Curlan Chardonnay Riserva, il nuovo “solista” di Cantina Girlan
Redazione
Il culto e la passione per il terroir trovano un nuovo interprete nel primo vino bianco che entra a far parte della linea “Solisti”, il fiore all’occhiello di Cantina Girlan. Da due specifiche parcelle nasce uno Chardonnay di grande personalità e longevità.
Cantina Girlan, Girlan White, foto da comunicato stampa
Due piccole e selezionate parcelle all’interno di una storica sottozona, tanti anni di studio, ricerca e innumerevoli microvinificazioni, il desiderio di produrre un grande bianco che possa sfidare il tempo e restituire nel bicchiere il territorio di provenienza. Erano gli obiettivi che sin dall’inizio hanno guidato Cantina Girlan nella creazione di un nuovo vino bianco, il primo che entra a far parte della linea “Solisti”, fiore all’occhiello dell’azienda ed esclusivamente riservata a quelle etichette che possiedono un’identità unica e un potenziale di grande longevità.
Girlan Winery, foto da comunicato stampa
“Siamo davvero soddisfatti del risultato che siamo riusciti a ottenere dopo anni di studio e accurate analisi” spiega Oscar Lorandi, presidente di Cantina Girlan. “La sfida che ci eravamo dati era quella di realizzare uno Chardonnay dotato di grande carattere e al tempo stesso capace di sfidare il tempo senza alcun timore. Per far questo avevamo bisogno di trovare dei vigneti con caratteristiche precise, in grado di ‘firmare’ il vino in modo chiaro, aspetto fondamentale soprattutto quando ci si confronta con un vitigno come lo Chardonnay, dotato di grande personalità”.
Oscar Lorandi Presidente Cantina Girlan, foto da comunicato stampa
Le uve del Curlan Chardonnay Riserva 2019 Südtirol-Alto Adige Doc, sono state selezionate da due precise parcelle, “Gschleier” e “Schreckbichl”, situate all’interno della sottozona “Girlan”, tra i 450 e i 500 metri di altitudine.
Si tratta di un solo ettaro complessivo di vigneto, di età compresa tra i 20 e i 25 anni, con esposizioni sia a est che a ovest, allevati su terreni leggeri ben areati, ricchi di ghiaia, formati da depositi morenici su roccia porfirica vulcanica. “La microzona di Girlan ha da sempre le condizioni climatiche ideali per la coltivazione della vite e dello Chardonnay in particolare” specifica ancora il presidente. “Qui troviamo terreni aridi, un’ottima ventilazione e sbalzi termici perfetti per ottenere aromi di grande intensità e finezza”.
Vigne Cantina Girlan, foto da comunicato stampa
La vendemmia, che avviene rigorosamente a mano all’interno di piccoli contenitori, inizia durante la prima decade di ottobre. Dopo la pressatura dei grappoli interi, il mosto viene chiarificato dalle fecce attraverso una sedimentazione naturale. Sia la fermentazione alcolica che quella malolattica, nonché la successiva maturazione sui lieviti, si svolgono per 12 mesi in barrique, di cui 1/3 in legni nuovi e 2/3 usati. Il vino sosta ancora per 8 mesi in tini d’acciaio, sempre sui lieviti, e infine per un ulteriore anno in bottiglia prima della commercializzazione.
Cantina Girlan Curlan Chardonnay Riserva 2019, foto da comunicato stampa
“È uno chardonnay di struttura ed equilibrio, che ha bisogno della giusta ossigenazione e di una temperatura di servizio corretta, non troppo fredda, intorno ai 10-12 gradi, per dare il meglio di sé” spiega Gerhard Kofler, enologo di Cantina Girlan.
“Il colore giallo dorato molto vivo e lucente nel bicchiere, le note sia agrumate che di frutta matura che ricordano la pesca, ma al tempo stesso le sfumature decisamente minerali, donano una fotografia molto elegante e ricca, quasi stratificata, di questo Chardonnay.
Al palato ha avvolgenza e sapidità, ma soprattutto struttura e una grandissima tensione acida che gli consentirà di continuare a evolvere per molto tempo”.
Il Curlan Chardonnay Riserva 2019 è prodotto in sole 1980 bottiglie, esclusivamente commercializzato nel canale horeca e nel dettaglio specializzato.
È il quinto vino che entra a far parte della linea “Solisti” insieme a Gschleier Alte Reben Vernatsch, Trattmann Pinot Noir Riserva, Curlan Pinot Noir Riserva e Vigna Ganger Pinot Noir Riserva.
Da Comunicato Stampa
Collegamenti da sito cantina:
Girlan
Non lontano da Bolzano, in un contesto di morbidi pendii coltivati a vite, baciati dal sole e ancora immersi nella quiete sul Monte di Mezzo fra San Michele e la piana dell’Adige, ad un’altitudine compresa fra i 450 e i 550 metri slm, si estende a Cornaiano la maggior parte dei nostri vigneti.Ghiaiosa e argillosa, la terra qui è arida.
Girlan Landscape, foto da comunicato stampa
I vigneti, ben ventilati e che, a seconda dell’inclinazione del pendio, sono esposti a temperature più o meno calde, forniscono condizioni ideali per produrre una grande varietà di uve. Queste caratteristiche uniche ci consentono di produrre vini incomparabili, dal carattere individuale e marcato. Vini che conquistano soprattutto per la loro freschezza minerale, la struttura chiara e decisa e la grande autenticità.
Le eccellenze vinicole della famiglia Moretti Cuseri premiate nel 2022 dalle guide e riviste più autorevoli del panorama internazionale
Redazione
I vini delle cantine toscane Tenuta Sette Ponti e Orma, e della siciliana Feudo Maccari apprezzati dalla critica internazionale nel 2022. Spiccano i toscani Vigna dell’Impero, Oreno e Orma, produzioni rappresentative della famiglia Moretti Cuseri, autentica espressione di vigneti storici e internazionali iconici che narrano il territorio, la passione e la costante ricerca della massima qualità da parte di Antonio Moretti Cuseri e dei suoi figli Amedeo e Alberto.
Famiglia Moretti Cuseri articolo: Famiglia Moretti Cuseri premiate nel 2022 dalle guide e riviste di settore, foto da comunicato stampa
Si conferma anno dopo anno l’eccellenza dei vini prodotti dalla famiglia Moretti Cuseri nelle realtà toscane Tenuta Sette Ponti e Orma, ma anche in Sicilia con Feudo Maccari: stile ed eleganza frutto dell’unione tra esperienza in vigna, viticoltura biologica, lavoro di squadra e continua ricerca della massima qualità possibile.
Vini rappresentativi dei territori in cui nascono, provenienti da vigneti autoctoni e internazionali coltivati in aree vinicole tra le più rinomate al mondo, apprezzati dalla critica internazionale del panorama wine, come dimostrano le edizioni 2022 delle guide di riferimento.
Tenuta Orma a Bolgheri, Famiglia Moretti Cuseri, foto da comunicato stampa di linda Vukaj-Aicod
Gli alti riconoscimenti per identità e qualità dei vini sono arrivati da Bibenda, guida edita da Fondazione Italiana Sommelier, da Vitae, guida redatta ed edita dall’Associazione italiana Sommelier, dalla Guida del Gambero Rosso, dalla Guida Veronelli, dalla Guida Vinibuoni d’Italia del Touring Club Italiano e dalla guida I Migliori 100 vini e vignaioli d’Italia a cura di Luca Gardini (Gardini Notes) e Luciano Ferraro. Importanti gratificazioni internazionali sono stati inoltre i punteggi assegnati da James Suckling, considerato uno dei critici di vino più influenti al mondo, e Falstaff, guida redatta dalla più antica rivista enologica austriaca, distribuita anche in Germania e Svizzera.
Feudo Maccari della famiglia Moretti Cuseri, foto da comunicato stampa
In particolare, tra le eccellenze prodotte dalla famiglia Moretti Cuseri, hanno brillato:
Oreno 2020: 100/100 Guida I Migliori 100 vini e vignaioli d’Italia, 100 Gardini Notes, Tre Bicchieri e Stella Gambero Rosso, 97 James Suckling, 95 Wine Spectator, 97 Falstaff, 94 Vinous, 94 Wine Advocate, 98 WinesCritic, 94 punti e Tre Stelle I Vini di Veronelli, 4 tralci Vitae. Orma 2020: 5 grappoli Bibenda, 95 punti, Tre Stelle e 1 faccino Doctor Wine, 95 punti e Tre Stelle da I Vini di Veronelli, 97 James Suckling, 96 Falstaff, 94 Wine Advocate, Tre Bicchieri Gambero Rosso. Vigna dell’Impero 2018: 5 grappoli Bibenda, la corona di Vini Buoni d’Italia, 92 doctorwine, 96 Jamessuckling, 95 Vinous, 95 Falstaff, 93 Wine Spectator e 97 WinesCritic. Crognolo 2020: 93 James Suckling, 92 Falstaff, 95 WinesCritic, 2 Bicchieri Gambero Rosso. Crognolo 25th Anniversary: 94 James Suckling, 96 WinesCritic
Moretti Cuseri, Vigne feudo Maccari, foto da comunicato stampa
Grande soddisfazione anche per le altre etichette che hanno riportato riconoscimenti meritevoli: i siciliani Olli (Grillo Sicilia DOC) che è stato inserito anche nella guida “Vini per tutte le tasche” di Cernilli e Rosé Neré (Nero d’Avola) di Feudo Maccari, oltre al toscano Vigna di Pallino di Tenuta Sette Ponti.
Vigne Moretti Cuseri in vegetazione, foto da comunicato stampa
I premi e riconoscimenti ottenuti nel 2022 dalle cantine della famiglia Moretti Cuseri sono il risultato di un lavoro costante e autentico, di un’arte enoica che affonda le sue radici nella storia e nelle tradizioni ma con uno sguardo al futuro e al gusto internazionale, sempre all’insegna della sostenibilità e di un profondo amore per la vigna.
Qualità, ricerca e innovazione unite alla salvaguardia degli antichi saperi, si rivelano il segreto per la produzione di grandi vini che ottengono consenso e lode sia nel panorama vinicolo italiano che internazionale.
Le Eccellenze di Castello di Spessa: una riserva aziendale di vini di alta qualità e rari distillati, custoditi nella storica cantina di invecchiamento
Redazione
Alta qualità senza compromessi: è questo il principio che viene perseguito a Castello di Spessa.
Sin dagli anni ‘80, il proprietario Loretto Paliha compreso il potenziale di invecchiamento dei vini del Collio e la vocazione alla base della lunga tradizione vitivinicola di Castello di Spessa. Per questo motivo, è nata la selezione Le Eccellenze, di cui fanno parte il metodo classico Amadeus V.S.Q. Brut Millesimato, il Collio Bianco D.O.C. San Serff e il Collio Rosso D.O.C. San Serff.
Si tratta dei vini più rappresentativi dell’azienda, che escono sul mercato dopo un lungo periodo di affinamento nelle cantine medievali di Castello di Spessa, e in quella ricavata nel bunker militare sotterraneo, realizzato nel 1939 e riscoperto durante i lavori di ristrutturazione del 1987. Alla profondità di 18 metri e con una temperatura costante di 14°C, è il luogo ideale per la conservazione e la maturazione dei vini secondo la visione di Loretto Pali.
Loretto Pali con Enrico Paternoster, articolo: Le Eccellenze di Castello di Spessa 2022
A queste riserve, si aggiungono due rarità nel campo della distillazione: il Brandy Casanova X.O. e la Grappa Riserva del Conte Ludovico di Spessa, realizzate in collaborazione con una storica distilleria della zona, attiva dalla fine dell’‘800 e lungamente invecchiate anch’esse nella cantina del castello.
Ogni anno, dalla selezione Le Eccellenze vengono prelevate circa mille bottiglie per tipologia, destinate alla riserva aziendale, un tesoro di vecchie annate che ha pochi eguali.
Oggi, la cantina ne custodisce qualche migliaio di esemplari che, oltre a costituire un patrimonio aziendale di inestimabile valore, rappresentano la memoria storica di Castello di Spessa.
Etichette senza tempo che richiamano una vocazione viticola lunga secoli e una visione lungimirante iniziata 40 anni fa.
Azienda Agricola Castello di Spessa, foto da comunicato stampa
LE ECCELLENZE
Amadeus V.S.Q. Brut Millesimato 2017. 83% Chardonnay, 17% Pinot Nero. Ottenuto da mosti di prima qualità: raccolta manuale delle uve e pressatura soffice a grappolo intero, con resa massima del 50%. La prima fermentazione avviene parte in acciaio e parte in barrique di rovere francese, per enfatizzarne la complessità. Successivamente alla presa di spuma, riposa per 40 mesi sur lattes per esprimere al meglio un perlage finissimo.
Collio Bianco D.O.C. San Serff 2013. Prevalentemente da uve Pinot Bianco, accuratamente selezionate e coltivate in un vigneto del 1993. La fermentazione alcolica e quella malolattica avvengono in barrique, dove il vino sosta per circa 6 mesi; segue, poi, un lunghissimo affinamento in bottiglia. Vino di straordinaria struttura che ne consente un lungo invecchiamento.
Collio Rosso D.O.C. San Serff 2007. Un blend di Merlot e Cabernet Sauvignon, da una vigna del 1998. La fermentazione alcolica avviene in tini di rovere, mentre la malolattica in acciaio. Seguono la permanenza in barrique per 24 mesi, quindi un lunghissimo affinamento in bottiglia. Vino avvolgente e complesso.
Brandy Casanova X.O. Da vini bianchi del Collio, distillati in alambicchi. Invecchiato per oltre 40 anni in botte di rovere, è un distillato da meditazione raro e dall’ampio bouquet aromatico.
Grappa Riserva del Conte Ludovico di Spessa. Dalla distillazione di vinacce di Merlot e Cabernet Sauvignon, invecchiata per circa 20 anni in barrique di Allier. Grappa di grande morbidezza e dalle molte sfumature.
Vigna dell’azienda agricola Castello di Spessa, foto da comunicato stampa
L’ORIGINE DEI NOMI
Uomini illustri sono passati o hanno risieduto a Castello di Spessa. I nomi scelti per Le Eccellenze, etichette che fidano il tempo, rendono omaggio alla storia secolare del castello e ai suoi ospiti, quando il Collio era una cerniera tra mondi e culture diverse.
A Wolfgang Amadeus Mozart è dedicato il Metodo Classico Amadeus V.S.Q. Brut Millesimato. Il librettista di Mozart, Lorenzo Da Ponte, fresco di esilio da Venezia, trovò rifugio al Castello di Spessa attorno al 1780, in qualità di cappellano privato del Conte Luigi della Torre. In favore del suo protetto, il conte organizzò la cena di Capodanno del 1780, al termine della quale si disputò, tra la vasta cerchia di amici invitati, una partita di gioco allo scopo di fornire Da Ponte dei mezzi utili ad affrontare il viaggio da Gorizia a Dresda, dove avrebbe intrapreso la sua fortunata attività di librettista. Nelle sue memorie, Da Ponte ricorderà sempre con affetto e gratitudine il gesto del “Conte Torriano”.
La Vendemmia a castello di Spessa, foto da comunicato stampa
Le due riserve Collio Bianco D.O.C. San Serff e Collio Rosso D.O.C. San Serff sono in onore del barone triestino e uomo di affari Demetrio Economo di San Serff che, agli inizi del ‘900, acquistò il castello e gli appezzamenti limitrofi, ricostituendo l’integrità originaria della tenuta, andata parzialmente smembrata nei due secoli precedenti. San Serff provvide inoltre a ristrutturare i vigneti e il magnifico parco che, ancora oggi, circonda il maniero. Grazie a lui iniziarono i lavori per modificare anche la parte del palazzo che comprende le cantine.
Il Conte Luigi Torriani, omaggiato con la grappa a lunghissimo invecchiamento Grappa Riserva del Conte Ludovico di Spessa, fu un personaggio illustre, le cui origini risalgono a Carlo Magno. Uomo eclettico e deciso, fu famoso per le sue molte attività e per l’amicizia e l’ospitalità verso i personaggi e gli uomini di cultura più in vista del suo tempo. Fu un magnifico padrone di casa, che omaggiava i suoi ospiti con sontuosi banchetti e con l’ottimo vino prodotto a Spessa, già famoso per la sua qualità.
Il Brandy Casanova X.O. celebra un altro grande nome legato a Castello di Spessa, quello di Giacomo Casanova, che qui fu ospite nel corso del 1773, poco prima del rientro a Venezia. Nella sua opera “Histoire de ma vie”, il celebre libertino dedica svariate pagine alla sua permanenza al castello, dove raccontava di un “vin bianco eccellente” prodotto dalle vigne di proprietà. Furono l’amore per la servetta Sgualda e la conseguente gelosia del Conte Luigi Torriani a interromperne rocambolescamente il soggiorno
QUOTA 101, l’identità dei vini biologici buoni per natura
Redazione
“Fare vini buoni, significa prima di ogni cosa essere responsabili e rispettosi del luogo in cui i vini nascono. Solo così il concetto di buono può assumere un valore più profondo, che ha le sue radici nella natura incontaminata e protetta dei nostri Colli Euganei.” Famiglia Gardina
Roberto Gardina e la sua famiglia, articolo: QUOTA 101, l’identità dei vini biologici buoni per natura
Quota 101 è il progetto della famiglia Gardina che ha scelto di intraprendere un percorso legato alla tutela del luogo in cui nasce. L’azienda si trova a Torreglia, all’interno del Parco Regionale dei Colli Euganei, e tutte le scelte sono state fatte nel pieno rispetto della natura e della bellezza di questi luoghi. I vini sono certificati biologici e prodotti nel rispetto dell’ambiente, e sebbene produrre abbia sempre un impatto, la sfida è quella di ridurlo al minimo, migliorando continuamente la sostenibilità delle proprie azioni.
Quota 101 Tenuta Baone della Famiglia Gardina
Con questa ambizione l’azienda si è certificata CasaClima Wine nel 2022, una certificazione che oltre ad assicurare una costruzione della cantina secondo termini rigorosi, si assicura che la cantina si impegni ad utilizzare imballaggi leggeri e riciclabili ed essere attentissima nella gestione dei rifiuti. Quota 101 è anche un’azienda Fivi, la federazione italiana vignaioli indipendenti, per difendere e dare voce alla figura del vignaiolo impegnato a seguire ogni fase del suo vino, dalla vigna alla vendita.
L’AZIENDA, LA FAMIGLIA GARDINA
Quota 101 è un’azienda vitivinicola a conduzione familiare immersa nei Colli Euganei, area D.O.C. di origine vulcanica. Prende il proprio nome dall’altitudine, perché è situata a 101 m. s.l.m. sulla cima di una collina, nel mezzo del Parco Regionale dei Colli Euganei, lontano da strade trafficate e con una vista mozzafiato che arriva fino a Venezia.
Silvia e Roberta Gardina, articolo: QUOTA 101, l’identità dei vini biologici buoni per natura
La famiglia Gardina ha scelto la strada della viticoltura, una strada che non era segnata dalle generazioni precedenti. Oggi questa sfida è diventata uno stile di vita e vede tutti impegnati nella produzione del vino, in particolare papà Roberto Gardina con le figlie Silvia e Roberta.
IL TERRITORIO, i Colli Euganei
I Colli Euganei sono l’incredibile risultato geologico di fenomeni vulcanici risalenti a oltre 40 milioni di anni fa. Molte colline hanno perciò un cuore vulcanico, ma non assomigliano ad una tipica catena montuosa. Ciascun colle è il risultato di uno specifico spostamento della crosta terrestre e di conseguenza possiede una forma unica e una particolare composizione del suolo e minerale. Questo spiega l’esistenza di colline solitarie, dal fascino insolito ed evocativo, circondate dalla pianura.
Cantina casaCima Wine, la sosteibilità, articolo: QUOTA 101, l’identità dei vini biologici buoni per natura
Dalla cantina, allungando un po’ l’occhio è facile vedere Villa dei Vescovi, meravigliosa opera del Cinquecento italiano e sede dell’enoteca della Strada dei vini dei Colli Euganei. Nelle vicinanze, inoltre, sorgono numerosi borghi storici come Arquà Petrarca, Teolo o Monselice. I Colli Euganei sono anche famosi per essere rimasti luoghi ben preservati e selvaggi dove ritrovare la natura, tra filari di vigne, olivi secolari e boschi di castagno e querce.
More, lamponi, melagrani, giuggiole, corbezzoli, nocciole, nespole e mandorle sono alcune delle più apprezzate delizie di queste colline, dove il consiglio è di perdersi tra i sentieri a piedi, a cavallo o in bicicletta. La fauna è ancora intatta e si possono riconoscere più di cento specie di uccelli. Dall’upupa al pettirosso, dal gufo all’allodola. Mentre tra i boschi si possono incontrare anche cervi, lepri, volpi, tassi, faine e donnole.
I VIGNETI, Torreglia e Baone
Quota 101 Tenuta di Torreglia Famiglia Gardina
I vigneti aziendali sono localizzati in due dei terroir più vocati dei Colli Euganei. Il più vecchio, di 7,5 ha, si trova a Luvigliano di Torreglia, nella parte nord-orientale dell’area, dove il suolo è principalmente argilloso e marnoso. Ideale per l’equilibrio aromatico delle uve bianche che qui per la maggior parte dimorano.
I filari di vigna più recenti, invece, si estendono per 9 ha a Baone, nella parte meridionale dei Colli. Qui il suolo è calcareo e ricco di scaglie rocciose, un terroir vocato per le uve rosse. La vinificazione avviene esclusivamente con uve di proprietà e tutte le fasi produttive sono gestite direttamente dall’azienda come richiesto dalla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.
Cantina casaCima Wine, la sosteibilità, articolo: QUOTA 101, l’identità dei vini biologici buoni per natura
L’attenzione e il rispetto per l’ambiente hanno portato ad ottenere la certificazione biologica a partire dalla vendemmia 2018. Praticare un’agricoltura organica, in un ambiente ricco di biodiversità, significa salvaguardare la fertilità dei suoli, gestire al meglio le risorse idriche, controllare infestanti e parassiti attraverso metodi naturali. La biodiversità è la ricchezza di specie animali e vegetali che vivono in un ecosistema, la base della vita del pianeta.
Cantina Quota 101
Un vigneto che fa parte di un mosaico di ambienti diversi è, infatti, meno soggetto a trattamenti perché già ricco ed equilibrato. Per il consumatore, tutto ciò significa bere un vino più autentico, salubre e genuino.
Dopo il restauro della vecchia cantina, oggi diventata bottaia per l’affinamento dei vini, nell’autunno del 2019 la famiglia Gardina ha dato inizio alla costruzione di una nuova cantina completamente rivestita in legno di larice naturale. Nel farla ha scelto di essere più rispettosa possibile nei confronti di quello in cui crede di più: la natura.
La cantina è stata progettata in un’ottica di efficienza energetica e sostenibilità dell’edificio, oltre ad una grande attenzione al rispetto di un ciclo produttivo attento all’ambiente ed efficiente in termini di risorse. Questo permetterà di ottenere la prestigiosa certificazione Casa Clima Wine, una certificazione che hanno in pochissimi in Italia. Oltre ad una costruzione secondo termini rigorosi, le cantine certificate devono impegnarsi ad utilizzare imballaggi leggeri e riciclabili ed essere attentissimi nella gestione dei rifiuti.
Interno della cantina nuova Quota 101
Negli spazi di lavoro e di accoglienza sono garantiti un elevato comfort microclimatico e acustico per la salute e il benessere di lavoratori e visitatori e particolare attenzione è stata posta alla eliminazione delle barriere architettoniche per garantire la massima fruibilità a tutti i visitatori.
I NUMERI, BOTTIGLIE E VIGNETI
Quota 101 produce attualmente circa 60.000 bottiglie all’anno, con la previsione di attestarsi nel prossimo futuro a ca. 100.000, quando saranno a regime tutti i vigneti.
Una produzione limitata per numero di bottiglie, ma grande nella cura e nell’attenzione.
I vini (quasi tutti DOC o DOCG) sono:
Serprino, La Gobbetta (frizzante sur lie) Tai, Manzoni bianco, Garganega, Sauvignon, Chardonnay, Malterreno (blend di vini bianchi), Poggio Ameno (blend Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon), Silvano (Merlot) Ortone (blend di Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon), Fior d’Arancio secco (Moscato giallo), Fior d’Arancio spumante dolce (Moscato giallo) e Il Gelso di Lapo Fior d’Arancio passito (Moscato giallo) prodotti con le uve che nascono in questo territorio. Quota 101 li presenta in etichetta abbinati ad una canzone, un film, a una ricetta insolita.
ACCOGLIENZA, BIO WINE EXPERIENCE
L’accoglienza è un aspetto caratterizzante dell’attività di Quota 101. L’obiettivo quello di raccontare la bellezza e la natura del luogo, dove sembra di essere in una cartolina. Fare un giro tra i vigneti, entrare in cantina e assaggiare i vini guardando villa dei Vescovi è un’emozione che non sin può replicare, se non invitando il pubblico a venire direttamente in cantina.
E l’accoglienza fa da filo conduttore della comunicazione dell’azienda: un tour in cantina che si chiama “Postcard Quota 101” e un Bed&Wine per l’ospitalità, dove la colazione diventa una degustazione in cantina.
VISITE IN CANTINA PERSONALIZZATE
Si organizzino su prenotazione visite guidate e degustazioni nella sala attrezzata o nel grande porticato. Le visite e le degustazioni sono il più possibile su misura per assecondare le reali esigenze e aspettative dell’ospite.
VISITA IN CANTINA “POSTCARD QUOTA 101”
Fior D’Arancio Spumante Dolce Cantina Quota 101
Un percorso a piedi nei luoghi della tenuta, durante il quale sembrerà di fare un viaggio dentro una cartolina.
Il giro comprende la visita ai vigneti e alla cantina, la degustazione guidata dei vini e l’assaggio dell’olio extravergine oliva.
Il tutto accompagnato da un piccolo spuntino con prodotti della tradizione gastronomica del territorio.
SHOPS
La cantina dispone di tre punti vendita. Si trovano tutti in Veneto: uno è proprio a Luvigliano di Torreglia dove c’è anche la cantina, uno è ad Arquà Petrarca dove c’è anche il Bed&Wine, il terzo è a Rovigo dove ha origine la famiglia.
Tai Cantina Quota 101
BED&WINE
Bed & Wine è l’idea di ospitalità di Quota 101, dove al pernottamento viene unita l’esperienza di una visita e una degustazione dei vini biologici in cantina.
La famiglia Gardina ha ristrutturato e rivalorizzato quattro appartamenti, mantenendo intatto tutto il fascino di un vecchio edificio del ‘400 in uno dei borghi medievali più belli d’Italia e dei colli Euganei, Arquà Petrarca. Le stanze sono proprio al centro del paese e in quindici minuti si può raggiungere la cantina per una degustazione immersa nei colli.
MANIFESTO | UN DECALOGO DEL VINO
Quota 101 ha scelto di presentare il suo modo di intendere il vino attraverso un manifesto. In 10 punti si racconta il concetto di avanguardia bucolica, che semplicemente significa vivere la natura nel segno di una convivialità creativa.
Ortone Colli Euganei Rosso Quota 101
Noi di Quota 101 crediamo:
1 – Nel vino come esperienza, quando viene degustato ascoltando una canzone o perdendosi in un film.
2 – Nel bicchiere mezzo pieno, come mezzo di riconnessione culturale.
3 – Nella forza del vino di saper veicolare idee, incontri, persone.
4 – Nell’emozione di incrociare e lasciarsi coinvolgere dalle storie.
5 – Nelle persone che con un bicchiere di vino in mano si sciolgono in chiacchiere infinite.
6 – Nella bellezza della fatica, come quella di una salita in bicicletta e di un vino ristoratore.
7 – Nella responsabilità di sensibilizzare al rispetto della natura.
8 – Nella ricerca di luoghi silenziosi per ritrovarsi, come l’ombra di un albero di ulivo.
9 – Nell’impegno e nella costante ricerca di crescita e maggiore qualità, senza risparmi di energia.
10 – Nel rispetto della terra che coltiviamo come prestito per il domani.
Azienda Agricola Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Ilaria Castagna e Cristina Santini Partners in Wine
Riccardo Del Frate dell’Azienda Agricola Di Marzio, articolo: Azienda Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Quella che vi stiamo per raccontare è la storia di Riccardo Del Frate, un giovane Produttore del Comune di Lanuvio, nel cuore dei Castelli Romani, con una lunga storia vitivinicola alle spalle che ha saputo coltivare nel tempo partendo da molto lontano, dal suo trisavolo che faceva proprio questo mestiere.
Giunto alla quinta generazione, Riccardo più che un mestiere lo definisce un progetto personale che, seguendo le orme del suo antenato, ha inizio non da subito, ma strada facendo.
Girando un po’ il mondo prima di mettere radici, ha iniziato in Svizzera con l’incarico di Chef de partie nelle migliori cucine dei ristoranti a 5 stelle, ma la mente era sempre lì tra quei filari.
Il padre non voleva che facesse il mestiere del vignaiolo, era l’epoca in cui tutti abbandonavano i vigneti e quindi non pensava che potesse essere per il figlio un buon lavoro per vivere.
Poi dal 2009 al 2016 inizia a lavorare in pasticceria facendo sia il pasticcere sia il vignaiolo.
Con la sua caparbietà di portare avanti un sogno, quello del vignaiolo, lascia tutto per dedicarsi ai suoi filari e nel 2016 esce la sua prima annata.
Ad oggi cura tutti i suoi vigneti personalmente fino alle fasi di produzione e alla gestione diretta, nella maggior parte dei casi, dei suoi clienti. “Quando sono clienti nuovi vado io, voglio conoscere bene il mio cliente e farmi conoscere, spiegando la mia azienda e i miei prodotti. E poi voglio sapere dove va a finire il mio vino”.
Con la sua filosofia ribelle non vuole l’enologo, per cui in azienda c’è solo il grande Cantiniere Stefano Pinci che lo aiuta nelle sue innumerevoli sperimentazioni. “Non sono contro la figura dell’enologo, è solo che poi si parla più del vino dell’enologo rispetto al vino del vignaiolo”.
L’amore e la passione sono le caratteristiche di questo ragazzo di 34 anni che fa del suo lavoro una missione, non si annoia, piace e si vede.
I VIGNETI DI FAMIGLIA: Primo vigneto
Visitiamo la prima parte del vigneto, uno dei sette appezzamenti tutti collocati nello stesso Comune, ma a diverse distanze e con caratteristiche pedo-climatiche differenti.
Sono 8,5 ettari che fanno parte dell’azienda del trisavolo che a suo tempo produceva vino e lo vendeva sfuso come da tradizione in questo territorio.
Primo vigneto con due differenti suoli, articolo: Azienda Agricola Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Riccardo ci racconta che, da alcuni dati storici in possesso della Famiglia, la costituzione dell’azienda dovrebbe risalire alla fine dell’800. Poi con i due conflitti bellici si sono persi tutti i possedimenti, ripartendo poi nel dopoguerra con il nonno e il papà.
Fino agli inizi del 2000 si parla di una superficie di circa 5 ettari, conferendo una parte delle uve alle Cantine e la restante parte vinificata e venduta come vino sfuso in quella che era all’epoca, su quel terreno, una fraschetta di proprietà. “Si vende ancora oggi il vino sfuso mantenendo le tradizioni perché certe cose non si riescono a sradicare” .
Nel 2009 il nonno divide l’azienda tra i tre figli e al papà spettano i 2,5 ettari in affitto. A questo punto subentra Riccardo nel recupero e nella gestione dei vigneti, ripartendo proprio da questi pochi ettari, fino al 2018, anno in cui acquista di nuovo tutti i terreni che erano appartenuti al suo trisavolo.
Ad oggi sono 11 gli ettari di proprietà, certificati Bio, più 4 in affitto recuperati dall’abbandono, che vanno dai 110 ai 264 metri slm., coltivati su suolo vulcanico, a 15 km dal mare con una costante ventilazione.
Vigneti Azienda Agricola Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
PRATICHE IN VIGNA
Tra i filari, ad alternanza ogni anno, viene lavorato il terreno e messo a dimora il favino, una pianta che prende l’azoto dall’atmosfera e lo trasferisce nel terreno arricchendolo.
Il residuo delle potature viene utilizzato come compost e, dato il clima, viene fatto anche l’inerbimento per trattenere l’umidità nel terreno.
I vitigni recuperati dal 2009 fino al 2014 e i nuovi impianti sono: Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano, Malvasia Puntinata o del Lazio, Moscato giallo, Grechetto e Vermentino. Per i rossi: Merlot, Montepulciano, Sangiovese e Cesanese. Quattro le etichette prodotte di cui due bianchi, un rosso e un rosato.
Le rese sono tra 90/110 q/h. e vengono prodotte circa 10.000 bottiglie l’anno.
Nel 2009 ha inizio la prima vinificazione, facendo seguito sei anni di prove per poi uscire con la prima etichetta nel 2016 valorizzando e prediligendo gli allora vitigni autoctoni in possesso, ovvero la Malvasia di Candia e il Trebbiano Toscano, al contrario di ciò che gli era stato suggerito cioè espiantare la vecchia vigna del ’73 e piantare a filare uno Chardonnay.
Vigneto del 1973
Notiamo la particolarità dei filari misti, di tante varietà insieme come era una volta l’usanza.
Le lavorazioni in vigna sono tutte manuali tranne quelle del terreno, quindi dalla potatura alla raccolta è tutto a mano e questo consente nel periodo primaverile, quando insorgono le malattie della vite, durante la potatura verde, di osservare meglio e da vicino lo stato sanitario delle uve.
Quindi i trattamenti di zolfo e rame non vengono dati più a cadenza come una volta ma solo se servono. “Mi sento un custode del territorio, io sono molto attaccato al territorio”.
UN’ETICHETTA PER OGNI SUOLO
Ogni etichetta proviene da diversi appezzamenti con differenti esposizioni e altitudini, soprattutto con il terreno vulcanico che cambia colore tra un fazzoletto e l’altro.
Riccardo ci incuriosisce dicendoci che su 10.000 metri ci sono tre lingue di terra differenti.
Qui, in questo primo appezzamento, troviamo prettamente suolo vulcanico non troppo scuro, marrone rossastro.
Il “Metella” ad esempio, composto da Trebbiano in purezza, viene da questa prima porzione di terreno vulcanico, allevato a tendoni e piantato nel 1973.
Dalle parole di Riccardo “ho mantenuto i tradizionali tendoni perché non è vero che così facendo non si fa qualità, tanto dipende dalla potatura. Con il cambiamento climatico utilizzare il tendone è più salutare per le uve bianche, un riparo dal sole che consente di preservare la parte aromatica”.
Qual è l’etichetta che più ti rappresenta?
“Vallefiara perché è il primogenito, è un altro appezzamento che si trova sotto Lanuvio e l’unico che è rimasto a noi dal trisavolo ininterrottamente a differenza degli altri che invece sono stati persi e poi ripresi. Ha un valore soprattutto affettivo, diverso”.
ALLA SCOPERTA DEI TANTI FAZZOLETTI DI TERRA
Ci spostiamo in un’altra porzione dove i filari, piantati più stretti, sono studiati per essere lavorati orizzontalmente anziché seguire in verticale il pendio in discesa. Qui non c’è l’alternanza delle erbe spontanee perché la vigna è più giovane, risalente al 2021, quindi lavorata più spesso.
In questa parte di natura, c’è un ettaro di vigneto nuovo, insieme ad un altro ettaro risalente al ’92 e mezzo ettaro di uliveto in fondo ai vigneti presi in affitto da Riccardo nel 2014.
Vigneti perpendicolari al pendio, articolo Azienda Agricola Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Troviamo il terreno spaccato perché non piove da settimane. Più scendiamo a valle più il terreno cambia colore.
Ci incuriosisce tantissimo la presenza di tre differenti suoli: in alto, il primo più scuro, più nero argilloso; scendendo il secondo a metà è sabbioso/pozzolanico con una consistenza molto diversa; il terzo, a fondovalle, un suolo di nuovo più scuro e ricco di sostanze organiche.
Ogni lingua di terra ha delle caratteristiche uniche e in pochi metri cambia la consistenza, il colore e la composizione del suolo. Quindi abbiamo lo stesso vitigno coltivato in diverse parcelle con differenti caratteristiche pedo-climatiche che danno vini diversi.
In definitiva, le quattro etichette prodotte provengono da quattro terreni diversi e ben distinti.
Altra differenza che notiamo è la crescita dei vigneti in tre differenti terreni ma piantati nello stesso anno e nello stesso luogo. In alto il terreno scuro è più ricco di sostanze e le vigne crescono con più vigoria; più in basso il terreno è povero e la vigna soffre di più.
Ogni appezzamento è una cosa a sé; le posizioni dei vitigni sono ben studiate perché Riccardo conosce fin troppo bene il suo territorio e non metterebbe mai un Moscato giallo a valle pur sapendo che soffrirebbe di marciume e botrytis a causa della troppa umidità, dove invece si trova il Grechetto.
Suoli differenti in Azienda Agricola Di Marzio
LA STORIA DI LANUVIO
Prima di raggiungere un’altra parte vitata, Riccardo ci tiene a raccontarci il suo territorio perché sostiene che visitare soltanto l’azienda e i suoi Vigneti sia poca cosa in confronto alla completa panoramica che potremmo avere conoscendo la storia e visitando una parte del paese.
E così, entusiaste della proposta, ci porta a visitare una delle bellissime torri appartenente al Castello medievale di Civita Lavinia, costruito sopra le rovine dell’età Imperiale. Giunte alla sommità, affascinate dal quadro naturalistico davanti i nostri occhi, godiamo in silenzio questo scorcio sulla campagna romana, sui vigneti. All’orizzonte il mare.
Al giorno d’oggi la maggior parte delle torri è abitata.
Sicuramente conoscere e vivere il territorio e la sua storia aiuta a capire l’evolversi anche del tessuto urbano. “Il posto va vissuto a 360 gradi portando le persone in azienda, far vedere e vivere le vigne, e visitare il luogo come unico pacchetto”. Questa è l’accoglienza di Riccardo.
Lanuvio, situato all’interno del Parco Regionale, a 324 metri slm, è il più basso dei comuni dei Castelli Romani, in prov. di Roma, però è il primo colle che si incontra venendo dal mare, quindi durante la seconda guerra mondiale, con lo sbarco di Anzio delle truppe alleate, venne prima bombardato dal mare poi raso al suolo.
Il nome Lanuvio viene da Lanoios, un guerriero partito dalle coste della Grecia o dalla Sicilia, a seconda delle leggende, insieme ad Enea, che approdò sulla costa laziale e nell’entroterra fondò una cittadina che prese il suo nome dal latino. Nel corso degli anni il nome diventò Lanuvium, poi Lanuvio ed era una rocca circondata da cinque torri a scopo difensivo, inespugnabile perché circondata da una cinta muraria scarpata.
la Torre del castello medievale di Civita Lavinia con vista sulla campagna romana
“LE VAGNERE”
Il terzo appezzamento vitato, sotto Lanuvio, è più selvaggio, il più alto, 264 metri slm, comprato negli anni ’60 dai nonni di Riccardo che all’epoca avevano la vigna a filari coltivata a Malvasia e Bombino, per poi ripiantare negli anni ’80 Malvasia e Trebbiano e nel 2001 Sangiovese.
Circondato da un boschetto di lauro, questo terreno è ricco di biodiversità sia animale sia vegetale, con tante specie di piante, coltivato su suolo vulcanico più chiaro, non argilloso ma sciolto, molto drenante.
Dal Sangiovese, presente in questo lotto, viene prodotta la prima annata del rosato “Le Vagnere”, che prende il nome proprio dal luogo.
Vigneto più alto “Le Vagnere”
Riccardo ci porta vicino ad un ruscello e ci racconta che qui prima c’erano tante canne che coprivano la sorgente e la collina terrazzata con muretti a secco che in seguito ha ripulito. A ridosso di questa collina ci sono delle Ville Romane, dei vasconi sempre di epoca romana dove finisce l’acqua della sorgente e da lì scende a valle vicino ai filari.
Queste colline, grazie alla loro posizione favorevole, erano molto care all’Imperatore Marco Aurelio che qui risiedeva per la salubrità del clima.
All’interno di queste ville ci sono degli splendidi mosaici. Riccardo si occupa della manutenzione esterna per preservare la loro bellezza.
Le ville romane sono state inserite nel percorso dell’Appia, antico tracciato che comprende settanta comuni, quattro regioni e dodici tra province e Città metropolitane. Progetto presentato da pochi mesi che ci auspichiamo in futuro porti al riconoscimento di questa Via, così importante, come patrimonio dell’UNESCO.
Qui davanti alle viti c’è da poco più di un anno un’arnia piena di api e dal prossimo anno ci sarà anche la produzione di un po’ di miele. Posizione ideale vicino all’acqua, i mandarini in fiore, rovi in fiore. Simbolo della biodiversità!
La sorgente recuperata e l’arnia in vigna
Giriamo intorno alla vigna e troviamo una bella collinetta piena di ciclamini, una scala antica fatta di legno appoggiata ad un albero, pietre vulcaniche scure, panche di legno e una vista sulla vallata con un albero e il muretto a secco che ci ricorda il disegno sull’etichetta del rosato. Su per la collina, sotto il bosco si vede benissimo tutta l’attività vulcanica, le varie colate laviche con basalto nero, un toccasana per queste vigne. Ci stupisce tantissimo il mutare dei colori del terreno in così poca distanza, ci sembra di aver cambiato territorio.
“IL VALLEFIARA”
Siamo nel quarto podere di 6000 metri, più aperto verso il mare. Non si sa l’anno d’impianto dell’ultimo filare che segna il confine, ma il resto della vigna è stata ripiantata nell’86 e coltivata a Malvasia e Trebbiano. Da queste viti, alternate da due filari di Malvasia e un filare di Trebbiano, viene prodotto il “Vallefiara”. Praticamente il taglio si fa direttamente in vigna!
Dalla collina di fronte ai vigneti possiamo ammirare il panorama che si estende fino al mare e quando non c’è foschia si vedono perfettamente le isole pontine. Siamo nell’agro romano e vediamo l’agro pontino.
Mentre ammiriamo il paesaggio, ascoltando il canto degli uccelli, alle spalle abbiamo Lanuvio e voltandoci osserviamo sotto il campanile vicino ai pini un grande terrazzo.
Si narra che tutti i terreni sotto la rocca fossero di proprietà del trisavolo. In passato, da questo terrazzo, si vedeva alzarsi un grande fumo dai campi, dovuto all’uso della vanga da parte delle tante persone che lavoravano per lui.
Vigneto “Vallefiara” Azienda Agricola Di marzio
Tutti gli ettari vitati sono circondati da uliveti che rappresentano un ettaro con 500 piante miste tra moraiolo, rosciola, carbonella, frantoio, itrana. Non poteva mancare la produzione di olio.
LA CANTINA E IL PROGETTO FUTURO
Dopo questo bel peregrinare tra i filari, entriamo a visitare la cantina e ci troviamo di fronte le vasche d’acciaio e a fianco la sala di stoccaggio piena di opere d’arte magnifiche, che ritroviamo anche nell’abitazione, dipinte dal nonno materno, ritratti di famosi personaggi, volti conosciuti e non nell’ambito religioso. Una grande passione e non un lavoro a conferma che nella vita faceva ben altro.
Per gli affinamenti in barrique del rosso, di secondo e terzo passaggio, si appoggia ad un’altra cantina. Infatti ci rendiamo conto anche noi che lo spazio è piccolo.
Riccardo racconta che uno dei progetti più importanti sarà proprio quello di realizzare una cantina più grande e crescere con il numero delle bottiglie prodotte.
UNA GRADITA DEGUSTAZIONE CASALINGA
Siamo, inaspettatamente e sorprendentemente felici di essere accolte nella casa privata, nella quale la Mamma ci viene incontro con un gran sorriso e con una bellissima accoglienza. Eh sì, apparecchiamo la tavola insieme perché il pranzo si tiene proprio qui nella loro casa.
Un calore familiare così non lo abbiamo mai provato!
La tavola è imbandita di tante cose buone: formaggi, salumi, pizza fatta in casa, frittata, fettine panate, verdure. Insomma potremmo dire una meravigliosa accoglienza.
Da questa tavola parte la nostra degustazione dei vini dell’azienda.
“Il Metella” IGP Lazio 2021 Trebbiano Toscano in purezza
Il Metella porta il nome di “Cecilia Metella balearica maggiore”, vestale e sacerdotessa del tempio in onore della Dea Giunone Sospita. La leggenda narra che vicino al tempio c’era e c’è tutt’oggi una grotta all’interno della quale c’era un serpente. In primavera venivano mandate delle vergini con un cestino di focaccia come rito propiziatorio. Se il serpente accettava le focacce sarebbe stato un buon raccolto; se lo rifiutava colei che aveva perso la verginità, veniva sacrificata per scongiurare la carestia.
Queste sono le uve impiantate nel 1973 e coltivate a tendone. Vengono raccolte a mano e subiscono una pressatura soffice, dopo la fermentazione il mosto riposa tre mesi sulle fecce fini, matura 5 mesi in acciaio e poi affina tre mesi in bottiglia.
È di un bel giallo paglierino con alcuni accenni dorati, al naso ci colpisce la sua impronta di frutta esotica, mentre al palato ha un’ottima acidità con note minerali e una piacevole sapidità ben bilanciate. Un calice di buona struttura, fresco e beverino, molto poliedrico negli abbinamenti culinari.
Line up in degustazione
“Vallefiara IGP Lazio 2021 70% Malvasia bianca di Candia e 30% Trebbiano Toscano
Il nome deriva da una delle zone sotto Lanuvio, dove sono coltivati a filari questi antichi vitigni di 25 anni di età, mai persi, nel corso del tempio, dalla Famiglia.
Raccolte sempre a mano, le uve sono sottoposte ad una pressatura soffice, decantazione statica, poi il liquido riposa 5 mesi sulle fecce fini, matura otto mesi di acciaio e poi affina qualche mese in bottiglia.
Ci sorprende come questi vini siano “vivi”. Ogni calice è diverso dal primo.
L’idea di non usare il legno ma solo acciaio sui bianchi è data dal voler mantenere integri i vini valorizzando gli autoctoni Malvasia di Candia e Trebbiano Toscano. “Questa è l’uva e questo è il vino che ne esce fuori”.
Alla visiva notiamo un colore più carico, di un giallo paglierino più intenso con riflessi dorati. I profumi di frutta a polpa gialla al naso ci rapiscono, è delicatamente aromatico, con lievi note agrumate. Una bella fusione tra l’aromaticità della Malvasia di Candia e la forza del Trebbiano Toscano. La sua mineralità lo contraddistingue. D’altronde con questo terreno vulcanico così ricco di sostanze organiche e argilla non poteva essere altrimenti. Un gran bel calice!
“Lanoios” IGP Lazio 2021 Merlot in purezza, provenienza uve da due filari del primo appezzamento visitato risalenti agli anni ’90.
15 giorni di fermentazione a contatto con le bucce, rimontaggi in assenza di ossigeno all’interno del silos, quindi niente solforosa. Tolte le bucce, viene fatto il travaso poi matura una parte in acciaio e una parte in barrique per otto mesi. Infine assemblaggio delle masse e affinamento 5 mesi di bottiglia.
15 gradi e non sentirli! Bassi solfiti, caldo, morbido, ancora giovane, acidità e tannini ancora non perfettamente integrati all’unisono. Al naso come al palato sentiamo queste note erbacee molto presenti per la sua gioventù, non è ruffiano come tanti Merlot, “rispecchia proprio chi lo fa” o ti piace o non ti piace.
Riccardo ci dice che fa il vino come piace a lui. Mai andato incontro alle tendenze e alle mode del mercato “ho fatto sempre quello che mi diceva la testa”.
I suoi sono vini identitari e vivaci che rispecchiano perfettamente anche il carattere.
Al palato c’è una dolce speziatura, sentori di pepe nero, liquirizia. Ci sembra ancora che da una parte ci sia questo fiore e frutto rosso predominante, e dall’altra, separata, una nota erbacea che devono ancora accordarsi insieme. Note ancora distinte non integre tra loro. Colore molto bello, rosso rubino intenso. Secondo noi, con un grande potere di invecchiamento.
I vini di Riccardo rispecchiano proprio lui, la storia della sua famiglia e del suo territorio. Sono il territorio perché Riccardo lo è. Un esempio perfetto di amore, determinazione e valorizzazione delle proprie tradizioni, della propria cultura e di tutti i differenti terreni che possiamo trovare anche spostandosi di pochi metri.
Sulla torre di Lanuvio insieme a Riccardo del Frate, Ilaria Castagna e Cristina Santini
Noi lo ringraziamo infinitamente per averci aperto le porte della sua casa e fatto sentire davvero a nostro agio, per essersi raccontato a 360° e per averci fatto capire davvero chi è e che cosa si cela dietro ai suoi meravigliosi vini.
Vi vogliamo lasciare questa volta con una frase situata proprio tra i suoi vigneti: “In questo lembo di terra l’uomo lavora in simbiosi con la natura e l’accompagna preservando gli ecosistemi e la biodiversità. Sono bandite tutte le sostanze chimiche di sintesi permettendo e mantenendo la coesistenza di diverse specie animali e vegetali che grazie alle loro reciproche relazioni creano un ecosistema in equilibrio”.
Ilaria Castagna e Cristina Santini Sommelier, winewriter, esperte vitivinicole.
Nel piccolo borgo di Montemarano vivono meno di 3000 abitanti e la cittadina sorge alle pendici del Massiccio del Tuoro, a sinistra del fiume Calore e molto vicino al torrente Chionzano.
Si tramanda che la città sia stata fondata dal generale sannita Mario Egnazio il quale, stando allo storico Appiano d’Alessandria, sconfisse l’esercito romano nei pressi del monte Toro, facendoli tornare a casa carichi di meraviglie. Sulla sommità del colle dove oggi sorge la cattedrale di Santa Maria Assunta, dove una volta si ergeva il tempio di Giove ed oggi si conservano le reliquie di San Giovanni.
Sede vescovile dal 1059 e successivamente contea nel 1082, con a capo Riccardo Caracciolo detto il Rosso, Montemarano vide un lungo periodo di declino a causa della peste tra il 1600 ed il 1700.
Restano però le testimonianze di un glorioso passato: tra gli episodi della vita di San Francesco, raccontati nel ciclo di affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, ce n’è uno dedicato alla morta di Montemarano, raffigurante il miracolo che vide una donna del paese resuscitata per mano del santo, fatto tramandato nel “Trattato dei Miracoli” ed “La Leggenda Maggiore di San Bonaventura di Bagnoreggio” di Tommaso Celano.
I Montemaranesi
Persone fiere i montemaranesi… scacciarono bizantini e longobardi per quanto male armati, sono molto legati alla loro terra da sempre e, nonostante i rovesci di fortuna, da secoli continuano a festeggiare il miracolo dell’esistenza col rito gioioso della tarantella montemaranese: tradizione millenaria estatica di grande coinvolgimento e panacea contro gli spiriti maligni.
Visitare Montemarano
Visitare Montemarano, specialmente durante la Sagra del Vino, il Carnevale Montemaranese e la Festa del Bosco, è un must per il visitatore che voglia avere una chiave di lettura profonda del contesto storico culturale irpino, ma anche semplicemente per fare una passeggiata nel romanticissimo nell’area medievale posta al centro della città.
È qui che prende forma il sogno di Emanuele Coscia, titolare della cantina Delite, formatosi attraverso gli studi di viticultura ed enologia presso l’Istituto Enologico “Francesco De Sanctis di Avellino, un sogno che gli fa battere forte il cuore mentre si occupa amorevolmente della vigna e che lo fa battere a chi beve i suoi vini.
Cantina Delite
Cantina Delite
Il nome della Cantina Delite nasce dall’acronimo composto dal cognome di suo nonno, Generoso De Lisio, dal nome di sua nonna Italia ed appunto da Emanuele: un nome che diventa arco temporale che lega passato e tradizione con presente ed innovazione, tutto però nel pieno rispetto di ciò che è stato fatto in precedenza e tramandato al giovane vignaiolo.
Di tutto il “Taurasi-shire”, terroir che esprime poliedriche sfumature organolettiche ed espressività, Montemarano è il comune che conferisce in media caratteristiche più austere al vino destinato alla docg: infatti la viticultura montemaranese è tipicamente pedemontana poiché si pratica ad un’altitudine media di 640 metri sul livello del mare e che, grazie alla vicinanza dei monti Picentini, viene influenzata da un clima continentale con importanti escursioni termiche; queste rallentano la maturazione delle uve, favoriscono lo sviluppo di una grande carica sia tannica che acida, ed imprimono meglio le profumazioni.
Delite, vini di territorio a Montemarano 2022
Questo territorio ha origine in epoche geologiche molto remote, epoche in cui tutto era ricoperto dal mare, come testimoniano le sabbie di natura fossile ivi che, assieme al pietrisco calcareo ed ai lapilli, frutto delle eruzioni vulcaniche del Vesuvio, rende la tessitura dei suoli in cui le viti affondano le loro radici, suoli a prevalenza argillosa, molto complessi e disomogenei passo dopo passo.
Emanuele si prende cura di sei ettari di terreno, ripartiti in tre lotti in prossimità della cantina: questa distribuzione, per suolo ed esposizione costituisce per le uve Aglianico e la stessa cantina una fonte di grande ricchezza e diversificazione in quanto, grazie ad un’agricoltura di precisione e la gestione della chioma ad esempio, si possono ottenere non solo risultati tali da poter meglio interpretare la vendemmia ma persino prevenire i disagi del riscaldamento globale sia rispetto al ciclo vegetativo della pianta che riguardo alla vinificazione.
I Vini
Alcune etichette della cantina Delite
Il risultato prodotto da tutto questo lavoro, anche grazie all’aiuto dell’enologo ed agronomo Arturo Erbaggio, uomo virtuoso della viticultura campana ed interprete della sostenibilità e dell’enologia coerente, si misura il appena 2500 bottiglie, un condensato di lavoro genuino e tipicità, ripartito in tre referenze:
Aglianico Irpinia Doc “Generoso Cantina Delite
Aglianico Irpinia Doc “Generoso”, vino molto ancorato all’identità del luogo, rustico ed appagante
Campi Taurasini Doc “Nonna Seppa Cantine Delite
Campi Taurasini Doc “Nonna Seppa”, dedicato alla madre di Generoso e che ne onora la memoria, frutto della selezione migliore delle uve e con una elegante mineralità, molto espressivo dell’andamento vendemmiale
Taurasi Docg “Pentamerone Cantina Delite
Taurasi Docg “Pentamerone, ispirato all’omonimo libro di Giambattista Basile, dal vivido e complesso bouquet, equilibrato nel corpo e destinato ad una grande longevità.
Conclusione
Praticamente scoperta da Fabio Oppo, professionista del settore enologico e specialista in marketing del vino, la Cantina Delite convince per piacere anzitutto ai montemaranesi e poi per essersi fatta valere in alcuni contest internazionali ove, grazie al suo carattere affatto internazionalizzato, i suoi vini hanno ottenuto degli importanti risultati. Emanuele Coscia è decisamente una giovane promessa nel panorama vitivinicolo irpino e non si può che augurargli Buon Vento ed Ottime Annate.
Soffocone di Vincigliata IGT Toscana 2017 di Bibi Graetz
Di Gaetano Cataldo
Potremmo stupirvi con effetti speciali principiando questo pezzo col raccontarvi dello scontatissimo doppio senso che si cela dietro al termine ambubaia, di origine persiana e poi rientrato nella lingua latina, sino ad analizzare il perché della trasmutazione delle orecchie di Monica Samille Lewinsky in maniglie dell’amore da parte di Bill Clinton, un simpatico jazzista dal sax facile, pervenendo comunque alla conclusione che in entrambi i casi trattasi, musicalmente e non, di blowjob per certi versi…
…ma a costo di dover sopportare la vista di qualcuno di voi allibito e a bocca aperta alla stregua di quei romani quando videro certi affreschi ateniesi raffigurare la fellatio, restando come degli allocchi nello scoprire che pure quello si poteva fare, giuro che lo faremo e senza dover arrivare fino alla Casa Bianca o passare necessariamente per neologismi volgarucci come sala orale e via dicendo: verremo al dunque restando nella mediterraneità più colta, genuina e disinvolta possibile.
“give and take style”
Insomma, non occorre mica arrivare ai giorni nostri e riesumare certi scandali di ruolo uso “give and take style” per affermare che il sesso orale, se fatto a dovere, farebbe resuscitare anche i morti… dubbi, incertezze? Nella mitologia egizia la dea Iside rianimò lo sposo Osiride con tutta la dovizia amorosa proprio grazie alla padronanza di quest’arte.
A parte la meticolosa descrizione nel Kāma Sūtra di antologica saggezza orientale, la pratica del sesso orale era ben nota nell’Antica Persia, in Egitto ed in Grecia, ce lo dicono numerose testimonianze in forma d’arte pittorica di gusto erotico e ritrovamenti di kylix a figure rosse provenienti dall’Attica risalente al 520 a.C.
Grazie a quanto raffigurato all’interno delle necropoli etrusche si apprende quanto questo popolo apprezzasse certe pratiche e fosse promotore della libertà sessuale maschile, femminile ed omosessuale, deplorando la pratica del “vizio greco” e quindi il coinvolgimento dei fanciulli.
Senza dilungarci troppo nel tema è chiaro che persino gli antichi romani non fossero avulsi dal ricercare piacere nella pratica del sesso orale, anzi si spesero molto nel marcare la differenza delle varie modalità di impiego nei termini fellatio, penilingus e irrumatio, e gli affreschi nei lupanari di Pompei e di Ercolano, assieme alla letteratura latina, ne sono la dimostrazione.
Cantina di Bibi Graetz Fiesole (FI)
In tutto ciò il vino, oggetto del desiderio e fonte di piacere allo stesso tempo, diventava elemento di fusione tra la gioia di banchettare e quella dell’amoreggiare se non addirittura l’innesco delle pulsioni che esplodevano in orge collettive tra cibi raffinati e corpi sinuosi.
Bibi Graetz, la sua vigna, la sua uva, il soffocone
D’altronde oggi come allora se ne sono visti entrare di calici nelle camere da letto per allietare le pause tra un amplesso e l’altro e per rendere più giocoso il sesso tra amanti ed altrettanto giocosamente Bibi Graetz avrà voluto sottolineare tutto ciò chiamando una sua bottiglia Soffocone di Vincigliata, trovata goliardica che magari vorrebbe suggerire, strizzando l’occhio al bevitore, “quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia chi vuol esser lieto sia del doman non v’è certezza”.
Bibi Graetz nella sua nuova vigna
Descrizione organolettica
Soffocone di Vincigliata IGT Toscana 2017 di Bibi Graetz
Questa bottiglia è l’unica a riportare il nome del vigneto, Vincigliata appunto, e da cui si può godere di una vista panoramica davvero invidiabile sulla città di Firenze, circondati da boschi. Le uve provenienti dalla località di Fiesole, dove il vigneto di Vincigliata è stato impiantato, vengono raccolte da viti di quarant’anni che immergono le radici su terreni collinari, prevalentemente argillosi e ricchi di galestro, allevate a guyot e con esposizione a Sud-Ovest.
Il blend di Sangiovese al 90%, di Canaiolo al 7% e di Colorino al 3% vede una fermentazione alcolica, innescata da lieviti indigeni, in vasche di acciaio per almeno dieci giorni e con follature svolte manualmente, per poi affinare in botti di rovere da 30 ettolitri per 15 mesi prima di essere imbottigliato.
L’uva sana e di qualità di Bibi Graetz
L’annata siccitosa nella regione e le poche piogge verificatesi in primavera hanno comportato una riduzione delle rese ma hanno conferito alle uve un’ottima concentrazione tanto che il Soffocone di Vincigliata IGT Toscana 2017 ad oggi presenta queste caratteristiche:
rosso rubino di limpidissima eleganza con tendenza al granato e di buona consistenza all’esame visivo, note di rosa appassita, grande impatto di frutta quale lampone ed amarena, a cui fa seguito un sentore di scorza d’arancia candita, dunque cacao amaro, lieve nota piperita e cinerea all’esame olfattivo; al palato il sorso arriva tondo e sapido, con in mezzo una trama tannica ben calibrata e per niente irruenta, a cui fa seguito la piacevole freschezza a dare agilità di beva ad un vino comunque corposo.
Abbinamento
Abbinatelo mescolando almeno due distinti piaceri per volta mentre ascoltate mon manège à moi di Edith Piaf.
“Cambiamenti climatici” o “cambiamenti di mentalità”? Di sicuro entrambi anche se, in effetti, a Velatri il vino lo facevano già gli Etruschi qualche migliaio di anni fa. E poi cosa è successo?
Volterra, 3000 anni di storia, cultura e… vino
Volterra è famosa per il museo etrusco Guarnacci, per il teatro romano e a brevissimo anche per l’anfiteatro romano, appena scoperto. L’alabastro volterrano è da sempre ambito, pregiato e riconosciuto in tutto il mondo.
L’antica piazza medioevale, con il palazzo comunale e tutti gli altri palazzi adornati dalla cinta muraria, è simbolo di una ricchezza e di un passato glorioso che osò sfidare i Medici e che tutt’ora attira turisti da ogni dove.
Gruppi di millennial invece girano per i vicoli del centro cercando e mirando scorci visti nei film della saga “Twilight” in cerca del selfie da milioni di “likes”.
E il vino?
Nelle campagne circostanti ogni podere aveva i suoi filari di viti e produceva il suo vino, da condividere in mezzadria con il padrone e da mettere sulla propria tavola, perché non si può mangiare bene se non si è bevuto bene!
Certo era un vino “schietto e sincero”un pò di storia…
da tavola, gli eno-giornalisti bravi, lo etichetterebbero con un “gastronomico”, nei filari non c’erano vitigni prestabiliti, riconosciuti e riconoscibili, la maggioranza era sicuramente Sangiovese, ma il resto era uva, qualsiasi, sia a bacca bianca che rossa, buona da spremere per fare quantità.
Dal dopoguerra in poi, con lo spopolarsi delle campagne c’è stato un progressivo abbandono dei terreni e delle vigne, che solo negli ultimi 20/30 anni circa, con il fenomeno dell’agriturismo, ha cominciato a riprender vita e forma, apportando nuova linfa vitale.
Sono nate cinque cantine, riunite nell’Associazione Vignaioli Volterra, ognuna con la sua personalità ed ognuna espressione del territorio così frastagliato ed eterogeneo. Si passa dalla fine sabbia con ciottoli e fossili alla impenetrabile argilla blu con blocchi di alabastro e vene di salgemma.
Pur essendo nel cuore della Toscana, con a ovest Bolgheri e i suoi internazionali, a est confina con la Vernaccia di San Gimignano e tutt’intorno accerchiata dalle invincibili DOCG “sangiovesiste”, a Volterra, ogni realtà enologica ha la propria identità, fuori da ogni disciplinare.
L’unico aggettivo condivisibile e comune per i vini prodotti a Volterra è “anticonformista” che rispecchia in pieno l’animo etrusco plasmato nei secoli, forgiato dal “sacco fiorentino” e arroccato da ben due cinte murarie.
Non vedrai mai un volterrano in ginocchio, caso mai lo vedrai in piedi con le gambe piegate.
Le cantine dell’Associazione Vignaioli Volterra sono:
Podere Marcampo
Podere Marcampo:
Giusto alle Balze Merlot 100%, Severus Sangiovese 100%, Marcampo 50% merlot 50% Sangiovese, Genuino 80% sangiovese 20% Merlot, Terra Blu 100% Vermentino, Crete Rosa 100% pugnitello
Fradé, il ritorno alla viticoltura dei giovani, Oltrepò 2022, i fratelli Piaggi.
Di Elsa Leandri
Un fenomeno degli ultimi anni vede i giovani under 35 anni ritornare verso l’agricoltura e la viticoltura con grande passione. Per approfondire questo fenomeno siamo andati in Oltrepò Pavese da Fradé, azienda agricola guidata dai fratelli Piaggi.
Fratelli Piaggi, Francesco e Federico Fradé Vignaioli Bio, articolo Fradé, il ritorno alla viticoltura dei giovani, Oltrepò 2022
Overview sulla viticoltura e i giovani
Fradé Vignaioli Bio
Un’analisi condotta da Albani et al. ( cfr. divulgastudi.it) mostra chiaramente come negli ultimi cinque anni i giovani si siano orientati maggiormente verso il settore agricolo (+8%) piuttosto che verso altri settori produttivi dove si registra un -11%. La difficoltà causata dal periodo pandemico e la crisi che ne è conseguita ha portato alla nascita di nuove imprese agricole (3%) e, tra queste, le aziende condotte da giovani registrano un valore ben 4 volte maggiore, pari al 12%. D’altro canto il tasso di mortalità delle aziende agricole under 35 (3%) è pari alla metà di quello complessivo( 6%).
L’insieme di questi dati ci mostra chiaramente come la generazione zeta si stia affermando in termini di risoluzione e di resilienza: maggiore attenzione al terreno, alla sostenibilità, alla clientela finale, capacità di usare i canali social e grande volontà e passione si stanno dimostrando un mix vincente.
La realtà di Fradé
Fradé Vignaioli Bio, le vigne, il panorama, la tenuta
Per toccare con mano queste nuove identità siamo andati in Oltrepò Pavese dai Fratelli Piaggi. Francesco e Federico hanno rispettivamente 28 e 26 anni, uno è geometra e l’altro perito meccanico. La loro formazione è lontana dalla terra e dalla viticoltura, ma le loro origini familiari parlano di Lomellina e del protagonista indiscusso di questa zona, il riso.
L’impegno che la terra richiede quotidianamente e la rispettiva fatica non sono una novità in casa Piaggi, tanto che decidono di dedicarsi a un nuovo progetto nel 2017: la produzione di vino. Percorrono l’Oltrepò Pavese in lungo e in largo fino a trovare a 300 metri s.l.m nella zona di Boffenisio, a Borgo Priolo, nella prima fascia collinare, il loro coup de cœur.
Nel 2017 viene acquistata l’azienda di 25 ettari, di cui 9 vitati, e nasce Fradé il cui nome ha un duplice significato: in dialetto significa “fratelli”, ma è anche l’unione dei loro nomi Fra(ncesco) e De(de), come viene soprannominato Federico.
Due cuori che battono per la terra, due menti piene di progetti.
I Fratelli Piaggi
I Fratelli Piaggi
Francesco e Federico non hanno alcun dubbio: la viticoltura deve essere condotta in regime biologico. Se hanno una grande preparazione in campo agricolo, in viticoltura devono imparare come muoversi e con umiltà e perseveranza seguono gli insegnamenti che vengono loro impartiti e si impegnano a risanare i vigneti, cosicché già nel 2018 escono con la loro prima produzione.
Attualmente le etichette prodotte sono 8, ma sono destinate a aumentare nei prossimi anni, infatti sta già riposando un metodo classico a base di pinot nero, che dovrebbe uscire nel 2023 e più a breve non è da escludere un vino a base di riesling.
I sogni nel cassetto sono molti:
dalla costruzione di una nuova cantina (in atto), alla creazione di una struttura ricettiva, di un agriturismo, fino a posizionare una big bench in modo da poter godere di quel panorama avvolgente e ad ampliare le etichette prodotte.
Uva Chardonnay Cantina Fradé Vignaioli Bio
La produzione e le degustazioni
Il territorio del Pavese, come ben sappiamo, è predisposto ad accogliere molti vitigni: oltre agli internazionali come il pinot nero, chardonnay, riesling, trovano spazio anche vitigni autoctoni come la barbera e la croatina. Tutte queste varietà le ritroviamo anche da Fradé, con qualche richiamo fuori dal coro come Bufnìs che è un taglio bordolese e Fagòt, che è a base di viognier.
E se questa zona rievoca immediatamente le bollicine a base di pinot nero che dobbiamo ancora aspettare, nel mentre non ci rimane che degustare il loro metodo Martinotti BRUT a base di chardonnay “Nelmentre”.
Nelmentre Metodo Martinotti Chardonnay in purezza
L’etichetta, curata nei minimi particolari, è stata ideata da Franco Fasulo, noto pittore agrigentino trapiantano nel Pavese, in cui viene rappresentato uno scorcio di questo magico territorio.
In degustazione le bollicine fini e numerose fanno emergere un tripudio di note floreali e fruttate in cui la freschezza della mela, del pompelmo e del gelsomino giocano a nascondino con note vegetali di erbe aromatiche, quali la maggiorana e la salvia. La piacevole beva trova corrispondenza con il naso rendendolo ideale per un aperitivo o con un carpaccio di orata appena pescata.
Fagòt bottiglia e calice Fradè Vignaioli Bio
Proseguiamo il nostro percorso con Fagòt 2019 ( 80% viognier, 20% chardonnay). Il manto giallo paglierino con riflessi dorati ci parla già di frutta matura: pesca, albicocca, ananas e banana catturano i nostri recettori olfattivi e successivamente si svelano note più delicate di tiglio, camomilla, timo e pepe bianco.
In bocca questo vino si distingue per una decisa sapidità tale da accompagnare un risotto con gli asparagi o una trota iridea al forno.
Alcuni vini degustati di Fradé Vignaioli Bio, Fradé, il ritorno alla viticoltura dei giovani Oltrepò 2022
Per i loro vini di punta, Bufnìs e Sentóre, Francesco e Federico hanno puntato su un’etichetta molto particolare fatta di legno di ciliegio, così da rendere ogni bottiglia unica.
Bufnis Bottiglia e calice in abbinamento a un piatto di Tordelli alla Lucchese
Abbiamo avuto la fortuna di poter degustare il taglio bordolese Bufnìs 2018 ( 60% merlot, 30% cabernet sauvignon e 10% cabernet franc). Rosso carminio impenetrabile offre note di frutta scura come prugna e mora, floreale di viola e rosa appassita e in chiusura note di tabacco, cuoio, vaniglia e liquirizia riconducibili ai 12 mesi passati in botti piccole.
Il sorso è pieno e caratterizzato da una freschezza capace di sorreggere il tannino e creare una dinamicità che va ad attenuare la percezione del grado alcolico. Uscendo dagli abbinamenti territoriali abbiamo osato con i tordelli alla lucchese.
Bonarda dell’Oltrepò pavese Bottiglia e calice Fradé Vignaioli Bio
Infine è doveroso menzionare anche la loro Bonarda Oltrepò Pavese 2019, espressione tipica della territorialità. I sentori di frutta rossa e nera, di humus e violetta trovano corrispondenza in bocca in cui si amplificano con le caratteristiche fragoline di bosco. Il supporto delle bollicine, non invasive, rendono il sorso al contempo morbido e fresco tale da accompagnare un tagliere di salumi piacentini.
Conclusioni
In conclusione, possiamo affermare che la passione che i fratelli Piaggi mettono nel loro lavoro e la loro visione nei progetti futuri sono rappresentativi dei giovani di generazione zeta, che hanno una grande attenzione a valorizzare il proprio territorio, rispettandolo. Ci vediamo presto per degustare i prossimi vini e…avanti così!
Barbera bottiglia e calice Fradè Vignaioli Bio
In abbinamento ai vini degustati i Tordelli alla Lucchese
Di Elsa Leandri
Elsa Leandri autrice articolo: Il nostro Wine&Siena 2022 tra Timorasso e Il Borro,è sommelier, blogger, esperta vitivinicola.
La canzone “Scalinatella” di Fausto Cigliano, ci parla di una scalinata lunga, lunga, lunga e stretta, stretta che dovrà percorrere per trovare la sua amata. Sarà questo sottofondo musicale, sarà il bicchiere indorato d’Asprinio e il pensiero vola alle uve maritate, all’Alberata Aversana e al percorso iniziato verso il riconoscimento di Patrimonio Immateriale da parte dell’Unesco.
L’uva sana di Tenuta Fontana, articolo “Scalinatella longa, longa, longa, Strettulella Strettulella”: l’Alberata Aversana 2022
L’Alberata Aversana
In 22 comuni campani troviamo una particolare coltivazione, un legame stretto e indissolubile tra un albero infruttifero, come il pioppo o l’olmo, e la vite: questo tipico allevamento noto come alberata aversana trae le sue origini già in epoca etrusca, periodo in cui si iniziava ad addomesticare la vite.
La disposizione delle alberate ricalca però molto la centurazione romana, ovvero la suddivisione dei territori agricoli secondo una disposizione ortogonale e questo fa pensare che dobbiamo loro la sua diffusione nel territorio agro-pontino.
La crescita in verticale, che arriva a 15-20m d’altezza, era dettata principalmente per sfruttare al massimo il suolo in modo da non togliere terreno alla coltura di frutta e cereali. Il tutore vivo offre quindi sostegno alla vite, permettendole di arrampicarsi, di salire verso il cielo e di essere irradiata dai raggi solari.
Spettacolari e magnifici alla vista questi sistemi di allevamento richiedono però molte energie. Gli uomini che si occupano delle potature, della raccolta dell’uva sono chiamati anche “uomini ragno”, perché grazie a delle scale lunghe e strette, gli scalilli, che sono costruite su misura, si muovono con abilità da una parte all’altra dell’alberata.
L’altezza dello scalillo è di circa 15-20 m tale da coprire tutta la crescita verticale della vite e la distanza tra i pioli è precisamente la lunghezza della gamba in modo da poter inserire all’interno dell’incavo il ginocchio così da avere le mani libere per poter lavorare.
Usano dei cesti (fascine) appuntiti in cui mettere le uve che raccolgono in modo da poterle calare con la fune senza che questi si rovescino: impensabile infatti salire e scendere di continuo dallo scalillo. Si potrebbe parlare anche in questo caso di viticoltura eroica dal momento che le energie richieste sono molte.
Tenuta Fontana un momento di raccolta delle uve in vendemmia con le “Fascine” Alberata Aversana
Se quando Mario Soldati fece il suo viaggio in Campania alla scoperta dei vitigni autoctoni i terreni coltivati ad alberata ricoprivano circa 16.000 ettari, oggi se ne contano circa 32 ettari. Le cause dell’abbandono di tale allevamento sono ovviamente legate alla difficoltà di coltivazione, ma soprattutto all’elevata costruzione edilizia che si è verificata in questi ultimi 50 anni.
Volontà della Regione Campania è quello di salvare l’alberata aversana, già riconosciuta presidio Slow Food e Patrimonio Immateriale della Regione Campania nel 2019: prossimo step, l’essere inserito come Patrimonio Immateriale da parte dell’UNESCO.
Calice di Alberata Asprinio Tenuta Fontana
Ma qual è il vitigno protagonista di tale allevamento?
È unicamente l’Asprinio d’Aversa che secondo le ultime evidenze del Prof. Scienza non differisce geneticamente dal Greco di Tufo. È coltivato a piede franco grazie alla presenza di territori sabbiosi, ostili quindi alla fillossera, e come suggerisce il nome si caratterizza per un’elevata acidità, che lo rende idoneo anche a una spumantizzazione.
Tenuta Fontana e Alberata, Asprinio d’Aversa DOC 2019
Bottiglia e calice Tenuta Fontana e Alberata, Asprinio d’Aversa DOC 2019
Oggi nel calice abbiamo Alberata, Asprinio d’Aversa DOC 2019 di Tenuta Fontana.
L’azienda nasce nel 2009 grazie all’intraprendenza di Mariapia e Antonio Fontana con i genitori Teresa Diana e Raffaele. La grande attenzione verso la loro terra e la voglia di dar rivalsa a quei vitigni autoctoni come l’asprinio, lo sciascinoso e la falanghina li hanno portati ad operare in regime biologico.
Già dal nome dell’etichetta, Alberata, si ha un richiamo al sistema di allevamento di cui abbiamo parlato precedentemente e in questo caso la produzione deriva da viti del 1800. La vinificazione prevede fermentazione in anfore di terracotta e affinamento in anfora e in acciaio per, rispettivamente, 7 mesi e 6 mesi su fecce fini.
La veste dorata e brillante ci preannuncia sentori intriganti e complessi. È un susseguirsi di note floreali, fruttate che si rincorrono e che si svelano una dopo l’altra: mimosa, camomilla essiccata, ginestra, tarassaco, pesca gialla sciroppata, albicocca secca, cedro candito, ananas. Una spruzzata di anice stellato e un tocco di miele d’acacia, completano il quadro. La freschezza dell’Asprinio è presente e fa fronte alla morbidezza regalando una chiusura molto lunga.
Conclusioni
Tenuta Fontana fa parte di quei produttori che hanno scelto di salvaguardare questo tipo di coltivazione, una coltivazione in cui non si parla di resa per ettaro, ma di resa in Kg per metro quadro per filare, una coltivazione che va salvaguardata per motivi storici e di tradizione, un patrimonio ampelografico.
Di Elsa Leandri
Elsa Leandri autrice articolo, è sommelier, blogger, esperta vitivinicola.