Una selezione di sei annate pregiate del MCM Merlot: edizione limitata per appassionati e collezionisti
Marchio aziendale Alois Lageder
Ottobre 2022_ “I vini d’annata portano con sé fascino ed eleganza sono qualcosa di molto speciale ed unico!”, così Alois Lageder descrive la particolarità di questo progetto RARUM. “Questi vini hanno un’enorme personalità, un carisma molto speciale. Grazie alla loro conservazione prolungata, scopriamo i segreti che si celano dietro all’interazione tra il luogo, il clima, la vinificazione ed il tempo, che ogni vino racchiude in sé. Per questo motivo nella selezione di vini RARUM vengono scelti soltanto vini sviluppatisi particolarmente bene e di qualità eccellente”, spiega Helena Lageder.
Elena Lageder con in mano una bottiglia di RARUM MCM Helena
L’edizione RARUM 2022 presenta sei annate del rinomato vino MCM Merlot, è dunque un’ottima opportunità per gli amanti del vino ed i collezionisti di confrontare lo stile e le caratteristiche delle migliori annate sperimentandone lo sviluppo e il potenziale di invecchiamento. La limited edition si presenta in una cassa di legno con uno stappa/tappa bottiglie di alta qualità.
Negli anni ’80, Alois Lageder si rese conto che il potenziale qualitativo di un vino si rifletteva soprattutto nei vini maturi. Dalla vendemmia del 1995, l’Azienda mette da parte una piccola quantità dei suoi vini della linea Capolavori, per poter poi attingere ad un tesoro che consiste appunto nelle riserve della cantina RARUM. Per la nuova edizione del progetto la selezione delle annate del Merlot MCM è composta dai vini del 2003, 2004, 2008, 2009, 2011 e 2013.
RARUM Edizione 2022 Alois Lageder le annate in degustazione
Nel 1995, un’annata eccezionale per i vini rossi in Alto Adige, le uve Merlot del vigneto “Punggl” si presentarono con un’eccellente qualità. Luis von Dellemann, l’allora enologo della Tenuta, si sentì ispirato dalla vendemmia e decise di vinificare in purezza. E sebbene le uve fossero destinate a far parte dell’assemblaggio del Casòn Hirschprunn Rosso, l’enologo, decise di pigiarle separatamente. Nacque così l’MCM. Da allora, questo vino proveniente dal più antico vigneto di Merlot della Tenuta viene prodotto solo in annate di qualità eccezionale.
LINUP con scatola di legno di RARUM nelle 6 annate presentate
Le viti del vigneto MCM Merlot raggiungono un’età di 70 anni, motivo per cui, nel 2020 è stata aggiunta all’etichetta la denominazione di “VECCHIE VITI”. I numeri romani “LVII” indicano l’anno in cui è stato piantato il vigneto, ovvero nel 1957.
“Barolo del Sud” 2022: l’Aglianico del Vulture Cantina Il Passo
Di Elsa Leandri
La cantina il Passo, situata a Barile, in provincia di Potenza, ha scommesso tutto su quel vitigno celebrato nei film e apprezzato da degustatori e spesso soprannominato “Barolo del Sud”: l’Aglianico del Vulture.
“Barolo del Sud” 2022: l’Aglianico del Vulture Cantina Il Passo, alcune vendemmia in assaggio, dalla 2013,2014,2015,2017.
L’AGLIANICO NEI FILM
“Questo puro Aglianico del Vulture grande vino della nostra terra
per brindare a un uomo che ci ha spinto ad indagare sulla nostra identità
Brindo a Carlo Levi
E se permettete a Gian Maria Volonté!”
Così Rocco Papaleo recita nel suo film del 2010 “Basilicata Coast to Coast”. Il gruppo di amici si ferma a Aliano, (luogo di esilio a causa delle sue idee antifasciste per Carlo Levi tra il 1935 e 1936) ed è qui, sulla terrazza amata dallo scrittore che viene effettuato il brindisi.
Questo è anche il paese in cui è ambientato il romanzo autobiografico di Levi “Cristo si è fermato a Eboli” successivamente riportato sugli schermi dal regista Francesco Rosi, in cui il protagonista è interpretato dall’attore Gian Maria Volonté.
Entrambe queste opere hanno come fine quello di riproporre non solo le bellezze di questa regione, ma anche i valori umani legati agli stessi abitanti, valori che trovano le radici anche nella produzione del vitigno tradizionale, l’aglianico.
L’AGLIANICO E LA CANTINA IL PASSO
Calice di aglianico degustato 2017, “Barolo del Sud” 2022: l’Aglianico del Vulture Cantina Il Passo
La Basilicata, che collega lo Ionio al Tirreno è una regione prevalentemente collinare e montagnosa ed è proprio nella zona più a nord del Vulture in presenza di un vulcano spento, dove i terreni piroclastici diventano protagonisti, che l’autoctono vitigno a bacca nera, l’aglianico, trova la sua maggiore espressione.
È qui, e più precisamente a Barile, che la cantina Il Passo, di proprietà della famiglia Grimolizzi, dal 2012 coltiva e trasforma le uve di questo territorio unico, dando vita a due prodotti: l’ Aglianico del Vulture DOC e l’Aglianico del Vulture Superiore DOCG, Alberi in Piano.
La visita in cantina regala un tuffo nel passato: la parte iniziale del Settecento è scavata nel monte Vulture, fino ad arrivare all’ultima parte che risale dal 1300 in cui si trova il palmento, una costruzione di pietra dotata di due vasche in cui veniva versata l’uva al momento della vendemmia.
La storia, la tradizione e la voglia di rappresentare al meglio il proprio territorio in una bottiglia hanno spinto i proprietari, guidati dall’enologo Dott. Mecca, a concentrarsi unicamente sul vitigno autoctono.
LE DEGUSTAZIONI
In questa occasione abbiamo avuto la fortuna di effettuare una mini verticale mettendo a confronto l’Aglianico del Vulture Doc Alberi in Piano 2017 e 2015, che hanno ottenuto tra i vari premi la medaglia rossa del The Winehunter rispettivamente nel 2021 e nel 2019, così da poterne apprezzare le differenze.
La degustazione dei vini eseguita dalla sommelier Elsa Leandri
AGLIANICO DEL VULTURE 2017 ALBERI IN PIANO
Alberi in Piano Aglianico del Vulture DOC 2017 Cantina Il Passo
Rosso carminio vivace e intenso con riflessi amaranto.
Il ricco impatto olfattivo svela sentori di ciliegia, lampone, arancia sanguinella, viola e rosa.
In chiusura note speziate di cannella e vaniglia e empireumatiche di tabacco.
Freschezza e sapidità decise accompagnano i tannini eleganti offrendo una lunga persistenza con richiami fruttati.
AGLIANICO DEL VULTURE 2015 ALBERI IN PIANO
Alberi in Piano Aglianico del Vulture DOC 2015 Cantina Il Passo
Rosso carminio impenetrabile e luminoso.
I sentori di mora di gelso e di mirtillo in confettura, di scorza di arancia, la nota vegetale di liquirizia e di menta essiccata insieme al cardamomo, al pepe nero e agli echi di cuoio completano l’invitante ventaglio olfattivo.
Il tannino ben integrato e la caratteristica sapidità data dai terreni vulcanici invogliano il palato a un nuovo sorso.
Se l’annata 2017 con la complicità del caldo ci offre un vino molto strutturato e destinato anche a un lungo invecchiamento, la 2015 non è da meno offrendo sentori più evoluti e complessi.
Calice di Aglianico 2015, ARTICOLO “Barolo del Sud” 2022: l’Aglianico del Vulture
Conclusione degustativa:
“Altra annata molto calda è l’attuale 2022, chissà cosa ci riserverà, non vediamo l’ora di poterla degustare ma dovremo pazientare qualche anno”.
Degustazione di Elsa Leandri
Elsa Leandri autrice articolo, è sommelier, blogger, esperta vitivinicola.
Informazioni
“Barolo del Sud” 2022: l’Aglianico del Vulture Cantina Il Passo
Attualmente trovate in vendita le vendemmie:
Alberi in Piano 2013, Alberi in Piano 2014, Alberi in Piano 2015, Alberi in Piano 2016, Alberi in Piano 2017, Alberi in Piano 2018, anche nel sito della cantina online, inoltre, potrete leggere la storia della famiglia, prenotare delle degustazioni in loco.
Quest’anno la cantina ha festeggiato i primi 10 anni di produttività vitivinicola con una grande festa, invitando giornalisti, esperti di settore e gente appassionata di aglianico e i 140 di attività agricola.
Cantina Il Passo di Barile (PZ), foto presa dal sito della cantina
Gli ospiti della giornata hanno visitato la Masseria, le vigne, degustato i vini con degli abbinamenti culinari tradizionali del luogo, ascoltato la parole di Maria Grimolizzi e dei figli, magnifico sentire la storia e cultura della zona ricca di etnie, di vissuto e di territorio:
“Sono trascorsi già dieci anni da quando abbiamo iniziato quest’avventura – racconta Maria Grimolizzi, con il marito Raffaele e i figli Riccardo, Candida e Rita – il primo terreno, un oliveto, che si incontra sull’Appia che si percorre per raggiungerci, si chiama ‘Il Passo’ ed è questo ad aver dato il nome alla nostra azienda”; sarete affascinati da questa madre, ma soprattutto donna di gran cuore e costanza, che ogni giorno si rinnova con idee e Mission, per tenere assieme la famiglia unita in un progetto di grande valore e qualità.
La Cantina Il Passo e Maria Grimolizzi che orgogliosa mostra una propria bottiglia, foto di Rowena Dumiao – Giardina
Da sempre la consideriamo la combattente, la frontwoman, colei che crea sinergia tra privato e lavoro, il riferimento sul territorio di una vita fatta di sacrifici e impegno, colei che sa accogliere chiunque con profondo calore.
Tutto ciò lo ritroverete ad ogni sorso, perchè i vini della cantina rispecchiano le caratteristiche appena descritte; visitando l’azienda farete un viaggio intenso, fatto di luoghi, di paesaggi, di affetto e di qualità sensoriale; insomma, un percorso di sensi e di introspezione quanto emozionale a livello vinicolo.
Alberi in Piano Aglianico del Vulture DOC 2015Alberi in Piano Aglianico del Vulture DOC 2017La sala di accoglienza e degustazione della Cantina Il Passo
‘Burc 2017 Colli Tortonesi DOC Barbera Riserva Cantina di Tortona
Di Piergiorgio Ercoli
Cantina di Tortona dal 1931, degustazione in presenza dei vini dell’azienda.
Storica Cantina (dal 1931) quella di Tortona, nata dall’unione delle forze e delle volontà di un gruppo di viticoltori che fortemente vollero tutelare le campagne, il lavoro nelle campagne e i frutti di questo operare nella tradizione. Il momento della nascita della Cantina coincise con un periodo di forte recessione innescatasi, qualche anno prima, nei mercati americani: l’Europa ne fu presto investita, segnando nelle zone rurali, in particolare, la fine di molte piccole attività private.
Punto vendita della Cantina di Tortona dal 1931
Tra le varie conseguenze sociali ed economiche che ne derivarono, nel settore vitivinicolo fu che la vendita dei frutti del lavoro nei campi, il vino quindi, avveniva a prezzi davvero bassi e rovinosi.
L’idea quindi fu quella di fondare una Cooperativa con lo scopo di vinificare in comune le uve: di li a poco i vantaggi, oltre all’immediato abbattimento dei costi di produzione, si allargarono ad altri aspetti. Di rilievo, fu il riconoscimento della qualità per lavoro svolto con il conseguimento della DOC Colli Tortonesi.
Areale importante e di recente rivalutazione, quello dei Colli Tortonesi si estende ad ovest di Alessandria, tra il fiume Scrivia ed il torrente Curone: colline morbide, ondulate dove i terreni hanno impronta di marne e arenarie. La “barbera”, che notoriamente è il vitigno simbolo e più coltivato in Piemonte, nei Colli Tortonesi offre le sue massime espressioni sulle argille serravalliane e sulle marne di Sant’Agata Fossili.
Il protagonista della degustazione di oggi è il Burc, annata 2017, Selezione Fiumana della Cantina, una barbera riserva della DOC Colli Tortonesi.
‘Burc 2017 Colli Tortonesi DOC Barbera Riserva Cantina di Tortona
Viti allevate nella Frazione Vho di Tortona, in Costa Vescovato e Viguzzolo dove i terreni, dal medio impasto con profondo scheletro calcareo, risultano esposti a sud, ad un’altezza media di 350 m. s.l.m..
Il mosto viene lasciato in macerazione per circa 10 giorni a temperatura controllata, con almeno 3 delestage per accentuare l’estrazione delle sostanze solubili. Successivamente l’affinamento avviene in cemento per 12 mesi con risospensione periodica delle fecce fini.
Degustazione
‘Burc 2017 Colli Tortonesi DOC Barbera Riserva Cantina di Tortona, calice di vino rosso rubino intenso
Analisi visiva
Rosso rubino scarico, trasparente, limpido e consistente.
Analisi olfattiva
Intenso, mediamente complesso sui toni di piccoli frutti rossi e fine. Dominante fruttata: ribes, mirtilli e ciliegia. Vegetale. Note balsamiche e speziatura scura.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, caldo, moderatamente morbido. Sorso diretto, note dure in evidenza ma comunque equilibrate da tannini sufficientemente morbidi. Buona freschezza. Corpo e struttura ben espressi, sensazioni di fragranza e croccantezza di frutto, esemplari note di sottobosco.
Beva sufficientemente armonica con finale sapido.
Durante la degustazione confesso che lo sguardo è stato spesso rapito dall’immagine in etichetta: “il contadino del passato consumato dalla fatica, ma con la fierezza di portare a oggi vini di eccellenza” (cit. Sito della Cantina di Tortona).
“Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, realizzato dall’artista intorno al 1880 durante una manifestazione di protesta per il caro-pane.
L’immagine è colta dal carboncino originale su carta, custodita nella pinacoteca di Alessandria, che raffigura uno studio del personaggio centrale del dipinto “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, realizzato dall’artista intorno al 1880 durante una manifestazione di protesta per il caro-pane.
Cheers!!!
Tartare di Angus tagliata a coltello con altri ingredienti: pomodori secchi, acciughe del Cantabrico, peperoni, cipolla di Tropea e capperi di Pantelleria.
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
In abbinamento un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso di formaggi di varie tipologie e stagionature.
Tartare in abbinamento alla Barbera Riserva 2017 degustata.
Ingredienti per due Tartare:
carne di Angus 500 gr
pomodori secchi qualche pezzo
acciughe del Cantabrico 4
peperoni gialli o rossi metà di uno
cipolla dolce tritata 1
capperi di Pantelleria dissalati tritati q.b.
prezzemolo tritato finissimamente q.b.
senape q.b.
salsa Worcester q.b.
tabasco q.b.
olio di oliva extra vergine q.b.
sale q.b.
pepe macinato o pestato al momento q.b.
succo di limone q.b.
tuorlo d’uovo 4
Procedimento:
Preparate la tartare di manzo tagliando al coltello la carne di manzo e realizzando una sorta di trito non troppo fine.
Aggiungete la cipolla dolce tritata, e condite con il prezzemolo e i capperi tritati, il sale, il pepe, il succo di limone, e l’olio. Mescolate bene il tutto.
Nel frattempo tagliare a pezzi molti piccoli il peperone, le acciughe e i pomodori secchi, lasciatene 1/3 da tagliare a julienne sottile per la decorazione.
Usando un coppapasta rotondo o quadrato ( a piacere ) formate con la carne di manzo una polpetta piatta e circolare e deponetela al centro di un piatto.
Schiacciate la polpetta con un cucchiaio e ponete al centro di essa il rosso d’uovo.
Presentate in tavola la tartare di manzo accompagnata da salsa worchester, tabasco e senape in diverse ciotoline.
Degustazione di Piergiorgio Ercoli
Piergiorgio Ercoli, sommelier, winewriter ed esperto marchigiano di enogastronomia territoriale
A Ischia, nel golfo di Napoli, non si produce solo Biancolella e Piedirosso. C’è anche chi produce vini diversi. Sicuramente da provare.
Vini Bajola: tempeste ischitane 2022, articolo di Zombiwine
Decomposti e decomposte, buona sera e bentornati con Zombiwine: l’unico sommelier che se non lo segui morde. Non potevo esimermi di parlare anche qui, su Papillae di una delle aziende vinicole che amo in assoluto di più al mondo.
Badate bene, non si tratta di bottiglie costose. Non si tratta di uno Cheval Blanc del quale quasi sempre possiamo solo leggerne storia e recensioni e poi (almeno per la maggior parte di noi) dilungarci in atti di onanismo intellettuale\enologico.
I vini Bajola non superano i trentacinque/quaranta euro, che anche se non è proprio il costo di un etto di lupini, ancora è affrontabile.
Cominciamo a dire dove ci troviamo: Isola di Ischia, golfo di Napoli, Campania.
Nonostante l’isola sia famosa per la vinificazione del Biancolella e del Piedirosso, la nostra azienda – Baiola – ha deciso di perseguire una strada diversa.
Il loro vigneto di circa settemila mq (0,7 h, quindi quanto molti vigneti in Borgogna) è piantato con uve Vermentino, Viogner, Sauvignon Blanc, Incrocio Manzoni, Malvasia delle Lipari. Uve del Mediterraneo, queste, uve di popoli migranti, uve della storia.
Su ogni bottiglia troverete scritto “foglia n 13, 14, 15…” ecc.; questo perché la prima vendemmia ufficiale è avvenuta dopo tredici anni (tredici foglie) da quando il vigneto è stato piantato, cioè nel 2000.
Quindi, per osmosi, foglia 17 significherà vendemmia 2017, e così via.
Vini Bajola: tempeste ischitane.
Perché la scelta di queste uve?
Perché nella loro essenza c’è il mare, ci sono i viaggi, le tempeste e la storia dell’Europa: in pochi metri si parte dai Fenici e si arriva alla Seconda guerra mondiale.
I due vini Bajola sono davvero unici nella loro storia: andiamo a vedere perché e per poterlo fare, magari, può esserci utile avere sotto occhio il loro sito: https://bajoladalice.wordpress.com.
Il vigneto di Bajole è coltivato seguendo le pratiche biodinamiche, in biologico dal 2011, ma già da prima non si praticava un’agricoltura interventista. Oggi le uniche sostanze usate sono il rame, lo zolfo, il corno letame e la corno silice e un sovescio studiato appositamente per il vigneto.
Come potete già intuire da queste poche parole, l’azienda crede assolutamente nella filosofia naturale. Devo, per correttezza intellettuale, aggiungere che sono avvantaggiati dal terreno vulcanico di Ischia: un connubio perfetto quello fra biodinamica – supporto mio e microbiologico – e terreni vulcanici.
Sul sito aziendale c’è l’andamento della vendemmia di ogni singola annata, questo perché le peculiari caratteristiche di questi vini fanno si che davvero ogni singola annata sia storia a sé. Ne parleremo.
Vini Bajola: macchine del tempo
“Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino” di Zombiwine
Ora, perché dico che questi vini sono una macchina del tempo? Perché seguono un processo di vinificazione molto particolare. Comprenderlo ci permetterà di fare un viaggio lungo migliaia e migliaia di anni.
Tutti (spero) saprete che il vino nasce in Georgia, in Iran, in Iraq e in Armenia e che poi è stato portato in Europa prima dai Fenici e poi dai Greci; infine, a Roma, la vite diventa la compagna dei popoli.
All’epoca strumento di trasporto e di vinificazione era l’anfora di terracotta, questo contenitore sta vivendo oggi una nuova primavera; in Georgia ancora oggi le anfore interrate Qvevri (o Queveri) vengono utilizzate per verificare e invecchiare il vino.
Tuttavia c’è anche di un altro archeo-metodo che sicuramente era utilizzato dai popoli ellenici: il Palmento. Ai fini di questo articolo non mi interessa decidere quale dei due sia nato prima, anche perché probabilmente erano entrambi utilizzati nel medesimo periodo.
Ma cosa è un palmento?
È una vasca in pietra che si utilizzava per la raccolta delle acque piovane, che poi erano impiegate per irrigare i campi; una forma che si prestava perfettamente ad essere usata come contenitore per uve da pigiare e per agevolare la partenza della fermentazione. Poi, probabilmente, il liquido vinoso veniva messo nelle anfore.
In Italia, sopratutto sull’Etna e in Sicilia, i palmenti si sono utilizzati sino all’inizio del Novecento e qualcuno dei più tradizionalisti fra i produttori li usano ancora per pigiare le uve.
Ma cosa centra questa storia con Ischia e con Bajola?
Sull’isola ci sono ritrovamenti archeologici che attestano la presenza di grossi palmenti utilizzati, appunto, per la vinificazione. Quando i proprietari Francesco ed Alice decisero di vinificare la propria uva avevano un enorme problema: per vincoli paesaggistici non potevano costruire una cantina, e allora ebbero un lampo di genio: trasformare il palmento in una specie di anfora a modo loro.
Vini Bajola: il lampo di genio
Come funziona, quindi, il palmeto di Bajola? È tutto molto semplice.
In mezzo alla vigna sono state ricavate tre vasche da una cisterna interrata utilizzata un tempo per la raccolta dell’acqua piovana.
Le uve appena raccolte vengono solo di raspate e messe nelle vasche per caduta, senza l’uso di pompe o altro ausilio.
La fermentazione parte spontanea.
Non c’è nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e nessun filtraggio.
Quando la fermentazione tumultuosa termina si svina e da questo momento in poi il vino affina sempre nelle stesse vasche sulle sue fecce fini.
Le vasche sono mantenute sature di gas inerte per evitare ossidazioni.
Dopo sei mesi si imbottiglia e, voilà, ecco il Bajola.
A questo vino va affiancato, dal 2017, uno strano esperimento, ovvero il vino perpetuo Bajola in tiano.
Bajola in “tiano”
Bajola in “tiano”, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.
A questo punto si fa un salasso dal palmeto e lo si trasferisce nel tiano.
Il tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).
Il tiano è protetto esternamente con un composto a base di cera d’api, olio di lino ed essenza di agrumi.
La ricetta proviene da lunghi studi finalizzati a non renderlo completamente impermeabile, ma di mantenere una certo contatto con l’aria adatto all’affinamento del vino.
Vino prodotto nel tiano è un contenitore di terracotta della stessa forma e dimensioni di una barrique (circa 200-210 litri di capienza). Lo produce la fornace Masini di Impruneta (Firenze).
Prima del primo utilizzo, l’interno del tiano viene sottoposto a una sorta di encausto esclusivamente a base di prodotti vinosi, ciò per ridurre la porosità della terracotta.
Il tiano non si riempie mai totalmente, in modo da consentire un sostanziale contatto fra superficie vino e aria, favorendo così la creazione di un Flor di lieviti.
Il tiano non viene mai svuotato; al momento dell’imbottigliamento si lascia almeno il 10% del vino ricco di feccia fine, memoria delle annate precedenti.
È questo il metodo “perpetuo” di Bajola.
Vini Bajola: come sono?
Ma come sono questi due vini? Estremi e adatti. Chi non ha paura di sporcarsi il naso o il palato fanno per lui: non sono vini per novellini, insomma, o verginali enoici.
Io li amo molto.
Il Bajola foglia
Il Bajola foglia, articolo Vini Bajola: tempeste ischitane 2022.
Il Bajola foglia è un vino in cui coesistono piacevolezze e difetti, proprio come nel ciclo della natura: il colore è intenso e scuro, quasi marsalato, e il vino ha una sua personale quantità di volatile e una riduzione per cui bisogna berlo, se ci si crede. Che voglio dire? Che se per te il vino è solo giallo paglierino lascia stare, questo non è un vino da bacetti sotto al muschio. È un vino che ti prende e ti zompa addosso come una pazza meretrice! Ti strappa l’anima, il cuore e ci gioca a carte e poi – non contenta – ti chiede anche di sposarla!
Ma dietro quella volatile c’è tutta la bellezza dell’isola di Ischia! Odore di pesca percoca, quella gialla. Macchia mediterranea, ginepro, profumo di mare e risacca, quella sensazione olfattiva prima che venga a piovere e su tutto, poi, al sorso, una strabiliante complessità aromatica. Questo è uno di quei vini che o lo ami o lo odi, e non sono io a volerne tessere per forza le lodi. Se non dovesse piacervi potrei capirlo, io lo amerei comunque.
Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata.
“Amo tutto di lui, amo i suoi difetti, la sua brutta abitudine di mordere e urlare. La sua assoluta autenticità, annata dopo annata” di Zombiwine
Il Tano
Diversa è la storia del Tano, che invece è un vino oscuro e tempestoso: qui le sensazioni sono portate al limite della sopportazione, arricchite anche dall’ossidazione. Un vino misterioso, massonico, che potrete capire solo dopo aver percorso una strada personale di studio dell’underworld del vino. Io, ancora, non ci sono riuscito, ma – avendone bevuto solo una bottiglia – mi concedo il diritto di riberlo. Assolutamente assurdo, credetemi, e so benissimo che, per la metà di voi, è una cosa profondamente sbagliata.
Di colore quasi neutro, va aperto e lasciato almeno qualche ora a decantare, meglio se proprio in un decanter. Poi da tutti quegli strati di sensazioni assolute lentamente sorgerà un fiore, un profumo di tè, di tabacco, di caffè, con note tostate, un sentore di funghi, di fior scuri, di pietra vulcanica, di mare in tempesta, con vaghe note ossidative.Un’esperienza assolutamente unica.
Il sorso non si può descrivere. Sappiate solo che io l’ho bevuto in tre giorni, come se fosse una turista misteriosa con cui trascorrere un weekend folle di sesso.
Conclusioni
Questo è Bajola, una storia d’amore per un isola, per una terra, per un modo di fare vino e per un approccio al vino stesso: non ho la pretesa che a piaccia. ma visto che ormai siamo in un mondo che accetta le altrui differenze, datemi retta: non fate gli enofobici! Prendetevene una bottiglia (meglio due) e cercate di capire cosa mi ha emozionato in questi cinque meravigliosi anni, da quando mio sono avvicinato per la prima volta ai vini di Bajola.
Di Zombiwine
Il sopravvissuto che ama il vino, grande esperto di vini naturali, il racconta storie vere e reali senza peli sulla lingua
Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
Di Piergiorgio Ercoli
Da uve montepulciano in purezza, coltivate sulle colline molisane a Montenero di Bisaccia (CB) ad un’altezza di circa 300 metri slm, terreni argillo-calcarei, dove il clima è caratterizzato dall’influenza delle correnti marittime dall’Adriatico che favoriscono l’arieggiamento del corpo vitato evitando la formazione di muffe e donando una identitaria sapidità.
Raccolta manuale, diraspatura, pigiatura morbida per mantenere l’integrità degli acini.
Macerazione di circa 10 ore cui segue una pressatura soffice del mosto, quindi fermentazione in bianco per circa 10 giorni a temperatura controllata di 16°-18°.
Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
Degustazione
Vino rosa Rosavite 2019 Rosato Terre degli Osci IGT Terresacre
Analisi visiva
Nel calice rosa corallo, trasparente e limpido. Di consistenza media.
Analisi olfattiva
Sufficientemente intenso, di media complessità e finezza. Dominante olfattiva fruttata, ciliegia e fragoline di bosco; toni vegetali di erba appena tagliata, toni minerali di humus e terra bagnata.
Leggera spezia scura.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, moderatamente caldo, morbido. Fresco, tannini duri, sapido. Corpo medio, sufficientemente armonico, buona permanenza. Sufficientemente fine e sufficientemente armonico. Pronto.
Alcuni vini della Cantina Terresacre arrivati in degustazione in Agenzia FoodandWineAngels
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
In abbinamento un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso di formaggi di varie tipologie e stagionature.
Tagliere in abbinamento al Rosavite di Terresacre
Tagliere di formaggi provenienti dall’Altopiano di Asiago da Asiago pressato dolce, a quello saporito, al mezzano di 6 mesi di malga, con fragole, crostini tostati, asparagi in agrodolce, cestino di grana padano con erbette di montagna stufate, caciotta di pecorino di malga alle foglie di olivo.
Evento ROSA ROSATI ROSE’ Sabato 23 Aprile 2022 a “Le Vigne di Clementina Fabi” organizzato da FoodandWineAngels
Di Piergiorgio Ercoli
Le MARCHE si tingono di ROSA
Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022
Si è svolto a Montedinove (AP), Sabato 23 Aprile 2022, l’evento “ROSA ROSATI ROSE’” con la presenza di Renato Rovetta, pioniere del Vino Rosa in Italia e fondatore della Guida omonima.
Organizzato dall’Agenzia FOODANDWINEANGELS di Carol Agostini, nella splendida cornice della Tenuta di “Le Vigne di Clementina Fabi”, ospiti di Loretta Di Maulo e Gianluca Giorgi, eleganti padroni di casa.
Tavola Rotonda coi protagonisti della giornata di territorio, Renato Rovetta, Carol Agostini e Le Vigne di Clementina Fabi
Hanno partecipato alla Tavola Rotonda, esperti di settore, giornalisti, rappresentanti di Associazioni territoriali dal carattere enogastronomico ed autorità locali: spiccano la Dottoressa Paola Cocci Grifoni, enologa e vera Donna del Vino Made in Marche, l’enologo Luigi Costantini, il giornalista Francesco Massi per il Corriere Adriatico, il Sig. Domenico Sacconi dell’ Associazione Gemme Marche, il Sig. Enzo Malavolta , Presidente Marche del Biodistretto Picenum ed il Sindaco di Montedinove, il Sindaco di Montedinove Dott. Antonio Del Duca.
E’ stata l’opportunità quindi per conoscere, innanzi tutto, la realtà della Cantina ospite, che vanta una storia che affonda le radici nel 1800, quando la Famiglia Fabi acquista alcuni poderi nella Marca Picena, provenendo dal Lazio, e vi avvia la pratica dell’arte contadina impiantando già allora le vigne.
Vini rosa in degustazione durante l’Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022
Vigne che poi, rinnovate negli anni, vedono protagoniste prima Clementina e poi sua figlia Loretta, dal 2008, nel continuare l’arte della produzione del vino, fino ai giorni nostri.
Storia antica, tecnologia moderna, sempre puntando all’eccellenza, valorizzando ed interpretando un terroir unico e ricco di risorse, ai piedi dei Sibillini e poco distante dal Mar Adriatico.
Tema fortemente rappresentato ed eviscerato dai presenti, poi, è stata la ricerca della migliore eccellenza del territorio, vero e proprio obiettivo ma anche motore per il raggiungimento di un livello di produzione qualitativo e di offerta turistica concorrenziale del Piceno.
Renato Rovetta Guida Rosa Rosati Rosé e Carol Agostini dell’Agenzia FoodandWineAngels
Vino Rosa
Guida Rosa Rosati Rosé di Renato Rovetta
Ma la giornata, dalla scaletta davvero serrata, è stata soprattutto l’opportunità per far conoscere in territorio vinicolo ben definito, dal carattere “rossista” come il Piceno, tutte le sfumature del “ROSA”, del Vino Rosa, guidati da un istrionico Renato Rovettache ha introdotto in maniera coinvolgente tematiche circa la natura, la storia, le qualità e le potenzialità di questa tipologia di vini, fortemente in espansione in Italia e nel Mondo.
Tavola Rotonda coi suoi protagonisti
La Tavola Rotonda è stata arricchita da due principali momenti di degustazione.
Guida Rosa Rosati Rosé di Renato Rovetta
In apertura, masterclass di Rovetta sul Vino Rosa Nazionale, con i vini selezionati dall’esperta enogastronomica, sommelier, commissario enologico internazionale, esperta di comunicazione e marketing (…e potrei continuare) Carol Agostini, “deus ex machina” dell’Agenzia FOODANDWINEANGELS:
tutte le sfumature di Rosa, tutte le fragranze aromatiche e sensoriali che il Vino Rosa riesce esprimere da tutto il territorio nazionale italiano, dal Piemonte alla Campania passando per Liguria ed Abruzzo.
La Platea di ospiti, giornalisti ed esperti vitivinicoli, alcune cariche politiche della zona, l’assoziazione Le Gemme dei Sibillini
Vini Rosa fermi ma anche bollicine, vini che affascinano con le loro nuances brillanti ed i sapori delicati ma decisi, capaci di abbinamenti a tavola sia con piatti tradizionali locali che a quelli di più ampio respiro internazionale.
La partecipazione attiva dei presenti, continuamente coinvolti dal Rovetta, ha dato un piglio frizzante alla masterclass.
Nella seconda degustazione sono stati invece protagonisti i vini della Tenuta ospite:
naturalmente la loro interpretazione in rosa di uno dei vitigni principe delle Marche “rossiste”, il sangiovese, proposto in due annate, la 2018 e la 2020, che hanno stupito per capacità di interpretazione identitaria, in una vinificazione in rosa che ha esaltato comunque il varietale, donandone una sfaccettatura davvero piacevole alla beva e comunque dalle sensazioni gusto-olfattive davvero ampie.
Radio Serena con Carla Latini e Luca Tortuga, enologo Paola Cocci Grifoni, Carol Agostini, le Vigne di Clementina Fabi con Loretta di Maulo e Gianluca Giorgi, Renato Rovetta
Spazio anche ai vitigni bianchi autoctoni del territorio, passerina e pecorino, in una veste importante, per la Linea Cerì (top di gamma dell’Azienda): brillanti, freschi, agrumati e con una evidente mineralità; le uve, infatti, allevate ai piedi dei Sibillini (le vigne sono a circa 600 m. s.l.m) sono accarezzate dalle correnti di valle dal vicino Mar Adriatico che dona particolare carattere di sapidità nel lungo finale.
I vini di Le Vigne di Clementina Fabi in degustazione
Davvero entusiasmante la versione spumantizzata della passerina, nel “Terre di Offida DOC”: un metodo charmat lungo di circa 15 mesi (in base alle annate, con certificazione in retroetichetta dei tempi della permanenza sui lieviti), fortemente voluto da Gianluca Giorgi che pure ha portato lustro alla DOC “Terre di Offida”, con delle bollicine fini e persistenti, dove alle note agrumate e di leggera spezia bianca si accompagna una cremosità tipica di un metodo classico, con le sensazioni di tostatura e piccola pasticceria che arrivano nel finale del sorso.
Chiude il blend Rosso Piceno (montepulciano e sangiovese), vero cavallo di razza per i rossi marchigiani, qui in un rubino intenso e brillante, con note di frutti rossi di sottobosco e fragoline, tannini ben integrati in un armonico sorso fresco.
Conclusioni
Arrivano gli applausi, per la chiusura delle masterclass:
Locandina evento articolo: Evento ROSAROSATIROSE’ a “Le Vigne di Clementina Fabi” 2022
A Renato Rovetta profeta del “Vino Rosa” nelle Marche, ha sicuramente conquistato il gusto dei presenti e lasciato vari spunti per l’educazione al buon bere, alla piacevolezza da ricercare nel calice; a Carol Agostini che ci lascia l’esempio di come un evento va organizzato, quando la qualità dell’eccellenza si distingue; a Loretta e Gianluca per l’accoglienza e la disponibilità dimostrata per l’intera giornata.
Appuntamento
Appuntamento sul Lago d’Iseo per la fine di Maggio, a Riva di Solto (BG), quando si è tenuto il Concorso Nazionale dei Vini Rosa, che è stato una nuova vetrina per il mondo del “Rosa” in Italia.
Da uve Sangiovese, Merlot e Ciliegiolo allevate sulle colline di Bonassola (SP), sulla Costa Ligure di Levante, nell’ambito del Parco Nazionale delle Cinque Terre dove i terreni argillosi a medio impasto hanno origine vulcanica.
Il clima è caldo e ventilato, con forti influenze delle salmastre brezze marine. Tipici i terrazzamenti che diradano sulla costa.
Alcune vigne di Cà du Ferrà azienda vinicola e agriturismo, espressione dialettale di “casa del fabbro” perché in queste terre, oggi solcate dai filari di vite, un tempo si ferravano i cavalli. ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà
La fermentazione avviene in vasche di acciaio a temperatura controllata, dopo la svinatura segue la malolattica. L’affinamento in di acciaio inox per minimo 6 mesi.Vino ben rappresentativo della filosofia aziendale di “valorizzare il luogo a partire dal rispetto della terra e per chi la abita”, fedeli alle tradizioni con uno sguardo al futuro.Vino rustico, dove i cloni degli uvaggi sono rappresentati in maniera semplice ma senza perdere un tocco di piacevolezza complessiva, in un gusto genuino.
Degustazione
Analisi visiva
Nel calice rubino violaceo, poco trasparente. Limpido e con una buona densità.
Analisi olfattiva
Sufficientemente intenso, di media complessità e finezza. Dominante olfattiva fruttata e pungente, ciliegia e melograno, frutti rossi acidi; toni vinosi, fresco e balsamico. Evidenti richiami minerali sia nei toni del salmastro che dell’affumicato. Speziatura nel finale.
Analisi gusto-olfattiva
Secco, moderatamente caldo, moderatamente morbido. Fresco, tannini ruvidi, sapido. Corpo medio, sufficientemente armonico, inizialmente squilibrato verso la parte acida ma che poi evolve , integra i tannini ed i polialcoli. Sufficientemente fine e sufficientemente armonico. Pronto.
‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà
Azienda nata dall’unione di due anime e dalla stessa passione per il mondo vitivinicolo, Antonio Zoppi e Aida Forgione, lasciano le loro professioni per vivere assieme nel borgo di Bonassola, diventando così viticoltori, creando sinergia tra saperi e vino.
Davide Zoppi articolo: ‘Ngilù 2020 Colline di Levanto DOP Cà Du Ferrà
Nel 2000 acquistato terreni e casolari fondano l’azienda vitivinicola e l’agriturismo; l’attività si espande ulteriormente con l’inserimento del figlio Davide portando Cà du Ferrà alla certificazione biologica dei propri prodotti.
Un’area di paradiso tra panorama, brezza marina e i muretti a secco, Patrimonio Unesco che rappresentano un valore inestimabile per la regione, che attualmente conta 42mila ettari di aree terrazzate, tra cui le vigne dell’ azienda.
Azienda seguita da due enologi in linea con la filosofia aziendale, il rispetto del territorio e della qualità di produzione: Barbara Tamburini e Vittorio Fiore, ormai da anni seguono personalmente la vigna, la produzione e l’etica di Cà du Ferrà.
Spaghettini Carla Latini con cubetti di Speck di Asiago, pancetta tostata, mentuccia selvatica, crema di tartasale
Ricetta in abbinamento eseguita da Carol Agostini
Una ricetta composta da pochi ingredienti in un gioco di consistenze e sapori, forme e colori per un abbinamento decisamente intrigante quanto gustoso.
Ingredienti per 4 porzioni:
400 gr di spaghetti
100 g di speck affettato e tagliato a pezzetti
100 g di pancetta
4 cucchiai di olio di oliva
1 spicchio di aglio
1 peperoncino
4 cucchiai di pomodori a pezzettoni
Basilico q.b.
un rametto di mentuccia selvatica
Parmigiano grattugiato q.b.
Sale q.b.
Procedimento:
Mentre lessate gli spaghetti rosolate in 2 o 3 cucchiai di olio, l’aglio senza camicia, oppure a piacere leggermente schiacciato per un sapore più intenso, il peperoncino e la pancetta tagliata a dadini come lo speck, avendo cura di girarli spesso.
A distanza di qualche minuto aggiungere i pezzettoni di pomodoro per completare la salsa.
Fate cuocere per una decina di minuti, aggiungete il parmigiano grattugiato, salate e pepate quanto basta e togliete dal fuoco. Condite gli spaghetti e serviteli subito con una spolverata di parmigiano grattugiato e qualche fogliolina di mentuccia selvatica.
A Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017
Di Gaetano Cataldo
È giunta alla fine di una piacevole e tanto desiderata cena tra amici e, per quanto fosse logicamente coperta dalla patina del tempo, riusciva ad irradiare qualcosa di tangibilmente vivo dentro la casa-trullo padronale quella sera del 30 Agosto del 2017, illuminata come i nostri volti dalla sua presenza.
Antica Cantina Fatalone, articolo: A Gioia del Colle in una notte di Fine Estate 2017 di Gaetano CataldoLa vigna Cantina Fatalone , Autentico, Biologico, Sostenibile
Era entrata quasi di soppiatto, senza annunci e sensazionalismi, con quella calma e la semplicità tipica delle persone che vivono le stagioni in mezzo alla vigna e lo fanno vivendo di valori concreti, offrendo una spontanea e sincera ospitalità, così sincera e generosa da farti sentire a casa, malgrado casa quella sera fosse ad un qualche centinaio di chilometri.
È giunta quasi presentandosi da sola per quel che diceva di sé implicitamente, è giunta come una benedizione e quando Pasquale Petrera mi ha sussurrato che si trattava della bottiglia di Primitivo prodotta nel 1981 da Giuseppe Orfino, suo nonno materno, mi è balzato il cuore in gola.
Filippo Vito Petrera, Pasquale Petrera con Gaetano Cataldo autore dell’articolo
Quasi non riuscivo a credere che la visita che attendevo di fare da tanto tempo all’amico Pasquale, per il piacere di rivederlo, potesse sortire addirittura l’apertura di una bottiglia di tale inestimabile valore, una vera e propria pietra miliare non soltanto per la famiglia Petrera ed Orfino, ma per la comunità gioiese e l’Italia tutta del Vino, quell’Italia che sa attestarsi fieramente nel contesto internazionale senza temere rivali.
Bottiglia di annata molto vecchia in degustazione
Non ci credevo, sono uno che riconosce che al mondo nulla ci è dovuto e che ogni giorno ci attende un esame nuovo, e non credevo di meritare affatto il privilegio di accedere al contenuto di una bottiglia tanto preziosa e rara, così preziosa al punto da racchiudere essa stessa l’embrione di un sogno di seguito dischiuso e avverato, incarnando dunque il testimone verace del cammino del padre di Pasquale:
Filippo Petrera, l’uomo che ha valorizzato e concepito il Primitivo di Gioia del Colle in purezza, creando il Fatalone, sinonimo del frutto di questo straordinario vitigno classificato dal primicerio Filippo Indellicati nel XVII secolo.
Cantina Fatalone Botti per i vini pugliesi Primitivo di Gioia Del Colle
La sorpresa e l’ammirazione con la quale il buon Filippo, ad occhi chiusi, riscopriva nell’assaporare il gusto e le sensazioni che quel Vino è riuscito a donare a tutti noi, e soprattutto alla sua persona capace di decifrarne il sentimento racchiuso, è stato decisamente un momento di grazia:
infatti, sorso dopo sorso, l’intensità e la fragranza di aromi intessuti di ricordi affioranti dal calice hanno fatto sì che quel lontano passato comparisse di nuovo e gioiosamente Filippo stava rivivendo i ritmi frenetici di una vendemmia lontana ben 37 anni, ove non c’era posto per la stanchezza, poiché il richiamo della Natura creava un’atmosfera incantevole, fatta di felicità collettiva.
Fatalone Teres Puglia DOC Primitivofatalone Gioia Del Colle DOC PrimitivoFatalone Gioia Del Colle DOC Primitivo Riserva
Sensorialità
E tale è la felicità per aver condiviso il Vino che nel 1981 sarebbe divenuto la chiave di volta, l’elemento irrinunciabile e decisivo per la nascita della prima bottiglia ufficiale di Primitivo di Gioia del Colle del 1987 e del conseguente disciplinare. E così il Vino è giunto a noi: D’ambra ed oro antico, cristallino…
Al naso le note eteree di acetone si fanno strada per lasciare lentamente spazio alla ciliegia sotto spirito, ad un sorprendentemente ancor succoso gelso nero e alla “monachella” (susina selvatica della Maiella), una scia foglie di mirto e chiodi di garofano su cui insiste l’odore della scatola di sigari.
Silenzio. Passa il tempo, gli occhi di Filippo Petrera brillano, anche quelli di Pasquale si inarcano ammiccando ad un sorriso guardando il padre rivivere l’allegria di una stagione lontana ancora una volta.E ancora… scorza di arancia candita, noci e frutta essiccata ancora non dischiuse del tutto, il ricordo della carruba volta in cacao, s’ollu e stincu ed una piacevole mineralità iodata.
Al palato entra come fosse quasi un sercial per esplodere in una piacevole freschezza agrumata appena “addolcita” dalla nota mielata del corbezzolo. Sorprendente acidità ed una buona concentrazione di sapidità, quasi da umami. Retro olfattiva a confermare l’arancia, una piacevole percezione di datteri e fichi essiccati, la precedente nota del mirto alla via diretta che si ammansisce mutando in timo, tabacco che sigilla il sorso con un’ombra appena di astringenza ripulita dalla succulenza del nettare…
Conclusioni sensoriali
I profumi ed il sapore percepiti mi hanno accompagnato in una fresca notte stellata lungo tutto il percorso dal pianoro gioiese sino al borgo salentino di Melendugno con una persistenza niente affatto scontata.
La luce negli occhi di Filippo Petrera, pioniere e padre adottivo del Primitivo di Gioia del Colle in purezza, che durante questa degustazione senza tempo ha rivissuto un arco temporale lunghissimo tutto racchiuso nella luminescenza che quel vino irradiava come la folgorazione ispiratrice che lo ha portato a desiderare il legittimo riscatto per un vitigno tanto nobile, a diventare il fondatore del consorzio di tutela e dunque alla realizzazione di un sogno, quel sogno racchiuso nella promessa della bottiglia giunta a tutti noi quella sera come una benedizione che viene da lontano e che si rinnova vendemmia dopo vendemmia.
I vini di Francesca Fiasco in bilico tra il Cilento e il Vallo di Diano 2022
Di Gaetano Cataldo
È in località Campanaro, nel comune di Felitto, che l’azienda agricola di Francesca Fiasco ha avuto a costituirsi nel 2015. Il piccolo paese di Felitto è una delle perle dell’hinterland cilentano, conta meno di 1300 abitanti ed è la sede amministrativa dell’unione dei comuni dell’Alto Calore.
Territorio e Borgo
Comune di Felitto articolo: I vini di Francesca Fiasco in bilico tra il Cilento e il Vallo di Diano 2022
Questo borgo vede come centri abitati più vicini il comune di Castel San Lorenzo e quello di Roccadaspide, è diviso da Magliano Vetere da una costa montuosa frastagliata ed è separato dal torrente Ripiti, affluente del fiume Fasanella, da Bellosguardo, perfettamente incastonato tra il Monte Chianiello, il Monte Ceglie ed il Monte Cerzito.
Posto in bilico tra le alture del Cilento e del Vallo di Diano a 275 metri sul livello del mare il territorio felittese è tipicamente mediterraneo, vede la presenza dell’acero campestre, localmente detto occhiano, e dell’olmo, è immerso nella natura del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e costituisce una vera e propria oasi di tranquillità, tanto da essere diventato sede eletta di lontre, volpi, cinghiali e furetti.
Curiosità, leggenda e mistero…
Esistono diverse storie sul borgo di Felitto che negli anni si sono tramandate da generazione a generazione, una di esse è legata al castello medievale. Secondo la leggenda, all’interno di esso ci viveva un Barone che, abusando del suo potere, chiedeva di diritto di trascorrere la prima notte di nozze con ogni nuova sposa, per poi rimandarla dal neo-coniuge.
Chiunque si sarebbe opposto sarebbe stato spedito, attraverso il trabucco, un’antica macchina d’assedio, nelle gole del Calore, perdendo così la vita, ma dopo parecchi anni, un giovane sposo un giorno decise di mettere fine a quella tale ingiustizia.
Il giorno delle sue nozze, i soldati sostavano come sempre fuori dalla chiesa, in attesa del termine della celebrazione per accompagnare la giovane al castello, però questa volta, a destinazione non arrivò la sposa, bensì lo sposo, che grazie ad un camuffamento riuscì a raggirare le guardie.
Il ragazzo, dopo aver colpito con una pugnalata il barone, lo scaraventò, come da rituale, nel fiume. Ben presto anche le guardie si arresero, travolti dalla popolazione che, incoraggiata dall’amore della sposa per suo marito, invase il castello.
I felittesi e soprattutto le giovani coppie, festeggiarono, attraverso canti e balli, la conquista della loro indipendenza e tutti vissero serenamente la loro prima notte di nozze.
Cantina
Francesca Fiasco che mescita il tuo vino in cantina
In un territorio pressoché inviolato insistono i vigneti di proprietà, circa sette ettari, e le radici affondano in suoli mediamente calcareo argillosi e, poiché siamo nei pressi delle Gole del Calore, a tratti non mancano i colori e le stratificazioni tipiche del Flysch del Cilento e la roccia carbonatica.
Con grande cura questa giovane donna si diletta tra vigna, produzione e vendita comunicandolo attraverso la sua presenza e voce con grande passione e impegno.
VINI DI FRANCESCA FIASCO
Non molto distanti dalla cantina di Francesca Fiasco i tenimenti agricoli sono vitati prevalentemente con vecchi ceppi di Aglianico, poi di Aglianicone e quindi di Fiano e Coda di Volpe con la presenza di altri vitigni, come ad esempio il Piedirosso, tra quelli più recenti messi a dimora ed altre varietà che di consuetudine vengono da sempre allevate anche nella vicinissima Castel San Lorenzo.
La vendemmia in vigna di Francesca Fiasco
Vini
“Un grande vino nasce prima di tutto nel vigneto…
E’ da qui che ne scaturisce il recupero della naturalità nella coltivazione…” citazione presa dal sito
“Un grande vino nasce prima di tutto nel vigneto… E’ da qui che ne scaturisce il recupero della naturalità nella coltivazione…”
Quattro le referenze, tutte nel disciplinare Igt Paestum: i rossi Mèrcori, Difesa ed Ersa col bianco Lapazio.
Francesca Fiasco mentre cura le spedizioni dei suoi vini ai clienti
Francesca Fiasco ha esordito con la sua prima annata nel 2016 grazie al supporto dell’enologo Emiliano Falsini e, dopo le successive vendemmie e tanto impegno, comincia ad affiorare la filosofia produttiva ed una linea produttiva protesa al miglioramento.
Dopo aver ereditato vigneti e passione dai nonni Francesca persegue l’ambizione di produrre vini di territori che sappiano narrare, con un certo filo edonistico ed estetico, la beltà cilentana con un tocco evidentemente femminile.
Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.
Di Gaetano Cataldo
Chimica, barrique nuove, enologo di grido ed espianto di viti storiche… più o meno questa l’equazione propinata attraverso l’evangelizzazione delle guide fino a ieri l’altro.
Poi arriva lui fresco fresco, e come pochi a quei tempi, ha avuto la “presunzione” di appiccicare l’etichetta alla bottiglia che si faceva a casa per autoconsumo senza ricorrere alla consulenza tecnico-scientifica, con apprezzamenti immediati da parte del pubblico di consumatori e della critica, rendendo accattivante e provocatoria la bottiglia semplicemente facendo questo: citare in retro etichetta tutto quello che non si è mai sognato di mettere nel vino, cosa che oggigiorno è diventata più una cosa figa ed una faccenda di marketing che sana e genuina concretezza.Ah, nel frattempo ha restituito lo spirito contadino al vino irpino così come quasi non ce lo ricordavamo più e nobilitarlo come pochi.
Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900, foto dal sito https://luigitecce.com/cantina-vini-vigneti/
Luigi Tecce
Lui è Luigi Tecce, classe del ’71. Non crede in Dio ma ad una prima occhiata pare sappia campare molto meglio di chi lo fa e vive i suoi tempi col distacco tipico di chi ha subito il fascino ed il successivo disincanto dai grandi ideali, facendolo da pragmatico e anche con una sottile vena da nostalgico sognatore, ma non ditelo a nessuno sennò finisce che perde la sua aria di strafottente.
Dopo il diploma in ragioneria si iscrive subito alla facoltà di economia e commercio e, conquistato l’esonero militare, giusto per farvi capire che il tipino in questione già sapeva quel che voleva, abbandona subito l’università ottenendo il suo scopo.
Nel mentre, come molti di noi in quegli anni d’altronde, vive quel momento storico in cui, dopo tangentopoli, sembrava fosse giunto il tempo per una grande ventata di innovazione e, col ’94, le prime elezioni fondate sull’onestà, assistendo invece alla frammentazione del Partito Comunista in tutt’altro e alla deflagrazione degli ideali della gioventù.
Il 20 Marzo del ’97, con la morte del papà ha ereditato una fattoria tradizionale, ultimo embrione di una anarchia produttiva; di punto in bianco la responsabilità e la fatica di portare avanti le vacche da latte, i vitelli, gli ulivi, tutta sulle sue spalle e la determinazione amorevole di riqualificare la vigna ereditata e conferire all’inizio il vino alle aziende come ha sempre fatto la sua famiglia, preservandone una quantità per il suo consumo personale, negli anni in cui la critica enogastronomica era univoca semplicemente perché non era critica e non si faceva massa critica.
Ogni anno però conferiva sempre meno, tenendo sempre più per sé, fino a decidere di diventare produttore nel 2003, anno ufficiale della prima annata.
Luigi Tecce in vigna
Occhio vispo, sorriso sornione e volto scarno, tipico di quei consumati pescatori che fanno di una piccola barca la loro repubblica indipendente, anche se si tiene ben lontano dal mare, Luigi ha l’aria di uno che la sa proprio lunga, più o meno, specie con quella parlantina svelta poi, mediante la quale probabilmente nasconde un animo molto sensibile e costantemente in bilico tra lo slancio narrativo e misurato di un vignaiolo e quell’esigenza di riserbo sulla sua singolare persona, forse sospettosa per qualche disavventura con dei suoi simili, e su di un’epoca spazio temporale remota di cui pretende di essere custode.
Detesta il rumore e contempla il silenzio; dice di non avere un buon orecchio per la musica, ma andate a dirlo al suo amico Vinicio Capossela che lo aiuta a comporre i vestiti per le sue bottiglie e con il quale c’è questo traghettarsi vicendevole in un mondo onirico fatto di odissee moderne ed antiche credenze, un grande amore in forma chiusa per l’umanità e l’immagine del Mito che si cela nell’uomo comune, dervisci rotanti e chimere.
Luigi ama di Capossela la trasversalità ed il suo essere spugna, eternamente curioso ed aperto alla vita, , ascolta con piacere la musica classica, il jazz, la musica folk di un certo livello e Fabrizio De André, anche per un retaggio ideologico di una vecchia sinistra ormai andata.
La cantina di Luigi Tecce un vignaiolo colto e spontaneo
Nel bene o nel male il vino è anche frutto degli umori, dei pensieri e delle emozioni di chi il vino lo fa e tutto ciò è paradigmatico nel suo Maman, dedicato a sua madre ed alla madre di Capossela: questa triangolazione di umanità immateriale dovette fondersi tutta quando Luigi ne imbottigliava l’unica edizione proprio mentre la mamma lasciava questa sonda terrena e la luce del suo bianco venne ricoperta da un velo di dolore e tristezza che molti scambiarono per difetto invece di un irrecuperabile pezzo di anima disciolto, tanto che decise venisse ritirato dal mercato.
E questo a dimostrazione di quanto il vino vivo subisca, nel bene o nel male, gli effetti delle emozioni e dei sentimenti dell’uomo che lo fa.
Agli esordi forse qualcuno dovette muovere qualche critica sul prezzo delle bottiglie probabilmente ma poi, quando arrivò a realizzare la fatica che serve a fare il vignaiolo e che i suoi vini non sono fatti per accontentare tutti, dovette ricredersi, inclusi i detrattori che urlarono allo scandalo nel 2011 per quelle innocue piantine di marijuana messe a dimora nel vigneto e che lo videro, naturalmente, scagionato da tutte le accuse. Luigi lavora bene tanto in vigna che in cantina, lo fa così bene che le bottiglie non gli vengono mai uguali e questo a dimostrazione che conosce il valore interpretativo di ogni singola vendemmia e come tirarlo fuori.
Ecco forse perché non legge mai quello che scrivono su di lui e sui suoi vini. E speriamo che non cominci proprio adesso…
I vini di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.
Intervista
Qual è il tuo primissimo ricordo sul vino?
Mio nonno Luigi, classe 1902, amava tantissimo il vino bianco dolce, insomma quello lambiccato fatto col cappuccio di canapa. Da piccolo andai in cantina con una tazzina da caffè, la riempii con quel nettare e mi ubriacai per la prima volta. Avevo 4 anni.
Una frase che ti caratterizza…
Il non fare secondo propria coscienza non è né prudente né legittimo. Persone che ti hanno ispirato?
Proprio mio nonno Luigi. Avevo 11 anni quando se ne è andato ma mi è rimasta la sua impronta. I vecchi non sono necessariamente interessanti per via dell’età e quelli che hanno vissuto dopo di lui, andando avanti negli anni, sono appartenuti ad una storia recente, una storia dalla quale sono stati sopraffatti.
Nonno Luigi invece sì che era un vecchio interessante: apparteneva ad una generazione di uomini millenari per il loro legame ad una grande storia passata, un tempo molto più lungo e profondo di quello che abbiamo vissuto dopo le prime decadi del ‘900.
La Barricaia di Luigi Tecce, articolo: Luigi tecce: Anarchia Produttiva ed Uomini di ‘900.
Cosa ti piace leggere?
Sono un amante della letteratura, della storia antica e della saggistica, anche se da quando pratico il mestiere del vino leggo un po’ meno. Flaubert, Herman Hesse, tutto Hemingway, Pavese e Svevo. Anche poesia: “I Fiori del Male” di Rimbaud, Neruda, Pedro Salinas e, di grande arricchimento per me, Charles Bukowsky. Il libro più importante per me resta sicuramente “Cristo si è Fermato ad Eboli”, poi “Il Rosso e il Nero” di Stendhal. Di John Fante adoro “La Confraternita dell’Uva”, costituisce per me il trionfo dell’uomo quotidiano contrapposto all’osannato uomo mito. Prima di ogni vendemmia leggo “Sparta e Atene. Il racconto di una guerra” di Sergio Valzania ma non chiedermi il perché.
E del cinema che mi dici?
Che per me è la seconda arte dopo la letteratura. Sono affascinato da questo componimento di letteratura visiva fatto di recitazione, sceneggiatura e regia. I film di e con Buster Keaton, i registi come Fellini, Ettore Scola, Vittorio De Sica, Sergio Leone, Stanley Kubrick, Akira Kurosawa e Pedro Almodovar non ti stanchi mai di vederli.
Dammi tre titoli…
Eh, tre titoli… complicato dartene solo tre. Facciamo “La corazzata Potëmkin”, “Quarto Potere” ed “Otto e Mezzo”.
Ed una frase tratta dal cinema che avresti voluto pronunciare?
Una carica di significato e per niente banale, quella di Alberto Sordi quando dice “Maccarone… m’hai provocato e io te distruggo, maccarone! Io me te magno!”.
A proposito di mangiare, cosa ti piace abbinare ai tuoi vini?
Intanto sappi che non condivido granché le rigide griglie degli abbinamenti, sono più per l’abbinamento anarchico all’inglese: “bevi quello che ti piace con quello che ti piace mangiare”. Amo decisamente gli abbinamenti storico culturali, questo perché sono loro a raccontarti dei luoghi e della tradizione di mettersi a tavola.
Alle volte ci vuole un vino buono senza grande personalità e senza troppe distrazioni per vivere al meglio la convivialità ed il buon mangiare. Se proprio devo darti degli abbinamenti penserei ad un cosciotto di agnello cotto al fieno col Poliphemo, col Purosangue un brasato di vacca podolica e col Satirycon una grande lasagna alla napoletana.
E col Maman? Il pane con la frittata oppure una zuppa di baccalà con qualche patata. Quando è che ci fai un altro bianco?
Per il momento accontentati di un rosato: è il frutto di uve aglianico vendemmiate nel 2018 e vinificate in bianco 2018. La Cyclope, un rosé che ambisce al lunghissimo affinamento.
Linea di demarcazione tra il Poliphemo ed il Purosangue?
TAURASI POLIPHEMO Il Poliphemo é il simbolo del viaggio di Luigi Tecce, l’Ulisse della verde Irpinia che ha riscoperto i valori della campagna e dei vigenti di famiglia dando vita a un nettare di Bacco che stuzzica il palato in modo potente e progressivo.
Semplicemente il Poliphemo è più anarchico e figlio di viti vecchie ed irrazionali, mentre il Purosangue è aristocratico e proviene da una vigna più moderna.
Raccontami di qualche tua contraddizione….
Mi viene in mente una frase di Oscar Wilde… “La buona società è una cosa necessaria: farne parte è solo una gran noia, ma esserne fuori è una tragedia”.
IRPINIA CAMPI TAURASINI SATYRICON Il Satyricon passa 12 mesi in legno, sempre vecchio, salvo necessità di aggiungerne di nuovi per il ricambio naturale dovuto all’usura.
Penso anche di avere la fortuna di provare la libertà indescrivibile che provano i vecchi di 90 anni nel dire ciò che vogliono dall’alto del loro vissuto ma facendolo con la sfrontatezza di un adolescente, senza essere fuori gioco, senza essere per forza oggetto di riverenza e senza essere fuori dal tempo.
Un tuo hobby?
A parte il mio mestiere, dei libri a me cari e del cinema di cui si è parlato prima nessuno. Avevo un grande legame con Ferruccio il mio cane, purtroppo è venuto a mancare lo scorso settembre. Ci ho rimuginato su parecchio ma oggi con me c’è un altro fedele amico: il piccolo Gino, mi segue sempre e sa già molto di me.
Cosa suggerisci di bere ai lettori di Papillae.it?
Suggerisco di bere qualsiasi tipologia di vino purché sia un vino fatto bene. Per imparare a bere però ed assumere una buona consapevolezza occorre metterci impegno, tempo ed energia fisica… con una certa autonomia di pensiero.