CEMBRA CANTINA DI MONTAGNA 2023, Un progetto in crescita
Di Rosaria Benedetti
La rinnovata veste dei vini di Cembra Cantina di Montagna concretizza con un tocco di eleganza il rinnovato progetto vitienologico dell’Azienda.
Il nitido segno della montagna in etichetta non lascia dubbi sulla provenienza delle uve mentre l’essenzialità del tratto richiama l’immagine dell’estrema pulizia dei vini, della loro precisione e aderenza territoriale.
In tutti indistintamente è palese la cifra comune dell’altitudine dei vigneti in termini di aromaticità e mineralità: lontani da forzature esprimono una verticalità che conosce rari cedimenti alla morbidezza.
La scelta di individuare la Val di Cembra come unica entità territoriale proponendo al consumatore vini esaustivi del vitigno con selezioni monovarietali sta conferendo profondità al progetto e i risultati in bottiglia sono lusinghieri. La ricerca di vinificazioni caratterizzanti strettamente legate alla tradizione locale ma con l’impronta della modernità, in particolare per il pinot nero, consente a questa Cantina Sociale i cui Soci lavorano ca 650 ha di vigneto, di ritagliarsi un preciso ruolo di salvaguardia e interpretazione del territorio.
In Degustazione i seguenti vini
TRENTINO DOC MUELLER THURGAU 2021 – 12,50%
Decisamente sorprendente per il suo tratto aromatico molto piacevole e dai contorni ben definiti.
Il colore paglierino luminoso introduce un olfatto agrumato, completato da tocchi di salvia, dragoncello e fiori bianchi. In bocca la vena erbacea è leggermente verde; il sorso entra fresco, rimane affilato e chiude con un tocco di mandorla. Persistente e sapido induce al secondo sorso.
Vincente il raffronto con l’annata 2020 che possiede una pastosità diversa ma meno fresca e un tratto aromatico meno incisivo. Vincente anche il confronto con un Vigna delle Forche 2018, ma è ben comprensibile. Il vino qui ha perso l’aromaticità per conservare solo la traccia del riesling con un delicato accenno a sentori di idrocarburi.
TRENTINO DOC RIESLING 2021 – 12%
Un Riesling territoriale, dal piglio giovanile ma con buona struttura. Si percepiscono soprattutto appena stappato note di pietra focaia, che lasciano poi posto ai fiori di tiglio e a qualche tocco più evoluto. Leggermente morbido all’ingresso di bocca, più avvolgente che fresco, il sorso si restringe poi per arrivare in chiusura gradevolmente amarognolo. Chiude con buona sapidità. Resta nel range dei riesling trentini ma con una morbidezza in più.
TRENTINO DOC CHARDONNAY 2020 – 13% – una parte in barrique
Chardonnay di bella struttura, giallo dorato, luminoso. All’apertura il sentore vanigliato supera il frutto che si esprime in una macedonia tropicale. Entra fresco per farsi poi avvolgente mettendo in evidenza piacevoli doti per abbinamenti gastronomici. Anche in chiusura la nota vanigliata tende ad avere il sopravvento sulla sapidità ma il vino possiede buone doti di persistenza che lasciano una scia piacevole di limone dolce.
TRENTINO DOC PINOT NERO 2020 – 13,50%
Brillante e invitante il colore rubino trasparente. Appena versato l’importante presenza alcolica tende a coprire sia il frutto che la spezia. Si fanno largo lentamente sentori erbacei accompagnati da note di piccoli frutti e sottobosco. La trama tannica è delicata e il sorso perde un poco di efficacia.
TRENTO DOC ORO ROSSO – Dos Zero Riserva 2017 – Chardonnay 100%
Nel calice si presenta subito con un perlage raffinato che forma una corona persistente. Il colore è giallo paglierino acceso e brillante. I sentori di lievito quasi fresco evolvono in pesca bianca e crosta di pane. Il sorso è rigoroso e netto di grande freschezza e acidità. Svela in centro bocca una piacevole rotondità subito ricondotta al tagliente finale, agrumato e amaricante. Metodo classico che esprime tutta la bella tipicità delle bollicine di montagna con le tipiche freschezze e verticalità.
Tenuta di Arceno tra storicità, tradizione e sensorialità
Di Adriano Guerri
La Tenuta di Arceno è un gioiello incastonato nelle dolci colline del Chianti Classico, più precisamente nel comune di Castelnuovo Berardenga, il comune più vicino a Siena di tutto l’ areale del Chianti Classico. Con l’arrivo delle UGA (Unità Geografiche Aggiuntive), la sottozona a forma di farfalla è stata divisa in due unità, quella di Castelnuovo Berardenga e la parte sinistra con Vagliagli.
La tenuta è immersa nei 1000 ettari di proprietà, 92 ettari sono destinati alla coltivazione della vite e 50 ettari ad oliveto. Varcando l’arco dell’entrata, intuisci subito che ti trovi in un lembo di paradiso, ove vigneti si alternano a boschi secolari ed oliveti e cipressi disposti in duplice filar. Una Tenuta ben mantenuta, all’interno della quale ci sono antichi casali finemente restaurati. Oggi è di proprietà delle famiglie statunitensi Jackson e Banke , le quali sin dall’ acquisizione risalente al 1994 hanno rinnovato gli impianti in vigna. In passato è appartenuta ad importanti e storiche famiglie senesi, quali i Taja ed i Piccolomini.
Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, ma tra i filari trovano spazio anche gli internazionali Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. I vigneti sono posti ad un’altitudine che varia dai 300 ai 560 metri s.l.m. I terreni sono rocciosi con presenza di sabbia, argilla, arenaria, basalto e scisto. Il microclima, mitigato dai fiumi Ombrone e Ambra è caratterizzato da notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte ed è ideale per l’allevamento della vite.
La parte enologica è affidata a Lawrence Cronin e Pierre Seillan, quella agronomica a Michele Pezzoli e la direzione generale alla dinamica Sandra Gonzi. Il giorno della visita ad attenderci c’erano sia Sandra sia Federica Pallari dell’Hospitality, le quali erano molto felici che il Chianti Classico Riserva 2020, si è piazzato al 24esimo posto con 94 punti nella Top 100 dell’ autorevole rivista statunitense Wine Spectator.
I vini degustati:
Chianti Classico 2021 – Sangiovese 85%, Merlot 15% – Rosso rubino intenso, al naso sprigiona sentori di ciliegia, violacciocca, sottobosco, tabacco e spezie, al palato è fresco e al contempo avvolgente e persistente.
Chianti Classico Riserva 2020 – Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 10% – Rosso rubino vivace , emergono sentori di lampone e ciliegia, rosa, menta, cioccolato bianco e note sia speziate sia erbacee, al palato è coerente, rotondo, pieno ed appagante.
Chianti Classico Gran Selezione Strada al Sasso 2020 – Sangiovese in purezza – Rosso rubino trasparente e consistente, emana sentori di violetta, amarena, mora, scorza d’arancia, tabacco e bacche di ginepro, gusto morbido con tannini poderosi ma setosi, il finale è decisamente lungo.
Il Fauno di Arcanum Igt 2021– Merlot 35%, Cabernet Franc 35%, Cabernet Sauvignon 25% e Petit Verdot 5% – Rosso rubino profondo, al naso rivela sentori di fragola, lampone, mora, pepe e nuances mentolate , al palato è ricco, fresco e vibrante con finale duraturo.
Valdorna Igt 2017 – Merlot 60% Cabernet Franc 32%, Cabernet Sauvignon 4% e Petit Verdot 4% – Rosso granato profondo, al naso spiccano note di amarena matura, prugna, vaniglia, nocciole tostate e cacao, al gusto è dinamico, vellutato, sapido e di buona struttura.
Arcanum Igt 2017 – Cabernet Franc 100% – Rosso granato impenetrabile, al naso una cascata di frutta e un pot-pourri floreale anticipano note di menta, origano e spezie orientali, al gusto ti colpisce per la sua elegante e piacevole trama tannica ben amalgamata con freschezza e sapidità che ne fanno un vino espressivo, morbido, suadente, coerente e persistente.
Convegno “Il futuro del vino tra algoritmo e cambiamento climatico” durante la presentazione della Guida Vini d’Italia 2024 del Gambero Rosso
Di Cristina Santini
Il 15 ottobre al Teatro Brancaccio di Roma, durante la presentazione della Guida Vini d’Italia 2024 del Gambero Rosso, è stato dedicato ampio spazio al tema “Il futuro del vino tra algoritmo e cambiamento climatico”.
Il convegno che ha preceduto la cerimonia di premiazione Tre Bicchieri della guida, è stato moderato dal giornalista Gianluca Semprini che ha rivolto alcune domande ad una platea di esperti intervenuti ognuno nelle proprie competenze e dei quali riportiamo alcuni spunti per un aggiornamento o una riflessione personale.
Sono intervenuti Renato Brunetta, presidente del Cnel , Silvia Puca, matematica e project manager Eumetsat Hydrology Saf per la Protezione Civile, Andrea Gasparri del dipartimento di Ingegneria civile dell’Università Roma Tre, Daniele Nardi del dipartimento di Ingegneria informatica dell’Università Sapienza di Roma, Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso, Carlo Spallanzani, amministratore delegato di Gambero Rosso e Marco Mensurati, direttore responsabile di Gambero Rosso.
Apertura con l’intervento del Presidente del Cnel, Renato Brunetta:
“Non bisogna aver paura del progresso. In Inghilterra, nei primi decenni dell’800 i luddisti si aggiravano per le campagne per distruggere i telai meccanici, temendo che quelli distruggessero il loro lavoro. Ma sappiamo tutti come finì: ci furono tre rivoluzioni industriali, aumentò la produzione, il benessere e anche l’occupazione.
Oggi anche il vino sta vivendo la sua rivoluzione. Di fronte ai cambiamenti climatici è sempre più difficile avere l’anno, che io definisco, della sincronizzazione, ovvero quello in cui va tutto bene. Quindi, la viticoltura è destinata a soccombere? No, perché l’uomo guarda al progresso. Da qui l’importanza che la transizione digitale potrà avere nei prossimi anni per costruire nuove annate straordinarie. Unica condizione mischiare l’intelligenza artificiale a quella umana”.
A seguire il discorso di Silvia Puca, matematica e project manager Eumetsat Hydrology SAF:
“Mi occupo del coordinamento del progetto satellitare europeo più grande che abbiamo in Europa per la stima dei parametri idrologici, quindi precipitazioni, umidità, neve, che hanno un impatto sul territorio, e lavoro nell’ambito della Protezione Civile. Ogni qual volta abbiamo, come recentemente in Emilia Romagna, eventi così intensi ed estremi, c’è una tecnologia satellitare italiana importante che ne segue l’evoluzione.
Ci sono eventi intensi che sono più facilmente prevedibili ed altri in cui è veramente molto difficile; quelli di tipo meteorologico hanno una scala sinottica ovvero prendono aree molto ampie, si generano in territori molto lontani da noi, e ci sono modelli meteorologici che riescono a prevederli. Quello in Emilia Romagna è stato uno di questi, quindi la protezione civile a livello locale e nazionale si è mossa in tempo. Sono state evacuate centinaia di persone prima dell’evento e questo ha permesso la salvaguardia dei nostri cittadini.”
Per quanto riguarda le previsioni a lungo raggio che riguardano soprattutto la siccità, con i modelli matematici a disposizione cosa possiamo sapere ed entro che lasso di tempo?
“L’uomo, nell’aver creato grosse problematiche come l’innalzamento delle temperature e tutto ciò che vediamo sul cambiamento climatologico, è però allo stesso tempo avanzato con le tecnologie in modo molto importante. I primi satelliti che hanno iniziato a monitorare la Terra in modo continuativo e operativo sono degli anni ‘80, quindi sono cinquant’anni circa che raccogliamo una serie di parametri di tipo atmosferico e quelli riguardanti le nostre terre.
Queste informazioni ora ci permettono di vedere giornalmente, se non anche più volte al giorno, alcuni dati fisici che ci aiutano a prevedere la precipitazione più o meno intensa o più o meno lunga, o di tipo grandigeno, ma anche di vedere una diminuzione dell’umidità del terreno associata a minori precipitazioni.
Queste Informazioni ci portano mesi prima a capire le condizioni per una probabile siccità. Ormai si parla sempre in termini di probabilità, abbiamo ora delle condizioni che sono anomale e quindi non sono le precipitazioni che avremmo dovuto avere in questa stagione e, venendo anche da un anno povero di neve, non abbiamo avuto le risorse idriche che si mettono in cantiere.”
Quindi cosa sappiamo adesso da qui ai prossimi mesi?
In questo momento il nostro territorio nazionale, ma non solo l’Italia, è al di sotto di quelle che sono le risorse idriche che abbiamo in questo periodo rispetto agli anni precedenti. I modelli al momento non ci danno precipitazioni importanti per dire che recupereremo questo deficit, però cosa accadrà nei prossimi mesi non possiamo saperlo con certezza perché purtroppo i modelli nel lungo termine, da un mese in poi, fanno più fatica e spesso possono sbagliare.
A breve termine cosa ci permettono di sapere le tecnologie ad esempio in vigna e capire fra quante ore accadrà cosa?
Le previsioni sono di tipo meteorologico, non abbiamo altri tipi di previsioni, quindi la modellistica meteorologica ci dirà che nei prossimi giorni avremo delle precipitazioni. Però quello che sappiamo anche che al momento queste piogge previste non sono sufficienti per andare a recuperare questa anomalia che abbiamo.
Per il lavoro svolto in ambito sostenibilità, è intervenuto il Vice Presidente di Equalitas, Michele Manelli:
“Dieci anni fa, patrocinati a casa del Gambero per il Forum della sostenibilità, ci siamo accorti che un terzo della nostra economia del green si stava muovendo in questa direzione e che c’era però complessità nella rappresentazione. E’ stato fatto un percorso sotto la guida di Federdoc, riconosciuto anche dal ministero come progetto di interesse pubblico nazionale sul tema della sostenibilità, e oggi abbiamo in certificazione, perché Equalitas è “Standard Owner”, ovvero non certifica, ma accredita Enti di certificazione che svolgono le verifiche, circa il 20% della filiera italiana. Rappresentiamo quasi centomila ettari e otto miliardi di fatturato, sono numeri importanti.
Certificazione riconosciuta a livello statale come una sorta di bollino di Stato, poi cosa è successo?
E’ stato istituito un percorso che poi ha consentito alle Sqnpi (Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata) di integrarsi con nuovi requisiti e di definire che la sostenibilità deve essere multi pilastro e avere un’utilizzazione qualitativa che riflette tutte le istanze ambientali ed economiche. E’ chiaro è un inizio, noi ne abbiamo 147 di requisiti, è un sistema molto più articolato, forse non è sufficiente in questo momento né per essere riconosciuto dal mercato come qualificante né per mettere ordine su quella che è la definizione della sostenibilità.
Se guardiamo solo al mondo del vino, cerchiamo con una serie di accordi internazionali di ricercare questa armonizzazione perchè se non facciamo ordine non troviamo la base con la quale definire questo sistema e faremmo fatica a convincere le aziende ad investire e i consumatori a scegliere. Stiamo parlando di circa 50 Standard che stiamo analizzando a livello internazionale per trovare delle sintesi e quasi 100 solo per il mondo del vino.
Il consumatore più attento alla sostenibilità è sicuramente quello nord europeo, nord americano. In Italia sta cambiando qualcosa?
In questo decennio si può notare chiaramente come sia triplicato l’interesse dei consumatori verso i temi della sostenibilità. Questo punto oramai è il secondo motivo di acquisto del consumatore dopo l’origine. E’ molto interessante come ci sia una chiara convergenza verso il prodotto di qualità, il prodotto sostenibile e nonostante le difficoltà contingenti di poteri di acquisto che si deteriorano, è inevitabile che la sostenibilità possa moltiplicare l’esperienza ed il racconto del vino.
Sulla robotica in agricoltura e in vigna interviene il Prof. Andrea Gasparri del Dipartimento di Ingegneria Civile, Informatica e delle Tecnologie Aeronautiche Università degli Studi di Roma Tre:
Quando parliamo di agricoltura di precisione, di cosa parliamo effettivamente?
Parliamo di strategie di gestione che permettono di sviluppare modelli agricoli che siano sostenibili, riescano a garantire la sicurezza alimentare e al contempo mitigare la carenza di forza lavoro.
La definizione che voglio dare di agricoltura di precisione presa da un articolo scientifico che ritengo molto interessante dice: “E’ il saper fare la cosa giusta nel posto giusto al momento giusto”, ma dietro questo concetto c’è una grossa complessità perché bisogna raccogliere molti dati ed avere una conoscenza puntuale della cultura e questo implica l’utilizzo di molte tecnologie abilitanti tra le quali sicuramente l’intelligenza artificiale e la robotica.
Cosa abbiamo al momento per quanto riguarda la robotica?
Se guardiamo dal punto di vista commerciale, abbiamo soluzioni che permettono, nelle colture erbacee e in quelle di serra, la rimozione delle erbe infestanti, la preparazione del terreno, il controllo dei parassiti e delle malattie, la raccolta.
Per quanto riguarda la ricerca, si concentra principalmente sul concetto complesso di colture permanenti perché la presenza di filari, di sesti di impianto, chiaramente complica la vita del robot che in questo caso non riesce a fare la manovra. Quindi noi dobbiamo lavorare per dare intelligenza e capacità a questi robot di muoversi in maniera opportuna.
Ad oggi quali robot abbiamo in agricoltura efficienti?
Noi stiamo lavorando a dei progetti europei di ricerca nei quali abbiamo sviluppato delle soluzioni robotiche in cui i robot riescono, in maniera del tutto automatizzata, a fare operazioni varie come la spollonatura in un noccioleto. C’è anche il progetto in cui stiamo sviluppando un’architettura che permetta di condividere gli spazi operativi tra le macchine e l’umano.
Sono delle piattaforme robotiche che, in questo caso lavorano sull’uva da tavola, devono fare un’operazione di aggancio per lo scambio delle cassette piene e lo devono fare nella stessa area in cui stanno lavorando anche degli operatori umani e devono essere in grado di considerare tale contesto. Abbiamo un esempio di come in maniera del tutto automatizzata la piattaforma robotica riesca a riconoscere un grappolo, valutarne lo stato di maturazione ed effettuare il taglio. Il passo successivo sarà passare all’uva da vino.
Introduce il tema sull’intelligenza artificiale il Prof. Daniele Nardi del Dipartimento di Ingegneria Informatica Automatica e Gestionale “A. Ruberti” Sapienza Università di Roma:
Io non riproporrei il classico tema ci fa paura, non ci fa paura l’intelligenza artificiale ma andrei alla situazione di oggi. Abbiamo fatto tanti passi in avanti, che cosa succede in particolar modo per le persone che abbiamo di fronte?
Dopo l’intervento di Andrea Gasparri ho poco da dire rispetto all’intelligenza artificiale all’uso del vino e aver centrato questo concetto della sincronizzazione in maniera così precisa mi lascia poco spazio. Forse si può allargare il discorso, nel senso che l’intelligenza artificiale può essere utile anche nella lavorazione del prodotto e poi anche nella distribuzione. Parliamo di Chat GPT.
Chat GPT e l’agricoltura, non ne vedo applicazione, quale può essere?
C’è un’applicazione diretta che secondo me riguarda soprattutto i piccoli produttori e che ha a che vedere con il fatto che banalmente la traduzione di un testo per il mercato estero, la profilazione dell’utente, la sintesi comprensibile di strumenti complessi che possono essere anche documenti emanati dal Governo, tutto ciò che riguarda la parte di elaborazione dei testi, è qualcosa sicuramente di direttamente fruibile anche senza avere delle applicazioni dedicate.
Poi si possono sviluppare anche tante applicazioni dedicate su tutti i problemi che sono stati sollevati in precedenza, dall’ottimizzazione dell’irrigazione a quello dell’individuazione delle pratiche da adottare a fronte di una particolare sequenza di eventi. In particolare, i modelli su cui si basa Chat GPT hanno alla base la capacità di lavorare su sequenze e analizzare i dati sul contesto meteorologico, quali trattamenti sono stati fatti per produrre poi una serie di azioni da svolgere. Questo è uno dei compiti che si potrà affidare in futuro ad un’applicazione.
Quali possono essere le prospettive a lungo raggio sull’agricoltura e sulla viticoltura e dove ci potranno portare?
L’uso della tecnologia migliorerà la produzione, la qualità del prodotto o aiuterà a migliorare e forse su questo si può fare una considerazione di carattere generale: studi recenti mostrano che, per esempio nell’uso dell’intelligenza artificiale applicata a Chat GPT, si ottiene un miglioramento delle prestazioni medie; mentre invece l’esperto rimane più bravo nello svolgere certi compiti. Ora da questo punto di vista, credo che la riflessione possa essere interessante perché questo è uno degli argomenti più dibattuti, ovvero come inserire questi sistemi all’interno di un contesto dove ci sia un esperto umano.
Sulla media ci aiuta l’intelligenza artificiale, sull’annata più difficile o su una scelta più particolare può vincere ancora l’intelligenza umana soprattutto in vigna?
Non ne farei una questione di chi vince o perde, è un approccio del tutto collaborativo. Quando ci sono tanti dati è un problema computazionalmente molto complesso e quindi è inevitabile che l’intelligenza artificiale abbia dei mezzi superiori alle nostre capacità di lavorazione.
PROGETTO ROMA DOCet 2023, Primo Tour: da Frascati ai Monti Prenestini
Di Cristina Santini
Programmati nel progetto “Roma DOCet 2023”, di cui vi abbiamo già parlato in precedenza: https://www.papillae.it/progetto-roma-docet-attivita-lavoro-consorzio/, tra maggio e giugno sono stati organizzati dei Tour itineranti attraverso alcune delle Aziende vitivinicole nei territori di Roma, Castelli Romani e Agro Pontino, che rientrano in una delle Denominazione più giovani d’Italia, la Roma Doc. Pianificazione ideata dal Consorzio di Tutela Vini Roma Doc, nella persona del suo Presidente Tullio Galassini, supportato dall’Ufficio Stampa Mg Logos che ne ha curato nei dettagli tutta la permanenza della stampa nazionale ed estera.
Racconteremo, in diversi articoli, quattro dei sei tour ai quali abbiamo partecipato e sui quali focalizzeremo l’attenzione sulla storia di ogni azienda che risale ai tempi antichi, valorizzando tutto il contesto, la bellezza e tutte le interazioni fondamentali della natura che fanno di questo territorio vulcanico lo straordinario complesso che dona vini minerali e sapidi.
Da qui l’impegno da parte del Consorzio di promuovere e comunicare, attraverso le aziende associate, il valore, il potenziale, la fibra stratificata intessuta nel corso dei secoli dalle continue eruzioni vulcaniche.
Parleremo di realtà vitivinicole che si trovano, in questo caso, all’interno del panorama dei Castelli Romani costituito da paesini collinari fondati dai Latini, molto più antichi di Roma stessa, senza i quali la Città Eterna non sarebbe esistita proprio perché Romolo e Remo nacquero ad Albalonga che oggi prende il nome di Monte Artemisio ovvero i Pratoni del Vivaro.
La prima tappa dell’itinerario “da Frascati ai Monti Prenestini” parte dalla Cantina Fontana Candida, simbolo per i vini di Frascati ma anche per tutta l’enologia regionale, che nasce nel 1958 a Monte Porzio Catone ed è parte del Gruppo Italiano Vini, il primo Gruppo di Cantine sparse in tutta Italia. Due grossi vigneti vanno a costituire la proprietà, quello intorno alla tenuta di otto ettari risalente al 2006 e il vigneto Santa Teresa di tredici ettari ubicato nel Comune di Roma, a due km di distanza, le cui uve vanno ad originare l’omonimo vino.
Il suolo scuro, fortemente vulcanico, considerato il più fertile al mondo, è composto da sabbia caratterizzata da pozzolane, dette anche terrinelle, ovvero ceneri vulcaniche che generano suoli ricchi di potassio. E’ evidente come la natura vulcanica si percepisca nettamente nei vini generando una spiccata acidità e una sapidità preponderante tipica di questi suoli, da arrivare a classificarsi vini salini, salmastri.
Rappresentano il 45% della Denominazione Frascati in quanto si vendemmia su 350 ettari dei 900 totali della Denominazione stessa che interessa per il 40% il Comune di Roma, Monte Porzio Catone, Montecompatri e Grottaferrata. Questo è possibile grazie a dei conferitori storici, dalle piccole realtà alle grandi cooperative, che conferiscono le proprie uve.
Per garantire lo standard qualitativo, tutti i fornitori sono soggetti a dei protocolli di difesa integrati all’interno dei quali l’azienda stabilisce in quale periodo dell’anno o in quale determinata fase fenologica vanno somministrati i trattamenti. Appena giunte in cantine, le uve vengono selezionate in base al contenuto zuccherino dividendole per le tre categorie: base, selezione e top.
Tutte le varietà sono allevate a guyot, tranne quella accanto alla bottaia la cui gestione è costituita da cordone speronato e di conseguenza la produzione è nettamente più bassa. Esiste ancora una forma di allevamento ad alberello, molto antica e particolare, chiamata Conocchia, ove le viti sono sostenute da quattro canne intrecciate sulle quali si distendono i tralci che vanno ad incrociarsi alla canna opposta.
E’ un vigneto con tante varietà divenuto didattico poichè, nonostante la produzione in passato fosse limitata per pianta e la qualità per grappolo maggiore, le operazioni si svolgevano interamente a mano e quindi scomode e poco economiche da indurre ad abbandonare questo sistema.
Dopo la grande crisi che portò trent’anni fa ad una diminuzione degli ettari vitati, da 2000 ai 900 attuali, la Cantina oggi contribuisce alla valorizzazione della Roma Doc e del Frascati Doc e Superiore Docg, lavorando in collaborazione con il Crea – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Economia Agraria – e l’Arsial – Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio – all’omologazione di un clone di Malvasia del Lazio e ai cloni di Malvasia resistenti alle malattie della vite attraverso l’ibridazione con cloni di vite americana.
L’inerbimento è assente poichè nel periodo estivo, andando incontro a carenze idriche, porterebbe ad una competizione con l’apparato radicale della pianta; mentre invece viene praticato il sovescio che consiste nel piantare tra i filari specie leguminose, come lupino e favino, che nel momento della fioritura vengono tagliate e interrate nel suolo per l’apporto di azoto e di sostanze organiche.
Al centro del vigneto, costituito prevalentemente da Malvasia Puntinata e Malvasia di Candia, è presente una stazione metereologica grazie alla quale si riesce a monitorare l’andamento stagionale ed eventuali perturbazioni.
La produzione si aggira intorno ai quattro milioni di bottiglie, di cui 50000 dedicate all’etichetta Roma Doc con due referenze: il bianco composto da Malvasia Puntinata o del Lazio e Bombino bianco, le cui uve vengono fatte macerare a freddo per un’intera notte prima della pressatura soffice, il mosto fiore dopo la fermentazione sosta sui lieviti a bassa temperatura per lungo tempo estraendo profumi varietali e sapori intensi; il rosso ottenuto dal blend di uve ben mature di Montepulciano e Cabernet Sauvignon è vinificato in acciaio con macerazione sulle bucce di circa 12 giorni.
Il 70% del mercato di Fontana Candida è costituito dall’export nei Paesi del Nord Europa, nei paesi asiatici e qualcosa negli Stati Uniti. La Roma Doc viene esportata totalmente in Giappone.
La visita prosegue dai vigneti alla barricaia dove affinano i Rossi nelle barriques di rovere francese di vari passaggi e dai quali si ottengono i diversi blend; mentre il Frascati Superiore Docg Luna Mater, vino di punta dell’Azienda, nato in occasione dei 50 anni della Cantina, attraversa due fasi contemporanee: la prima vinificazione in bianco delle tre varietà, Malvasia del Lazio, Candia, Bombino (a volte anche il Greco) dove una piccola percentuale della Malvasia Puntinata subisce una leggera asciugatura nei fruttai per 20 giorni, poi viene diraspata a mano e unita al primo mosto vinificato normalmente.
L’intera massa subisce una seconda fermentazione all’interno delle botti di acacia con macerazione sulle uve appassite per un periodo di sei mesi e un affinamento almeno di due anni in bottiglia all’interno della grotta.
La grotta di tufo e lapilli scavata a mano risale ad un centinaio di anni fa, testimonianza visiva delle eruzioni del vulcano laziale e delle varie colate laviche che hanno formato strati di colore differente e uno strato potassico riflesso. La grotta conserva l’archivio storico del Luna Mater che va dal 2007 fino ad oggi.
Per questa prima azienda degustiamo:
Roma Doc Bianco 2022 da Malvasia del Lazio e Bombino; Frascati Superiore Docg Vigneto Santa Teresa 2022; Frascati Superiore Docg Riserva Luna Mater annate 2019 e 2008 da Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia e Greco; Roma Doc Rosso 2021 da Montepulciano e Cabernet Sauvignon.
Nella seconda tappa siamo ospiti dell’Azienda di Famiglia Poggio Le Volpi che ha radici molto antiche che risalgono al secolo scorso. Tutto nasce nel 1920 quando Manlio Mergè inizia a produrre e commerciare vino sfuso ed olio, trasmettendo la sua passione dapprima al figlio Armando e poi al nipote Felice.
E’ chiaro che all’inizio non si concepivano ancora vini imbottigliati e lo sfuso veniva portato, come da tradizione, a Roma con il famoso carretto. Importante nella storia del tessuto laziale, è la figura del carrettiere, il più abbiente con il cavallo, il meno con il somaro, che trainava il carretto con le botticelle e, dopo aver pagato il dazio che attraversava Via Casilina e Via Prenestina, consegnava il vino nelle osterie di Roma.
Ben presto Armando e Felice nel 1996 danno vita al sogno di Manlio e creano l’Azienda Agricola Poggio Le Volpi a Monte Porzio Catone, una zona collinare situata nell’areale dell’antico Tusculum, il vulcano più grande dei Castelli Romani che per storia e cultura è da sempre considerato un territorio estremamente vocato alla produzione vitivinicola. Mentre il figlio dà vita all’insediamento produttivo trasformandolo da azienda locale in azienda nazionale, il nipote passa alla conduzione di Poggio Le Volpi portandola ad un livello qualitativo superiore. Valori come tradizione, identità ma anche tanta esperienza condivisi dall’azienda che da tre generazioni continua a valorizzare i vitigni autoctoni sfruttando al meglio le potenzialità del suolo vulcanico, così ricco di minerali, rocce laviche, tufi e sabbie.
I 35 ettari di proprietà sono localizzati intorno alla tenuta e nella zona di Calatrava Roma con rese molto basse e impianti a spalliera dedicati alla Malvasia del Lazio, Malvasia di Candia, Trebbiano e Montepulciano. L’azienda ha oltre 200 ettari di proprietà e in affitto anche nella provincia di Brindisi, in Puglia.
La filosofia è valorizzare la ricchezza ampelografica del proprio territorio. Come la carbonara o la cacio e pepe è un piatto tipico di Roma – afferma Rossella Macchia, responsabile Comunicazione e Marketing di Poggio Le Volpi – anche il vino deve appartenere al suo territorio e avere le caratteristiche di quel terreno. Nel calice, il vino deve saper raccontare il suo territorio.
Parliamo di un grande polo composto da Poggio Le Volpi di Monteporzio Catone e Masca del Tacco della Puglia che sono aziende agricole e la Femar che rappresenta invece una realtà commerciale di famiglia e produce da oltre vent’anni, nello stabilimento accanto, vini con uve conferite provenienti principalmente dai comuni dell’Abruzzo, della Puglia e della Sicilia, perseguendo una partecipazione forte e competitiva sul mercato con un’ampia gamma di prodotti. Il gruppo unificato produce circa 16 milioni di bottiglie l’anno distribuite in tutto il mondo.
In cantina i vini riposano in barrique a volte di terzo passaggio o nelle botti di rovere francese e americana di media tostatura, poi ci sono delle vecchie vasche in cemento che sono state ripristinate per la fermentazione e lo stoccaggio. Ogni settimana si fa la degustazione in laboratorio per capire se il vino è pronto per il travaso e l’imbottigliamento.
Rossella Macchia, oltre che occuparsi dell’Azienda, è anche Vice Presidente del Consorzio Roma Doc e asserisce:
E’ come fare una rete di imprese, un gruppo che ha come volontà quella di fare non solo vini buoni, ma comunque di comunicare, condividere con il mondo esterno che è una Regione molto importante. Il Consorzio oltre che un organo di vigilanza ha come missione quella di tutelare e valorizzare, ma anche comunicare alle aziende che ne fanno parte che è importante essere orgogliosi di avere un fine unico per la produzione del vino.
Questo è stato uno dei motivi della nascita di questo consorzio. Non è semplice perchè quando la famiglia è grande, è più difficile mettersi tutti d’accordo ma il consorzio è molto giovane, abbiamo grandi prospettive e grandi obiettivi proprio perché si valuta dove siamo, dove possiamo arrivare, studiare il come e cercare di fare sempre più squadra coinvolgendo le aziende, dando entusiasmo a partecipare e aumentando il senso di appartenenza. Roma, la città, ha il suo vino perché storicamente si produceva ed è giusto che si conosca il Roma Doc e il Consorzio che rappresenta il contenitore di tutte queste realtà.”
Dopo aver visitato la splendida sala degli eventi dove riposano le barrique colme del Roma Doc Riserva, le opere d’arte che richiamano le tradizioni e dove vengono celebrati i matrimoni con rito civile, ci accomodiamo nel ristorante di proprietà, l’Epos Bistrot, altro fiore all’occhiello ideato da Felice Mergè e gestito da Rossella, che offre una particolare selezione di piatti della tradizione locale di gran gusto e specialità di carni pregiate alla brace provenienti da tutto il mondo. Il tutto abbinato ai vini di propria produzione e alle migliori etichette del panorama internazionale.
Durante i pasti abbiamo sorseggiato il Roma Doc bianco 2022 da Malvasia Puntinata, il Roma Doc rosato 2022 da Montepulciano, Cesanese e Syrah prodotto con la tecnica del salasso, Olio extra vergine di oliva monocultivar Moraiolo.
Terza tappa: Cantina Principe Pallavicini
La storia di questa nobile famiglia parte da molto lontano, da Nicolò Pallavicini originario di Genova che nel 1670 trasferisce un ramo della Famiglia a Roma vicino al Papa e acquista dalla Famiglia Ludovisi i casali seicenteschi con annesse grotte di epoca romana.
Viene organizzato il matrimonio tra i Pallavicini e i Rospigliosi, e la nipote Maria Camilla viene data in dote al nipote di Clemente IX, per aspirazione a Cardinale del figlio maggiore, già prete, di Nicolò Pallavicini.
Arriviamo ai giorni nostri. Nel gennaio 2022 la Cantina Pallavicini ha visto l’ingresso di nuovi soci accanto alla famiglia, dall’amministratore delegato Giulio Senni, a tre grandi esperti di vino che hanno creato una squadra forte unita da un obiettivo comune, quello di portare i vini di Roma al loro giusto posto nell’enologia italiana ed internazionale.
La tenuta “Le Marmorelle”, con i suoi 70 ettari di vigneto di cui 10 di Malvasia Puntinata dei 90 totali, si trova nel mezzo di tre comuni dei Castelli Romani: Osteria della Colonna, il polo nevralgico con l’imbottigliamento, le sale degustazione, gli uffici e lo shop all’interno di una vecchia stazione delle poste nel comune di Colonna; i vigneti ubicati in altri due comuni, Montecompatri e Roma che ha i maggiori ettari vitati (70). La proprietà punta molto sui vitigni autoctoni, come la Malvasia Puntinata e il Cesanese, giunti ad oggi al 70% dell’intera superficie vitata per portare avanti un discorso di autenticità territoriale e credendo fermamente nel progetto della Roma Doc. Ma non mancano varietà internazionali sia a bacca bianca sia a bacca rossa che vanno a costituire i blend.
Dietro le colline di Montecompatri c’è il cratere del vulcano laziale che oggi ospita i due laghi, Nemi e Albano. Da un lato ci sono due piccoli coni vulcanici dominati dalla torre medievale del 1067 appartenuta alla Famiglia Colonna, dove sono coltivate su terrazzamenti le varietà internazionali,Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. Questi vigneti, di trent’anni, hanno trovato la dimora perfetta per crescere, ad un’altitudine di 350 metri su un terreno drenante, ben esposto che non soffre la siccità.
La semi-aromatica Malvasia Puntinata utilizzata per il Roma Doc è disposta su tre appezzamenti separati, di età compresa tra i sessanta e i settant’anni, allevati come il resto dei vigneti con impianti, a filare e non a pergola, introdotti già all’epoca. I primi anche a praticare nella zona l’inerbimento alternato per estrarre i nutrienti utili alla radice apicale per crescere in profondità attraverso i vari depositi vulcanici di ben tre periodi diversi e proteggere le piante dalla siccità.
Osserviamo il vigneto coltivato esclusivamente a Cesanese, il cru aziendale, di novant’anni dal quale è stata fatta una selezione massale dopo la fillossera e reimpiantato su piede americano con un’età media, oggi, di 15 anni. Il Vigneto Vigne della Corte di Greco chiamato così dalla Famiglia precedente, i Ludovisi, il cui vino di Cabernet giungeva alla Corte del Papa Gregorio XV nel 1586 (all’epoca chiamato Cabernette).
I vigneti beneficiano del vento ponentino che con la sua brezza marina nel primo pomeriggio soffia e asciuga regalando uve sane e ottime escursioni termiche. La proprietà dispone anche di 1200 piante miste di ulivo sparse su circa 10 ettari e produrre poche bottiglie di olio extra vergine.
La vendemmia svolta nelle prime ore del mattino, parte da metà agosto e finisce a fine ottobre, un tempo così lungo dovuto alle venti varietà coltivate.
Nel sottosuolo si articolano antiche grotte di tufo e pozzolana, i cui materiali un tempo venivano impiegati per edificare le fondamenta delle ville romane, e una doppia cisterna dell’acquedotto Claudio che un tempo portava l’acqua prima alle ville e poi a Roma. Di undici acquedotti, sette si trovano ai Castelli Romani. Salendo delle scale arriviamo in una sala dove ci sono delle grandi botti di acacia e rovere di slovenia.
Giunti nella sala degustazione, troviamo un bellissimo tavolo imbandito di cibo e iniziamo con l’assaggio delle migliori etichette: Frascati Superiore Docg 2022 “Poggio Verde” composta dal 70% Malvasia Puntinata, Greco, Grechetto e Bombino; Roma Doc Malvasia Puntinata in purezza le cui uve vengono raffreddate con il ghiaccio secco già nel vigneto e subisco criomacerazione di qualche ora in cantina per estrarre il maggior numero di profumi contenuti all’interno delle bucce; Roma Doc Rosso 2019 da 50% Montepulciano e 30% Syrah e 20% Cesanese che affina dodici mesi in tonneau; Passito “Stillato” Malvasia Puntinata 2017 di cui una parte viene raccolta in anticipo per mantenere l’acidità in modo che il vino non risulti stucchevole.
Una produzione di circa 400.000 bottiglie per anno, contando dodici vini diversi.
La quarta tappa del nostro tour termina nell’Azienda Vinicola Federici. Un’altra bellissima storia di tradizioni familiari che risale agli anni del dopoguerra quando nonno Antonio Federici produceva vino sfuso fino poi al 2001, anno del cambiamento sostanziale, durante il quale l’azienda passa alla coltivazione diretta dei propri vigneti. La Cantina, giunta alla terza generazione, si trova a Zagarolo, antico borgo di origine medievale situato a circa 30 km da Roma.
La vinificazione avviene con il 60% delle uve di proprietà, il restante è acquisito da fornitori storici con cui si sono create collaborazioni di lungo periodo, rispettando gli standard qualitativi comuni.
Vista la quantità di varietà presenti, la vendemmia impegna molto l’Azienda, non solo nello stabilimento di produzione di Zagarolo con i 40 ettari coltivati maggiormente a bacca bianca, ma anche nella proprietà di 16 ettari di Cesanese situata al Piglio.
Quindi finita la vendemmia a Zagarolo che termina i primi di ottobre con il Montepulciano che va a comporre il Roma Doc e Doc Riserva, si spostano ad Anagni per la lavorazione della Passerina del Frusinate e del Cesanese del Piglio Docg, altra azienda che dalla vendemmia 2024 sarà certificata biologica.
Altro progetto in via di sviluppo è quello di terminare entro due anni l’impianto complessivo di 16 ettari condotti in regime biologico e posti nella zona del Divino Amore, nel Comune di Roma, dedicati maggiormente al Roma Doc Rosso. Nove ettari dei sedici entreranno già in produzione l’anno prossimo, quindi Cesanese e Montepulciano che ricadono nella zona classica dove verrà costruita un’altra cantina.
Tutte le lavorazioni nei vigneti sono manuali, compresa la vendemmia, rispettando rese che variano dai 90 ai 110 q/h, molto meno sul cesanese.
In cantina si lavora con una pressa inertizzata utilizzata esclusivamente per i vini bianchi che in questo modo regalano il contributo dei tioli – presenti già nell’uva e trasformati grazie al lievito – all’aroma del vino surclassando quei sentori primari tipici; palese anche il vulcano che in fondo tesse questa pietra pomice, pietra focaia, sua caratteristica peculiare. Siamo a pochi passi dall’antico lago Regillo e a Zagarolo il terreno è molto particolare, si tratta di tufo rosso di origine vulcanica che dona tanta sapidità e la tipica nota minerale ai vini di questo areale.
Visitiamo la sala dei serbatoi in acciaio, dove avviene la maggior parte del lavoro, adibiti a termo vinificazioni e termo stoccaggio, con ampia scelta per il controllo delle temperature in fermentazione e per l’applicazione dei protocolli di vinificazione differenti specialmente per le varietà a bacca bianca, come la Malvasia Puntinata che va a comporre il Roma Doc Bianco.
L’Enologo Francesco Di Certo ci confida che questo lavoro viene effettuato a causa del caldo torrido che si è registrato nelle ultime vendemmie, ovvero si impone una raccolta a scalare: una piccola partita d’uva leggermente anticipata per andare a mantenere la freschezza; una intermedia per avere struttura e una quasi surmatura per garantire un prodotto finale di alta qualità. Sotto di noi, a sei metri, ad una temperatura costante per tutto l’anno, c’è la sala dove riposeranno i vini rossi maggiormente in tonneau ma anche in qualche barrique.
Improntati molto sull’estero, i numeri crescono anche nell’Horeca di anno in anno. L’anno scorso sono state prodotte circa 850.000 bottiglie distribuite maggiormente, oltre che nella Capitale, in Giappone, Stati Uniti, Germania, Repubblica Ceca, Cina, Messico e Norvegia con piccoli numeri in questi ultimi paesi.
Con l’etichetta Roma Doc si realizzano circa 400.000 bottiglie all’anno e rappresenta il 40% del fatturato estero dell’Azienda.
Ecco i vini presentati:
Azienda Vinicola Federici Roma Doc Bianco 2022 da Malvasia Puntinata e 5% Sauvignon Blanc; Damiano Federici Roma Doc bianco Classico 2021 fa un affinamento più lungo minimo di sei mesi, composto da Malvasia Puntinata (60% dell’uva raccolta il 17 settembre, la restante parte più matura il 4 ottobre, vinificazione separata e blend successivo) e 5% Sauvignon Blanc a completare l’ampio bouquet; Azienda Vinicola Federici Roma Doc Rosso 2021 (60% Montepulciano e 40% Cesanese in acciaio); Damiano Federici Roma Doc Classico 2021 (rese basse per Montepulciano, Cesanese e 10% Cabernet Franc e lungo affinamento sulle fecce nobili in acciaio).
I vitigni rari del Monastero dei Frati Bianchi. Presentate alla stampa le nuove annate
Redazione – Carol Agostini
La società agricola a sede a Fivizzano (MS), dal 2004 è impegnata nel recupero e valorizzazione dei vitigni storici di questo angolo di Toscana.
Sono state presentate ieri nel corso di un evento di degustazione press l’Osteria Pratellino a Firenze, le nuove annate dei vini del Monastero dei Frati Bianchi (MS), l’azienda nata nella primavera del 2004 grazie a Giorgio Tazzara che intravide la possibilità di ristrutturare i suoi vigneti e impiantarne di nuovi recuperando le antiche terre che erano già possedimenti dell’antico Monastero. Dal 2019, con l’entrata in società della famiglia Bernardini, iniziano le opere di ampliamento dei vigneti: dopo “Monte dei Bianchi”, nasce il vigneto “La Rocca“.
La società agricola Monastero dei Frati Bianchi è situata nella parte più settentrionale della Toscana, la Lunigiana è circondata dall’Appennino Tosco-Emiliano, le Alpi Apuane ed il Mar Tirreno. 7 ettari vitati inseriti in una terra aspra e selvaggia, con vallate e colline soleggiate su cui poggiano antichi borghi di rara bellezza. Uno di questi è sicuramente Monte dei Bianchi che a 400 m di altitudine domina l’intera Valle del Lucido.
La formazione di queste colline deriva dai fondi degli antichi oceani, dove rocce magmatiche nel corso dei millenni sono state ricoperte da depositi marini, argille abissali e calcari marnosi. L’innalzamento delle catene montuose ha fatto affiorare in superficie queste terre e dato origine all’attuale composizione geologica del terreno dove l’Alberese ed il Galestrosi presentano in grande abbondanza.
Le infiltrazioni di acqua nei millenni hanno disgregato queste rocce rendendole materia viva, liberando quei sali minerali, traccia distintiva di questo territorio, che rappresentano la vera identità del Monastero dei Frati Bianchi. Le viti nel cercare la profondità trovano questi minerali nascosti, che nutrendo la pianta, ne addomesticano i frutti e quindi il vino dove risuona l’eco della sua origine.
Il clima è caratterizzato da due periodi ben definiti: uno autunnale-primaverile durante il quale le precipitazioni sono abbondanti e uno estivo con intervalli anche prolungati di assenza di precipitazioni con una conseguente ed opportuna tensione idrica alle vigne.
I VIGNETI
La splendida posizione collinare con esposizione a Sud Ovest permette un forte irraggiamento solare su tutto il podere; inoltre, grazie all’altitudine e alla vicinanza delle montagne, il clima è spesso fresco, ventilato ed asciutto.
L’abbondante presenza di Galestro ed Alberese ne fanno tra i tipi di terreno più vocati alla viticoltura. Grazie alla tessitura ricca di scheletro sono molto drenanti, asciugano in fretta e consentono alla vite di concentrare il frutto.
Tra i vitigni internazionali, abbiamo scelto il Syrah ed il Merlot, ma più recentemente abbiamo investito nella valorizzazione di vitigni autoctoni come la Barsagliana e la Pollera. I nuovi impianti al Podere “La Rocca“ sono infatti dedicati interamente a Barsaglina e Pollera.
LA POLLERA
Cenni storici sulla viticoltura indicano la presenza del Pollera nel comprensorio Lunigianese già prima del 1800. La Pollera si presenta con grappoli serrati di medie dimensioni che talvolta possono avere un’ala. Le bucce sono sottili, gli acini di media grandezza e quando raggiungono la loro maturazione, assumono sfumature che variano tra il rosa ed il viola. Il vino si caratterizza per l’eleganza dei profumi. Al palato la buona struttura è affiancata da tannini setosi e buona acidità che ne sospingono lo sviluppo gustativo verticale nel finale persistente.
LA BARSAGLINA
La Barsaglina è un vitigno autoctono della provincia di Massa e Carrara, dove fin dalle prime ricerche ampelografiche, se ne riscontra la presenza. Per decenni lo si ritrova coltivato quasi esclusivamente nei dintorni del capoluogo, dove il vino ottenuto è da sempre chiamato la Massaretta. Le uve si presentano con un grappolo di media grandezza alato, con acidi medio – piccoli e spargoli dai colori che variano nelle tonalità del rosso rubino. Il vino, al naso, risulta complesso, con profumi intensi. Al palato, ha grande corpo e struttura. La buona acidità e l’importante componente tannica gli donano grande profondità gustativa e longevità.
MONASTERO FRATI BIANCHI
Il primo Monastero risale al VII secolo d.c. e fu edificato per volere di Ato, figlio di Egenio il Longobardo, il quale donò parte dei suoi possedimenti a Padre Fratellus e lo incaricò di costruirvi un centro di culto.
Alcuni secoli dopo, nel 1106, Papa Pasquale II inviò in questi luoghi il monaco benedettino Bernardo degli Uberti per incontrare i discendenti di Rodolfo da Casola e dei Bosoni della Verrucola. Questi dopo aver ascoltato le suppliche delle due famiglie, decise di far edificare un nuovo Monastero sulle fondamenta del precedente e di dedicarlo a San Michele annettendolo al dominio della potente Abazia di Canossa.
A gestirne le attività furono chiamati i frati canonici regolari, detti anche Frati Bianchi per il colore del loro saio ed anche per una certa etica morale ben diversa dalla corruzione diffusa negli ambienti monastici del tempo.
LA FAMIGLIA D’HERBERIA
In seguito, il Monastero ed il borgo che vi si formò intorno vennero ereditati dalla famiglia D’Herberia originaria di Rubiera di Modena. Qui la famiglia spostò il centro amministrativo delle proprie attività, conservando come centro religioso e sepolcro gentilizio il Cenobio di San Michele.
La vita del Monastero si protrasse fino al 1500 circa quando l’avvento dei Malaspina in Lunigiana segnò profondi cambiamenti tra cui l’acquisizione dei possedimenti della famiglia D’Herberia. La Parrocchia del Monte dei Bianchi rimase il punto di riferimento ecclesiastico della zona.
TRADIZIONE E IDENTITÀ LOCALE
Le colture tipiche dei luoghi collinari divennero ben presto simbolo e tradizione del luogo. Nei secoli i vari parroci che hanno prestato la loro opera spirituale e guidato la comunità locale si sono anche impegnati nelle attività agricole con l’ausilio di mezzadri e contadini.
I vini prodotti e degustati
Margine 2021
UVE: Vermentino 50% | Albarola 20% | Durella 20% | Chardonnay 10% ALTITUDINE : 200/250 m s.l.m. ESPOSIZIONE: Sud-Ovest ETÀ: 20 anni RACCOLTA UVE: 2°/3° decade di Settembre
RESA PER ETTARO: 80q
BOTTIGLIE PRODOTTE: 3000
MATURAZIONE: 9 MESI IN VASCA DI ACCIAIO E 6 MESI IN BOTTIGLIA, da vitigni locali Albarola e Durella e varietà internazionali Vermentino e Chardonny , nasce quello che al momento e l’ unico vino bianco dell’ azienda e raggruppa tutte le uve che coltiviamo .Leggermente macerativo (sulle bucce per 3giorni) con naso territoriale e minerale con frutti gialli, ed erbe aromatiche, in bocca è sapido, piacevole e dotato di una buona struttura che lo rende adatto a molti piatti dal aperitivo al pesce e dagli antipasti alle carni bianche.
Barsarè 2020
UVE: Barsaglina 100% vitigno autoctono della provincia di Massa Carrara
ZONA PRODUZIONE: Monte dei Bianchi , Lunigiana.
ALTITUDINE : 350/400 m s.l.m.
SUOLO: Galestro-Alberese
ESPOSIZIONE: Est | Sud-Est ETÀ: 15-18 anni
RESA PER ETTARO : 60 q circa
RACCOLTA UVE: 3° decade di Settembre
MATURAZIONE : 15 MESI IN TONNEAU e 12 MESI IN BOTTIGLIA
BOTTIGLIE PRODOTTE: 2000
DESCRIZIONE :Dai profumi ricorda il territorio con sentori di piccoli frutti scuri, spezie balsamiche e un abbraccio minerale. Al gusto ha un tannino presente ma di buona maturazione e ottima profondità gustativa. Adatto a primi piatti importanti, carni e cacciagione, formaggi stagionati.
Pòlleo 2020
UVE: Pollera 100% varietà autoctona della Lunigiana ESPOSIZIONE: Est | Sud-Est
ETÀ: 15-16 anni
RACCOLTA UVE: 2°/3° decade di Settembre
RESA PER ETTARO: 70q
BOTTIGLIE PRODOTTE: 2000
MATURAZIONE : 15 MESI IN TONNEAU, varietà storica della Lunigiana che si contraddistingue per trama fine ed elegante. ll profumo e molto identitario con ricordi che spaziano dal minerale ai piccoli frutti rossi e bacche di ginepro. Bocca di eleganza, freschezza e lunghezza gustativa con tannini morbidi e setosi, si incontra con i piatti che hanno nella delicatezza le propri caratteristiche portanti , un pesce saporito le carni bianche i piatti della tradizione contadina , le verdure ripiene le torte d’ erbi i formaggi freschi o semi stagionati e il panigaccio della Lunigiana
Deir 2018
UVE: Syrah 60% | Merlot 40% ESPOSIZIONE: Est | Sud-Est ETÀ: 16-17 anni RACCOLTA UVE: 3° decade di Settembre / 1° decade di Ottobre
RESA PER ETTARO: 50q
BOTTIGLIE PRODOTTE: 5000
MATURAZIONE : 15 mesi in Barrique e Tonneaux, dalla selezione delle migliori uve di Syrah e Merlot nasce il vino Deir . Naso di grande espressività con ciliegia, pepe nero, spezie ed erbe officinali. Al gusto ha una struttura importante e al contempo piacevolezza gustativa, i tannini sono maturi e donano una beva di grande pienezza e persistenza. Adatto a piatti di buona struttura , i primi piatti le carni i formaggi purché vi sia complessità di aromi.
Una giornata en plein air nella cantina di Santa Cristina Gela alle porte di Palermo con visite in cantina, masterclass, degustazioni di vino, cibo e musica live.
Mancano pochi giorni all’evento di primavera più amato dai winelovers e sarà di nuovo festa ed allegria a Baglio di Pianetto, per Cantine Aperte – l’appuntamento nazionale organizzato dal Movimento del Turismo del Vino, che inaugura la stagione enoturistica.
La data da segnare in agenda per tutti gli amanti del vino è domenica 28 maggio, dalle 10 alle 18, quando saranno aperte le porte della Tenuta Pianetto e della cantina di Santa Cristina Gela, a pochi chilometri da Palermo.
Una domenica in campagna da trascorrere immersi nella natura: visite della cantina e degustazioni di una vasta selezione delle etichette aziendali saranno gli ingredienti di una festa dedicata al vino e al cibo della tradizione locale.
Per partecipare a Cantine Aperte è necessaria la prenotazione sul sito www.bagliodipianetto.it.
Le visite prenderanno il via a partire dalle 10:00 del mattino, con turni di mezz’ora. Si inizia dal punto di accoglienza posto all’ingresso della cantina da dove gli ospiti potranno ammirare i vigneti coltivati in regime di agricoltura biologica percorrendo il viale che li condurrà all’area di conferimento delle uve.
A questo punto gli enoturisti si troveranno nel punto più alto della cantina e potranno scoprire i segreti e i vantaggi qualitativi del processo di conferimento e vinificazione in verticale. Subito dopo si andrà verso il cuore della dell’area produttiva per essere accolti nell’atmosfera della barricaia proprio lì dove il vino viene custodito in botti di rovere nell’attesa di raggiungere l’affinamento perfetto.
Visto il successo della scorsa edizione nel corso della giornata gli enologi dell’azienda guideranno i winelovers alla scoperta dei vini Baglio di Pianetto e delle loro declinazioni sorprendenti attraverso due Masterclass: “Le quattro espressioni dell’Insolia Baglio di Pianetto”, in programma alle ore 11 e “Gli autoctoni di Sicilia: declinazioni di Grillo e Nero d’Avola” , in programma alle ore 12.15. entrambe con posti limitati.
AI banchi di assaggio, invece, saranno serviti una selezione dei vini delle collezioni Baglio di Pianetto: dai Monovarietali Bio, sino ai Classici & Innovativi Bio e alla novità del 2023: il Murriali Frizzante. Ma l’esperienza sensoriale si aprirà anche alle chicche: la Riserva Viafrancia Bianco 2021 e il Moscato di Noto Ra’is Essenza 2016.
Le degustazioni saranno integrate da assaggi di eccellenze gastronomiche dello street food palermitano, a cura dello chef Giovanni Rizzo, con tutte le sue declinazioni salate e dolci: dai paninetti con le panelle e la milza sino alle arancine per concludersi con il Cannolo di Santa Cristina Gela del premiato Bar Biscari. Inoltre tutta la giornata sarà scandita dalla musica dal vivo di Daniel Sax e del Dj palermitano Marco La Licata.
Per partecipare all’evento è necessario acquistare il biglietto d’ingesso online.
Ticket di ingresso: da 34 € + 5 € cauzione calice.
Mille etichette, ognuna diversa dall’altra, con disegni esclusivi di cavalli realizzati dall’artista georgiano Niko Kherkeladze: l’unicità delle eleganti ed equilibrate note sensoriali dell’Amarone della Valpolicella Riserva dell’Azienda Agricola Falezze di Luca Anselmi è sottolineata da questo segno distintivo diventato protagonista di un evento speciale.
A Milano, nella centrale location del Ristorante Trussardi by Giancarlo Perbellini, il wine writer Massimo Zanichelli, che con Spazio EnoArte dà vita a sorprendenti incontri tra il mondo dell’arte e quello del vino, ha guidato la degustazione della produzione Falezze portando, nel contempo, i presenti lungo un viaggio della rappresentazione equestre nel panorama artistico, dalle grotte di Lascaux e dalla scultura romana fino a Marino Marini attraverso Pisanello, Paolo Uccello, Parmigianino, Caravaggio, Füssli, Géricault, Degas.
Il mondo del vino e dell’arte sono molto più vicini di quanto potremmo pensare: ben sappiamo quanta arte, oltre alle specifiche conoscenze tecniche, occorrano per ottenere eccellenze vitivinicole. Il lavoro di Luca Anselmi rappresenta in maniera eccellente l’incontro di questi due aspetti inscindibili con produzioni enologiche di alto livello.
Ma anche il mondo del vino e i cavalli sono molto più simili di quanto potremmo pensare: entrambi esprimono potenza e sentimento, forza ed eleganza. I cavalli in pose scattanti, in movimenti armoniosi o in primi piani statici e commoventi di Niko Kherkeladze fanno presagire il contenuto emozionante.
Oltre a Riserva Amarone 2012 e 2013, entrambe apprezzate per il loro equilibrio e la loro impareggiabile aromaticità, nel corso dell’evento sono stati degustati, in apertura, Valpolicella Ripasso Superiore 2016 e a seguire, in accostamento ai piatti studiati da Giancarlo Perbellini, Valpolicella Superiore 2017 (con Risotto al finocchio, pomodoro confit, oliva nera e arancio), Amarone 2017 (con Guancia di vitello brasata e glassata all’oliva taggiasca, scarola brasata, maionese di cannellini). In chiusura, Grappa di Amarone, una delle ultime distillazioni di Amarone fatte dal Maestro Carlo Gobetti, servita con Millefoglie by Giancarlo Perbellini.
I vini
La produzione Falezzesi articola tutta sui vini rossi, a partire dal Valpolicella Superiore, prodotto da uve corvina, corvinone, rondinella e oseleta in vigne di oltre 40 anni dopo un breve appassimento naturale, fermentazione in acciaio e maturazione in tonneaux di rovere francese. Un vino ben strutturato e scorrevole, con la mineralità tipica del terroir Falezze e una persistenza in bocca che invita all’assaggio successivo.
Per il Valpolicella Ripasso i migliori grappoli ottenuti dalla raccolta di fine settembre appassiscono in fruttaio per un mese e mezzo, poi vengono vinificate una prima volta dopo il giorno di San Martino, l’11 di novembre, ottenendo un Valpolicella Superiore destinato a una seconda fermentazione sulle bucce dell’Amarone. Nasce così un Valpolicella Ripasso dal colore rosso rubino con riflessi granati, aranciati.
Al naso risulta floreale, con evidenze di frutta matura, ancora fresca. Il palato è verticale, gioca sulle note acido-sapide, con un ottimo equilibrio tra mineralità, derivante da un terreno composto in parte da scaglia in parte da terra vulcanica, e una tannicità che consente di chiudere in modo asciutto e persistente.
L’Amarone della Valpolicella Falezze utilizza esclusivamente uve del terroir Falezze, con ripetute selezioni, in fase di vendemmia e due volte nel corso dell’appassimento, per garantire i migliori grappoli a un vino vinificato con movimentazione lenta delle bucce. Il successivo affinamento in botti di rovere francese dà un esclusivo Amarone dalla trama rosso rubino con riflessi violacei. Al naso è evidente la marcatura del territorio, esaltata da sentori di marasca, prugna e frutti di bosco con note sempre raffinate di cacao e tabacco. La complessità al naso è confermata in bocca regalando grande struttura, un sorso pieno con un grande velluto e rotondità e una chiusura persistente.
La vera star della collezione di vini Falezze è senza dubbio l’Amarone Riserva, nato con l’annata 2012 in edizione esclusiva e da collezione numerata di soli 400 pezzi, presentati in scatole di antico legno di abete e di pino recuperato da vecchi masi del Trentino, con un soggetto diverso per ogni singola bottiglia: un progetto nato da un’idea di Luca Anselmi e Sofia Kherkeladze, con la partecipazione del maestro Niko Kherkeladze, padre di Sofia e celebrato artista contemporaneo, che ha firmato per l’annata 2013 ben 1000 diverse etichette a tema equestre.
L’Amarone Riserva ci parla di una grande tradizione e di rispetto: per le origini dell’uvaggio, con la cernita di grappoli provenienti da vigne di oltre 80 anni; ma anche per l’idea di inimitabilità dell’opera artistica, perché ogni bottiglia è un pezzo unico, contraddistinto da un diverso soggetto in etichetta.
Il vino si presenta con una struttura importante e una pienezza di aromi, dal colore rosso rubino carico, immediatamente riconoscibile per complessità ed eleganza. Un vino adatto ai lunghi affinamenti e ad abbinamenti importanti oltre a momenti più meditativi, magari abbinato a cioccolato fondente.
La Grappa di Amarone di Falezze è la massima espressione dell’eccellenza dell’artigianato italiano. Per valorizzarla, Luca Anselmi ha realizzato il progetto Grappa di Amarone Le SessantaDue Dogaresse una collezione artistica di sole 62 bottiglie da 500 ml l’anno, ognuna delle quali con un’etichetta diversa, dipinta a mano da Sofia Kherkeladze.
La grappa di Amarone è ottenuta dalle uve nobili del terroir Falezze appassite per la produzione dell’Amarone della Valpolicella. Dopo delicata pressatura sono inviate al Maestro Carlo Gobetti, distilleria artigiana da cinque generazioni. Dopo tre anni di affinamento in acciaio la Grappa Amarone di Falezze è pronta per essere imbottigliata.
La cantina
La storia di Falezze inizia con il nonno e il padre, coltivatori di uve in Valpolicella, da cui Luca Anselmi apprende la consapevolezza che il primo patrimonio della famiglia è il rispetto e la conservazione della terra. I suoi studi da perito agrario, biologo molecolare, nutrizionista, lo portano a specializzarsi nel ramo della genetica e microbiologia enologica e inizia un percorso di analisi sui terreni di famiglia e sulle uve che qui si producono.
Luca Anselmisegue personalmente ogni pratica agronomica e da subito emerge chiara l’idea di concentrare la sua ricerca su questo terroir per ricavarne un vino che ne sia l’espressione più autentica ed esclusiva. Le limitate dimensioni del vigneto (4 ettari) lo indirizzano verso la produzione di un vino in quantità limitata, originale in ogni suo aspetto, dalle caratteristiche organolettiche all’immagine con cui proporlo e raccontarlo.
In questo gli viene in aiuto la moglie georgiana Sofia Kherkeladze, fashion designer e pittrice, figlia a sua volta di artisti e autrice delle immagini che si ammirano sulle etichette dei vini.
L’azienda, certificata bio dall’annata 2022, può contare su 7 ettari di vigneto, di cui 4 nel cru denominato Falezze, che si sviluppa su un’altitudine compresa tra i 200 e i 250 m s.l.m. con esposizione da sud-ovest a nord-ovest. I filari hanno un’età media di quarant’anni con alcune parcelle di vigne storiche che raggiungono gli ottant’anni.
I vitigni presenti sono Corvinone, Corvina e Rondinella, che rappresentano la classica produzione della Valpolicella, a cui si aggiungono alcune parcelle dedicate a Oseleta, che entrano nell’uvaggio di alcuni vini.
Le bottiglie prodotte sono tra le 10.000 e le 15.000 all’anno, destinate in buona parte all’estero, con priorità ai mercati tedesco, francese, svizzero, canadese, UK, USA e Australia.
Massimo Zanichelli
Wine writer, degustatore, documentarista del vino, Massimo Zanichelli ha lavorato per 15 anni per il Gruppo Editoriale L’Espresso, firmando la guida I vini d’Italia e la celebre rubrica enologica del settimanale «L’Espresso». Ha scritto il Nuovo Repertorio Veronelli dei vini italiani (2005), I Grandi Cru del Soave (2008), Effervescenze.
Storie e interpreti di vini vivi (2017), Il grande libro dei vini dolci d’Italia (2018). L’ultimo suo libro è I quattro elementi del vino italiano. La Montagna (2022), primo volume di una serie dedicata all’enologia nazionale. Tra i suoi documentari sul vino: Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo. Oddero Story (2016), Nel nome del Dogliani (2017) e La casa del Pinot Nero (2020). È anche docente e saggista di cinema. Da diversi anni cura i progetti “EnoArte” ed “EnoCinema”, esperienze sensoriali tra film, pittura e vino d’autore.
Con il Coste di Vergne l’azienda langarola punta su tre etichette per rappresentare le diversi espressioni del territorio.
Camparo completa la collezione “Domani” col Barolo Coste di Vergne D.O.C.G. 2017.
L’azienda di Diano d’Alba (CN), esce per la prima volta sul mercato con tre etichette di Barolo: “Domani” Barolo D.O.C.G. 2019 da La Morra e Grinzane Cavour; “Domani” Barolo Boiolo D.O.C.G. 2019 da La Morra; e, infine, l’ultimo nato, “Domani” Barolo Coste di Vergne D.O.C.G. 2017, da uno dei vigneti più alti del Comune di Barolo.
Tre espressioni diverse di Barolo e del Nebbiolo che Camparo coltiva in tre diversi areali di questo straordinario e cangiante territorio che sono le Langhe, lavorando da oltre vent’anni secondo un modello di sostenibilità e biodiversità, che ne ha fatto una tra le prime aziende biologiche certificate di queste colline.
Infatti, l’obiettivo è proprio quello di tradurre la complessità territoriale. Se il Barolo vuole essere un’espressione di bevibilità dell’annata, Boiolo riporta tutta la balsamaticità e la profondità tipiche delle marne di Sant’Agata e dell’esposizione ad est, mentre nel Coste di Vergne prevale il frutto e la rotondità grazie all’altitudine, all’esposizione a sud e alla ricchezza dei terreni.
Un nuovo tassello va quindi ad arricchire la linea “Domani” che, proprio nel concetto di tempo, trova la propria essenza più vera, in quanto collezione di tre Barolo D.O.C.G. Il vino che più di ogni altro è, per sua stessa natura, proiettato al futuro. All’attesa. A “Domani”, appunto.
Camparo
L’azienda agricola Camparo si trova a Diano d’Alba (CN), nelle Langhe del Barolo e nasce negli anni ’80, quando Mauro Drocco decide di dedicarsi a tempo pieno ai vigneti di famiglia. Oggi l’azienda è gestita da Mauro con la moglie Mirella, insieme ai figli Sara, Alberto, Alessio e a Debora Bonora, responsabile commerciale export. Camparo è, così, giunta alla quarta generazione.
L’azienda è certificata biologica dal 2000, una delle prime in Langa, e la gestione di piante e suoli è orientata alla sostenibilità e alla rigenerazione dei suoli. Proprio per valorizzare questi concetti è stato scelto come logo aziendale la farfalla.
I vigneti aziendali si estendono su 8 ettari nei comuni di Diano D’Alba – dove si trova il corpo principale -, di La Morra e di Grinzane Cavour. A questi si aggiungono altri 3 ettari di recente acquisizione, e non ancora produttivi, a Nizza Monferrato. I vitigni coltivati sono Nebbiolo, Barbera, Dolcetto e Arneis e Viognier.
Il Poggio una cantina che racconta il Sannio ad ogni sorso
Di Adriano Guerri
Durante la mia partecipazione ad una delle più grandi fiere di vino e distillati a livello internazionale che ha avuto luogo dal 2 al 5 aprile a Verona, con enorme piacere mi sono presentato allo stand della Cantina Il Poggio.
Mi hanno ricevuto Carmine e Marco Fusco, titolari della tenuta e all’ interno dello stand ho trovato una gran bella sorpresa, c’era l’amico e collega Diodato Buonora, nonchè direttore di Ristorazione & Ospitalità con consorte, i quali mi hanno messo subito a mio agio.
I fratelli Fusco, oltre a farci degustare i loro ottimi vini, ci hanno descritto con grande entusiasmo la storia della loro azienda. A seguire, alcuni cenni della Cantina, e per ultimo, non per ordine d’ importanza, seguono le note di degustazione dei vini assaggiati a Veronafiere.
L’azienda vitivinicola campana “Il Poggio” si trova alle falde del Monte Taburno in provincia di Benevento, patria dell’omonimo Aglianico. Posta ad un’altitudine di 300 metri s.l.m. ed immersa tra boschi e vigneti nel verde delle dolci colline. La famiglia Fusco coltiva la vite in questa meravigliosa enclave, sin dal remoto anno 1790.
Tuttavia, il grande passo e la decisione di voler produrre le proprie etichette è avvenuto più recentemente, nel 1997 e le prime bottiglie sono state immesse sul mercato a partire dall’annata 2001.
In questo stupendo lembo di terra il microclima è ideale per la coltivazione della vite, tipico mediterraneo, caratterizzato da forti escurzioni termiche tra il giorno e la notte e capace di dare origine a vini con aromi intensi e di elevata qualità.
Per scelta “Il Poggio” ha deciso di privilegiare soltanto la coltivazione di vitigni autoctoni e vinificarli esclusivamente in purezza. Tra i filari si trovano, Aglianico, Falanghina, Coda di Volpe, Fiano del Sannio. La superficie vitata si attesta su circa 20 ettari con suoli composti prevalentemente da scheletro, arenarie, argilla e calcare. Le rese per ettaro sono davvero basse e nel calice si riscontra grande qualità e buona piacevolezza di beva.
La denominazione di origine controllata (Doc) Sannio risale al 1997 e la denominazione di origine controllata e garantita (Docg) Aglianico del Taburno al 2001, ambedue sono comprese nella provincia di Benevento.
Note di degustazione al padiglione dedicato alla regione Campania di Veronafiere nell’ occasione della 55° edizione di Vinitaly.
Taburno Falanghina del Sannio Dop 2022 – Giallo paglierino brillante, rivela sentori biancospino, forsizia e frutta esotica che vanno a seguire una gradevole scia agrumata, il sorso è fresco e sapido, invitante e duraturo. A tavola si abbina bene con preparazioni a base di frutti di mare.
Coda di Volpe Sannio Dop 2022– Giallo paglierino luminoso, una cascata di frutta, mela, albicocca, melone, susina, fiori di tiglio e erbe aromatiche, ben si uniscono a note di pompelmo e lime, caratterizzato da una buona spalla fresca, rotondo, sapido e appagante. Compagno ideale di pesce bianco alla griglia.
Taburno Falanghina del Sannio Vendemmia Tardiva 2018 – Giallo dorato consistente, emana sentori di albicocca, ananas, mango, nettarina, nocciola, zagara e fiori di campo, coerente, sapido e amabile. Lo vedo bene con la pastiera napoletana.
Safinos Aglianico del Taburno Rosso Docg 2016 – Rosso rubino intenso, al naso un tripudio di sentori, come ribes, mirtilli, amarena, mora che ben si fondono con sottili e piacevoli note sia tostate sia speziate, al gusto è decisamente avvolgente, pieno e incredibilmente persistente. Il matrimonio perfetto è con carne arrosto e alla griglia.
Antica Tenuta Palombo, memorie e tradizioni vinicole ad Atina: Radici profonde in una terra nobile
Di Cristina Santini
L’universalità della bellezza risiede in un luogo e nel suo trascorso che non può e non deve essere dimenticato e a volte l’unico punto di partenza è riprendere il filo da dove lo si è interrotto. Questa è la storia di Antica Tenuta Palombo di Atina, in provincia di Frosinone, Città dalle origini antichissime, patria di facoltose famiglie patrizie.
Con un press tour organizzato dai ragazzi di Vinario4, in collaborazione con l’Azienda ospitante e gli Enologi, Pierpaolo Pirone e Roberto Mazzer, di At Wine Consulenze Enologiche, abbiamo avuto prova di tanta bellezza osservando da vicino la Valle di Comino, circondata dall’Appennino abruzzese, fatta di paesaggi meravigliosi e molto generosa di una vegetazione differente dalle altre zone pedemontane del Lazio.
Piena di ruscelli, sorgenti, boschi è conservatrice di una lunghissima tradizione vitivinicola, esistente già in età romana, che ebbe inizio dalla coltivazione dei vitigni provenienti dal Medoc francese, impiantati più di 160 anni fa, fino ad arrivare ai nostri giorni alla riscoperta di rarità enologiche locali.
Nel 1860 la zona ricadeva nel Regno delle due Sicilie e un tale Pasquale Visocchi, allora Ministro dell’Agricoltura del Regno di Napoli nonché nobile di zona, fu inviato per conto del Regno in missione in Francia. Appassionato di viticoltura, notando delle similitudini con il terreno di Atina, portò con sé varietà, come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah, Sauvignon Blanc, Sémillon per creare campi sperimentali in questo angolo di natura.
Giunti poi all’Unità d’Italia, la zona rimase rurale, esclusa dagli investimenti per lungo tempo fino al secondo dopoguerra, diventando terra di emigranti e rimanendo isolata e sconosciuta.
Anche dopo la morte del Visocchi, il tempo cancellò la memoria e le piante di Cabernet e Merlot furono confuse l’una con l’altra.
Si dovrà attendere gli anni ‘80 per vedere la ripresa territoriale e la produzione di vini di qualità con Giovanni Palombo, Fondatore dell’Antica Tenuta Palombo.
L’areale è circondato dalle montagne che lo proteggono dai venti freddi del Nord. Circa 200 milioni di anni fa, l’Appennino era una barriera corallina che si trovava nell’attuale Mar Rosso; oggi troviamo un territorio, originato dal fondo del mare molto friabile, con tre fiumi principali che lo attraversano (il Liri, il Fibreno e il Melfa). Tutti questi corsi d’acqua in milioni di anni hanno eroso tutta la parte centrale dell’Appennino portando all’attuale conformazione caratterizzata da colline di marne calcaree che vanno dai 400 mt ai 700 mt di altitudine.
Questi rappresentano i terreni più nobili per la coltivazione della vite che regalano vini di grande profumo, di grande eleganza e acidità, con colori poco compatti, molto vivi, mai concentrati sull’estratto e sulla struttura.
Il suolo è abbastanza uniforme, cambia un pò la dotazione di scheletro con aree più ricche o più povere a seconda di quanto sono distanti dagli originari corsi d’acqua.
E’ una zona con una buona piovosità, anche durante il periodo estivo, con un clima continentale e precipitazioni nevose che creano disponibilità idrica per tutto l’anno e grandi escursioni termiche che vanno dai 30 gradi di giorno ai 20 nel pomeriggio.
Questo permette di spostare la maturità di tutte le uve di circa un mese più avanti rispetto a tutta la zona, avendo da una parte una grossa freschezza e dall’altra morbidezza, espressioni peculiari del territorio. L’escursione termica non regala sensazioni di grande corposità al palato ma vini comunque molto eleganti e ancora sconosciuti al grande pubblico.
Tutto inizia nel 1980 quando Giovanni Palombo, in principio per gioco poi per una vera e propria attività, inizia a produrre vino, in particolar modo il Cabernet di Atina. Ottenendo da subito i primi riconoscimenti continua nella sua espansione, aumentando la produzione. Credeva molto in questo progetto e nel 1999 spinse per la realizzazione della Denominazione Atina Dop Cabernet, per il riconoscimento di questa zona considerata di elite per la viticoltura e successivamente per la costituzione del Consorzio di Tutela Atina Dop.
Oggi il Consorzio consta di 17 aziende e ogni produttore ha una piccolissima produzione che copre soprattutto il consumo interno con qualche esportazione al di fuori del territorio. E’ una vera e propria nicchia enologica di grande qualità.
Nel 2000 viene costruita l’attuale struttura, realizzata da Roberto Mazzer, Architetto ed Enologo della Tenuta, inizialmente con fini di produzione, recuperando i vecchi vigneti e impiantandone di nuovi. Poi nel 2016 subentrata la nuova proprietà a supporto della quarta generazione del fondatore con Giacomo Palombo e suo fratello che sono ancora parte attiva nell’Azienda e portano avanti il lavoro del nonno. Un ulteriore salto di qualità è dato anche dalla nuova struttura ricettiva e ristorativa che mette a disposizione degli ospiti una cucina gourmet del territorio e sale per le degustazioni e gli aperitivi.
Oggi insieme ai vitigni internazionali si porta avanti la coltivazione degli autoctoni come Maturano, Capolongo, Lecinaro, Ottonese, impianti sperimentali già messi a dimora da Giovanni Palombo nel 1996, accuratamente selezionati per le microvinificazioni.
Attorno al corpo aziendale e nei vigneti sono state collocate anche delle splendide opere d’arte, realizzate dall’artista Mario Velocci, che si intrecciano perfettamente con questo meraviglioso paesaggio montano; una collezione permanente di sculture di arte contemporanea che compongono “La Collina Sonora”, un bellissimo connubio tra arte e vino.
Passeggiando tra i vigneti, Pierpaolo Pirone, l’altro Enologo, ci racconta:
“Al momento l’Azienda dispone di 10 ettari: durante il periodo di fermo parte dei terreni sono stati dati in affitto e ogni anno che terminano i contratti tornano in proprietà. Il corpo principale dei vigneti si estende intorno alla struttura, verso le montagne c’è un anfiteatro dove sono piantati i vigneti storici di Cabernet e Merlot e proseguendo c’è un’altra terrazza con il Sauvignon dove le lavorazioni vengono fatte a mano per le pendenze accentuate. Di fronte le sale del ristorante invece si trova il vigneto sperimentale con il Maturano.
Qui nella parte nord est, più adatta per i bianchi, si andranno a piantare gli autoctoni Maturano, Capolongo, ma anche il Lecinaro adatto a comporre la base del nostro metodo classico. Questo è l’obiettivo principale: andare a riequilibrare la produzione che ad oggi è composta per l’80% dal rosso. Il Maturano e il Sauvignon sono produzioni ridotte che nell’ottica dovrebbero crescere nei prossimi anni come anche la parte delle uve impiegate per lo spumante.”
Continua il nostro percorso all’interno della Cantina e giunti alla barricaia dove affinano i rossi, troviamo le pupitre dove riposa il Metodo Classico. Qui ci aspetta un gradito aperitivo di benvenuto con il Metodo Charmat e un piccolo buffet ad accompagnare i nostri calici. Degustiamo con curiosità un extra dry, 13 g/l e permanenza sui lieviti di 4 mesi in autoclave, molto fresco, immediato con una grande acidità. Questo prodotto, ideale per il ristorante e gli aperitivi, nasce per valorizzare quel poco di falanghina esistente.
La sala è stata disegnata e progettata per produrre circa 150000 bottiglie, ma già dal prossimo anno, con l’aumento degli ettari tornati in proprietà e il Sauvignon già pronto, la produzione aumenterà del 50% e sarà in continua crescita per gli anni a venire. L’uva viene raccolta a mano e messa in cassette lasciate un’intera notte all’esterno della Cantina. Tutte le fasi vengono seguite da remoto, dai travasi ai tagli, al controllo delle temperature, alla fermentazione, ai rimontaggi, protocolli impostati al minuto per qualsiasi necessità.
Le fermentazioni sono lunghe (35 giorni) lente e continue, come anche le macerazioni, fino ad arrivare ad un mosto con la migliore pulizia olfattiva. L’obiettivo è la costanza.
Si parte con uve portate la mattina in cantina a sette gradi, messe nei serbatoi a fermentazione, innestati i lieviti con temperature che salgono lentamente.
Non lavorando all’istante le uve, si riesce a sfruttare il picco di maturazione che si ha al momento del distacco dalla pianta in risposta allo stress per la mancata alimentazione che si esaurisce nel giro di 24 ore. Al contrario si perderebbe questa maturazione naturale che rilascia altri aromi varietali.
Tutti i rossi sono affinati in barriques, come da tradizione, differenti per tostature e doghe di rovere francese provenienti da varie zone.
Il Cabernet riserva fa sempre legno nuovo per almeno un anno poi dipende dall’annata, e successivamente un anno in bottiglia.
Il Cabernet e il Merlot vengono fatti affinare nelle barrique che hanno più di un anno fino ai tre, a seconda di quanto ancora possono regalare ai vini. Una parte viene mantenuta in acciaio, l’altra parte fa legno di secondo o terzo passaggio. Dopo un anno in genere vengono assemblati e imbottigliati oppure continuano l’affinamento in legno o in acciaio fino ad ottenere un prodotto pronto e mai anticipato nei tempi.
Questa era la filosofia di Giovanni Palomboe lo è ancora tutt’oggi, la stessa che riporta in bottiglia vini in purezza, nonostante il disciplinare permetta un’elasticità del 15%.
Anche il Metodo Charmat nasce dal vigneto sperimentale, la falanghina, mentre una parte dell’aglianico insieme ad altre varietà autoctone a bacca bianca e rossa, che non possono essere vinificate in purezza, vengono impiegate per lo spumante Metodo Classico che verrà sboccato in primavera. In futuro sarà il Lecinaro, altro vitigno autoctono che si adatta meglio alla zona, ad essere la parte portante di questo spumante.
Tra due anni uscirà una nuova referenza, da sempre vino di punta dell’azienda: un taglio bordolese composto per il 50% Merlot e 50% Cabernet. Dal 2018 infatti si è cominciato a metter da parte, in due barrique nuove, una frazione di Merlot destinata alla riserva, e la migliore partita risultante dall’assemblaggio del Cabernet Riserva che viene poi inserita un altro anno in barrique nuove. Quindi l’affinamento dura due anni in legno e tre anni in bottiglia con una produzione limitata a 600 bottiglie. Questo era un prodotto che Giovanni Palombo amava produrre per sé o regalare come omaggio a personaggi illustri.
Terminata la visita, siamo stati ospitati nella bellissima sala del ristorante con vista sui vigneti dove abbiamo degustato i vini accompagnati da un gustoso pranzo a menù tradizionale curato dallo Chef Dino Notarianni che ci ha proposto e illustrato piatti e prodotti locali rivisitati in chiave moderna.
La degustazione parte dal più atteso degli autoctoni, il Maturano 2020, vitigno poco aromatico, soprattutto nel primo anno di vinificazione, non ha un’estrema complessità, matura molto tardi e già di per sé non riesce a mantenere molto l’acidità. Quindi la raccolta delle uve è anticipata proprio per ottenere un vino fresco, piacevole, con note nette ed espressive del suolo marnoso calcareo. Per avere struttura ed equilibrio gustativo si esegue la stabulazione mantenendo il mosto torbido a bassa temperatura per diversi giorni.
Dopo la fermentazione di circa 12 giorni, riposa sulle fecce fini per otto mesi e poi viene imbottigliato.
Le sue note delicate e citriche al naso sono inconfondibili come anche al sorso lo è la sua piacevole acidità, freschezza, apportata da sensazioni salivari tipiche che si presentano né dolci come la sapidità del mare nelle zone costiere, né tendenti all’amaro come nelle zone vulcaniche.
Grazie agli Enologi che hanno esaudito le nostre curiosità, abbiamo avuto il piacere di assaggiare da vasca il nuovo Maturano 2022 che risulta essere un buon vino profumato, intenso e aromatico con evidenti nuance balsamiche. Una partenza straordinaria!
Con il Sauvignon Blanc 2021 viene fatta la criomacerazione delle uve, per una maggior estrazione di aromi primari dalla buccia, per circa 8/10 ore a seconda dell’annata. Dopo una leggera pressatura e la decantazione statica a freddo, affina 10 mesi in acciaio sulle fecce fini e poi riposa in bottiglia. Il naso pulito e fresco mostra la sua parte vegetale dominante coadiuvata dagli inconfondibili sentori di frutto della passione e sambuco. Dal sorso intenso e persistente, emerge la sua acidità pronunciata e un leggero finale balsamico piacevolmente gradevole.
Per questo Merlot 2018 i suoi acini interi vengono diraspati e caricati direttamente nel serbatoio dove avvengono entrambe le fermentazioni, alcolica e malolattica. Il 30% affina in legno di secondo/terzo passaggio, la restante parte invece in acciaio per poi essere assemblate. Riposa otto mesi in bottiglia prima della sua uscita sul mercato, altrimenti rimane in vasca per un ulteriore affinamento.
Inizialmente atteso qualche minuto per essere capito, all’olfatto si è aperto poi su note di fiori appassiti e frutto rosso pieno e maturo. La sua beva morbida dalle sfumature erbacee lascia una sensazione di asciutto con un fondo amarognolo nella parte superiore del palato. Ci piacerebbe degustarlo prima di questa annata.
Il Cabernet Sauvignon 2018 segue lo stesso percorso di affinamento del Merlot e impressiona per la sua freschezza. Caratterizzato da un naso intenso e concentrato sulle note vegetali, è un vino morbido ed elegante, frutto del suo territorio e al contempo ben strutturato con una bella acidità che lo rende molto godibile.
Primo anno per il Duca Cantelmo Cabernet Sauvignon Riserva 2017, una referenza che non veniva prodotta dal 2005 che affina in barrique nuove di media tostatura per 12 mesi. Sono i grappoli migliori selezionati per questo vino che macerano per 65 giorni a serbatoio colmo con frequenti rimontaggi.
Note di marasca matura, erbette che accompagnano il naso in un connubio tra il legno e la frutta scura. Elegante il suo sorso compatto sorretto da tannini prestanti in uno stile raffinato e di grande longevità. Il ragazzo ha carattere da vendere.
Sboccato per noi in anteprima, il Metodo Classico da Aglianico, Lecinaro, Falanghina, millesimato 2020 è un altro importante nuovo progetto in via di sperimentazione che avrà un dosaggio extra brut e 30 mesi sui lieviti con l’obiettivo di andare avanti per vederne l’evoluzione.
Ottima base di partenza.
Nella Valle di Comino si respira un’aria pura e frizzante, c’è una squisita fluidità di movimenti, un intenso ardore e tanta voglia di cogliere i frutti della terra camminando con decisione sulle orme del suo Fondatore.