare un bel viaggetto nella storia, ripeto “viaggetto” in termini metaforici e non “trip fantalcolemico”.
Bisognerà portarsi col pensiero giusto un tantinello più ad Est, non subito in Giappone però…
Cina precede il Giappone: sake e origine
Infatti pare tutto abbia avuto inizio in Cina: con buona probabilità il casuale processo di fermentazione del riso sembra sia avvenuto attorno al V millennio a. C. nei pressi del Fiume Azzurro, altre fonti sostengono invece che sia avvenuto in prossimità del Fiume Giallo durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a. C. Da questo punto di vista è bene osservare che ci sono degli antenati cinesi che si avvicinano molto al sake giapponese:
lo shokoshu e lo shaohing-jiu, entrambi provenienti dalla regione dello Shaoxing nell’Est della Cina, nei quali vengono impiegati non soltanto riso, ma addirittura miglio ed anche grano durante il processo fermentativo, per non parlare di un altro parente prossimo… l’huang-jiu, ossia il vino giallo, tutt’oggi elemento di estremo rilievo nella gastronomia cinese. Si rilevi che è che nella terra del Dragone Rosso, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, che viene fatta menzione per la prima volta di una particolare muffa nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come aspergillus oryzae, di estrema importanza per l’alimentazione in Estremo Oriente.
Ma cosa accadeva nell’arcipelago giapponese e come si è arrivati al sake?
Alcuni reperti archeologici consistenti in anfore, vasellame e coppe, sono stati rinvenuti sull’isola di Kyushu nel sud del Giappone qualche anno fa e gli esami al radiocarbonio vorrebbero risalissero al periodo Jomon, tra il 10.000 ed il 300 a. C., epoca in cui alcune tracce confermano la consuetudine a bere alcolici frutto della fermentazione di uva selvatica e di altri frutti spontanei da parte degli abitanti. È alla fine di questo periodo, più o meno tra il 600 ed il 500 a. C., che assisteremo all’introduzione del riso nell’arcipelago nipponico da parte dei cinesi.
Durante il periodo Yayoi, databile tra il 300 a. C. ed il 300 d. C., assistiamo allo sviluppo ed al consolidamento delle tecniche di coltura del riso per mezzo dell’allagamento delle risaie e dei terreni predisposti alla semina di questo prezioso cereale.
È bene rilevare che le testimonianze scritte più accreditate confermano il consumo di sake in Giappone risalga proprio a quest’epoca: nelle “Cronache dei Tre Regni” o “Gishi Wajin Den”, più precisamente nel Libro di Wei, testo cinese importantissimo, si descrive come interpretare e decifrare gli ideogrammi giapponesi rispetto ai costumi del tempo, tra cui la consuetudine di bere alcol appunto sia durante le danze popolari che nei periodi di lutto.
Grazie all’impulso cinese la società giapponese cominciò a cambiare radicalmente ed assumere, a poco a poco, una connotazione culturale tutta sua… al periodo Yayoi, come recitato nel testo che lo menziona per la prima volta, ossia l’Ohsumikoku Fudoki, appartiene il kuchi-kami no sake, il sake ancestrale preparato dalle sacerdotesse shintoiste attraverso la masticazione del riso caldo, poi riposto in recipienti di terracotta assieme ad altro riso ed acqua perché amilasi e fermentazione potessero aver luogo.
Il rituale della preparazione del sake da masticazione da parte delle giovani vergini fa sì che nel periodoKofun ed Asuka, tra il III ed il VII secolo d. C., la bevanda sia consacrata agli dei per ingraziarsi buona sorte e raccolti fruttuosi e purtroppo, dopo essere divenuto una bevanda molto popolare, proibita: il consumo infatti divenne appannaggio esclusivo dell’imperatore e della sua corte.
Nel 689 d. C. fu istituita la prima casa di produzione di sake al palazzo imperiale di Nara e costituirono un organismo che ne vigilasse il processo, inoltre si beveva il doburoku, un sake “fangoso”, ergo non filtrato.
Col periodoNara , datato tra il 710 ed il 794, la sacralità del sake venne consolidata ulteriormente da un editto imperiale che ne codificò il culto durante specifiche funzioni religiose, proprie dello Shintoismo; dal Fudoki , testo di cronache di costumi e terre, opera letteraria voluta dalla stessa Genmei, un’importantissima rivoluzione nel processo di produzione del nettare di riso, si apprende circa l’introduzione del kamutachi: il termine antico è nient’altro che il sinonimo del meglio noto koji-kin, la spora fungina che cresce lungo gli steli del riso cui si è fatto cenno precedentemente ed il cui nome scientifico, lo ricordiamo, è aspergillus oryzae.
754 la prima consacrazione dell’intero Giappone
Di importante rilevanza storico-culturale è stata la prima consacrazione dell’intero Giappone del 754 avvenuta proprio in una delle sale del Grande Tempio Orientale tutt’oggi presidiata dalle imponenti statue dei quattro guardiani del Kaidan-In.
Dal 794 al 1185, detto periodoHeian, il Giappone vede il fiorire dell’arte della scrittura a corte e numerose sono le descrizioni in forma letteraria ed artistica circa il servizio di mescita del sake; nel 927 viene ultimata, per volere dell’imperatore Daigo, la stesura dell’Engishiki, libro di leggi e costumi del tempo contenente una vera e propria trattazione sul processo di fermentazione, la descrizione di una dozzina di sake conosciuti e viene menzionata per la prima volta la consuetudine di bere il sake caldo con le tecniche di riscaldamento.
Il mercato antico del Sake
Alla fine del periodo Heian, nome dell’antica Kyōto, la domanda di sake aumentò così vertiginosamente da superare persino il prezzo del riso e, di conseguenza, i santuari shintoisti produttori di sake si moltiplicarono rapidamente in tutto il paese.
L’eraKamakura – Muromachi, dal 1185 al 1493, sancisce l’inizio della produzione moderna di sake e si praticava l’antica tecnica fermentativa chiamata bodai-moto: essa consisteva nel mescolare riso grezzo cotto al vapore con acqua, koji e lieviti per ottenere un miscuglio ricco di acido lattico… una sorta di batonnage.
Nel 1252 il governo dovette correre ai ripari limitando e regolando la produzione per impedire il consumo di sake degenerasse nella piaga dell’alcolismo.
Tra il 1493 ed il 1600, ossia nel periodoAzuchi – Momoyama, venne introdotta la levigatura del riso con metodo Morohaku, descritto nel libro Tamon-in Nikki pubblicato nel 1569, creata la ricetta per la distillazione dello shōchū e, udite udite, fu introdotta la pratica della pastorizzazione… appena 300 anni prima di Pasteur, aumentando così la shelf-life del fermentato.
Durante il periodoTokugawa, noto anche come Edo, inizia il declino per lo shogunato ed il governo trova una stabilizzazione definitiva nella città di Tokyo. In questa fase di progresso generale avvengono altri determinanti cambiamenti per la produzione qualitativa di sake: come si tramanda nel Tamonin viene scoperta da Tazaemon Yamamura, fondatore della cantina Sakuramasamune, ancora attiva ed una delle più famose, la sorgente Miyamizu sul Monte Rokko nella prefettura di Hyogo e si comprende di conseguenza la funzione dell’acqua nel sake.
Il cambiamento che porta Edo, la moderna Tokyo, a diventare la nuova capitale del Giappone in luogo di Osaka comporterà il trasporto di sake via mare e di conseguenza la costruzione di navi apposite chiamate Taru Kaisen, inoltre viene introdotta la figura del Toji, praticamente l’enologo del sake; nel Kanzukuri viene stabilito che i migliori sake debbano essere prodotti in inverno dove l’assenza o quasi di lieviti ed altri batteri non interferisce, inoltre verrà praticata la pastorizzazione a freddo ed infine, cosa importantissima, si introduce e perfeziona il processo fermentativo in tre fasi chiamato Sandan Jikomi.
Al Periodo Meiji, databile tra il 1868 ed il 1912, si deve la nascita della bottiglia “Issho Bin”, in pratica la magnum del sake; nel 1872 il sake viene liberalizzato, consentendone il consumo al popolo, ed il fermentato di riso e koji compare sul Vecchio Continente, debuttando all’Expo Mondiale di Vienna.
Durante il secolo scorso, tanto nel periodo Taisho che nel periodo Showa, sono stati apportati altri miglioramenti ma cosa ancora più importante è avere comprensione che il sake è frutto di ogni singolo tassello che nel corso della sua storia è servito ad ottimizzare un prodotto ed uno stile di bere evolutosi senza sosta nel tempo fino ai nostri giorni.
Cosa possiamo dire del periodo Hensei, cioè dal 1989 fino ai giorni nostri? Con l’Expo di Milano del 2015 l’Italia diventa il primo paese europeo per l’importazione di sake di qualità e nel dicembre dello stesso anno il nihonshu viene insignito dell’indicazione geografica il cui disciplinare ne sancisce la tutela per tutte le 47 prefetture in cui viene prodotto.
Bere consapevolmente significa appunto bere di qualità e con moderazione, accrescendo al tempo stesso la propria cultura grazie anche al confronto con altre culture tra presente e passato e bere sake giapponese è uno dei modi migliori per cogliere tale opportunità, con un tocco healthy e di grande appeal allo stesso tempo.