Giovanni Aiello, una vita dedica per amore all’enologia
di Danilo Amapani
La realtà enogastronomica pugliese continua la sua crescita a livello nazionale e internazionale. In particolar modo un viticoltore ha contribuito a divulgare il Primitivo e altri vitigni autoctoni pugliesi al di fuori dei nostri confini territoriali.
Stiamo parlando di Giovanni Aiello, come ama definirsi “Enologo per Amore”.
Giovanni Aiello è nato e cresciuto in Valle d’Itria. Dopo aver studiato enologia, è emigrato nel Nuovo Mondo per apprendere tecniche e lavorazioni enologiche sempre più avanzate. Dovunque andasse però non ha mai abbandonato le sue origini.
Tornato a casa, decide di produrre un vino che rappresenti a pieno la sua terra. Nella sua vigna che si estende per 6 ettari, completamente alberelli, decide di piantare e valorizzare vari vitigni autoctoni come Primitivo, Verdeca, Maruggio e Marchione.
Viene svolto manualmente sia il lavoro in vigna, affinché le uve vengano selezionate al meglio, che il lavoro di etichettatura. All’ingresso della bottaia è situato un tavolo lungo 10 metri dove avviene la creazione di ogni singola etichetta attraverso l’utilizzo di stampini e inchiostri colorati a seconda della tipologia del vino.
Le etichette sono formate da diversi puntini per simboleggiare i Chakra. Per Giovanni, che ha deciso di chiamare proprio così la sua linea di vini, il Chakra rappresenta un legame indissolubile tra terra e vino, con l’obiettivo di far conoscere a tutti i profumi e la bellezza della Puglia.
Degustazione vini
CHAKRA ROSSO DOC
Vitigno principe della Puglia, il Primitivo. Una volta raccolti i grappoli vengono utilizzati interi nei tini. Questo avviene affinché tutti i profumi che possiedono vengano trasmessi nel vino sotto forma di eleganza, corpo e per arricchire la complessità gusto-olfattiva. Questa tecnica di vinificazione nata in Borgogna, fa intuire che tutti gli studi di Giovanni vengano messi in atto per far sì che i suoi vini tirino fuori tutta la loro essenza.
Il Chakra Rosso DOC successivamente svolge la fermentazione in barrique e tonneaux di secondo passaggio per non snaturare il vino e riposa in bottiglia per 6 mesi.
Colore rosso rubino impenetrabile, bouquet olfattivo di una grande complessità: frutta rossa di ciliegia e amarena accompagnata da sentori di liquirizia e spezia dolce, vaniglia e pepe nero. Gustandolo la finezza fa da padrona. Una grande freschezza e sapidità invogliano un altro sorso; come nota finale la leggera tannicità, sottile e delicata.
CHAKRA ESSENZA
Secondo vino simbolo della cantina è “Chakra Essenza” al quale Giovanni Aiello è particolarmente legato.
Prodotto da una vigna secolare, viene utilizzato un vitigno autoctono pugliese, la Verdeca. Un vitigno anch’esso molto antico, probabilmente di origine greca. C’è un legame emotivo con questo vino poiché abbraccia numerose sfaccettature della viticoltura: gli alberelli curati dagli uomini; una valorizzazione di un vitigno pugliese; la potenzialità di un terroir nobile.
Per far coesistere tutte queste caratteristiche, Giovanni Aiello non poteva che metterci tutto il suo impegno nella realizzazione di questo vino. La vendemmia viene svolta con qualche giorno d’anticipo per ottenere nel vino più lieviti autoctoni possibili. Successivamente una parte del mosto fermenta in acciaio a temperatura controllata; una seconda parte viene vinificata con macerazione delle bucce.
La maturazione viene svolta sulle fecce per un anno e vengono trattati con continui batonnage per dare maggiore complessità al gusto; infine rimane in bottiglia per 6 mesi.
Colore dorato e ricchezza di profumi: frutta disidratata, erbe aromatiche, miele, spezie dolci compongono il bouquet olfattivo di questo vino. Assaporandolo, nonostante il corpo abbastanza intenso, resta imponente la sua sapidità e acidità.
Tesori enologici d’Irpinia: le creazioni della Cantina Vini De Stefano
Di Cristina Santini
L’Irpinia, terra campana, è un territorio dalle valenze ambientali e paesaggistiche notevoli, caratterizzato da una bellezza naturale che affascina chiunque vi ponga lo sguardo.
Deve il suo nome agli Irpini, in latino Hirpis, una tribù di stirpe sannitica e di lingua osca, Hirpus in osco ossia lupo, che abitava in epoca preromana vaste zone dell’Appennino campano.
La leggenda narra che un lupo avrebbe guidato gli Irpini fino alle terre in cui essi si sarebbero poi insediati.
La Regione, che ospita la più alta concentrazione di vigneti, è circondata da valli ed alture, attraverso le quali si inerpicano numerosi fiumi e torrenti. L’orografia del territorio, con altitudini comprese tra i 300 e i 1800 metri sul livello del mare, contribuisce a creare microclimi unici che variano a seconda delle zone e consentono di produrre differenti tipologie di vini.
In particolare, il versante Tirrenico, che è quello più adatto alla viticoltura, è montuoso e discontinuo, ricco di vegetazione e di acque, con terreni di origine argilloso-calcarei e vulcanici che hanno beneficiato dell’attività effusiva delle tre zone vulcaniche circostanti: il Vulture, il Vesuvio e i monti del casertano. Nel corso dei secoli, l’accumulo di diversi strati di cenere e lapilli ha dato vita a depositi tufacei e arricchimenti in minerali.
L’area vitata è suddivisa in due zone: una che costeggia il fiume Calore, dove l’Aglianico regna sovrano; l’altra, sulle colline attraversate dal fiume Sabato, è più favorevole ai vitigni a bacca bianca. Sui suoli di arenarie, in pendenza media, prospera l’antico vitigno Greco, mentre il Fiano è allevato su terreni leggeri e profondi di origine vulcanica.
In questo luogo, dove le idee hanno preso forma e qualcosa di straordinario è nato, Francesco De Stefano, un giovane imprenditore irpino, ha dato vita nel 2017 al progetto dell’azienda vitivinicola Vini De Stefano. Guidato dalla passione per la propria terra e l’enologia e seguendo le orme del nonno, ha creato un’azienda dinamica e innovativa con l’obiettivo di produrre vini di alta qualità con una forte attenzione alla tradizione e all’autenticità del territorio.
Venti ettari di terreno coltivati su questa generosa e fertile terra, producono circa 70.000 bottiglie all’anno. Attualmente, la distribuzione è principalmente a livello nazionale, ma con un occhio rivolto al mercato internazionale, in particolare in paesi come Giappone, Germania e Svizzera.
L’Irpinia è stata riscoperta grazie all’enologo Antonio Mastroberardino che ha dimostrato come la combinazione di metodi tradizionali e tecnologia moderna possa creare vini di alta qualità e nel tempo ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) per tre vini di fama internazionale: Taurasi, Greco di Tufo e Fiano d’Avellino.
Esploriamo allora con attenzione la selezione completa dei vini bianchi e rossi di Francesco De Stefano con le nostre considerazioni di rito:
FREJA, Falanghina Igt 2022, il cui nome si rifà ad una dea dall’aspetto elegante e raffinato e dall’indole coraggiosa e determinata, veneratissima dai popoli nordici.
Ha un impatto olfattivo elegante con sentori di frutta bianca esotica, pesca gialla, note agrumate e con una leggera nota alcolica. Si percepiscono anche sentori di miele e un leggero tocco floreale. La beva è piacevole, con un’acidità spiccata che risalta all’inizio e si conclude con un dolce finale. Tuttavia, sembra che l’equilibrio sia ancora sbilanciato verso l’acidità, probabilmente per la sua giovane età, ma allo stesso tempo è un vino che rimane a lungo in bocca, lasciando sensazioni e sapori che persistono dopo averlo degustato.
ADAMAS, in latino diamante, attribuito al Greco di Tufo Docg 2022 che, proprio come il minerale di origine naturale più duro che si conosca, è in grado di resistere nel tempo. Il suo processo di vinificazione e affinamento è identico agli altri bianchi.
Profumo intenso e gradevole della mela golden, fiori di camomilla e del rosmarino appena colto. il sapore fresco e seducente che si posa sul palato, come un bacio leggero è giunto a noi senza perdere il suo fascino.
Ma c’è di più. La freschezza spiccata che si fa strada, come una brezza mattutina e la nota minerale aggiungono ulteriore complessità insieme alle intriganti trame di pietra focaia. È come se avessimo assaporato un pezzo di eternità, racchiuso in una fragranza.
APIA’, Fiano di Avellino Docg 2022 che porta il nome dell’uva di una vigna antica che originariamente era chiamata “uva apiana” e della città di Apia del Peloponneso. Furono proprio gli abitanti di questa città i fautori della nascita di questo vitigno a bacca bianca. La sua vinificazione avviene con una pigiatura a grappoli interi, una malolattica svolta parzialmente e un affinamento di un anno in silos di acciaio.
E’ un vino intrigante e complesso. Origano, fiori di campo, pesca gialla e un carattere minerale e vulcanico si fondono in un bouquet aromatico. La lunghezza e la balsamicità sono accompagnate da una piacevole acidità e freschezza bilanciate. La salivazione importante invita ad un altro sorso che insieme all’elemento erbaceo aggiunge un tocco di natura. Si caratterizza per la sua sbalorditiva beva e godibilità che può migliorare nel tempo.
SALUBER è il nome scelto per l’Irpinia Campi Taurasini Doc 2019, per omaggiare la salubrità di questa terra.
La sua vinificazione consiste nella macerazione per 12 gg circa, starter di lieviti autoctoni e malolattica svolta completamente in legno. Affinamento in barrique di rovere francese per tre anni e 4 mesi in bottiglia.
Questo Aglianico in purezza, situato nei dintorni dei fiumi irpini, regala un aroma intrigante e coinvolgente di fico, prugna e rosa, una sfumatura di vaniglia che si fa strada amalgamandosi alla nota speziata di liquirizia conferendo profondità al vino.
La struttura sembra promettente, l’acidità vivace, mentre i tannini potrebbero aver bisogno di un po’ più di tempo per ingentilirsi. Si fa notare con una presenza decisa e una lunga persistenza in bocca. In definitiva, abbiamo tra le mani un vino degno di nota che ha ancora spazio per evolversi e rivelare ulteriori sfaccettature.
CORTICI’, Irpinia Aglianico Igt 2021, un rosso energico e vigoroso le cui uve provengono dai vigneti allevati su una collinetta nota come “Coticimolo” tra i Comuni di Contrada e Montoro. Passa il suo tempo affinandosi in barrique per dieci mesi e sei mesi bottiglia.
Il bouquet intenso e profumato come la rosa violetta e la fragranza dei frutti rossi maturi, concentrati come more, prugne, e ribes promette un’esperienza sensoriale avvolgente. Al sorso, l’eleganza si manifesta con ciliegia, tannini setosi e un’acidità perfettamente bilanciata. Questo vino è fresco, godurioso, persistente e armonioso. Una bella bevuta per gli amanti del vino, da gustare con piacere.
TAURASI, Aglianico Docg 2019 nasce da uve attentamente selezionate nei vigneti allevati sui pendii del Calore, del Sabato e dell’Ofanto. Affina in tonneaux e barrique di Allier nuove di media tostatura per quattro anni e ulteriore riposo in bottiglia.
Il naso, attraente e intenso, danza tra le sensazioni di marmellata di more, ribes nero e un tocco di put pourri.
Il sorso super avvolgente, come un abbraccio caloroso, richiama la beva come una melodia che si ripete nella mente. Il calore si fonde con i tannini e l’acidità creando un equilibrio armonioso. Un mix di caffè tostato, cioccolato fondente e speziatura leggermente piccante gioca con un legno ben integrato, molto gradevole che lascia un segno indelebile. Ha grande potere di invecchiamento, come un libro che si apre lentamente nel tempo.
Un viaggio nei sensi in Umbria alla Cantina Barberani
Di Adriano Guerri
Gennaio 2024
Assieme ad amici della Delegazione AIS Siena ci siamo recati presso la Cantina Barberani per una visita e degustazione dei loro vini.
La Cantina si trova a Baschi, a poca distanza dal centro storico di Orvieto, nel cuore verde dell’Umbria e nell’areale dell’Orvieto Classico.
La cantina
La tenuta è immersa tra le dolci colline attorno al Lago di Corbara e vanta 55 ettari vitati, sui quali affondano le radici di varietà sia alloctone sia autoctone, quali, Cabernet, Merlot, Chardonnay e Sauvignon, Grechetto, Trebbiano Procanico, ossia il Trebbiano toscano, Moscato e Sangiovese. I suoli sono di origine vulcanica e ricchi di calcare e argilla, il clima è ideale per l’allevamento della vite e caratterizzato da notevoli escursioni termiche tra le ore diurne e notturne.
La dedizione a questa passione é di ben tre generazioni, fondata nel 1961 da Vittorio Barberani, il quale passerà il timone negli anni ’70 a Luigi e Giovanna Barberani, i cui figli Bernardo e Niccolò che attualmente guidano l’azienda, le hanno dedicato un vino nel 2011 per l’occasione del 50° anniversario dell’azienda. I coniugi Barberani erano molto lusingati del vino a loro dedicato, ma al contempo scettici e non troppo d’accordo con la scelta dei figli.
Sempre rispettosi dell’ambiente e della natura, Barberani pratica il regime biologico da diversi anni. I vini sono caratterizzati da una grande finezza, da uno stile nitido e lineare. Nel periodo autunnale nei vigneti attorno al lago si sviluppano fitte nebbie che sono ideali per lo sviluppo della muffa nobile (Botrytis Cinerea) e che danno origine al Muffato Calcaia. La cantina è circondata dai vigneti ed è munita di tutte le più moderne attrezzature per la produzione del vino. La famiglia Barberani si avvale della collaborazione dell’esperto enologo Maurizio Castelli, assistito da Niccolò Barberani.
La DOC
L’Orvieto Doc è un noto vino bianco italiano che gode di una fama planetaria . La cittadina orvietana è molto legata a questo vino, fiore all’occhiello dell’ enologia italiana, che con enorme piacere le ha donato il proprio nome. L’areale si estende intorno alla meravigliosa cittadina umbra in provincia di Terni per quanto riguarda la denominazione Orvieto Classico, mentre per la denominazione Orvieto si estende sino ad arrivare nel Lazio, nella contermine provincia di Viterbo, trattasi di denominazione interregionale.
I vitigni prevalentemente coltivati e utilizzati per la produzione della Doc, sono il Procanico derivante dal Trebbiano Toscano ed il Grechetto, tuttavia possono essere impiegati altri vitigni bianchi come il Verdello, la Malvasia Toscana ed il Drupeggio. I terreni sono in prevalenza vulcanici e capaci di dare origine a vini sapidi e minerali. Il vino “Orvieto” viene prodotto nelle tipologie secco, abboccato, amabile, Superiore e dolce; ottenuto da uve botritizzate.
Orvieto si erge su una rupe di tufo, al di sotto della quale si trovano cantine scavate nel tufo, ove i vini vinificano e maturano. L’Orvieto Doc, a tavola trova abbinamento con molte preparazioni culinarie e in base alla tipologia va bene dall’antipasto al dessert.
I vini degustati :
Castagnolo Orvieto Classico Superiore Doc 2022 – Grechetto 70% e Procanico 30% – Giallo paglierino, al naso è intenso e complesso con sentori di fiori di campo, mela, susina e agrumi, al gusto è piacevolmente fresco, sapido e persistente, suadente e dotato di una buona piacevolezza di beva.
Luigi e Giovanna Orvieto Classico Superiore Doc 2021 – Grechetto 80% e Trebbiano Procanico 20% – Giallo paglierino intenso, emana note di ananas, mango, papaya e zagara, al palato è avvolgente, armonioso e incredibilmente persistente.
Polvento Umbria Igt Rosso 2019 – Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon – Rosso rubino intenso, all’olfatto si percepiscono sentori di lampone, ribes, amarena e spezie dolci, al palato è setoso, coerente e decisamente duraturo con freschezza che invita ad un sorso successivo.
Calcaia Orvieto Doc Classico Superiore Muffa Nobile 2020 – Grechetto e Trebbiano Procanico – Giallo dorato, naso elegante di mielie d’ acacia, fichi secchi, zafferano e datteri, al palato è suadente, piacevolmente morbido, dolce e persistente.
Sapete che il luogo che accoglie attualmente la cantina di Beppe Marino è ricco di sacralità? Andiamo a scoprirne il motivo!
Di Elsa Leandri
Gennaio 2024
Siamo nelle Langhe e più precisamente a Santo Stefano Belbo, città a molti conosciuta per avere dato la nascita al celebre scrittore di “La Luna e i Falò”, Cesare Pavese. In questo comune della provincia di Cuneo è presente un edificio il Monastero della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Rivalba, congregazione fondata nel 1875 da Don Clemente Marchisio e da Rosalia Sismonda e tuttora dedita alla produzione di ostie per la Santissima Eucarestia.
Può sembrare curioso il fatto che questo convento sia noto anche come “Monastero del vino bianco”, ma in realtà questo “soprannome” è legato al fatto che le suore siano state impegnate per più di un secolo nell’elaborazione del cosiddetto “vino da messa”, a base di uve moscato, che veniva richiesto per officiare la liturgia non solo dalle parrocchie di tutta Italia ma anche dal Vaticano.
Il monastero in seguito alla mancanza di novizie e con la presenza di solo due suore ha chiuso e ha, di conseguenza, interrotto la produzione del “vino da Messa” nel 2010, ma è proprio qui che nel 2016 Beppe Marino ha deciso di trasferire la sua cantina, ridando così nuovamente vita alla regola del codice Pio-Benedettino “Vinum debet esse naturale de genime vitis et non corruptum” (il vino deve essere naturale del frutto della vite e non alterato).
La realtà dell’azienda Beppe Marino affonda le proprie origini nel 1972 e conta, ad oggi, 13 ettari di vigneti dislocati a circa 400 m. s.l.m. tra i comuni di Santo Stefano Belbo, Mango d’Alba e di Castelnuovo Calcea, in cui i terreni sono principalmente di tipo arenaceo-marnosi.
La forza di questa impresa è da una parte la passione che coinvolge tutta la famiglia, in quanto Beppe è affiancato costantemente da sua moglie Rosalba e da suo figlio Maurizio, e dall’altra l’avere dislocato i propri vigneti in zone vocate per la produzione non solo di moscato, ma anche di altri vitigni autoctoni come barbera, dolcetto, freisa, brachetto e di alcuni internazionali come chardonnay e pinot.
La loro affermazione nel mercato vitivinicolo è collegabile principalmente ai vitigni identitaria con il Piemonte e al fine di poterne capire la vocazione vi proponiamo una degustazione di tre delle loro etichette in cui si esprimono come solisti la barbera o il moscato.
Degustazione di Elsa Leandri
Momparone Barbera D’Asti Superiore DOCG 2019 – ottenuto da uve barbera allevate nei comuni di Vinchio e Vaglio in provincia d’Asti, con una prevalenza argillosa-calcarea così da esprimere maggiormente la tipica acidità della barbera.
Carminio con riflessi granato. Si apre con sentori di ciliegia e di lampone in gelatina su un manto di petali di rosa rossa ravvivati da effluvi di cardamomo, rabarbaro e da delicati echi di vaniglia, tabacco e cioccolato. Il fresco impatto si declina sulla piccola frutta rossa ed è accompagnato da un grip tannico piacevolmente speziato. Finale di pralina di amarena.
Pietre Barbera D’Asti DOCG 2021– Carminio impenetrabile. Il profilo olfattivo ci racconta di un bouquet di viola e di rosa e di confettura di marasca impreziositi da brezze d’eucalipto, maggiorana e salvia. La caratteristica freschezza del vitigno è in parte frenato dalla componente psudocalorica e glicerica offrendo una lunga chiusura di ciliegia sciroppata.
Muray Moscato D’Asti DOCG 2022 – ottenute da uve moscato del comune di Santo Stefano Belbo in cui l’alternanza di strati di tufo e roccia conferiscono struttura e mineralità al moscato.
Verdolino di lieve intensità. Si esprime con i profumi classici e tipici dell’uva aromatica moscato: rosa bianca, muschio, salvia e ricordi di pesca nettarina. In bocca la delicata dolcezza guida il sorso chiudendosi su una scia di albicocca.
Lago di Toblino, il suo castello e i vini della Cantina Toblino tra specchi di acqua e la brezza “Ora del Garda”
Di Elsa Leandri
Conoscete il Lago di Toblino? È considerato il più romantico della zona della Valle dei Laghi anche per la presenza, su una penisola, dell’omonimo Castel di Toblino, che dona un particolare fascino e che regala un’atmosfera onirica tanto da far sognare tutte le coppie innamorate di baci rubati, parole sussurrate e turbinii di balli. Qui le montagne custodiscono gelosamente e proteggono numerosi altri specchi d’acqua alpini con le loro acque trasparenti che offrono pace all’anima desiderosa di quiete e di bellezza.
Questa zona è resa ancora più magica dalla vegetazione che ci riporta paradossalmente lungo le coste tirreniche grazie alla presenza di un clima mediterraneo che permette la crescita di piante come lecci, olivi, limoni e rosmarino: profumi e immagini creano un mondo paradisiaco.
Non lontano da questo lago possiamo scorgere la Cantina Toblino, una cantina cooperativa attiva dal 1960 che accoglie ad oggi più di 600 soci conferitori, tutti aventi i propri vigneti nella zona compresa tra la sponda nord del lago e il confine a sud del paese Pergolese.
Si capisce chiaramente che la mission della cantina sia quella di valorizzare il proprio territorio ponendo un’attenzione particolare non solo nell’introduzione di macchinari nuovi o di pannelli fotovoltaici ma anche nell’accoglienza turistica con Hosteria, un’osteria che propone i piatti tradizionali accompagnati dai vini della cantina.
I vini prodotti sono numerosi andando dai vini bianchi ai dolci passando per rosati e rossi, di cui diversi anche bio rispondendo così a tutte le esigenze dei palati.
Per capire meglio la loro filosofia abbiamo avuto modo di degustare i vini che riportiamo qui di seguito:
Da tutti gli assaggi In questa occasione non tratteremo tutte le etichette degustate, ma ci soffermeremo sulle 3 che ci hanno emozionato maggiormente che sono tra l’altro rappresentative dei vigneti tipicamente trentini:
Trentino Doc Kerner 2021
Il kerner è definito l’uva di montagna per definizione tanto che l’uva proviene dall’area del Bleggio in cui i vitigni sono a un’altitudine di circa 750 m. s.l.m
Paglierino con riflessi verdolini. Profilo olfattivo varietale in cui la verbena e il lemongrass formano un tappeto ravvivato da sentori di cedro e di mela con echi di caprifoglio e acacia. L’entrata in bocca vibrante dinamicizza la bocca dissolvendosi lentamente con saporosità su una scia agrumata.
Trentino Doc Schiava 2020
Ottenuto principalmente da Schiava Gentile con un appicco percentuale di Schiava Grossa. In questo caso i vigneti sono a 450-500 m. s.l.m. e i terreni sono di origine alluvionale.
Carminio lucente. Impatto olfattivo elegante che si delinea su un bouquet di glicine, viola e ciliegia accarezzato da effluvi balsamici e da richiami di erbette aromatiche. La sensazione pseudocalorica viene mitigata dalla freschezza fruttata che si interseca su dei tannini ancora in integrazione.
Trentino doc Lagrein 2021
Il Lagrein viene coltivato nella piana alluvionale creata dal fiume Sarca con la presenza di terreni pietrosi e calcarei.
Rubino di media intensità. Mirtilli, mora, ribes e marasca si susseguono su un manto floreale di peonia e violetta. Leggeri echi speziati di liquirizia e vaniglia e di humus in chiusura. La sinergia tra freschezza e grip tannico è tale da offrire un sorso pieno e vivace che si allunga su un finale di gelatina di lampone.
Tutti gli assaggi sono stati considerevoli ma questi si sono davvero distinti e se volessimo aggiungere altre due etichette sarebbero il Vigneti delle Dolomiti Teroldego 2020 e il Trentino Doc Muller Thurgau 2021: il legame tra vitigni autoctoni e territorialità è davvero molto apprezzabile ed è egregiamente custodita da Cantina Toblino.
A Salerno, presso il Saint Joseph Resort, si è svolta l’ottava edizione del contest 3B Untold, la rubrica di Decanto.
Di Carol Agostini
Esperti del settore, giornalisti e sommelier di varie associazioni, suddivisi in quattro commissioni, sono stati chiamati ad eleggere i migliori tra i vini di quelle che all’estero vengono definite “le 3B del vino italiano”: Barolo, Barbaresco e Brunello di Montalcino.
La degustazione si è svolta secondo lo schema dei blind tasting orizzontali, ovvero le 52 referenze di Barolo e Barbaresco – in batterie da sei vini – e le 44 referenze di Brunello di Montalcino – in batterie da cinque – sono state assaggiate e valutate dalle commissioni esaminatrici rigorosamente alla cieca, al fine di eleggere i migliori vini che si sono aggiudicati il premio Tre Cavatappi.
I criteri di valutazione sono stati espressi da ciascun giurato attraverso un punteggio in scala da uno a cinque, per ciascuno dei seguenti ambiti: attrattività, espressività, iconicità, piacevolezza/prospettiva e coerenza.
I Premi Assegnati
Sulla base della media aritmetica dei punteggi assegnati dai degustatori sono stati assegnati i Cavatappi di Decanto:
Da 15 a 17 punti UN CAVATAPPI
Da 18 a 20 punti DUE CAVATAPPI
Da 21 a 25 punti TRE CAVATAPPI
Sono stati poi premiati i vini che hanno totalizzato il punteggio più alto nelle seguenti categorie:
Miglior vino
Vino più tipico
Vino con maggiore rapporto qualità-prezzo
Vino con la migliore etichetta (assegnato dai follower di Decanto sui social network)
A questi premi si è aggiunto anche quello di “Migliore Cantina“, assegnato all’azienda che ha ottenuto il punteggio più alto sommando quelli ottenuti da due referenze, e quello di “Migliore Cantina Emergente” all’azienda fondata negli ultimi venti anni sempre con lo stesso criterio.
Decanto è stato inoltre Media Partner del Paestum Wine Fest dove il 26 marzo – presso il padiglione di Decanto Untold – all’interno della kermesse, è stato possibile assaggiare proprio i vini che si sono aggiudicati i Tre Cavatappi.
Il Premio “Rosso dell’Anno” Dei Migliori Vini: Una Giuria di Esperti del Settore Rivela i Vincitori
Un evento enologico di risonanza internazionale ha visto la luce con il Premio “Rosso dell’Anno“, una celebrazione dell’eccellenza vinicola che ha coinvolto una giuria di esperti del settore, unitamente al team Decanto. L’obiettivo? Assaporare e valutare, alla cieca, i vini migliori tra i migliori.
La Sfida Epica Tra le 9 Referenze Vincitrici
Nel corso delle precedenti otto edizioni del contest “Untold,” ben nove referenze avevano conquistato il titolo di vincitrici. Un confronto epico si è tenuto quando queste eccellenze vinicole si sono sfidate per la prima volta, in un assaggio alla cieca che ha messo alla prova il palato e il discernimento dei giudici.
Hanno preso parte alla giuria in ordine alfabetico:
• Andrea Annunziata, Direttore Editoriale, Decanto
• Danilo Amapani, Redattore, Decanto
• Francesco Corsi, Giornalista, Carlo Zucchetti
• Gaetano Cataldo, Giornalista, Mediterranea Online
• Lorenzo Colombo, Giornalista, ioeilvino.it
• Luigi D’Acunto, Titolare, Decanto
• Roberto Garofalo, Sommelier & Wine Blogger, Decanto
• Simona Geri, Wine Expert, The Winesetter srls
I vini assaggiati:
1. Le Fonti – Panzano – Chianti Classico 2018
2. Le Berne – Vino Nobile di Montepulciano 2018
3. Col d’Orcia – Brunello di Montalcino Riserva “Nastagio”, 2016
4. Castello di Cacchiano – Chianti Classico Gran Sel. “Millennio” 2015
5. Strapellum – Aglianico del Vulture Sup. “Tenute Piano Regio” 2016
6. Anzivino – Gattinara Riserva “Cesare” 2017
7. Cantine Povero – Barbaresco “Batù”, 2019
8. Cascina Bongiovanni – Barolo “Pernanno”, 2018
9. Bianchi – Ghemme 2013
La Selezione del “Rosso dell’Anno” Scoperta Dagli Esperti
Nel contesto dell’evento, ciascun membro della giuria ha avuto l’opportunità di indicare le proprie tre preferenze, indicando il numero delle calze in cui erano custoditi i tre migliori vini in competizione.
Dopo una rapida conta dei voti, è stata la “calza 7” a rivelare il vino decretato “Rosso dell’Anno,” che ha conquistato il cuore di ben sette giurati.
Il prestigioso riconoscimento del “Rosso dell’Anno” è stato attribuito al Barbaresco “Batù” del 2019, prodotto dalle Cantine Povero.
Per completezza, va notato che le tre selezioni effettuate dalla giuria sono state, nell’ordine: il Vino Nobile di Montepulciano, il Chianti Classico e il Barbaresco, tutti dignitosi rappresentanti dell’arte vinicola.
Conclusione
E’ stata un’esperienza intensa che ho vissuto grazie all’invito di Luigi D’Acunto di Decanto e il collega, grande esperto enogastronomico Gaetano Cataldo, con me a vivere tutto ciò la collega Cristina Santini con la quale portiamo avanti il progetto www.Papillae.it e Fabio Pascucci Pepi direttore amministrativo della cantina Col D’Orcia, in rappresentanza della cantina .
Alle origini di Diego Filippa 2018 vino, bollicine, passione
Di Elsa Leandri
La storia della cantina affonda le sue radici all’inizio del ‘900 con il bisnonno Giuseppe. Il nonno Clario e i figli Giorgio e Arturo pongono le basi di un’azienda agricola in cui non solo si coltiva vite ma ci si dedica anche all’allevamento della razza piemontese. Siamo in periodo di migrazione dalle campagne e molti dei cugini Filippa si spostano nella città delle Mole Antonelliana portando con sé dei prodotti tipici della loro terra: immancabile il vino, il dolcetto, che diventa in questo modo conosciuto e apprezzato dai torinesi.
Ed è così che l’azienda inizia ad affermarsi nella capitale sabauda, con il passaparola: la gestione attenta del nonno è tale che a primavera prendeva carta e calamaio e scriveva ai suoi clienti spiegando come era stata l’annata e quali erano le caratteristiche del vino che aveva a disposizione dando la possibilità di ordinarlo e di ritirarlo direttamente alla stazione di Porta Nuova: l’era delle prime newsletter e delle prime spedizioni che viaggiavano su rotaie!
Una volta finito l’istituto professionale nel 2015, Diego entra attivamente in cantina rinnovandola e dando vita nel 2018 all’attuale cantina Diego Filippa. È con emozione e con fierezza che racconta che tra i suoi più fedeli acquirenti annovera ancora i discendenti dei primi clienti che Clario aveva fidelizzato all’inizio della sua attività.
Passato e futuro. Diego sa bene che quello che ha e che sa lo deve proprio al suo bisnonno, a suo nonno e a suo padre. Tutto questo è racchiuso nel simbolo che rappresenta l’azienda agricola ovvero l’albero della vita stilizzato. È un modo per sottolineare la rinascita di una cantina storica con un’impronta più giovanile, ovvero una nuova era per questa realtà che si fonda su basi solide. E le basi solide sono la conoscenza e la vicinanza del padre Arturo e del fratello Mirco, l’enologo di famiglia che segue la parte più tecnica.
La gestione dei 13 ettari vitati che si trovano tra Castiglione Tinella e Agliano Terme sono gestiti da Diego, che supervisiona e segue ogni sua barbatella. I terreni a Castiglione Tinella, che sono calcareo arenacei, sono maggiormente vocati alla produzione di uve a bacca bianca, mentre in quelli calcareo-argillosi di Agliano Terme sono i vitigni a bacca nera a esprimersi. Inutile dire che la produzione maggiore è rappresentata dal moscato bianco fiore all’occhiello della cantina e vitigno che occupa un posto di privilegio nel cuore di Diego.
“Perché il moscato è quella cosa che offri quando ti arriva qualcuno a casa all’improvviso, è convivialità”. Il vino al centro della convivialità o forse meglio dire la convivialità che ruota attorno al calice, Diego lo trasmette nelle etichette di tutte le sue bottiglie in cui è raffigurato un bicchiere rovesciato che delinea anche due volti di profilo.
La degustazione
In degustazione tre dei vini prodotti dall’azienda, il Langhe Bianco, la Barbera d’Asti e il Moscato d’Asti.
Langhe Bianco DOC 2022(85% chardonnay, 15% cortese). Qui il vitigno autoctono incontra l’internazionale offrendo sentori di ginestra e acacia, di pesca nettarina e di scorza di agrumi con in chiusura rimandi di erba tagliata, maggiorana e lemongrass. Fresco e sapido al sorso tale da accompagnare un carpaccio di tonno.
Nel Barbera d’Asti DOCG2022 spiccano i sentori varietali: rosa, lampone e sottobosco. Al sorso la freschezza della barbera è accompagnata da un tannino non perfettamente integrato con un finale speziato.
E per concludere il Moscato d’Asti DOCG 2022.L’aromaticità del vitigno si esprime con le tipiche note di salvia che si intrecciano a effluvi di mughetto, amamelide e pesca bianca. La delicata dolcezza è ravvivata dalla viva freschezza e dalle leggere bollicine che solleticano il palato risultando molto piacevole. Finale di cedro candito.
Abbinamento dell’autrice
Su suggerimento di Diego l’ho abbinato, anziché a un dolce, a un crostino con burro e acciughe del Cantabrico, un accostamento che personalmente non avrei mai osato e che invece mi ha sorpreso e sedotto!
I segreti del Lugana: il bianco del Lago di Garda che sfida il tempo LUGANA ON TOUR A ROMA 2023
Di Cristina Santini
Torniamo a parlare delle fondamenta del terroir, rintracciabile e riconoscibile nel vino prodotto in questa area, espressione di un territorio ben distinto caratterizzato da fattori naturali quali chiavi di lettura e connubio perfetto fra clima, posizione, terreno e persone.
Siamo a Roma presso il Giardino d’Inverno di Villa Laetitia Fendi dove il Consorzio continua la sua opera di promozione e lo fa in maniera eccelsa con il suo Presidente, Fabio Zenato che apre l’incontro:
“Oggi per noi è un momento importante perché testimonia un percorso che vuole avvicinare sempre di più il calice del Lugana al mondo della comunicazione, al mondo dei consumatori, dei wine lovers che a me piacciono molto come concetto.
Qualche numero: Il Consorzio è nato nel 1990 ma parliamo di una Doc che è nata nel 1967, una delle prime denominazioni italiane. Una storia molto lunga. In questi ultimi anni ha corso molto, si è portati ad avere quasi 2650 ettari vitati, nel 2022 con 28 milioni di bottiglie prodotte delle quali, e questo è il motivo per cui siamo venuti a Roma con questo percorso che si chiama Lugana on tour nelle principali città italiane, ad avere due terzi delle bottiglie vendute all’estero.
E’ una denominazione che è molto forte all’estero e che in Italia è molto locale, nelle zone di produzione del Veneto e Lombardia. La missione è quella di farla diventare un percorso nazionale e quindi non si poteva non partire dalla Capitale.”
“Arrivando qui oggi mi sono chiesto: cos’è che potrei dire per introdurre al meglio una denominazione così particolare – che io amo da tantissimi anni – e la risposta l’avevo davanti agli occhi. La riposta è Roma. Definitiva la città eterna, quindi cos’è che rende eterno un prodotto? Ci sono due elementi fondamentali: il primo è il rispetto della natura, più rispettiamo la natura intesa anche come la storia di una città – quindi riusciamo a preservarla nel tempo, in questo Roma ha fatto un lavoro straordinario – e più gli consegnamo l’eternità.
L’altro aspetto è la bellezza che ci rende immortali. Per un vino è fondamentale provare tutti i modi ad essere eterno e per farlo è importante che rimanga sempre contemporaneo. Se c’è un vino che a mio parere è incredibilmente contemporaneo questo è proprio il Lugana.
Tanto si fa la similitudine tra il vino e la moda, in realtà se questo fosse realmente una moda sarebbe la fine perché non può permettersi di modificare il suo ciclo produttivo per la tendenza di consumo di un certo genere. E’ impossibile, tant’è che tutti quei territori che sono costretti a rincorrere le mode sono quelle denominazioni che sono più in difficoltà”.
La contemporaneità deve essere insita nel dna di un territorio e il territorio del Lugana ha tutto il codice genetico che lo rende assolutamente contemporaneo nel tempo. Il luogo di produzione ha un printing molto chiaro che è dettato dal Lago di Garda, il più grande Lago italiano, questo bacino d’acqua straordinario frutto del ritiro di un ghiacciaio di 10000 anni fa che ha portato alla nascita di questo bacino che non solo consente una fortissima mitigazione del clima con i due venti:
Il Peler, il vento freddo notturno del Nord che arriva dal Monte Baldo che domina il lago con oltre 2200 mt di altitudine e l’Ora, il vento caldo diurno del Sud che consente una costante ventilazione che determina una salubrità importante per le uve e consente al vitigno di essere unico ed esprimersi al meglio.
La Turbiana, regina bianca del Garda e protagonista della Doc Lugana, lambisce cinque comuni tra due Regioni, Lombardia e Veneto, che regala vini assolutamente riconoscibili, peculiari, anche rispetto a dei Trebbiani come quello di Soave, grazie all’impatto climatico dei suoli di queste colline moreniche determinate da stratificazioni generate nel tempo di argille e calcare, una presenza di sali minerali che è tra i più elevati a livello internazionale.
Il suolo è il vero custode del profilo organolettico che rende questo vino unico, ad altissima bevibilità, con quella sapidità e mineralità che garantisce freschezza nel tempo e che oggi è uno dei fattori determinanti del successo dei vini bianchi.
Ci siamo accorti come esistano delle diversificazioni estremamente interessanti dovute alla plasticità del suolo che a seconda del terroir di appartenenza anche a pochi chilometri di distanza genera vini profondamente diversi.
Altro valore aggiunto è la scelta della Denominazionedi avere cinque diverse interpretazioni, dallo spumante alla vendemmia tardiva, che testimoniano anche in questo caso che non solo il Lugana è contemporaneo ma riesce anche ad intercettare differenti modelli di consumo.
Due gli elementi fondamentali: da un lato la possibilità di avere una sua immediatezza nella beva anche nelle annate più giovani ma anche una potenzialità in termini di longevità straordinaria come pochi altri.
Dall’altro lato mi piace sottolineare che i 210 produttori sono quasi tutti piccoli e medi produttori e questa è una caratteristica rara tra le Denominazioni del vino italiano.
Questo non significa che la presenza di grandi imbottigliatori o di grandi cooperative sia un fattore negativo ma indubbiamente influisce sia su quello che potrebbe essere il posizionamento medio del prezzo del prodotto ma anche quella che potrebbe essere l’interpretazione di quella denominazione perché se c’è una caratteristica vitale che hanno i vignaioli è di provare più di tutto ad esaltare ciò che la terra in maniera autentica gli dona.
Si parla di vini complessi e di facile beva, gastronomici e versatili, con una spalla acida importante, croccanti, fragranti, sapidi, minerali, e al tempo stesso con quella rotondità naturale che li rende anche accessibili, democratici ad un pubblico trasversale vastissimo.
Una doppia capacità di essere immediato e longevo dovuta in particolare alla presenza elevata di acido tartarico che consente da una parte di avere tanta freschezza e fragranza che lo rende bevibile, ma anche di essere quel fattore che aumenta fortemente il potenziale di longevità. E’ per questi motivi che il Lugana è un bianco di successo!
Nonostante sia una piccola denominazione, ha tanta voglia di farsi conoscere nel miglior modo possibile a partire dal nostro Paese considerato un mercato strategico.
Ci sono Lugana eccellenti fortemente legati alla loro immediatezza, altri come la tipologia superiore che hanno una certa modalità di affinamento, un uso sapiente del legno per delle riserve interessanti o delle vendemmie tardive che regalano un’altra ricca interpretazione.
Il 90% della denominazione è rappresentato dal Lugana nella versione più immediata. Il Lugana Superiore esce con un anno di maturazione dalla vendemmia, la Riserva con almeno 24 mesi di affinamento di cui sei in bottiglia e la versione tardiva con surmaturazioni delle uve vendemmiate fine ottobre inizi novembre concede al vino un aumento della dolcezza, ma con un gusto decisamente fragrante, piacevolmente fresco che non annoia mai, caratteristiche intrinseche nella Turbiana.
Vi presento gli otto produttori oggetto della degustazione con le mie conclusioni di rito:
Azienda Agricola Brunello “Etichetta Nera” 2022
Piccola Azienda storica con 6 Ha a Pozzolengo, sulla sponda bresciana del Garda, fondata nel 1930 dal Nonno Battista – il primo a piantare due ettari di Lugana – fino ai giorni nostri con il il nipote del fondatore che porta avanti la sua opera.
Da un’annata con grande siccità con temperature molte elevate che poi ha sorpreso al tempo stesso per le piogge di fine agosto, il clima è tornato ad avere una grande escursione termica tra il giorno e la notte e questo associato alla terra argillosa che è in grado di trattenere la minima quantità di acqua, ha permesso alle piante di riattivarsi più velocemente rispetto ad altre zone.
Due grandi famiglie olfattive descrivono questo calice, in questa fase più giovanile, ovvero sensazioni agrumate che regalano freschezza alle quali si aggiungono quelle di frutta gialla (pesca, albicocca) e quelle leggere di frutta tropicale (banana, ananas). Il mondo floreale con i suoi fiori selvatici, con le note balsamiche come mentuccia, zafferano, tiglio accompagnano il frutto dominante.
Alla beva sapidità, fragranza e croccantezza sono sempre avvolte da una sensazione di maggior rotondità e da una piacevole voglia di ritornare ad un secondo sorso.
Citari “Conchiglia” 2022
Avviata nel 1975 da Francesco Gettuli, la Cantina si trova nel Comune di Desenzano del Garda, sotto la torre suggestiva di San Martino della Battaglia, terreni di conflitto della seconda guerra di Indipendenza in parte morenici, magri e più sassosi che scendono verso l’argilla.
Un Vino dal giusto bilanciamento tra i due suoli, dal nome che deriva proprio dalle conchiglie fossili marine sedimentate tra le rocce e le pietre che il ghiacciaio ha portato fin qui.
Vinificato in acciaio con permanenza di sei mesi sulle fecce fini, regala un naso più complesso ove ritornano le note agrumate, floreali, di frutta gialla, come pesca e albicocca, ma che al sorso ritrova questa forte mineralità, sapidità che rimane un marchio di fabbrica così indelebile che caratterizza fortemente questa Denominazione e in alcuni vini come questo può essere più spiccata e di maggior eleganza. Uniforme nella sua bevibilità.
Cascina Le Presceglie “ Hamsa” 2021
L’agriturismo, di Cristina Bordignon, è situato a San Martino della Battaglia e costituito da un casale antico del 1805 circondato da 13,5 ha di vigne coltivate sulle argille bianche che hanno circa 35 anni di età.
“Hamsa” è il nome nato dalla passione di Cristina per lo Yoga e per la mitologia indiana raffigurante il cigno bianco riportato in etichetta, simbolo di purezza e di regalità, elementi comuni che ritroviamo gradevolmente nel suo calice di Lugana.
Uve frutto di una vendemmia bella, sana, di grande soddisfazione processate con una fase inusuale ovvero con il lavaggio e la disinfezione che ha permesso, dopo tante sperimentazioni e investimenti, di arrivare ad ottenere un vino più salubre. Una parziale criomacerazione permette di mantenere inalterata più possibile la freschezza ove torreggiano profumi di lime intenso, frutto della passione e a polpa bianca come pera, pesca. Uno spettro olfattivo aromatico ampissimo. Grande sapidità e rotondità che lo rendono speciale al palato, bevibile e replicante.
Cà Maiol “Molin” 2021
Azienda agricola di Desenzano del Garda che ha fatto la storia della Denominazione, fa parte del Gruppo Vitivinicolo Santa Margherita, nata nel 1967 dal sogno di un imprenditore milanese, Walter Contato, fino al 2018 con il passaggio di consegne alla Famiglia Marzotto. 110 ha vitati situati intorno alla struttura su un terreno di natura calcarea, variamente stratificato ad argilla compatta.
Il Molin prende il nome dal vigneto posizionato accanto alla tenuta di 13 ha, con elevata presenza di viti molto vecchie, di circa 40 anni. Il raffreddamento in cella di parte delle uve prima della spremitura soffice, l’attenta vinificazione in acciaio e il prolungato affinamento sulla feccia fine, con in più una piccola parte fermentata e maturata in legno (di piccole dimensioni e non di primo passaggio) permettono di ottenere un vino fresco, elegantemente aromatico e dal giusto equilibrio tra morbidezza e sapidità.
Non un vino di stile ma territoriale, legato alla mano dell’uomo, dove ritroviamo i classici sentori di agrumi, frutta gialla e tropicale, ma anche una leggera nuance balsamica e una spiccata acidità che rende lungo e godibile il suo sorso. Dinamico e longevo gioca su una chiusura di frutta croccante e una vivacità di sapore a dettare il ritmo gustativo.
Montonale “Orestilla” 2021
Tre fratelli alla conduzione della Cantina, giunti alla quarta generazione, Roberto Girelli enologo e Valentino Girelli agronomo si dividono i ruoli seguendo tutti i passaggi che dalla potatura portano il vino alla bottiglia finale.
Il termine Montonale deriva dal borgo dove è situata la struttura delimitata dai 35 ha di vigneto in un blocco unico considerato un Cru all’interno del panorama Lugana. L’obiettivo è interpretare al meglio, attraverso i vini, questo piccolo lembo di terra costituito da argille molte calcaree e minerali, elementi distintivi di questo territorio.
Orestilla, appellativo che deriva dal ritrovamento di un sarcofago dedicato all’omonima nobildonna romana, è il Cru all’interno del Cru: due ettari che affondano le proprie radici nell’argilla particolarmente minerale che conferisce al vino una mineralità ancora più spiccata, addomesticata da un affinamento più lungo di 2 anni, di cui il 30% avviene in botte grande di rovere piegata a vapore e 12 mesi in bottiglia.
Tonalità olfattive gustative più accese per questo calice che colpisce per la sua elegante complessità in un connubio di frutta tropicale e polpa gialla matura. Non porta mai a sensazioni eccessive che rischiano di annoiare e di indebolire la beva. E’ un’esplosione sapidamente morbida che stupisce.
Ca’ Lojera “Riserva del Lupo” 2019
Ci troviamo a Sirmione per questa realtà di Ambra e Franco Tiraboschi nata nel 1992 dalla scelta o meglio dalla sfida in un momento difficile in cui l’uva destinata a Lugana non era richiesta o scarsamente pagata. I 18 ettari di Turbiana sono dislocati intorno al corpo su argille bianche e due ettari in collina morenica dedicati a Chardonnay, Merlot e Cabernet.
Nel calice questa volta abbiamo un’interpretazione che introduce un’annata più lontana ottenuta attraverso una vendemmia tardiva con botrytis nobile che ha portato ad una surmaturazione delle uve. Aspettativa confermata da una bellissima evoluzione e una specifica identità che si presenta al naso con nette sensazioni tropicali mature, frutta sotto spirito, una freschezza invidiabile e una beva che gli dà una immediatezza straordinaria.
Dalla texture unica, di forte personalità si allunga nella sua morbidezza e fragranza di frutto che emoziona.
Perla del Garda “Riserva Madre Perla” 2018
Situata in collina morenica con vista su Sirmione, la cosiddetta Perla del Garda, l’azienda nasce nel 2006 da una famiglia che ha sempre venduto le uve fino al giorno in cui Giovanna Prandini e il fratello hanno scelto di fondare una propria cantina rendendosi conto del grande potenziale produttivo a disposizione, ad altitudini più elevate e coltivato per di più su un terreno più sassoso calcareo rispetto alle zone pianeggianti.
Il Madre Perla nasce da un esperimento felice e premiato, affinato 24 mesi sui lieviti con lavoro di batonnage in vasca di acciaio sin dal primo anno. Nel corso del tempo si è cercato di capire questa permanenza sui lieviti quale complessità potesse esprimere nel vino a differenza dell’affinamento in legno.
Una singola vigna situata nella parte bassa della collina molto sassosa viene dedicata a questo vino, lavorato in riduzione, che non ha il colore del tempo e l’espressione classica del frutto ma esprime verticalità e una sfumatura tenue nonostante l’annata.
Certamente piacevole ma che indubbiamente possa arrivare ad un’armonia ancora maggiore. Cinque anni che dimostrano la sua grande longevità.
Cantina Bulgarini “Superiore Cà Vaibò” 2016
Fausto e Virginia Bulgarini si trovano a Pozzolengo e rappresentano un’importante realtà del territorio nata nel 1930, un esempio di generazioni che convivono bene tra di loro.
Nei suoi 50 ha di vigneti, con la vendemmia manuale, la selezione dei grappoli migliori, l’appassimento. l’invecchiamento e l’affinamento in legno, valorizzano l’Oro della Lugana.
Qui viene usata la tecnica dell’appassimento in cassetta per andare a generare quella leggera surmaturazione con l’utilizzo sapiente del legno. Una parte del vino infatti viene realizzata in botte di rovere francese per circa dodici mesi dove avviene anche la fermentazione malolattica.
Siamo su sensazioni più evolute al naso sia fruttate sia floreali, con una beva armoniosa, rotonda, morbida, che evidenzia note di vaniglia, frutta tropicale matura, tabacco fresco da pipa e un’acidità ad ampio spettro su tutto il palato.
Una delle chiavi di successo del Lugana, forse la più importante, è data proprio dalle diverse interpretazioni di un vino che, pur rispettando quella che è la natura, la matrice del proprio territorio, sfruttando tutte le sfaccettature di una terra unica, portano ad un concetto fondamentale che per comprenderne il valore dobbiamo necessariamente conoscere la sua genesi, i legami con la sua terra e quello che può essere lo stile produttivo.
La denominazione gardesana si è dimostrata in continua crescita negli ultimi anni, soprattutto dal 2021, anno che entrerà
negli annali per la crescita del Lugana da sempre vocato all’export, a dimostrazione del prezioso lavoro compiuto dal Consorzio e dalle Aziende che continuano a farsi conoscere, a farsi promotori del territorio e pronti per un’accoglienza autentica.
Tiefenbrunner, viaggio in Alto Adige 2023 attraverso i calici
Di Elsa Leandri
È tutto pronto. Stiamo per effettuare questo fantastico viaggio. Non c’è bisogno di preparare le valigie perché questa volta sarà la nostra mente a spostarsi. Ed ecco che ci appaiono prati verdi, frutteti, vigneti, le Dolomiti che svettano, i castelli in lontananza, e poi si percepisce l’odore dello speck, del fieno, del latte appena munto…ci viene sete e la nostra scelta ricade su un vino locale, un bianco altoatesino di Tiefenbrunner.
Quest’azienda fa venire subito in mente la piccola frazione di Niclara, il Castel Turmhof e la Pietra Piangente (Regenstein), una roccia di tufo e di sedimenti da cui esce acqua: ma sarà semplice acqua o lacrime? La leggenda in effetti narra che queste gocce siano in realtà delle lacrime di una principessa che è stata stregata e rinchiusa nel macigno, pare che ogni 100 anni la fanciulla possa uscire alla ricerca di colui che potrà rompere l’incantesimo: chissà se nel 2023 troverà il suo amato.
Ma permettiamoci di fare un salto al Castel Turmhof: è di proprietà della famiglia Tiefenbrunner e qui c’è la sede di una delle più storiche aziende altoatesine, l’omonima cantina Tiefenbrunner. L’anno scorso, la nostra collega Cristina Santiniha avuto modo di andare a trovare Sabina e Christof, la quinta generazione della famiglia, toccando con mano i vigneti, la cantina nuova, in cui la gestione a caduta libera ne favorisce la lavorazione e quella più antica dove riposano botti e barrique. https://www.papillae.it/tenuta-tiefenbrunner-schlosskellerei-turmhof/.
Qui a difesa del castello non ci sono i quattro moschettieri, ma ci sono quattro linee di vini. D’Artagnan, Athos, Porthos, Aramis, qui prendono il nome di Vigna, Linticlarus, Turmohf e Merus.
Il mood che guida Christof è quello di assicurare nei vini la territorialità e l’espressione dei vitigni, tale da offrire prodotti di alto livello e unici.
Le Selezioni
La Selection Vigna, come il nome suggerisce, si riferisce a singoli vigneti in cui i monovitigni (Sauvignon Blanc, Müller Thurgau, Chardonnay e Cabernet Sauvignon) trovano la loro massima espressione.
La selection Linticlarus racchiude le riserve a base di solo Pinot Nero o solo Lagrein e una Cuvée degli internazionali Merlot e Cabernet.
La selection Turmohf è la linea più ricca in termini di proposte in cui i singoli vitigni autoctoni e alloctoni si esprimono offrendo vini con un potenziale di invecchiamento medio, grazie anche a un breve passaggio in legno.
Infine nel Classic Merus rientrano quei vini che non sono sottoposti a maturazione in legno e in cui si cerca l’espressione più pura del vitigno, così come suggerisce lo stesso nome (merus in latino significa puro).
Degustazione
Nel nostro calice di un paglierino vivace c’è proprio Merus Gewürztraminer 2022, un’inconfondibile gewurztraminer che si esprime con ricordi di rosa e di frutta esotica come litchi, ananas e papaya. Il tutto viene suggellato da echi di melissa e di zenzero. Il sorso è fresco e sorprendentemente saporito con un lungo finale di scorza di cedro candita cosparsa di salgemma.
Siamo incuriositi da questa linea e vogliamo degustare anche gli altri loro vini che abbiamo in cantina. Iniziamo con il Merus Müller Thurgau 2022 Tiefenbrunnerche si svela con sentori floreali di tiglio e d’acacia e fruttati di pomelo e mapo su un letto di erbette aromatiche. Attraente in bocca grazie a una decisa freschezza che lascia lentamente il cavo orale con richiami di buccia di mandarino.
Concludiamo con Merus Sauvignon Blanc 2022. Verdolino con riflessi paglierini si distingue per purezza: foglie di cassis, pompelmo, erba appena tagliata e fiori di campo ne sono l’espressione. Vivace al sorso e seducente nel suo finale di bocca sapido con ricordi di scorza di lime.
Purezza e varietale sono i termini che associano queste tre bottiglie: Christof e Sabina diventano in questo caso paladini della vite e umili custodi della sua espressione nel bicchiere riuscendo a rimanere fedeli ai propri ideali e obiettivi nel produrre vini che siano espressione del territorio e dei vitigni.
La Toscana è una regione ricca di storia, ogni strada che percorriamo ci riporta inevitabilmente a qualche evento dell’antichità. Pensiamo per esempio alla planimetria di molte città che ci catapultano immediatamente all’epoca dei comuni, in cui la presenza di una cinta muraria era fondamentale.
Molti paesi del resto sono stati edificati proprio con lo scopo di difendere l’accesso alle città più importanti, basti pensare per esempio a Monteriggioni, il cui castello fortificato è stato costruito per volontà del podestà Guelfo da Porcari tra il 1214 e il 1219 per poter assicurare alla Repubblica Senese una posizione di controllo sulla via Francigena, arteria importante che collegava la Francia a Roma, e sulle valli dell’Elsa e dello Staggia in direzione Firenze (sua acerrima nemica).
Il Castello di Monteriggioni è davvero imponente con le sue 14 torri quadrate esterne ed è stato più volte teatro di lotte tra Firenze e Siena nel corso dei secoli fino al 1544 anno in cui Giovacchino Zeti lo cedette al Marchese di Marignano, comandante delle truppe imperiali.
Nel 1555 la Repubblica Senese sarà definitivamente sconfitta dai Medici.
La costruzione di questa opera difensiva è talmente maestosa che anche lo stesso Dante Alighieri ne rimane folgorato al punto tale da citarlo nel XXXI Canto dell’Inferno proprio quando si imbatte nella figura dei Giganti che Alighieri inizialmente scambia per delle torri:
“[…]
però che come su la cerchia tonda
Monteriggion di torri si corona,
così [’n] la proda che ‘l pozzo circonda
torreggiavano di mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tuona.” (Inferno, Canto XXXI, vv 40-45)
Per poter aver questa visione d’insieme su Monteriggioni molto probabilmente Dante si è recato, con il suo tutore Maestro Brunetto Latini nel Borgo di Stomennano. In questa località, il cui nome deriva probabilmente da Strumentum pacis, proprio davanti alla Chiesa medesima è stato firmato il trattato di pace tra Siena e Firenze l’11 giugno del 1254, in cui il maestro dello scrittore toscano era presente come delegato della parte fiorentina.
In seguito alla conquista medicea i proprietari di Monteriggioni e Stomennano sono stati la famiglia Golia, Accarigi e attualmente lo sono i discendenti diretti della famiglia Griccioli, ovvero i Grassi, i quali furono parte attiva nell’amministrazione e nella gestione della Repubblica Senese: in un certo qual modo sia Monteriggioni che Stomennano sono tornati sotto l’influenza senese!
IL BORGO STOMENNANO
Attualmente questo borgo che sorge a qualche chilometro da Monteriggioni e da cui ci si può tuttora deliziare con una vista sul Castello risponde e offre la classica immagine di villa toscana, quell’idea che rispecchia le aspettative degli stranieri, soprattutto anglofoni.
Vi si accede infatti tramite un viale alberato di cipressi che si apre su una corte su cui si affacciano due edifici simmetrici costruiti nel 1700: uno è adibito alla ricezione turistica e l’altro ospita invece le cantine dedicate alla produzione di vino. Vagando per il giardino all’italiana ci si imbatte in case che precedentemente erano abitate dai contadini e che ora sono stati riconvertite in eleganti locazioni turistiche.
Infine tutto intorno al borgo si delineano vigneti, oliveti, boschi e terreni seminativi.
Inutile dire che questo angolo toscano si presta ad essere la scenografia di eleganti e raffinati matrimoni, tanto che molti stranieri decidono di suggellare qui la loro promessa.
I VINI STOMENNANO
Per concludere la panoramica non ci rimane che parlare dei vini che vengono prodotti qui.
Il vigneto di proprietà è di circa 11 ettari impiantati principalmente a sangiovese con la presenza anche di uve auctone e alloctone da cui Matteo Lupi Grassi ricava tre etichette lo Stomennano Bianco, il Chianti e il Chianti Classico.
Dal momento che quest’enclave senese è terra di rossi abbiamo deciso di concentrarci unicamente sul Chianti 2022 e Chianti Classico 2019. Il primo è un uvaggio di sangiovese, merlot e colorino che viene sottoposto a una fermentazione in acciaio e un passaggio in cemento per alcuni mesi: se ne ottiene un prodotto dal colore carminio con riflessi purpurei con dei sentori di frutta scura come mora di gelso e prugna accompagnati da note floreali di iris e da una leggera speziatura di cardamomo e liquirizia; in bocca la freschezza accompagna il tannino con un finale di arancia sanguinella.
Il Chianti Classico 2019 è costituito invece da sangiovese e colorino e subisce, oltre alla fermentazione in acciaio, una maturazione di un anno in barrique francesi di vari passaggi: di colore carminio vivace si apre con cenni di ciliegia marasca, arancia, iris e viola impreziositi da echi empireumatici di tabacco biondo e cacao. Il sorso pieno è ravvivato dalla freschezza con tannini ben integrati e da una chiusura avvolgente su ricordi fruttati.
Con questa location e con questi vini i turisti italiani e stranieri avranno un fantastico scorcio toscano di cui poter approfittare durante il loro soggiorno!