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  • Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Di Gaetano Cataldo

     

    L’ostrica è un mollusco bivalve presente praticamente in tutti i mari, dove si riproduce e cresce liberamente; molti però sostengono, e a ragion veduta, che le migliori e più saporite ostriche non siano quelle selvatiche ma quelle di allevamento della costa francese che guarda all’Oceano Atlantico, verso il sud della Bretagna e nella regione del Merennes-Oléron anche se in realtà non mancano le eccellenze in diverse aree del Mar Mediterraneo e del mondo.

    L’ostricoltura è diffusissima principalmente in Cina, Corea del Sud e Giappone; si pensi che circa il 70% della produzione annua di ostriche giapponesi proviene dalla Baia di Hiroshima… qui le ostriche sono chiamate “Latte del Mare”, sono molto apprezzate per dimensione, tenerezza e gusto, e sono rinomate soprattutto per le condizioni in cui crescono: i nutrienti di ben sei fiumi discendenti dai monti del Chugoku, che si riversano nella baia, ed il conseguente blend tra acqua dolce ed acqua salata rende questa specie ittica davvero speciale; nella classifica mondiale troviamo la Francia al quarto posto, prima in Europa, poi l’Irlanda e la Spagna.

    Allevamento di Arcachon Basin di ostriche
    Allevamento di Arcachon Basin di ostriche

     

    Ostrica Concava, articolo Il Sake e le Ostriche 2022
    Ostrica Concava, articolo Il Sake e le Ostriche 2022

    L’ostrica concava del Pacifico, la Crassostrea Gigas, è la più coltivata al mondo, proviene dal Giappone ed è presente anche in altre aree di Oriente ed Estremo Oriente.

    L’ostrica concava viene selezionata da molti allevatori europei grazie alla sua crescita rapida ed alla sua adattabilità: infatti a causa della scomparsa dell’ostrica portoghese, la Crassotrea Angulata, verso gli anni ’70 ha trovato vasta diffusione sul Vecchio Continente assieme all’ostrica piatta, detta Ostrea Aedulis.

     

    Ostrica Piatta, articolo Il Sake e le Ostriche 2022
    Ostrica Piatta, articolo Il Sake e le Ostriche 2022

    Le due specie sono entrambe molto apprezzate dai consumatori di tutto il mondo anche se dal punto di vista gastronomico le ostriche piatte vengono ritenute più pregiate grazie alla morbida aromaticità e delicatezza della texture, mentre le ostriche concave o allungate sono generalmente più carnose e posseggono un sapore salmastro spiccato che le rende più persistenti.

     

    Per poter ottenere le larve di ostriche necessarie agli allevamenti, dette anche “naissain”, si provvede alla captazione del novellame in ambiente marino aperto, oppure selezionando gli esemplari adulti per l’avanotteria.

    Dagli stock di allevamento gli esemplari che avranno compiuto in media 18 mesi verranno prelevati per mezzo dei cosiddetti “plates”, piccole imbarcazioni dallo scafo e dalla chiglia piatta, portati fino alle aree adibite ad ostricoltura e disposti a seconda di come si intende allevarli.

    Al giorno d’oggi esistono diverse tecniche di allevamento come ad esempio quella a “poches”, ossia la disposizione delle giovani ostriche in sacche consistenti in piccole reti di plastica, a loro volta disposte su tavole di metallo o a sparse al suolo di modo però che siano esposte alla risacca del mare, sacche che dovranno essere periodicamente rivoltate per garantire la crescita regolare di questi frutti di mare ed assicurare loro buone condizioni di vita ed un’ottimale circolazione dell’acqua di mare.

    Il modello di ostricoltura cambia nella laguna mediterranea, ne sono un esempio lo stagno di Leucate e lo stagno di Thau, dove l’allevamento è verticale vista la scarsa escursione di marea e le ostriche vengono ancorate a corde vegetali a tre legnoli, oppure a corde sintetiche di nylon, piuttosto che a tavole di legno di mangrovia, ma sempre ad immersione permanente e con crescita più rapida rispetto agli esemplari allevati in Nord Europa.

    Allevamento di ostriche, Oyster farm Azienda Agricola Costa Mare
    Allevamento di ostriche, Oyster farm Azienda Agricola Costa Mare

    Dopo la fase di pre-ingrasso ed ingrasso durante l’allevamento le ostriche passano alla rifinitura in apposite vasche o bacini di decantazione perché possano espellere melma e sabbia, dove talvolta degli iniettori di ossigeno aiutano a far affiorare i batteri nocivi in forma di schiuma facilmente eliminabile.

    Caratteristici della Charente Marittima e della Vandea i bacini d’argilla alimentati da una miscela di acqua di mare e d’acqua dolce, detti “claires”, conferiscono alle ostriche un gusto particolare ed il tipico colore da “verdissement”.

    Per quanto si suppone che l’ostricoltura sia stata avviata per prima dal popolo cinese non ci sono tracce evidenti e sufficientemente attendibili a dimostrarlo mentre, come la storia dimostra, questa pratica dell’acquacoltura pare più evidente essere stata inventata dagli Antichi Romani ed avviata persino nell’antica Albione da cui partivano cospicui carichi per Roma, tanto gli antichi latini ne andavano ghiotti e le reputassero indispensabili per la migliore riuscita di un banchetto:

    Vassoio di ostriche
    Vassoio di ostriche articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    fu così che da piatto povero, sotto Nerone, le ostriche divennero un piatto estremamente prelibato ed alla moda, tanto più che quelle provenienti dal Canale della Manica erano decisamente diverse rispetto a quelle che si raccoglievano lungo le coste della penisola italica, dell’Egitto e dell’Antica Grecia, ove il delizioso frutto di mare era considerato sì un cibo prelibato ma alla portata di tutti:

    d’altronde il termine ostracismo, la pratica di votare o meno a favore l’esilio per un cittadino, si compiva proprio trascrivendo tale scelta su di una conchiglia di ostrica.

     

    Naturalmente, per quanto le notizie scarseggino o non vengano valutate alcune fonti, le ostriche hanno costituito per millenni un cibo fondamentale per l’alimentazione umana grazie alla loro reperibilità e semplicità di consumo, tanto nell’area mediterranea quanto in Cina ed in Giappone: l’allevamento delle ostriche risale ad epoche remote e la singolarità dell’ostricoltura nel Sol Levante consisteva nell’impiegare rocce e canne di bambù a cui i bivalvi si attaccavano molto agevolmente.

    Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato
    Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Tra le ostriche piatte più famose vanno menzionate le Ostriche Belon, dalla tipica forma tondeggiante e dal gusto delicato, chiamate così perché un tempo venivano affinate esclusivamente sulle rive del fiume Belon in Bretagna, e le Ostriche Marenne, dal tipicissimo color verde acqua dovuto ad un’alga chiamata navicula blu che ne rilascia il colore… assieme all’Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato.

    Il recipiente più antico per bere il sake è la sakazuki, una coppa dall’apertura molto ampia fatta in terracotta o porcellana, finemente laccata e decorata, oggi disponibile sia in vetro che in oro o argento, in realtà però ne esisteva un altro ancora più vetusto e fornito dalla natura stessa: le conchiglie di ostrica.

    In realtà la sintonia tra questi frutti di mare ed il nihonshu non si limita soltanto all’antica consuetudine di sfruttare la concavità dei loro gusci per favorirne la mescita: se è vero che il sake non litiga mai col cibo addirittura con le ostriche ci fa l’amore!

    Ostriche Belon
    Ostriche Belon

    Le ostriche consumate crude ed il sake artigianale giapponese vivono un rapporto simbiotico che nessuna altra bevanda riesce a vantare, i due elementi hanno infatti delle caratteristiche simili che derivano dalla salinità, dalla tendenza dolce, dalla texture setosa e dalla cremosità che rendono entrambi compagni per la vita e per la gioia a tavola, ma c’è di più: l’umami!

    L’umami è la quintessenza del pairing tra ostriche e nihonshu

    Costituisce il quinto gusto, quello che aiuta a bilanciare e migliorare gli altri quattro, ossia il salato, l’acido, l’amaro ed il dolce, traducendo appieno il sapore degli aminoacidi e nello specifico di glutammato, inosinato e guanilato… e guarda caso l’ostrica è tra i cibi più ricchi in natura di glutammato e di inosinato.

    Ecco dunque spiegato attraverso queste straordinarie affinità elettive, di cui Madre Natura ha voluto dotare entrambi gli elementi, il perché bere sake e mangiare ostriche costituisce un abbinamento armonico perfetto. Si noti che, rispetto alla birra o al vino, il sake contiene mediamente una quantità di acido glutammico anche 20 volte superiore.

    Ostriche e Sake di vario tipo e provenienza 2022
    Ostriche e Sake di vario tipo e provenienza 2022

    Ovviamente esistono delle prerogative che nell’abbinamento già congeniale tra ostrica e sake di per sé possono rendere il matrimonio ancora più felice…

    Per quanto riguarda il frutto di mare terremo in considerazione quindi non soltanto la tipologia ma anche la provenienza, il rapporto tra acqua dolce ed acqua salata, la rifinitura, la modalità di apertura, il profumo, la consistenza e le caratteristiche gusto-olfattive.

     

    Per quanto attiene al sake occorrerà fare invece attenzione all’umami, alla sapidità ed alla tendenza dolce: che il primo non superi quello dell’ostrica e che la seconda non sia particolarmente presente quando è già contenuta nel bivalve che, al contrario, se avesse una spiccata tendenza dolce potrà in questo caso giovarsi della sapidità di un otoko-zake.

    Dunque la percezione di quanto queste caratteristiche comuni siano intense è fondamentale tanto quanto la persistenza aromatica dei due elementi in abbinamento ed il nihonshudo del fermentato giapponese: infatti un’ostrica dalle carni sode e dal gusto deciso vorrà un sake dal sapore più deciso e con una struttura più consistente, mentre un frutto di mare più delicato avrà bisogno di un sake satinato e gentile.

     

    Ostriche di vario tipo e provenienza
    Ostriche di vario tipo e provenienza, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Alcuni esempi?Abbinamenti

    L’Ostra Regal viene direttamente dall’Irlanda: trascorre i primi due anni di vita nella parte nord dell’isola, dove si nutre di fitoplancton, poi viene trasferita al sud presso la foce del fiume Snaney, dove le acque dolci ne completano l’affinamento. Un’ostrica dalla spiccata tendenza dolce con una consistenza tattile cremosa ed un finale di raffinata sapidità.

    Un Junmai delicato ma con un carattere salino per tener testa alla prevalente tendenza dolce del bivalve. Si potrebbe persino azzardare con un cremoso e raffinato Junmai Daiginjo, stravolgendo le regole per un’esperienza sensoriale intrigante ed in sintonia con la texture dell’ostrica.

    L’Ostrica Tsarskaya viene allevate a Cancale nella Bretagna Settentrionale, precisamente nelle aree di Park St. Kerber e della Baia di Mont St. Michel. Il gusto di questa varietà dal profumo iodato è ricco ed equilibrato al tempo stesso, il frutto è setoso e consistente con un gusto salino, una lieve nota di nocciola ed una bilanciata tendenza dolce.

    Si abbina con piacevolmente con un Junmai Ginjo con una sbramatura del chicco attorno al 50% che conservi una buona nota cerealicola e che sia di grande equilibrio tra morbidezza, freschezza, sapidità ed umami. Ed uno sparkling sake? Perché no?

    Ostrica Tarbouriech del Delta del Fiume Po
    Ostrica Tarbouriech del Delta del Fiume Po

    L’Ostrica Tarbouriech, di quelle proveniente dall’Emilia Romagna però e precisamente dalla Sacca degli Scandinavi, presso il delta del fiume Po:

    è raffinata a partire già dall’aspetto, con quelle sue nuances rosa, si presenta all’olfatto con note salmastre e vegetali, mentre all’assaggio è consistente, succulenta e con una persistenza che orbita attorno a note vegetali sia marine che di sottobosco.

     

    Un Junmai Ginjo affilato ed asciutto, capace di arginare la succulenza del frutto di mare e che ne raggiunga in persistenza le stesse vette.

     

    Ostrica del Calvados
    Ostrica del Calvados

    L’Ostrica del Calvados è praticamente l’ostrica allevata più a Nord di tutta la Francia ed è stata premiata diverse volte nella categoria ostriche normanne.

    Essa cresce proprio nella patria del famoso distillato di mele, ossia nel dipartimento di Calvados, precisamente nella Côte de Nacre, nei paesi di Asnelles e Meuvaines. È un’ostrica molto singolare in quanto riconoscibilissima grazie al suo guscio estremamente bianco, grazie alla limpidezza delle acque da cui proviene, e soprattutto per il suo sapore tendente all’aglio.

    Le durezze e la nota iodata di questo frutto di mare, assieme al alla nota agliata, vorrebbero un sake morbido, persistente e con una buona nota umami.

    Un Koshu Sake, prodotto con metodo Kimoto e magari invecchiato in grotta, sarebbe un abbinamento davvero piacevole.

    L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell'ostricoltura in Sardegna
    L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricoltura in Sardegna

    L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricoltura in Sardegna: viene allevata a ciclo completo, ossia a partire dal seme, nella laguna di San Teodoro in provincia di Nuoro.

    La conchiglia è tendenzialmente omogenea ed a forma di goccia, mentre il frutto è copioso e croccante, con note gusto-olfattive iodate ma con tendenza dolce, sentori vegetali e di frutta secca.

    Un Tokubetsu Junmai fragrante, dai toni sia fruttati che erbacei magari.

     

    L’Ostrica della Baia Hiroshima: immaginate questi esemplari di gran calibro arrivare alla vostra tavola direttamente dal kakifune, letteralmente barca delle ostriche. Preparate con la caratteristica ricetta kaki nabe, con porri, funghi e tofu, meritano certamente un Genshu Junmai, ma anche un Tokubetsu Junmai ci starebbe alla grande. Ci sono tra i Junmai dei veri e propri fuoriclasse che con le loro note burrose e boschive creerebbero comunque un match ad alto impatto emotivo e gustativo però.

    Ostriche classiche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro 5
    Ostriche classiche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro 5

    Le ostriche, diversamente da quelle allevate che sono state modificate geneticamente e rese sterili, vedono il miglior consumo nel mese di gennaio ed anche in altri periodo dell’anno, eccetto che da maggio ad agosto, epoca di riproduzione, poiché in questa fase diventano più molli, lattiginose, meno saporite e soprattutto più deperibili.

    Le ostriche di allevamento del tipo concavo sono classificate rispetto al calibro: dal 5 allo 0, rispettivamente dalle più piccole e dal peso di 30-45 fino alle più grosse che arrivano a superare i 150 grammi.

     

    Inoltre, in base all’affinamento, si suddividono così come segue:

    Fines: affinate in mare aperto per almeno 1 mese con densità di 20 ostriche per metro quadro.
    Speciales: affinate per almeno 2 mesi in mare aperto con densità di 10 ostriche per metro quadro.
    Pousse: se affinate per 4-8 mesi in mare aperto con densità di 5 ostriche per metro quadro.
    De Claires: affinate in bacini di acqua dolce poco profondi e argillosi, i claires appunto.
    Vert: affinate in presenza della microalga navicula blu, come menzionato in precedenza.

    Ostriche e Sake un abbinamento intrigante
    Ostriche e Sake un abbinamento intrigante, articolo Il Sake e le Ostriche di vario tipo e provenienza 2022

    Composizione

    Le ostriche sono composte d’acqua per l’85% circa, apportano 40 kilocalorie di proteine, 21 di carboidrati ed 8 di grassi per ogni etto e costituiscono una miniera ricchissima di sali minerali quali ferro, fosforo, potassio, rame, sodio e zinco, oltre che di vitamina B12, e sono considerate un alimento afrodisiaco per una ragione specifica: favoriscono lo sviluppo degli spermatozoi, fanno bene all’amore e pertanto è meglio tenere sempre una bottiglia di sake a portata di mano in camera da letto, assieme alle ostriche e ad una sana inventiva perché, afrodisiaco o non afrodisiaco, è il pensiero quello che conta.

    Di Gaetano Cataldo


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  • Clubhouse e le giornate autunnali che vorrei 2022

    Clubhouse e le giornate autunnali che vorrei 2022

    CLUBHOUSE e le giornate autunnali che vorrei 2022

    Di Carol Agostini

    Ho scelto questo titolo per raccontarvi l’evoluzione delle mie giornate autunnali e quelle che oggi desidero partendo dal passato in ottica di costruire un futuro.
    Fin da piccola era un giorno di mix tra cucina araba ed indiana, mescolata con quella veneta e argentina, in un connubio di culture e tradizioni differenti, figlia di etnie diverse, nata in veneto.

    Il grill è un'arte e una vocazione
    Il grill è un’arte e una vocazione, clubhouse e le giornate autunnali che vorrei 2022

    I miei nonni che sono persone tra di loro agli antipodi, in condivisione assoluta in momenti di grande scambio culinario, hanno sempre passato giorni su giorni a decidere il menù pasquale ( del resto come quello natalizio ) e non solo, anche i menù delle giornate autunnali.

    Questi erano composti da ricette come il pollo tandoori cotto nel classico tandoor ( forno tipico dei paesi arabi), la grigliata argentina con le tiritas de asado, ovvero costine di manzo che anziché longitudinalmente, come ad esempio si fa con la rosticciana, vengono tagliate perpendicolari all’osso, così da formare delle strisce di carne da scottare veloci su una brace bella calda, a piatti tipici veneti a base di baccalà vicentino, polenta ecc ecc, il tutto per noi bimbi contornato da cocacola ( che a casa dei miei non deve mai mancare come la cervesa) e vini veneti da uve cabernet e merlot per la stra maggioranza.

    Pollo tandoori cotto nel Tandoor
    Pollo tandoori cotto nel Tandoor

    Ore e ore di cucina, di lavoro ai fornelli e grandi tavolate di amici e parenti in questa cascina in mezzo la campagna veneta a Marostica ( la città degli scacchi viventi, una cittadina scaligera, il centro circondato da mura che unisco i due castelli, quello superiore e quello inferiore, opere che risalgono al 1370 circa ), una meraviglia!

    Marostica e il suo Castello scaligero inferiore in Piazza degli Scacchi durante la Partita a Scacchi vivente che si replica negli anni pari
    Marostica e il suo Castello scaligero inferiore in Piazza degli Scacchi durante la Partita a Scacchi vivente che si replica negli anni pari

    Da quando invece c’è stato il passaggio del testimone ai fornelli, cioè a me, ho deciso di rivoluzionare la situazione partendo da concetti chiave:
    La scelta dei vini, l’ umami, dalla cucina medioevale alla cucina futurista arrivando al mio mito Salvador Dalì.

    La scelta dei vini perché parto dal vino che è una passione che sfrutto per abbinare i piatti, visto che sono io stessa ad eseguirli.

    Umami il quinto gusto
    Umami il quinto gusto nell’articolo Clubhouse e le giornate autunnali che vorrei 2022

    Perché l’umami?

    E’ il quinto gusto, ossia un sapore primario che si unisce agli altri quattro (dolce, salato, amaro, acido) che abbiamo imparato a riconoscere fin da bambini, questo sapore è stato riconosciuto, scoperto ed identificato in laboratorio agli inizi del 1900 in Giappone, appunto come fonte di sapore, negli anni ’80 circa è stato ufficialmente riconosciuto come quinto gusto sulla base della concreta dimostrazione che esistono sulla lingua specifici recettori di questo sapore che ne portano le informazioni al cervello.

    “Umami” in giapponese significa saporito e questo quinto gusto è stato collegato al glutammato monosodico (acido glutammico), anche detto esaltatore di sapidità.
    Vi faccio un esempio Il parmigiano reggiano è l’ingrediente più umami della cucina mediterranea, vi porto una curiosità collegata a questo ingrediente:

    Massimo Bottura descrive uno dei suoi piatti più famoso che è composto da cinque diverse stagionature di parmigiano, in cinque consistenze diverse, come “cinque gradi di umami“ e vi do anche un’altra dritta sappiamo che il parmigiano è popolarissimo in Asia.

    Altri piatti collegati al senso “umami” sono: quasi tutte le zuppe e gli stufati cucinati a lungo: una completa maturazione (al limite della marcitura), una lunga cottura o la fermentazione sono “portatori sani” di amminoacidi che attivano i ricettori dell’umami; una crema di funghi cotta a fuoco lento per ore ed ore, insaporita con del parmigiano, è quintessenzialmente umami.

    La cucina medioevale

    La cucina medioevale invece perché mi affascina in quanto è basata sulla totale condivisione del piatto ed è rimasta la stessa dell’epoca romana, con delle innovazioni culinarie apportate appunto dagli arabi come lo zucchero di canna, le mandorle, il riso, i gelsi, le melanzane. Inoltre tutti sappiamo che molti degli alimenti che utilizziamo nelle nostre ricette oggi derivano dalla scoperta dell’America.

    I ricettari medievali risalgono tutti al periodo rinascimentale e hanno numerose differenze rispetto a quelli che usiamo oggi.
    Nella cucina medievale i ricettari elencavano solo i cibi da utilizzare, senza le quantità e le temperature, mentre i tempi di cottura erano scanditi da preghiere premetto ora non sto a pregare tutto il tempo mentre cucino il pollo……ma è per me è affascinante come la cucina medievale veniva costruita dividendo il corpo in 4 umori, corrispondenti a 4 liquidi che sono contenuti nel nostro corpo.

    In base allo stato di salute veniva costruito un piano alimentare adeguato.
    Gli umori erano 4, come gli elementi:
    • il fuoco → la bile, gialla del fegato, calda e secca;
    • l’aria → come il sangue del cuore, calda e umida;
    • l’acqua → come la flemma del cervello, fredda e umida;
    • la terra → come la bile nera della milza fredda e secca.
    A questi quattro umori corrispondevano quattro stati d’animo: collerico, sanguigno, flemmatico e melanconico.

    La cucina medioevale fatta di pollo, pesce,vitello e tanto altro
    La cucina medioevale fatta di pollo, pesce,vitello e tanto altro

    Già era presente e radicato il collegamento tra pietanze, componenti del corpo ( organi ) e la componente emotiva ( lo stato d’animo con le sue reazioni ).

    Si mangiava seduti, non più coricati come in epoca romana, le posate si usavano solo per tagliare il cibo che quindi veniva servito in portate già porzionate davanti agli invitati, che si servivano da soli riempiendo dei piatti commestibili fatti di pane.

    Si mangiava con le mani e si usavano dei bicchieri in comune, da qui nasce l’abitudine di pulirsi la bocca prima di bere.

    Esempi: zuppe e polente, pollo, maiale, vitello, pesce, inoltre i barbari portarono il sidro, il vino fatto con le mele, e ci fu un revival della birra.

    la Cucina futurista

    La cucina futurista perché fu un tipo di cucina bizzarro che mi affascina per la sua creatività ed egocentrismo particolare e fuori dagli schemi.

    Questo intrigo culinario/culturale nasce con la conoscenza di Filippo Tommaso Marinetti, poeta e scrittore di cui ho letto tanto, fondatore del movimento Futurista che negli anni ’30 pubblicò il Manifesto della Cucina Futurista, con lo scopo dell’adorazione di piatti e ricette che consentissero all’uomo di essere scattante, veloce e al passo coi tempi.

    Il movimento sosteneva l’abolizione delle posate (forchetta e coltello), del peso e del volume degli alimenti e della discussione politica a tavola.
    Una rivoluzione totale insomma che va dalle materie prime, alla loro elaborazione, al modo di presentarle finendo all’approccio con i cibi.

    Le ricette sono bizzarre, eclettiche da cui prendo spunto per comporre piatti diversi.
    Ed ecco il mio secondo amante preferito dopo Giacomo Casanova ( per il cioccolato ) Salvador Dalì, troverete la ristampa del libro Les diners de Gala ( un manuale di cucina dedicato al sodalizio anche culinario con la moglie che appunto si chiamava Gala).

    Vi cito l’introduzione: “Se sei un discepolo delle tabelle caloriche che trasformano la gioia del cibo in una punizione, chiudi subito questo libro: è troppo pieno di vita, troppo aggressivo e davvero troppo impertinente per te”.

    Salvado Dalì Foto di LyraBelacqua-Sally
    Salvado Dalì Foto di LyraBelacqua-Sally

    Un poliedrico genio come piace a me con il suo ricettario surrealista ispirato alle cene offerte dall’artista e consorte, di osservanza francese ma con uno spiccato gusto per l’esotico.
    Dalí proclamava: «La mandibola è il migliore strumento di conoscenza filosofica», come non essere d’accordo…la lussuria e la stravaganza di un mondo artistico ed esotico/afrodisiaco sono per me stimolo, emozione in un’era di polemica, invidia e banalità.

     

    Le giornate autunnali  che sto preparando per vivere di sensi nell’attesa del menù di Natale, partono dalla scelta dei vini:

    Champagne Olivier Herbert Brut Nature
    Champagne Olivier Herbert Brut Nature per l’articolo Clubhouse e le giornate autunnali che vorrei 2022

    Champagne brut nature di Olivier Herbert con vari antipasti a base di pesce, frutta esotica e polenta, tra cui una rivisitazione del baccalà alla vicentina con mandorle e noccioline.

     

    Vitigni 30% da Pinot Nero che dona struttura e aromi, 30% da Pinot Meunier che dona sentori fruttati e rotondità e per il restante 40% da Chardonnay che dona al prodotto freschezza e finezza.

     

     

    Vino rosato da uve nocera e nerello calabrese dell' az. agr. Zagarella
    Clubhouse e le giornate autunnali che vorrei 2022 vino rosa Cantina Zagarella

     Vino rosato da uve nocera e nerello calabrese dell’ az. agr. Zagarella abbinato a pescato alla brace, che diventerà piccole porzioni da accompagnare il risotto mantecato all’umami ovvero al parmigiano con una salsa di peperoni.

    Quore Brut Riserva TrentoDoc Letrari millesimato da Chardonnay
    Quore Brut Riserva TrentoDoc Letrari millesimato da Chardonnay

    Quore Brut Riserva TrentoDoc Letrari millesimato da Chardonnay raccolte esclusivamente a mano, con permanenza sui lieviti di almeno 40 mesi per esaltarne la morbida eleganza abbinato al mio pollo con aspargi verdi ed ananas cotto nel tandoor di casa.

     

    Il Botticello Toscana IGT rosso biologico Cantina San Quirico San Gimignano selezione di uve 70% Sangiovese e 30% Merlot e Syrah in abbinamento alla grigliata mista con tiritas de asado, pancetta, bistecche di coppa.

     

    Per finire alla torta colomba farcita di cioccolato con pan di Spagna e crema pasticcera ci abbino Pensiero passito vendemmia tardiva Cantina Il Poggio da uve di malvasia di candia aromatica e trecuori passito bianco di Carlo Nerozzi Le vigne di San Pietro Moscato Giallo Passito che arriva dalle terre di Verona, per ricordarci come l’area del veronese sia, tra tutte, quella in cui è più forte, più sentita e più antica la tradizione dell’appassimento, tecnica impiegata per l’ Amarone e non solo.

    Queste in parte saranno le mie giornate autunnali con un mix tra passato origini e legami.

    Di Carol Agostini

    Carol Agostini fondatore del Magazine Papillae, titolare Agenzia FoodandWineAngels, commissario internazionale, selezionatore, Food&Wine Writer
    Carol Agostini fondatore del Magazine Papillae, titolare Agenzia FoodandWineAngels, commissario internazionale, selezionatore, Food&Wine Writer

     


    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

  • Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022

    Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022

    Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022

    Di Gaetano Cataldo

     

    La bevanda più civilizzata al mondo è di moda e la moda dice che fa anche bene. Era già in voga berla con erbe aromatiche nel 3150 a. C. per fini terapeutici; testimoni le tracce assorbite in anfore rinvenute da archeologi americani in terra egizia. D’altronde i benefici di questo liquido erano noti a Plinio il Vecchio, Galeno ed Ippocrate.

     

    Gaius Plinius Secundus meglio noto come Plinio il Vecchio (Plinius Maior) che fu uomo dotto, storico e naturalista. Nato il 23 d.c. a Como, visse soprattutto a Roma, ricoprendo cariche civili e militari, e viaggiando molto; visitò la Germania, la Spagna, l’Africa, il Belgio.
    Gaius Plinius Secundus meglio noto come Plinio il Vecchio (Plinius Maior) che fu uomo dotto, storico e naturalista. Nato il 23 d.c. a Como, visse soprattutto a Roma, ricoprendo cariche civili e militari, e viaggiando molto; visitò la Germania, la Spagna, l’Africa, il Belgio.

    La Scuola Medica Salernitana ne citava le proprietà farmacologiche dal 984 d. C. quando l’Istituto Superiore di Ricerche di Parigi, la Facoltà di farmacia di Bordeaux e la Minnesota University semplicemente non esistevano.

    Intanto l’osannato elisir, il vino, fa parlare di sé dai tempi del cuneiforme quantomeno.

    Però sono gli epidemiologi d’oltralpe a spiegare il perché giovi in risposta al french paradox, ossia all’incidenza di malattie cardiovascolari in Francia, nonostante la dieta ricca in grassi saturi, sia pressoché pari a quella dei popoli dediti alla più salubre dieta mediterranea, imputandolo al suo consumo; ad avallarlo anche i dietologi americani che lo includono nella piramide alimentare a due bicchieri per volta, anzi, al giorno (300 ml per l’uomo e 150 ml per la donna, rispettivamente 40 e 20 gr di alcool).

    Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022
    Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022

    Ma che sia rosso per piacere!

    Infatti il limitarsi della formazione di coaguli e trombi è dovuta all’alcol con l’interazione di alcune sostanze contenute in gran quantità nei vini rossi e dagli effetti antiossidanti. Un nome per tutti: il resveratrolo; si tratta di un fenolo non flavonoide contenuto solo nel rosso, che si trova anche nella buccia di uve prodotte da viti attaccate prevalentemente da botrytis cinerea, stress idrici e virus.

    Ci sono piante che ne producono quantità superiori alla vite ed è per ciò che questa fitoalexina oggi è un integratore dietetico, per quanto non se ne conoscano ancora gli effetti collaterali.

    Per quanto stimoli la produzione di colesterolo buono (HDL) e diminuisca l’ossidazione del colesterolo cattivo (LDL) non ce n’è abbastanza nelle quantità di vino raccomandate (bisognerebbe berne molto di più) e l’organismo tende a non trattenerlo.

    Insomma il vino fa bene soggettivamente e farebbe bene assumerlo nelle suddette quantità assieme a frutta e verdura.

    Ricerche

     

    Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022
    Del bere responsabilmente e della clamorosa balla del french paradox 2022

    Sono in corso comunque delle ricerche per stabilire se alcune sostanze contenute nei vini bianchi, agendo in modo combinato, diano risultati migliori dal punto di vista della salute sul sistema cardiovascolare.

    Però la salute non è solo un bene da ritrovare attraverso la scelta soggettiva di migliorare le proprie abitudini alimentari, non solo; essa un diritto che deve essere concesso al nascituro sin dalla gravidanza.

    Bere vino…

    Bere vino perché il resveratrolo è anche antiteratogeno è una contraddizione in termini perché contiene alcol, causa di aborto, malformazioni e della sindrome alcolica fetale. Il vino e l’alcol sono un’ingiuria alla vita nascente e al delicato concetto di essere madre.

    Bere vino rosso
    Bere vino rosso

    Il vino nuoce alla gravidanza e all’allattamento e non bisogna sottovalutarne gli effetti solo perché il bambino abbia avuto la fortuna di nascere senza danni apparenti: turbe comportamentali, difficoltà di concentrazione e apprendimento non vengono respinte dalla placenta né disciolte dal latte materno.

    Di Gaetano Cataldo

    Ricordiamoci che…

    non bisogna abusare del vino e dell’alcol, se assunti  in quantità eccessive e in maniera permanente, l’alcol compromette lo stato nutrizionale, favorendo i deficit vitaminici, inoltre, determina un cambiamento della composizione corporea, con diminuzione della massa muscolare con conseguenza di  aumento del deposito adiposo viscerale.

    Carol Agostini

     


    Partner: https://www.foodandwineangels.com/ https://carol-agostini.tumblr.com/

  • Abbinamento vino e salumi 2022

    Abbinamento vino e salumi 2022

    Abbinamento vino e  salumi 2022

    Di Gaetano Cataldo

     

    Abbinamento vino e salumi di Carol Agostini Cantina Fattoria Il Colombaio di Monteriggione
    Abbinamento vino e salumi di Carol Agostini Cantina Fattoria Il Colombaio di Monteriggione con Lombo di Bufalo e Speck di Gaetano Mastrantoni

    Molto, decisamente tantissimo tempo prima che termini anglofoni come “snack” e “breakfast” diventassero di uso comune nella nostra lingua, e venissero addentate certe stramberie, i panini col salame, col prosciutto e con la mortadella erano diventati già da un bel pezzo un’istituzione celebrata a colazione, a pranzo oppure durante spuntino mattutino o pomeridiano da tutti gli italiani di ogni generazione, a prescindere dalla posizione sociale, dalla professione o dalla latitudine di provenienza.

    Se non infagottati in un bel panino caldo da portarsi a scuola per la ricreazione, piuttosto che a lavoro durante lo spacco, i salumi, consumati comodamente seduti e con le posate al piatto, piuttosto che catturati furtivamente con le dita direttamente dal tagliere, hanno sempre avuto un ruolo da protagonista nello stile di vita e nelle consuetudini alimentari di tutti noi italiani.

    Maggiore età permettendo, basta immaginare di consumarli con un innocuo bicchiere d’acqua per rabbrividire: infatti non c’è salume che non venga degnamente celebrato con un bel sorso di vino in nome di un matrimonio enogastronomico che, a seconda delle circostanze, riesce ad essere straordinariamente pop e ricercato allo stesso tempo.

    Tagliere eseguito da Carol Agostini, salame in abbinamento ad una schiava rosè della Valdadige
    Tagliere eseguito da Carol Agostini, salame in abbinamento ad una schiava rosè della Valdadige con noci e pane integrale ai cereali e mousse di formaggio caprino fresco

    Un matrimonio però che, per poter riuscire, deve essere officiato con la buona e virtuosa pratica di abbinare i reciproci elementi per concordanza e per contrapposizione.
    Se un semplice panino al salame con un buon calice di rosso frizzante potrebbe mettere apparentemente tutti d’accordo nel rispetto dell’abbinamento territoriale, d’altra parte la ricerca dell’armonia del gusto necessita ragionamenti più complessi, proprio per la natura del salume stesso di assumere consistenze e note sensoriali diversissime a seconda dei casi.

    Tagli di salumi di varie carni
    Tagli di salumi di varie carni

    Carni suine, bovine ed equine, caprine ed ovine, danno vita assieme alle carni di selvaggina da piuma o da pelo ad un ventaglio di salumi incredibilmente vasto che, a sua volta, va a differenziarsi ulteriormente a seconda di “texture”, percentuale di grassezza, tendenza dolce e speziatura, sapidità ed aromaticità, persistenza gusto-olfattiva, i tempi e le modalità di stagionatura e l’impiego gastronomico.

     

    Ebbene, a pezzi interi o insaccati, crudi o cotti, i salumi si presentano in una moltitudine di forme, colori e profumi e basterebbe aumentarne lo spessore di una sola fetta per accrescere la succulenza indotta, elemento che per contrapposizione vorrebbe vi si associ un vino che abbia tenore alcolico, tannicità o entrambi, con una buona modulazione di frequenza degli stessi a seconda di quanto il palato debba essere disidratato da queste due componenti del vino, fermo restando che il tenore alcolico stesso del vino costituisca anche un ottimo contrappeso alla presenza di grassi nel salume in considerazione.

    Un altro abbinamento proposto da Carol Agostini con carne di bufalo e vino Brigante Aglianico Colli di Salerno IGP di Casula Vinaria
    Un altro abbinamento proposto da Carol Agostini con carne di bufalo e vino Brigante Aglianico Colli di Salerno IGP di Casula Vinaria

    Sempre per contrapposizione vediamo la grassezza del salume abbinata alla freschezza del vino, termine quest’ultimo che ne indica l’acidità che può essere, a seconda dei casi, accentuata dalle basse temperature e dal “perlage”, da adottarsi specialmente quando la patina di grasso oppone maggior resistenza ad essere rimossa; anche la tendenza dolce richiede contrasto: un vino con buona mineralità darà il suo valido contributo.

    Salame e parametri organolettici
    Salame di cinghiale molto persistente con parametri organolettici complessi

    Più un salume avrà persistenza gustativa e più l’abbinamento per concordanza con un vino di pari persistenza aromatica intensa dovrà essere tenuto in considerazione, parimenti al corpo ed alla speziatura che dovranno trovare un degno compagno per corrispondenti virtù gustative. Bisogna a questo punto fare una piccola considerazione: se è vero che la grandezza di un salume richiede un vino di pari dignità è altrettanto vero che non bisognerà mai rincorrere le irruenze dei salumi con le irruenze del vino perché la loro somma diventerebbe alla lunga troppo impattante per il palato, tanto che la saggezza popolare del buon pane insipido, tra l’altro non necessariamente presente in tutte le regioni, sarebbe un accorgimento del tutto insufficiente.

    Non è quindi la predilezione per tal salume e tal vino a rendere piacevole l’insieme, per quanto de gusti bus non disputandum est, ma l’equilibrio armonico di un abbinamento che al palato non vedrà mai prevaricare l’uno sull’altro.

    Abbinamento vino e  salumi 2022
    Abbinamento vino e  salumi 2022, in foto prosciutto cotto di pecora Veneto

    Lo zampone ed il “bal ‘d luc” abbinati ad un Barbera del Monferrato o ad un Lambrusco di Sorbara troverebbero un degno compagno a prescindere che il contorno sia a base di lenticchie o purè; I

    l prosciutto cotto di pecora, comune a Sardegna, Toscana e Veneto, col suo delicato sentore di timo potrebbe incontrare i favori di un Pigato ligure già a partire dalle assonanze olfattive, ma neanche una Falanghina del Beneventano o un delicato spumante rosato a base di Pinot Nero non sarebbero male.

     

     

    salumi e Franciacorta, articolo Abbinamento vino e salumi 2022
    salumi e Franciacorta, articolo Abbinamento vino e salumi 2022

    Il violino di capra ed il Valtellina Superiore della sotto zona di Valgella potrebbe essere un’interessante scommessa; i prosciutti crudi equilibrati, di buona stagionatura e delicati come il San Daniele ed il crudo di Parma possono essere accompagnati dalle bollicine satinate della Franciacorta, mentre il Culatello di Zibello ed un ottimo guanciale di suino nero casertano, decisamente più complessi, con un Metodo Classico trentino da lunga permanenza sui lieviti, piuttosto che un profumatissimo Sauvignon Blanc dei Colli Orientali del Friuli o magari un Viognier.

     

    Naturalmente quando l’appeal rustico si accentua nei prosciutti, come spesso accade nelle aree centro-meridionali e montane della penisola, i vini possono salire di struttura a patto che i tannini non siano troppo marcati: Vermentino Nero delle Alpi Apuane, Rosso Conero e Sangiovese di Romagna.

    Intrigante l’abbinamento tra la Finocchiona e la Vernaccia di Serrapetrona, piuttosto che un più morbido e territoriale Morellino di Scansano; lo Speck e la pancetta tesa affumicata trovano nel Gewürztraminer un compagno aromaticamente molto indicato ma anche una Ribolla Gialla da lunghissime macerazioni in anfora, per quanto più modesta in termini di aromaticità, troverebbe nella persistenza un valido pretesto per farsi bere con questi salumi dal carattere deciso.

    Una straordinaria mortadella un Fiano di Avellino di buona morbidezza e calibrata freschezza, un Catarratto oppure una Malvasia Bianca lucana; la piccantezza della ‘Nduja la si potrebbe spegnere con un rosato da uve Primitivo di Gioia del Colle, piuttosto che col territoriale Cirò Marina rosso, ma qualcuno pare abbia anche osato col Sirah Cortona e con il Carignano del Sulcis, promettendo che il “match” sia ben riuscito a patto che tali vini non siano proposti nelle loro versioni più strutturate.

    Abbinamento vino e salumi 2022
    Abbinamento vino e salumi 2022

    Una tipica specialità piemontese come il salame al Barolo vede immediata assonanza ma si può certamente volare fuori regione e prediligere un Taurasi di lungo affinamento, abbinamenti questi che si attagliano altrettanto magnificamente con il prosciutto di Cinghiale.

    Conclusioni

    Insomma, basta lasciarsi guidare dagli abbinamenti tradizionali dettati dalle consuetudini territoriali ma anche farsi coraggio e tentare sperimentazioni gustative provenienti dal connubio tra prodotti di altre terre e da interpretazioni enologiche mai considerate prima, purché la gioia del proprio palato sia raggiunta ed appagata.

    Di Gaetano Cataldo


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  • Ischia, Materica e Raffinata la cucina di Antonio Monti 2022

    Ischia, Materica e Raffinata la cucina di Antonio Monti 2022

    Ischia, Materica e Raffinata la cucina di Antonio Monti 2022

    Di Gaetano Cataldo

    Forio, Ischia (NA) e il Ristorante Montecorvo con Antonio Monti
    Forio, Ischia (NA) e il Ristorante Montecorvo con Antonio Monti

    Se qualcuno ancora non si fosse messo in testa che la bella Ischia è un’isola di terra, ossia un luogo ad altissima vocazione gastronomica più contadina che marinara, può andare in un solo posto per rendersene conto: al Ristorante Montecorvo a Forio.

    Questo grazioso angolo di paradiso è incastonato in un vero e proprio giardino, ove non mancano piante esotiche, l’orto familiare e giochi d’acqua, mentre le sale hanno tutto il calore delle case pronte a ricevere gli ospiti con sale in arte povera ed un camino scavato nel tufo verde caratteristico di Ischia.

     

    Il fondatore

    Il Ristorante Montecorvo Un accogliente ristorante immerso nella Campagna Ischitana, ma comunque raggiungibile in solo dieci minuti di macchina dal centro di Forio o dall'incantevole Sant'Angelo.
    Il Ristorante Montecorvo
    Un accogliente ristorante immerso nella Campagna Ischitana, ma comunque raggiungibile in solo dieci minuti di macchina dal centro di Forio o dall’incantevole Sant’Angelo.

    La struttura è stata tirata su grazie ai sacrifici di Giovanni Monti che a poco a poco è riuscito a creare una realtà sempre più apprezzata e con i dovuti ammodernamenti che esiste da ben 40 anni, senza mai cambiare radicalmente l’impronta originaria e la semplice immediatezza con la quale il ristorante Montecorvo si presenta ai commensali.

     

    Naturalmente Giovanni non è solo e può contare sempre sull’aiuto di sua moglie, la signora Carmela, e dei figli Nicola e Antonio, rispettivamente imprestati alla sala ed ai fornelli con tanta dedizione grazie alla passione trasmessa loro dai genitori e, diciamolo, anche per la loro vocazione al mestiere della ristorazione.

     

    La sala

    Nicola Monti responsabile di sala ristorante Montecorvo Forio-Ischia
    Nicola Monti responsabile di sala ristorante Montecorvo Forio-Ischia

    A Nicola Monti dunque il merito di accogliere gli ospiti con un welcome genuino e per niente ampolloso, mettendo tutti a proprio agio, sia i vecchi che i nuovi fan del ristorante Montecorvo, pertanto non potrebbe essere diversamente col servizio:

    semplice, puntuale e discorsivo quando serve.

     

    A lui in effetti tocca anche la gestione della carta dei vini, una carta briosa e della giusta profondità dove con leggerezza si attraversa l’enologia ischitana, passando per piacevoli referenze extra regionali che mettono a proprio agio una clientela trasversale, fino ai pezzi da novanta, ossia alcuni delle grandi bottiglie che hanno fatto la storia del vino in Italia.

    Ma veniamo allo chef adesso.

    Antonio Monti ha avuto trascorsi in sala ed in qualità di pizzaiolo, dimostrando da subito una grande flessibilità ed una visione complessiva dell’arte della ristorazione.

    Come tanti giovani ragazzi desiderosi di viaggiare e vedere il mondo, lavorare e crearsi un avvenire, Antonio, appena terminato gli studi e con lo zainetto in spalla, vola verso il suo futuro e approda a Londra.

    Trova lavoro dapprima come cameriere ma al tempo nutriva già attrazione per i fornelli, tanto più che amava farlo già assieme ai suoi genitori e, a poco a poco, ha ottenuto di indossare il grembiule, con tenacia, desiderio e zero improvvisazione, assecondando di fatto il suo istinto.

    Dopo questa scintilla ha trovato lavoro dapprima nelle cucine del Don a Bank Station, sotto la direzione dello chef James Walker, successivamente a Le Gavroche di Albert Roux. Dopo 3 anni di solida gavetta londinese ma anche di esempi virtuosi, di quelli che ti fanno amare ancora di più la Cucina, Antonio prosegue il suo percorso di addestramento all’arte culinaria sbarcando nelle cucine di Antonio Guida al Seta del Mandarin Oriental Hotel di Milano. Last but not Least ecco che dopo un’ulteriore palestra formativa ne arriva un’altra: e siamo al Mirazur dello chef Mauro Colagreco a Menton.

    Penso che possa anche bastare così, ma se foste di altro avviso, ecco altre altrettanto edificanti esperienze che Antonio, con umiltà e gratitudine, tiene molto a menzionare: con Frederic Simonin ed all’Atelier Robuchon a Parigi, a Le Grains d’Argent a Epernay, a Terra The Magic Place a Sarentino, poi con Marco Pirotta di nuovo a Milano ed a Piazza Duomo nella brigata dello chef Enrico Crippa ad Alba.

    Golosiamoci

    Come dicevamo prima la gastronomia ischitana si presta benissimo ad interpretare i sapori di terra ma pur certo è che nel menu del ristorante Montecorvo non manca mai il pescato di stagione, quel che è certo è che ci si va per respirare aria buona, per godere di una vista mare incredibile, per restare immersi nella natura e per stare bene a tavola.

    La cucina sana e fresca della Famiglia Monti a Ischia
    La cucina sana e fresca della Famiglia Monti a Ischia

    Si comincia con “‘e pizzell’e sciurille” che per poco non sparivano dal piatto, un piacere mangiare una primizia come i fiori di zucca direttamente dall’orto della famiglia Monti ancor prima della loro stagionalità media, grazie al favore del clima di Ischia.

    Lavoro di fino sulla tartare, perfettamente mondata e rimodulata col giusto condimento, con salsa di lenticchie e misticanza di verdure. I carciofi imbottiti e stufati che non ti aspettavi fanno bella e fumante mostra di sé in attesa dei primi.

    Sui primi si esagera alla grandissima: bucatini al sugo di coniglio che è tutta una promessa, pappardelle alla genovese di cinghiale, un fuori carta che stava lì apposta per noi, ed infine un’altra chicca: tagliolini al tartufo nero pregiato dell’Appennino Umbro-Marchigiano.

    Ricco sia di carne che pesce con vari contorni e una miriade di antipasti assolutamente da provare. Molti dei deliziosi piatti del ristorante Montecorvo vengono preparati in forno a legna, come i pesci al forno, le carni rosolate e il tipico coniglio all'ischitana che difficilmente al giorno d'oggi vedrete preparare secondo la ricetta tradizionale.
    Ricco sia di carne che pesce con vari contorni e una miriade di antipasti assolutamente da provare. Molti dei deliziosi piatti del ristorante Montecorvo vengono preparati in forno a legna, come i pesci al forno, le carni rosolate e il tipico coniglio all’ischitana che difficilmente al giorno d’oggi vedrete preparare secondo la ricetta tradizionale.

    Infine, ma per i primi si intende…

    La carne alla brace ed i contorni erano certamente squisiti ma quando è arrivato il coniglio all’ischitana si è fermato letteralmente l’orologio: andando a pizzicare come primo pezzo la parte più stopposa pure quella era tenera e succulenta, cucinata come si faceva un tempo e con una marinatura favolosa che non contemplava soltanto il timo serpillo ma anche altre erbe mediterranee impiegate molto saggiamente.

    Senza nulla togliere alla bravura di Antonio i complimenti per questo piatto tipico di Ischia vanno però al padre Giovanni che, dopo la prenotazione, si è messo di buona lena a coccolare per noi il saporitissimo roditore in cottura nel forno a legna.

    Coccole finali con la pasticceria della casa ed un cannolo squisito con ricotta locale e la cortesia, mai scontata, dei liquori della tradizione per gli irriducibili e, naturalmente, del nettare dionisiaco in forma di passito.

    Conclusione

    La cucina di Antonio Monti è materica e raffinata al tempo stesso. Certo questo potrebbe apparire un ossimoro, soprattutto quando si evince sostanza al piatto ed una traduzione di sapori e materia prima in chiave apparentemente casalinga, ma che nella realtà lo studio, la calibrazione di cotture ed ingredienti, rendono al piatto una semplicità definitiva che, ad un occhio disattento, mimetizza la complessità dei passaggi e l’attenzione mediante cui lo si è ottenuto il risultato finale.

    Bella chef! Alla prossima per la cucina di mare, sempre al ristorante Montecorvo.

    Di Gaetano Cataldo


    Sito ristorante: https://www.montecorvo.it/

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/

  • Un rosso di mare al Rasputin, Secret Bar di Firenze 2022

    Un rosso di mare al Rasputin, Secret Bar di Firenze 2022

    Di Gaetano Cataldo

    Alle volte l’attitudine al viaggio ed alla riflessione sui sentieri dell’esistenza e sulle grandi città, l’aria che si respira e le persone che ne ricreano l’atmosfera, ti portano a fare il punto della situazione su certe analogie afferenti a dettagli architettonici, scorci e strutture, apparati umani persino, come in un gioco di sovrapposizioni che porta nella fantasia del visitatore a sostenere che: ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Meraveige; un terzo in calle dei…. un attimo però, qui non siamo a Venezia e questa frase tra l’altro proviene da un fumetto di Corto Maltese!

    Firenze
    Firenze

    No, non credo affatto di essermi perso, so perfettamente di trovarmi nella bellissima Firenze e tutto sommato affermare che il capoluogo toscano abbia tutto il fascino di una Venezia senza i canali non è un’idea del tutto peregrina, anzi… a Firenze nemmeno mancano luoghi magici e porte dove si può entrare ed uscire da una fiaba all’altra, esattamente come faceva il celebre marinaio creato da Hugo Pratt.

    Credo proprio che una di queste porte sia quella che conduce al Rasputin, il secret bar di Firenze, sapete?

    Cocktail da Rasputin di Firenze
    Cocktail da Rasputin di Firenze

    Non è del tutto facile imbattercisi in un secret bar, prima di tutto perché non si chiamerebbe così, in secondo luogo perché ci vuole un poco di sana predisposizione per queste cose… che so? Quella sorta di mindset, o forma mentis come la si voglia chiamare, che ci mette in condizione di approdare in un luogo senza stare manco troppo a pensarci sul come ci si sia arrivati ad esempio, oppure arrivare a comprendere che certi luoghi e certe persone un poco si cercano e si scelgono a vicenda.

    Insomma lo capisci quando un posto ti sceglie e tu ci stai bene come se ci fossi sempre stato, no?

    Al Rasputin ho avuto proprio questa percezione, ma prima ho dovuto digerire per bene quel lungo attimo di trapasso tra una viuzza fiorentina e l’anticamera di questo locale che potrebbe tranquillamente definirsi “ogni dove”, non già perché sia un posto qualsiasi ma semplicemente perché, varcata quella soglia, potresti essere in ogni luogo per fisico o temporale che sia. Ecco, non dico proprio come quando si gira quella specie di serratura della porticina nel Castello Errante di Howl ma quasi.

    Passeggiando per Firenze in direzione Rasputin Secret Bar
    Passeggiando per Firenze in direzione Rasputin Secret Bar

    È stato grazie ad un amico di Firenze, dopo alcune giornate agli inizi di ottobre dedicate al sake giapponese, passione che ci accomuna, che ho potuto scoprire il Rasputin: si passeggiava agli inizi di ottobre per il centro storico di Firenze, disquisendo sulle materie che più ci appassionano, mentre si attraversavano viuzze e stradine, alla vista piacevole di tutta quella monumentalità dei ponti sul fiume Arno, dei palazzi storici e di quei dettagli, di cui parlavo più su, che ti fanno balzare alla mente altri sentieri, battuti in altro tempo, in altre città ed in altre circostanze.

    In un batter d’occhio ci ritroviamo all’ingresso di uno stabile o di un appartamento a piano terra, di fronte ad una porta così anonima che a passarci davanti neanche mi sarei accorto della sua esistenza.

    Cocktail di Rasputin Secret Bar di Firenze
    Cocktail di Rasputin Secret Bar di Firenze

    Percorso certo non casuale in questo caso, poiché ad indirizzare i miei passi è stato l’anfitrione con il quale si discuteva di tutt’altro un minuto prima e che adesso punta il dito su un campanello e contemporaneamente dice “adesso entriamo al Rasputin, il secret bar di Firenze”. Dopo tutto quell’andare e quel dire, l’idea di scoprire un luogo nuovo che avrei sempre voluto vedere e la possibilità di bere davvero bene mi garbava non poco.

    Non che magari a voi serva ma tra me e me giova dover ricordare che esiste una sostanziale differenza tra un secret bar ed uno speakeasy: le riunioni per fomentare rivolte e rivoluzioni nella vecchia Europa hanno avuto luogo ben prima dell’era del Proibizionismo ed in tutt’altri scenari e forme di pensiero.

    Prospettiva Ponte vecchio Firenze
    Il Ponte Vecchio è un ponte che scavalca il fiume Arno a Firenze, a circa 150 metri a valle dell’area in cui il fiume presenta naturalmente uno dei punti in cui l’alveo è più stretto all’interno della città nel suo tratto a monte delle Cascine.

    Epoche diverse, continenti diversi, ambientazioni diverse e pertanto un format piuttosto distinguibile tra questi due templi della miscelazione. Insomma, ciò che nacque presumibilmente in Pennsylvania nel 1888, dopo la proibizione di trasportare, importare e vendere bevande alcoliche e che ebbe fine il 5 dicembre 1933, è tutt’altra faccenda rispetto a quanto accadeva nel XVIII secolo nell’Europa dell’Est, per quanto si parlasse piano uguale in entrambi i contesti, seppur con rischi, estrazione sociale e leve motivazionali nettamente dissimili.

    Intanto ci hanno aperto, entriamo e… sarà pure che l’alchimia del verbo di rimbaudiana memoria, quel certo non so che ci fa associare i colori alle parole, una volta piombato all’interno del locale, diventa tutto un percorso sequenziale tanto in testa quanto nella realtà: ottobre, Rasputin, ottobre rosso, rivoluzione rossa e poi rosso ed ancora rosso, il rosso dei pesanti ma carezzevoli drappi di una sorta di anticamera che dà su ripide scale in discesa su un mondo che si annuncia già dapprincipio essere mistico ed austero, elegante e messianico, fuori dal mondo esterno ed appartenente a tutt’altra epoca per quanto estemporaneo al contempo.

    Sempre a proposito di rosso, pare che nei locali che hanno visto la nascita del Rasputin nel 2016 vi fosse un circolo negli anni ’70 in cui si riuniva un gruppo di Lotta Continua, poi furono adibiti alla ristorazione negli anni ’80 ed oggi nobilitato ad esempio superbo di secret bar.

    Il Ponte vecchio di Firenze
    Il Ponte vecchio di Firenze

    Intanto siamo scesi, ambientazione superba, il passo felpato del personale, la cortesia dell’acqua…

    Dopo aver bevuto qualche cocktail ci raggiunge, ritto, impeccabile, cordiale ma senza sbottonarsi, sorridente ed al tempo stesso attento alla sala, Daniele Cancellara, il maestro di casa, il Bar Manager del Rasputin, il deus ex machina dietro quelle espressioni d’orologeria perfettamente bilanciate in forma liquida.

    Cocktail di Rasputin Secret Bar di Firenze
    Cocktail di Rasputin Secret Bar di Firenze

    È stato un piacere ascoltarlo mentre descrive il Rasputin:

    “siamo uno dei rari secret bar della regione e qui, nel quartiere di Santo Spirito, siamo una sicurezza da cinque anni, tanto per chi ci scova che per chi ci onora di tornare. Il nome evocativo Rasputin, in omaggio al mistico russo, è stato scelto per lo stile vittoriano del locale, preso in prestito dai salotti di 200 anni fa.

    Altri sensi vissuti attraverso questi cocktail Fiorentini
    Altri sensi vissuti attraverso questi cocktail Fiorentini

    I cocktail che creo qui sono il risultato di anni di studio e di confronto, di una ricerca sulla materia prima che comporta la valorizzazione di tutto ciò che uso e che in definitiva si traduce in preparazioni accorte ed attenzione allo spreco. Oltre un terzo dei signature cocktails è a base di whisky e non potrebbe essere diversamente viste le oltre 350 referenze presenti in casa”.

    È classe del 1984 ed è reduce da numerose esperienze in diversi cocktail bar ed alberghi di Firenze, fino ad approdare alla guida del bar di Rasputin, si dalla sua nascita ed elevarne il concept. Inoltre ha portato la sua professionalità lungo tutto lo Stivale e anche per il mondo, come a Tokyo o a Tirana, con il Guest Night, format che gli ha permesso di confrontarsi dal vivo col grande senso dell’accoglienza e con lo stile di miscelazione di grandi colleghi barman.

    Da appassionatissimo di storia dei distillati e dell’arte della mixology, negli ultimi anni ha voluto approfondire con somma dedizione il mondo del whiskey fin quando, nel 2019, ha intrapreso assieme a Federico Silvio Bellanca e Michele Tamasco l’avventura web “Whisky for Breakfast”, entro cui ogni settimana trasmette nozioni sull’imbottigliamento, approfondimenti produttivi e stilisti, storie delle più svariate distillerie e tutto quel che attiene al celebre distillato di cereali.

    Prima di esperire attraverso la proposta stagionale del Rasputin ed avere avuto il bene di ascoltare Daniele, come anzidetto, abbiamo fatto un giro di ronda assolutamente sobrio e virtuoso con Pisco Sour e Vodka Tonic.

    Dire servizio impeccabile e cocktail come da manuale è poco: attenzione ed introspezione verso l’ospite per coglierne i gusti e le esigenze sono un must qui e l’espressività dei cocktail raggiunge decisamente livelli superiori per la qualità dei prodotti, per un equilibrio perfetto ed il tocco dell’artista che invito a provare di persona.

    Cocktail Rasputin Secret Bar Firenze
    Cocktail Rasputin Secret Bar Firenze

    Alla fine i cocktails sono terminati ma non la voglia di bere approfondendo circa il luogo, l’alchimia e lo stesso alchimista, quindi cambio di scena: la postazione adesso è proprio di fronte al banco, tempo di dare ascolto al silenzio delle mani di Daniele che, senza perdere il contatto visivo col nostro sguardo, armeggiano sicure dietro un ordine prestabilito e rodato da anni di aritmetica perizia, mentre confezionano altri drink artigianali.

    Intanto la mia guida fiorentina, nonché tra i massimi esponenti italiani di fermentato di riso e koji, ordina un Manhattan per lui e con un cenno mi invita ad ordinare qualcosa. E niente: devo conoscerlo meglio il Cancellara, è una buona occasione per imparare dai suoi percorsi, rompo gli indugi e gli chiedo qualcosa di trasversale, dandogli giusto qualche cenno leggero tra un’idea base di distillato e qualche essenza mediterranea.

    Firenze dall'alto
    Firenze dall’alto

    Ecco che mentre cercavo di cogliere altri tratti della sua personalità e forma mentis è lui a farmi la radiografia, tirandomi fuori dal cilindro il Rosso di Mare, traducendo quasi all’istante ciò che avrei voluto bere. Per gentile concessione del Bar Manager ecco la ricetta: 40 ml di Trois Rivières Ambrè, 15 ml di Cinzano 1757 Vermouth di Torino, 10 ml di Rabarbaro Nardini ed altrettanti di Campari Bitter, infine 3 gocce di Tintura alle Erbe Mediterranee… il tutto invecchiato in botti di rovere!

    Un viaggio a vela Martinica-Gibilterra con approdo fluviale a Firenze. Un bere intellettuale e meditato dai sentori aromatici tipici della flora del Mare Nostrum, incluso lo speziato del prezioso zafferano, dal corpo equilibrato e verve di piacevole acidità che anche Corto Maltese, certo, avrebbe gradito.

    Con una scelta magistrale degli ingredienti impiegati, esaminando consapevolmente l’ospite senza neanche conoscerlo, ha saputo riproporre un percorso ideologico che parte dalle Piccole Antille ed arriva nel Mar Mediterraneo. Come le porte magiche che conducono in altre storie, come d’altronde fa lo stesso ingresso del Rasputin, i cocktail artigianali di Daniele sono delle sliding door che ti invitano al viaggio al primo sorso. Grazie sir Cancellara! A presto Rasputin!

    Di Gaetano Cataldo


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  • Paisà, Trattoria di mare ad Agnone Cilento 2022

    Paisà, Trattoria di mare ad Agnone Cilento 2022

    Paisà, Trattoria di mare ad Agnone Cilento 2022

    Di Gaetano Cataldo

    Ci sono pochi posti dove il mare è disposto ad entrare fin dove l’uomo domina i fuochi delle cucine, portato dal vento attraverso le finestre delle casette, i vicoli e le stradine, per benedire la Dieta Mediterranea che mani laboriose ed esperte celebrano con la stessa risolutezza con la quale i pescatori issano le reti, estraendo rispettosamente dalla materia prima tutta la sua marinara essenza ed il suo sapore più autentico per comporre piatti gustosi.

    Paisà, Trattoria di Mare ad Agnone Cilento
    Paisà, Trattoria di Mare ad Agnone Cilento

    Il posto è il Cilento, precisamente ad Agnone Cilento, e le mani sono quelle di Pasquale Tarallo, cuoco navigato e patron del Paisà, ristorante tipico delle Cucina Cilentana di mare.

    Territorio e storia

    Questa frazione marittima del comune di Montecorice, le cui spiagge sono state insignite anche quest’anno della bandiera blu, sorse come piccolo borgo di pescatori, noto già nel 1187 quando insisteva sul sito la chiesetta di Santa Maria de Hercula e che nel XVII secolo vide un maggiore sviluppo grazie alle case sorte attorno alla torre di San Nicola.

    mentre oggi vive in prevalenza di turismo: il paesaggio di Agnone infatti è davvero molto attrattivo grazie alla sua pineta a picco sul mare ed il promontorio delle Ripe Rosse che si stagliano su un azzurro da mille sfumature, per non parlare delle abitazioni, dei cortili e dei porticati fatti in pietra cilentana e dei terrazzamenti imbrigliati dai muretti a secco con gli olivi, i fichi e le viti, che nell’insieme narrano la memoria storica di una comunità che supera di poco i 2600 abitanti.

    Costa di Agnone Cilento
    Costa di Agnone Cilento

    Un intreccio di cultura e tradizione confezionato pazientemente dal tempo, che qui scorre ancora a misura d’uomo, esattamente come pazientemente gli agnonesi si occupavano della commettitura della “libbana”, una cima a tre legnoli molto resistente, ricavata con erbe essiccate.

    Dall’intreccio secolare del tempo a quello del tradizionale cordame, che da sempre l’artigianato locale ha prodotto per i pescatori cilentani, fino alla metafora sull’intreccio dei sapori che Pasquale impiega per creare i suoi piatti il passo è breve.

    Paisà la trattoria di mare

    Paisà prende il nome dal celebre film del ‘46 di Roberto Rossellini, la seconda pellicola di una trilogia della guerra antifascista e superbo esempio di neorealismo del cinema italiano, ma è anche la forma vocativa di paesano o compaesano usata al Sud Italia, con cui soldati italo-americani solevano rivolgersi ai civili, fino ad assumere anche il significato di soldato alleato.

    Il paesaggio ad Agnone Cilento, una meraviglia per gli occhi
    Il paesaggio ad Agnone Cilento, una meraviglia per gli occhi

    Il ristorante, oggi segnalato da Slow Food, venne fondato nel 1971 da Veturia, la nonna di Pasquale e di suo fratello Luca che ne sono al timone dal 2006, e che già allora doveva essere una sorta di osteria social dove tra un bicchiere di vino, una pietanza di pesce ed un piatto di formaggi, si brindava alla vita ed alla libertà.

    Oggi, a parte qualche piccolo restauro e l’ambiente di sala più arioso, lo spirito del locale è lo stesso di prima con in più l’estro creativo di Pasquale Tarallo che, a seconda della stagione, coniuga i sapori dell’orto al pescato del giorno, comunicando le portate tramite un menu fluido, rigorosamente scritto a penna ed a seconda della reperibilità quotidiana dei prodotti.

    Quello che non manca mai è quell’atmosfera cordiale che anche se non ci si passa da anni è come se da Pasquale ci si è stati il giorno prima, proprio come in quelle locande di altri tempi dove tutti si conosco e la tavola serve a tenere uniti, come se si fosse tutti a casa.

    Paisà, Trattoria di Mare ad Agnone Cilento
    Paisà, Trattoria di Mare ad Agnone Cilento

    Naturalmente oltre alla cordialità non mancheranno mai l’olio extravergine di oliva del Cilento, le verdure e gli ortaggi a km zero, a dimostrazione di una grande valorizzazione della vocazione agricola del comprensorio, il pescato locale con varietà di ogni sorta, con una predilezione per il pesce azzurro.

    Per le varietà ittiche così dette povere, una carta dei vini semplice ed incentrata sulle cantine del territorio e sugli abbinamenti, i formaggi paesani, la pasticceria cilentana in stile “home made” ed i liquori artigianali… tutti ingredienti di una cucina sostenibile, genuina e sincera.

    Di Gaetano Cataldo


    Sito ristorante: https://www.facebook.com/PaisaAgnone/photos/

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  • Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Di Gaetano Cataldo

    Non so a voi ma a me, quando bevo vini straordinari e birre artigianali di alto livello, senza manco dover andare in coma etilico o vedere alcolemiche allucinazioni, mi capita di fare certi viaggi a ritroso nel tempo che è uno spasso, viaggi che rispolverano antiche leggende, accadimenti ed aneddoti storici.

    Fermentazione del riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C
    Fermentazione del riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Il fluire del tempo…

    Impigliati nel fluire del tempo e rievocati da una sorsata di vino appena prelevato da un grosso qvevri c’è la nascita dell’alfabeto cuneiforme sumerico e le gesta mitologiche di Gilgameš re di Uruk, la fiera ebrezza degli Argonauti alla vigilia della ricerca del Vello d’Oro nell’antica Colchide, la scia delle antiche navi fenicie giunte fino a Cartagine, in Croazia ed in altri angoli del Mar Mediterraneo.

    Un boccale di birra dissetante tra amici non di rado porta a riscoprire le origini di questa bevanda oltre la spuma: la pratica di svezzare i neonati con lo zythum nell’Antico Egitto, i rituali religiosi officiati con la scura e concentratissima curmy, riservata al faraone ed il culto del gruit, miscela d’erbe antesignana del luppolo, custodito dalle popolazioni etrusche in un’epoca in cui la Campania non era stata ancora colonizzata dai Romani e quindi costoro non erano ancora riusciti a monopolizzare le abitudini di beva col nettare dionisiaco.

    Sake alle erbe di vario tipo
    Sake alle erbe di vario tipo

    Al di là del fascino e dell’alone leggendario che si cela dietro al consumo di vino o di birra quel che conta è saper bere e bere consapevolmente, pertanto anche chi sorseggia un sake artigianale potrebbe idealmente fare un bel viaggetto nella storia, ripeto “viaggetto” in termini metaforici e non “trip fantalcolemico”.

    Bisognerà portarsi col pensiero giusto un tantinello più ad Est, non subito in Giappone però…

    Cina precede il Giappone: sake e origine

    Junmai shu in degustazione
    Junmai shu in degustazione

    Infatti pare tutto abbia avuto inizio in Cina: con buona probabilità il casuale processo di fermentazione del riso sembra sia avvenuto attorno al V millennio a. C. nei pressi del Fiume Azzurro, altre fonti sostengono invece che sia avvenuto in prossimità del Fiume Giallo durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a. C. Da questo punto di vista è bene osservare che ci sono degli antenati cinesi che si avvicinano molto al sake giapponese:

    lo shokoshu e lo shaohing-jiu, entrambi provenienti dalla regione dello Shaoxing nell’Est della Cina, nei quali vengono impiegati non soltanto riso, ma addirittura miglio ed anche grano durante il processo fermentativo, per non parlare di un altro parente prossimo… l’huang-jiu, ossia il vino giallo, tutt’oggi elemento di estremo rilievo nella gastronomia cinese. Si rilevi che è che nella terra del Dragone Rosso, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, che viene fatta menzione per la prima volta di una particolare muffa nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come aspergillus oryzae, di estrema importanza per l’alimentazione in Estremo Oriente.

    Ma cosa accadeva nell’arcipelago giapponese e come si è arrivati al sake?

    Attualmente solo 1500 aziende producono il riferimentato di riso
    Attualmente solo 1500 aziende producono il riferimentato di riso

    Alcuni reperti archeologici consistenti in anfore, vasellame e coppe, sono stati rinvenuti sull’isola di Kyushu nel sud del Giappone qualche anno fa e gli esami al radiocarbonio vorrebbero risalissero al periodo Jomon, tra il 10.000 ed il 300 a. C., epoca in cui alcune tracce confermano la consuetudine a bere alcolici frutto della fermentazione di uva selvatica e di altri frutti spontanei da parte degli abitanti. È alla fine di questo periodo, più o meno tra il 600 ed il 500 a. C., che assisteremo all’introduzione del riso nell’arcipelago nipponico da parte dei cinesi.

    Durante il periodo Yayoi, databile tra il 300 a. C. ed il 300 d. C., assistiamo allo sviluppo ed al consolidamento delle tecniche di coltura del riso per mezzo dell’allagamento delle risaie e dei terreni predisposti alla semina di questo prezioso cereale.

    È bene rilevare che le testimonianze scritte più accreditate confermano il consumo di sake in Giappone risalga proprio a quest’epoca: nelle “Cronache dei Tre Regni” o “Gishi Wajin Den”, più precisamente nel Libro di Wei, testo cinese importantissimo, si descrive come interpretare e decifrare gli ideogrammi giapponesi rispetto ai costumi del tempo, tra cui la consuetudine di bere alcol appunto sia durante le danze popolari che nei periodi di lutto.

    Grazie all’impulso cinese la società giapponese cominciò a cambiare radicalmente ed assumere, a poco a poco, una connotazione culturale tutta sua… al periodo Yayoi, come recitato nel testo che lo menziona per la prima volta, ossia l’Ohsumikoku Fudoki, appartiene il kuchi-kami no sake, il sake ancestrale preparato dalle sacerdotesse shintoiste attraverso la masticazione del riso caldo, poi riposto in recipienti di terracotta assieme ad altro riso ed acqua perché amilasi e fermentazione potessero aver luogo.

    I giapponesi credono che il sakè sia la bevanda degli Dei e, durante i matrimoni, gli sposi si scambiano bottiglie di questo particolarissimo vino di riso, per suggellare la loro sacra unione.
    I giapponesi credono che il sakè sia la bevanda degli Dei e, durante i matrimoni, gli sposi si scambiano bottiglie di questo particolarissimo vino di riso, per suggellare la loro sacra unione

    Il rituale della preparazione del sake da masticazione da parte delle giovani vergini fa sì che nel periodo Kofun ed Asuka, tra il III ed il VII secolo d. C., la bevanda sia consacrata agli dei per ingraziarsi buona sorte e raccolti fruttuosi e purtroppo, dopo essere divenuto una bevanda molto popolare, proibita: il consumo infatti divenne appannaggio esclusivo dell’imperatore e della sua corte.

    Nel 689 d. C. fu istituita la prima casa di produzione di sake al palazzo imperiale di Nara e costituirono un organismo che ne vigilasse il processo, inoltre si beveva il doburoku, un sake “fangoso”, ergo non filtrato.

    Col periodo Nara , datato tra il 710 ed il 794, la sacralità del sake venne consolidata ulteriormente da un editto imperiale che ne codificò il culto durante specifiche funzioni religiose, proprie dello Shintoismo; dal Fudoki , testo di cronache di costumi e terre, opera letteraria voluta dalla stessa Genmei, un’importantissima rivoluzione nel processo di produzione del nettare di riso, si apprende circa l’introduzione del kamutachi: il termine antico è nient’altro che il sinonimo del meglio noto koji-kin, la spora fungina che cresce lungo gli steli del riso cui si è fatto cenno precedentemente ed il cui nome scientifico, lo ricordiamo, è aspergillus oryzae.

     bevanda alcolica prodotta dal riso nota in giapponese come Nihonshu
    bevanda alcolica prodotta dal riso nota in giapponese come Nihonshu

    754 la prima consacrazione dell’intero Giappone

    Di importante rilevanza storico-culturale è stata la prima consacrazione dell’intero Giappone del 754 avvenuta proprio in una delle sale del Grande Tempio Orientale tutt’oggi presidiata dalle imponenti statue dei quattro guardiani del Kaidan-In.

    Dal 794 al 1185, detto periodo Heian, il Giappone vede il fiorire dell’arte della scrittura a corte e numerose sono le descrizioni in forma letteraria ed artistica circa il servizio di mescita del sake; nel 927 viene ultimata, per volere dell’imperatore Daigo, la stesura dell’Engishiki, libro di leggi e costumi del tempo contenente una vera e propria trattazione sul processo di fermentazione, la descrizione di una dozzina di sake conosciuti e viene menzionata per la prima volta la consuetudine di bere il sake caldo con le tecniche di riscaldamento.

    Il mercato antico del Sake

    Alla fine del periodo Heian, nome dell’antica Kyōto, la domanda di sake aumentò così vertiginosamente da superare persino il prezzo del riso e, di conseguenza, i santuari shintoisti produttori di sake si moltiplicarono rapidamente in tutto il paese.

    L’era Kamakura – Muromachi, dal 1185 al 1493, sancisce l’inizio della produzione moderna di sake e si praticava l’antica tecnica fermentativa chiamata bodai-moto: essa consisteva nel mescolare riso grezzo cotto al vapore con acqua, koji e lieviti per ottenere un miscuglio ricco di acido lattico… una sorta di batonnage.

    Nel 1252 il governo dovette correre ai ripari limitando e regolando la produzione per impedire il consumo di sake degenerasse nella piaga dell’alcolismo.

    Tra il 1493 ed il 1600, ossia nel periodo Azuchi – Momoyama, venne introdotta la levigatura del riso con metodo Morohaku, descritto nel libro Tamon-in Nikki pubblicato nel 1569, creata la ricetta per la distillazione dello shōchū e, udite udite, fu introdotta la pratica della pastorizzazione… appena 300 anni prima di Pasteur, aumentando così la shelf-life del fermentato.

    Il culto del sake
    Il culto del sake

    Durante il periodo Tokugawa, noto anche come Edo, inizia il declino per lo shogunato ed il governo trova una stabilizzazione definitiva nella città di Tokyo. In questa fase di progresso generale avvengono altri determinanti cambiamenti per la produzione qualitativa di sake: come si tramanda nel Tamonin viene scoperta da Tazaemon Yamamura, fondatore della cantina Sakuramasamune, ancora attiva ed una delle più famose, la sorgente Miyamizu sul Monte Rokko nella prefettura di Hyogo e si comprende di conseguenza la funzione dell’acqua nel sake.

    Il cambiamento che porta Edo, la moderna Tokyo, a diventare la nuova capitale del Giappone in luogo di Osaka comporterà il trasporto di sake via mare e di conseguenza la costruzione di navi apposite chiamate Taru Kaisen, inoltre viene introdotta la figura del Toji, praticamente l’enologo del sake; nel Kanzukuri viene stabilito che i migliori sake debbano essere prodotti in inverno dove l’assenza o quasi di lieviti ed altri batteri non interferisce, inoltre verrà praticata la pastorizzazione a freddo ed infine, cosa importantissima, si introduce e perfeziona il processo fermentativo in tre fasi chiamato Sandan Jikomi.

    Al Periodo Meiji, databile tra il 1868 ed il 1912, si deve la nascita della bottiglia “Issho Bin”, in pratica la magnum del sake; nel 1872 il sake viene liberalizzato, consentendone il consumo al popolo, ed il fermentato di riso e koji compare sul Vecchio Continente, debuttando all’Expo Mondiale di Vienna.

    Durante il secolo scorso, tanto nel periodo Taisho che nel periodo Showa, sono stati apportati altri miglioramenti ma cosa ancora più importante è avere comprensione che il sake è frutto di ogni singolo tassello che nel corso della sua storia è servito ad ottimizzare un prodotto ed uno stile di bere evolutosi senza sosta nel tempo fino ai nostri giorni.

    Cosa possiamo dire del periodo Hensei, cioè dal 1989 fino ai giorni nostri? Con l’Expo di Milano del 2015 l’Italia diventa il primo paese europeo per l’importazione di sake di qualità e nel dicembre dello stesso anno il nihonshu viene insignito dell’indicazione geografica il cui disciplinare ne sancisce la tutela per tutte le 47 prefetture in cui viene prodotto.

    Bere consapevolmente significa appunto bere di qualità e con moderazione, accrescendo al tempo stesso la propria cultura grazie anche al confronto con altre culture tra presente e passato e bere sake giapponese è uno dei modi migliori per cogliere tale opportunità, con un tocco healthy e di grande appeal allo stesso tempo.

    Di Gaetano Cataldo


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  • Carol e i Sensi fonte di vita 2022

    Carol e i Sensi fonte di vita 2022

    Carol e i Sensi fonte di vita 2022

    di Carol Agostini

    Cosa sono i sensi e quanti sono? Una domanda che mi è saltata in testa parecchi anni fa, da quel momento ho ascoltato, osservato e analizzato me stessa, o meglio il mio corpo e la mia esistenza.

    I Sensi fonte di vita 2022 di Carol Agostini
    I Sensi fonte di vita 2022 di Carol Agostini

    Vi capita mai di avere la sensazione di conoscervi attraverso parole, gesti e movenze? Attraverso lo spazio che occupiamo, il tempo che trascorre, ciò che guardiamo o attraverso il dolore che proviamo?

    Rifletteteci, scoprirete angoli nascosti che mai avete analizzato, situazioni sfuggenti, emozioni nascoste, esiti sommersi da automatismi vitali senza alcuna ricerca fine a se stessa.

    Ed eccomi qui a raccontarvi i miei studi, il percorso che ho fatto alla ricerca dei sensi umani, queste vie che ci permettono di percepire informazioni sul mondo e sul nostro corpo.

    Eravamo tutti rimasti ai cinque sensi.

    Il viaggio però continua, sono passata dai 13 ai 17, man mano che la scienza negli anni si è evoluta.

    I sensi li identifichiamo e li conosciamo come i mitici cinque, i super eroi del nostro secolo, coloro che risolvono, che ci fanno vivere, ma allo stesso tempo sono causa di malattie e di soddisfazioni.

    I classici cinque sensi sono la vista, l’udito, il gusto, l’olfatto e il tatto. E gli altri?

    I primi Sensi "consapevoli" di Carol Agostini 2022
    I primi Sensi “consapevoli” di  vita di Carol Agostini 2022

    Come anticipato, i veri sensi sono 17 e si dividono in tre macro aree di appartenenza e competenza:

    I sensi meccanici: tatto, udito, propriocezione (posizione nello spazio, nel buio e nel silenzio), equilibrio, fame, sete, stimolo di urinare, prurito, termo percezione, tensione, magnetismo, tempo.

    I sensi chimici: gusto, olfatto, dolore, stiramento.

    I sensi luminosi: la vista.

    I sensi, uno a uno

    Vi faccio un esempio concreto per quei sensi che non immaginavate fossero appunto sensi:

    l’equilibrio è un senso meccanico, perché è il sistema vestibolare dell’orecchio a far percepire come cambia la nostra posizione in relazione alla gravità, così come la fame, la sete e lo stimolo a urinare, che sono sempre sensi meccanici, come del resto lo è la pressione sanguigna.

    Equilibrio uno dei Sensi meccanici di Carol Agostini 2022
    Equilibrio uno dei Sensi meccanici di Carol Agostini 2022, fonte di vita

    Le propriocezioni, parola di difficile pronuncia, sono invece quei recettori che ci permettono di ubicarci nella posizione in cui siamo, quella sensazione che ci permette di addentrarci nella nella spazialità, che ci aiutano a trovare una collocazione precisa nel buio e nel silenzio.

    Le propriocezioni sono invece quei recettori che ci permettono di ubicarci nella posizione in cui siamo
    Le propriocezioni sono invece quei recettori che ci permettono di ubicarci nella posizione in cui siamo, di Carol Agostini autrice dell’articolo: I Sensi fonte di vita 2022

    Una domanda mi sono fatta in questi anni…dove ci portano i sensi? Ci portano alla conoscenza, della percezione della complessità di ogni situazione vissuta nel mondo e di noi stessi, ci spingono a cercare, conoscere, capire e a renderci umanamente persone.

    La vista consente di distinguere forme, colori, distanze, oltre alla tridimensionalità di tutto ciò che osserviamo.

    La vista consente di distinguere forme, colori, distanze, oltre alla tridimensionalità di tutto ciò che osserviamo. I Sensi
    La vista consente di distinguere forme, colori, distanze, oltre alla tridimensionalità di tutto ciò che osserviamo. I Sensi fonte di vita 2022

    Il gusto, identificato in cinque gusti. I sapori percepiti sono il dolce, il salato, l’amaro, l’aspro, ma c’è anche l’umami, cioè il gusto di glutammato (presente nei cibi ricchi di proteine come carne e formaggio). C’è un sesto gusto poi, individuato, ma non ancora classificato, che comprende le papille gustative che percepiscono la presenza di grasso.

    Il gusto, identificato in cinque gusti. I sapori percepiti sono il dolce, il salato, l'amaro, l'aspro, ma c’è anche l’umami, cioè il gusto di glutammato
    Il gusto, identificato in cinque gusti. I sapori percepiti sono il dolce, il salato, l’amaro, l’aspro, ma c’è anche l’umami, cioè il gusto di glutammato

    La pressione, chiamata comunemente “tatto” (che però spesso è associato anche ad altri sensi), è la capacità di riconoscere una pressione su una zona specifica del corpo.

    Il prurito, per quanto la cosa possa stupire, ha un sistema sensorio proprio, distinto da quello del tatto ed è un senso meccanico di difesa e di stimolazione.

    La termo percezione, è la capacità di avvertire il freddo il caldo, divisi per diversità dei recettori e meccanismi di rilevamento.

    L’udito, capacità di avvertire vibrazioni nell’ariadi Carol Agostini I Sensi
    L’udito, capacità di avvertire vibrazioni nell’ariadi Carol Agostini I Sensi fonte di vita 2022

    L’udito, capacità di avvertire vibrazioni nell’aria o, comunque nel gas/liquido in cui si è immersi, captando i suoni che provengono dall’esterno e che si trasmettono attraverso il canale uditivo alla corteccia temporale che li decodifica.

    L’olfatto, capacità di sentire odori e profumi. I sapori sono creati dalla combinazione di gusto ed olfatto grazie all’azione dei chemiorecettori, cellule presenti nella mucosa olfattiva (un’area della mucosa nasale) capaci di reagire alle caratteristiche chimiche delle sostanze odorose.

    L’olfatto, capacità di sentire odori e profumi. I Sensi
    L’olfatto, capacità di sentire odori e profumi. I Sensi fonte di vita 2022

    La propriocezione (o cinestesia), è la capacità di riconoscere la posizione del proprio corpo e dei singoli arti nello spazio. Per la cronaca, è uno dei sensi che viene alterato dal consumo di alcol; da qui l’abitudine di utilizzare il metodo “chiudi gli occhi e toccati il naso” per valutare lo stato di sobrietà di una persona.

    La tensione permette al cervello di accertare lo stato di tensione e contrazione dei muscoli.

    Il dolore, un tempo considerato un “sovraccarico” di altri sensi, come il tatto, in realtà provvisto di recettori e di una rete sensoriale propria. Anzi, in realtà ce ne sono tre distinte: quella cutanea sulla pelle, quella somatica su ossa e giunture, e quella concernente gli organi interni.

    L’equilibrio, che permette di identificare le accelerazioni (compresa quella di gravità). L’organo dell’equilibrio è il labirinto vestibolare, che si trova nell’orecchio interno.

    Lo stiramento. I recettori specifici per lo stiramento e l’allungamento si trovano in particolare nei polmoni, nella vescica, nello stomaco e nell’intestino. Spesso questo senso sarebbe anche collegato ai mal di testa, in particolare associato alla percezione della dilatazione dei vasi sanguigni.

    La chemio percezione, data dai chemiorecettori è la percezione degli stimoli chimici, in particolare attivata dagli ormoni, come l’esigenza di fare pipì.

    Tutti viviamo i sensi nello stesso modo o intensità?
    Tutti viviamo i sensi nello stesso modo o intensità?

    Sete, è un senso autonomo, che si attiva quando l’idratazione del corpo scende.

    Fame, anche questa ha una sua autosufficiente rete sensoriale.

    Magnetismo, è la capacità di avvertire campi magnetici. Negli esseri umani, non è particolarmente risaltata come in alcune specie di uccelli che sono precisamente in grado di percepire il campo magnetico terrestre (usando questo per orientarsi), ma c’è sicuramente una sensibilità di base.

    Il Tempo, gli esseri umani hanno una percezione molto precisa del tempo, soprattutto i giovani.

    Domande e risposte

    Qual è il senso maggiormente usato?

    Beh, che dire… ovviamente la vista. Con essa ci si entusiasma, ci si seduce e ci si innamora, di un paesaggio, di una persona, di un cucciolo di animale.

    È il importante recettore che innesca le nostre emozioni.

    Ma avete mai pensato al profumo dell’aria? Che odore ha?

    L’aria ha il profumo dei nostri ricordi, un mix tra contesto e azioni che si innalzano con il vento. Non si vede, ma si percepisce; è una culla di profumi che si mescolano e danzano in soffi leggeri.

    Avete mai pensato che ogni piatto è un viaggio sensoriale?

    Ha un’infinità di varianti che innescano i nostri sensi, dalla spazialità ai colori, dalle forme alla consistenza, dal sapore ai profumi. Ma mangiare non implica solo i primi “i magnifici cinque”, ma anche molti dei sensi meccanici, come la pressione, la termo percezione, la chemio percezione e tanti altri.

    I sensi, ricette, Cena con Fattura D'Amore di Carol Agostini
    I Sensi, ricette, vita,  Cena con Fattura D’Amore di Carol Agostini
    E vedere un film?

    Oltre al senso luminoso che è la vista, anche i sensi meccanici sono coinvolti e spesso sono quelli che accompagnano le emozioni dei nostri sguardi e delle nostre lacrime.

    Tutti viviamo i sensi nello stesso modo o intensità?

    No, i sensi di ognuno di noi sono imprevedibili e dipendono da fattori diversi a seconda della sensibilità umana, da predisposizioni fisiche naturali e da un allenamento volontario. Vi faccio un esempio concreto, un degustatore sommelier può avere doti naturali di analisi ma si allena, si crea una memoria olfattiva e gustativa e si concreta per riscoprirla attraverso l’analisi.

    Il viaggio verso i Sensi e dei Sensi
    Il viaggio verso i Sensi e dei Sensi
    Quali sono le vacanze che intrigano?

    Ovviamente quelle sensoriali, in cui si evocano e si risvegliano i canali della percezione spesso poco usati, creando grande stupore e coinvolgimento e utilizzando il maggior numero di sensi a nostra disposizione, aiutandoci a creare sensazioni date dal contatto diretto con la sperimentazione. Il divertimento sarà assicurato.

    Quindi che ne pensate, dunque, di lasciare a casa le inibizioni, gli automatismi dati dalla routine e quotidianità e in questa torrida estate VIVERE DI SENSI?

     Di Carol Agostini

    Carol Agostini autrice dell'articolo, commissario internazionale enologico,food&wineWriter, titolare agenzia FoodandWineAngels, Caporedattore Papillae Magazine
    Carol Agostini autrice dell’articolo, commissario internazionale enologico,food&wineWriter, titolare agenzia FoodandWineAngels, Caporedattore Papillae Magazine

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  • I 4 sensi + 1… I segreti del Gusto

    I 4 sensi + 1… I segreti del Gusto

    I 4 sensi + 1… I segreti del Gusto

    Di Michele Nasoni

    Lei era alta, bella, bionda, occhi celesti.

    E si, per noi nati negli anni ’70 viene subito in mente la canzone di Francesco Nuti nel geniale, irriverente e precursore film Madonna che silenzio c’è stasera” quando entra in scena con la chitarra davanti ad un pubblico incontentabile ed irritato ed esordisce con un “Canterò per voi una canzone d’amore…

    Lui era moro, occhi ebano, aitante, mediterraneo.

    Sentì l’odore della sua pelle profumata e molto probabilmente percepì a livello inconscio, ancor prima che entrasse nella sala degustazione già completamente allestita, la sua straripante sensualità che aleggiava intorno a lei come un’estensione naturale del suo corpo.

    Già, il suo corpo.

    Alta, bella, bionda, occhi celesti… e tutto il resto. Tutta quella calda estate del ’82 passata al bar con gli amici, fra le partite inebrianti del mondiale spagnolo, le prime birre e il juke box che suonava all’infinito come un mantra la canzone di Nuti.

    Michele Nasoni
    Michele Nasoni sommelier, autore del libro Wineblogger Wine Not? fondatore del blog sommelier naso dvino, autore dell’articolo: I 4 sensi + 1…I Segreti del Gusto

    Vibrazioni, sensazioni… emozioni e sensi!

    Lui prese due calici di vino rosso, caldo Syrah siciliano, maturo e dolce frutto carnoso e pepe nero con un tocco di spezie dolci orientali, ciliegia piccante, che qualche misterioso fato aveva deciso di mettere lì pronti nel primo stand dell’evento.

    La raggiunse porgendogliene uno e guardandola fissa negli occhi. Dentro gli occhi. Fuoco e cielo.

    Stasera ceniamo insieme…”sensi

    Il gusto è l’unico senso interno al corpo umano... uno dei sensi!
    Il gusto è l’unico senso interno al corpo umano… uno dei sensi!

    Come andò a finire non so, come ignoro se sia storia o leggenda, quello che so per certo è che in ogni occasione che vogliamo abbattere delle barriere personali, andare oltre alle apparenze e formalità, vogliamo creare intimità, condivisione, comunione, sigillare amicizie, allargare parentele, concludere buoni affari, festeggiare buone notizie o lieti eventi, la tavola, e quindi il cibo e il vino, sono eterni, inossidabili e preziosi alleati. Fondamentali.

    I segreti...i sensi
    I segreti…i sensi

    I segreti…i sensi

    Di una persona possiamo discernere la sua sfera pubblica anche da lontano con la vista, apprezzarla o meno riducendo le distanze nell’ambito sociale sentendola parlare, già con il tatto, una stretta di mano una pacca sulla spalla, possiamo entrare nella sua area personale, ma per sedurre la sua intimità e carpirne la vera essenza dobbiamo ricorrere all’olfatto e al gusto.

    Tutte le grandi cose accadono intorno ad un tavolo, a partire dall’ultima cena in poi e, dicendola tutta, niente di importante è mai accaduto di fronte ad un piatto di insalata e un bicchiere d’acqua.

    E fra l’olfatto e il gusto c’è una sottile differenza che però ha una immensa rilevanza, psicologicamente e spiritualmente parlando.

    Il gusto è l’unico senso interno al corpo umano... uno dei sensi! Michele Nasoni
    Il gusto è l’unico senso interno al corpo umano… uno dei sensi! Michele Nasoni

    Il gusto è l’unico senso interno al corpo umano… uno dei sensi!

    Per sentire una cosa con l’olfatto spesso dobbiamo avvicinarcisi molto, ma per gustare una qualsiasi cosa dobbiamo farla entrare addirittura fisicamente dentro di noi ecco perché riguarda la sfera più intima segreta e quindi spirituale ed emozionale. Introspettiva e viscerale.

    Tutta questa importanza la assume anche perché senza mezzi termini siamo ciò che mangiamo, letteralmente parlando proprio, quello che gustiamo e poi ingeriamo si trasformerà in qualche modo in sostanze chimiche che andranno a costituire, nutrire, sostituire, riparare le nostre cellule.

    Mangiare bene e bere meglio per stare meglio!
    Mangiare bene e bere meglio per stare meglio! Sensi

    Troppo spesso ci nutriamo distrattamente in maniera automatica ed automatizzata o troppo frettolosa, sottovalutando l’importanza sia dal punto di vista personale che sociale di stare a tavola gustando una cucina varia, sana e saporita accompagnata sempre da una buona bottiglia di ottimo vino e da veri amici.

    Mangiare bene e bere meglio per stare meglio!Sensi…

    Seguiteci per altri consigli!

    Di Michele Nasoni

    Michele Nasoni
    Michele Nasoni sommelier, autore del libro Wineblogger? Wine Not? e fondatore del blog sommelier naso dvino

    Blog Autore: http://www.sommelier-naso-d-vino.com

    Partner: https://www.foodandwineangels.com/