Azienda Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Azienda Agricola Di Marzio 2022, Riccardo Del Frate si racconta:” Sono nato in vigna”
Ilaria Castagna e Cristina Santini
Partners in Wine
Quella che vi stiamo per raccontare è la storia di Riccardo Del Frate, un giovane Produttore del Comune di Lanuvio, nel cuore dei Castelli Romani, con una lunga storia vitivinicola alle spalle che ha saputo coltivare nel tempo partendo da molto lontano, dal suo trisavolo che faceva proprio questo mestiere.
Giunto alla quinta generazione, Riccardo più che un mestiere lo definisce un progetto personale che, seguendo le orme del suo antenato, ha inizio non da subito, ma strada facendo.
Girando un po’ il mondo prima di mettere radici, ha iniziato in Svizzera con l’incarico di Chef de partie nelle migliori cucine dei ristoranti a 5 stelle, ma la mente era sempre lì tra quei filari.
Il padre non voleva che facesse il mestiere del vignaiolo, era l’epoca in cui tutti abbandonavano i vigneti e quindi non pensava che potesse essere per il figlio un buon lavoro per vivere.
Poi dal 2009 al 2016 inizia a lavorare in pasticceria facendo sia il pasticcere sia il vignaiolo.
Con la sua caparbietà di portare avanti un sogno, quello del vignaiolo, lascia tutto per dedicarsi ai suoi filari e nel 2016 esce la sua prima annata.
Ad oggi cura tutti i suoi vigneti personalmente fino alle fasi di produzione e alla gestione diretta, nella maggior parte dei casi, dei suoi clienti.
“Quando sono clienti nuovi vado io, voglio conoscere bene il mio cliente e farmi conoscere, spiegando la mia azienda e i miei prodotti. E poi voglio sapere dove va a finire il mio vino”.
Con la sua filosofia ribelle non vuole l’enologo, per cui in azienda c’è solo il grande Cantiniere Stefano Pinci che lo aiuta nelle sue innumerevoli sperimentazioni. “Non sono contro la figura dell’enologo, è solo che poi si parla più del vino dell’enologo rispetto al vino del vignaiolo”.
L’amore e la passione sono le caratteristiche di questo ragazzo di 34 anni che fa del suo lavoro una missione, non si annoia, piace e si vede.
I VIGNETI DI FAMIGLIA: Primo vigneto
Visitiamo la prima parte del vigneto, uno dei sette appezzamenti tutti collocati nello stesso Comune, ma a diverse distanze e con caratteristiche pedo-climatiche differenti.
Sono 8,5 ettari che fanno parte dell’azienda del trisavolo che a suo tempo produceva vino e lo vendeva sfuso come da tradizione in questo territorio.
Riccardo ci racconta che, da alcuni dati storici in possesso della Famiglia, la costituzione dell’azienda dovrebbe risalire alla fine dell’800. Poi con i due conflitti bellici si sono persi tutti i possedimenti, ripartendo poi nel dopoguerra con il nonno e il papà.
Fino agli inizi del 2000 si parla di una superficie di circa 5 ettari, conferendo una parte delle uve alle Cantine e la restante parte vinificata e venduta come vino sfuso in quella che era all’epoca, su quel terreno, una fraschetta di proprietà.
“Si vende ancora oggi il vino sfuso mantenendo le tradizioni perché certe cose non si riescono a sradicare” .
Nel 2009 il nonno divide l’azienda tra i tre figli e al papà spettano i 2,5 ettari in affitto. A questo punto subentra Riccardo nel recupero e nella gestione dei vigneti, ripartendo proprio da questi pochi ettari, fino al 2018, anno in cui acquista di nuovo tutti i terreni che erano appartenuti al suo trisavolo.
Ad oggi sono 11 gli ettari di proprietà, certificati Bio, più 4 in affitto recuperati dall’abbandono, che vanno dai 110 ai 264 metri slm., coltivati su suolo vulcanico, a 15 km dal mare con una costante ventilazione.
PRATICHE IN VIGNA
Tra i filari, ad alternanza ogni anno, viene lavorato il terreno e messo a dimora il favino, una pianta che prende l’azoto dall’atmosfera e lo trasferisce nel terreno arricchendolo.
Il residuo delle potature viene utilizzato come compost e, dato il clima, viene fatto anche l’inerbimento per trattenere l’umidità nel terreno.
I vitigni recuperati dal 2009 fino al 2014 e i nuovi impianti sono: Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano, Malvasia Puntinata o del Lazio, Moscato giallo, Grechetto e Vermentino. Per i rossi: Merlot, Montepulciano, Sangiovese e Cesanese. Quattro le etichette prodotte di cui due bianchi, un rosso e un rosato.
Le rese sono tra 90/110 q/h. e vengono prodotte circa 10.000 bottiglie l’anno.
Nel 2009 ha inizio la prima vinificazione, facendo seguito sei anni di prove per poi uscire con la prima etichetta nel 2016 valorizzando e prediligendo gli allora vitigni autoctoni in possesso, ovvero la Malvasia di Candia e il Trebbiano Toscano, al contrario di ciò che gli era stato suggerito cioè espiantare la vecchia vigna del ’73 e piantare a filare uno Chardonnay.
Notiamo la particolarità dei filari misti, di tante varietà insieme come era una volta l’usanza.
Le lavorazioni in vigna sono tutte manuali tranne quelle del terreno, quindi dalla potatura alla raccolta è tutto a mano e questo consente nel periodo primaverile, quando insorgono le malattie della vite, durante la potatura verde, di osservare meglio e da vicino lo stato sanitario delle uve.
Quindi i trattamenti di zolfo e rame non vengono dati più a cadenza come una volta ma solo se servono.
“Mi sento un custode del territorio, io sono molto attaccato al territorio”.
UN’ETICHETTA PER OGNI SUOLO
Ogni etichetta proviene da diversi appezzamenti con differenti esposizioni e altitudini, soprattutto con il terreno vulcanico che cambia colore tra un fazzoletto e l’altro.
Riccardo ci incuriosisce dicendoci che su 10.000 metri ci sono tre lingue di terra differenti.
Qui, in questo primo appezzamento, troviamo prettamente suolo vulcanico non troppo scuro, marrone rossastro.
Il “Metella” ad esempio, composto da Trebbiano in purezza, viene da questa prima porzione di terreno vulcanico, allevato a tendoni e piantato nel 1973.
Dalle parole di Riccardo “ho mantenuto i tradizionali tendoni perché non è vero che così facendo non si fa qualità, tanto dipende dalla potatura. Con il cambiamento climatico utilizzare il tendone è più salutare per le uve bianche, un riparo dal sole che consente di preservare la parte aromatica”.
Qual è l’etichetta che più ti rappresenta?
“Vallefiara perché è il primogenito, è un altro appezzamento che si trova sotto Lanuvio e l’unico che è rimasto a noi dal trisavolo ininterrottamente a differenza degli altri che invece sono stati persi e poi ripresi. Ha un valore soprattutto affettivo, diverso”.
ALLA SCOPERTA DEI TANTI FAZZOLETTI DI TERRA
Ci spostiamo in un’altra porzione dove i filari, piantati più stretti, sono studiati per essere lavorati orizzontalmente anziché seguire in verticale il pendio in discesa. Qui non c’è l’alternanza delle erbe spontanee perché la vigna è più giovane, risalente al 2021, quindi lavorata più spesso.
In questa parte di natura, c’è un ettaro di vigneto nuovo, insieme ad un altro ettaro risalente al ’92 e mezzo ettaro di uliveto in fondo ai vigneti presi in affitto da Riccardo nel 2014.
Troviamo il terreno spaccato perché non piove da settimane. Più scendiamo a valle più il terreno cambia colore.
Ci incuriosisce tantissimo la presenza di tre differenti suoli: in alto, il primo più scuro, più nero argilloso; scendendo il secondo a metà è sabbioso/pozzolanico con una consistenza molto diversa; il terzo, a fondovalle, un suolo di nuovo più scuro e ricco di sostanze organiche.
Ogni lingua di terra ha delle caratteristiche uniche e in pochi metri cambia la consistenza, il colore e la composizione del suolo. Quindi abbiamo lo stesso vitigno coltivato in diverse parcelle con differenti caratteristiche pedo-climatiche che danno vini diversi.
In definitiva, le quattro etichette prodotte provengono da quattro terreni diversi e ben distinti.
Altra differenza che notiamo è la crescita dei vigneti in tre differenti terreni ma piantati nello stesso anno e nello stesso luogo. In alto il terreno scuro è più ricco di sostanze e le vigne crescono con più vigoria; più in basso il terreno è povero e la vigna soffre di più.
Ogni appezzamento è una cosa a sé; le posizioni dei vitigni sono ben studiate perché Riccardo conosce fin troppo bene il suo territorio e non metterebbe mai un Moscato giallo a valle pur sapendo che soffrirebbe di marciume e botrytis a causa della troppa umidità, dove invece si trova il Grechetto.
LA STORIA DI LANUVIO
Prima di raggiungere un’altra parte vitata, Riccardo ci tiene a raccontarci il suo territorio perché sostiene che visitare soltanto l’azienda e i suoi Vigneti sia poca cosa in confronto alla completa panoramica che potremmo avere conoscendo la storia e visitando una parte del paese.
E così, entusiaste della proposta, ci porta a visitare una delle bellissime torri appartenente al Castello medievale di Civita Lavinia, costruito sopra le rovine dell’età Imperiale. Giunte alla sommità, affascinate dal quadro naturalistico davanti i nostri occhi, godiamo in silenzio questo scorcio sulla campagna romana, sui vigneti. All’orizzonte il mare.
Al giorno d’oggi la maggior parte delle torri è abitata.
Sicuramente conoscere e vivere il territorio e la sua storia aiuta a capire l’evolversi anche del tessuto urbano.
“Il posto va vissuto a 360 gradi portando le persone in azienda, far vedere e vivere le vigne, e visitare il luogo come unico pacchetto”.
Questa è l’accoglienza di Riccardo.
Lanuvio, situato all’interno del Parco Regionale, a 324 metri slm, è il più basso dei comuni dei Castelli Romani, in prov. di Roma, però è il primo colle che si incontra venendo dal mare, quindi durante la seconda guerra mondiale, con lo sbarco di Anzio delle truppe alleate, venne prima bombardato dal mare poi raso al suolo.
Il nome Lanuvio viene da Lanoios, un guerriero partito dalle coste della Grecia o dalla Sicilia, a seconda delle leggende, insieme ad Enea, che approdò sulla costa laziale e nell’entroterra fondò una cittadina che prese il suo nome dal latino. Nel corso degli anni il nome diventò Lanuvium, poi Lanuvio ed era una rocca circondata da cinque torri a scopo difensivo, inespugnabile perché circondata da una cinta muraria scarpata.
“LE VAGNERE”
Il terzo appezzamento vitato, sotto Lanuvio, è più selvaggio, il più alto, 264 metri slm, comprato negli anni ’60 dai nonni di Riccardo che all’epoca avevano la vigna a filari coltivata a Malvasia e Bombino, per poi ripiantare negli anni ’80 Malvasia e Trebbiano e nel 2001 Sangiovese.
Circondato da un boschetto di lauro, questo terreno è ricco di biodiversità sia animale sia vegetale, con tante specie di piante, coltivato su suolo vulcanico più chiaro, non argilloso ma sciolto, molto drenante.
Dal Sangiovese, presente in questo lotto, viene prodotta la prima annata del rosato “Le Vagnere”, che prende il nome proprio dal luogo.
Riccardo ci porta vicino ad un ruscello e ci racconta che qui prima c’erano tante canne che coprivano la sorgente e la collina terrazzata con muretti a secco che in seguito ha ripulito. A ridosso di questa collina ci sono delle Ville Romane, dei vasconi sempre di epoca romana dove finisce l’acqua della sorgente e da lì scende a valle vicino ai filari.
Queste colline, grazie alla loro posizione favorevole, erano molto care all’Imperatore Marco Aurelio che qui risiedeva per la salubrità del clima.
All’interno di queste ville ci sono degli splendidi mosaici. Riccardo si occupa della manutenzione esterna per preservare la loro bellezza.
Le ville romane sono state inserite nel percorso dell’Appia, antico tracciato che comprende settanta comuni, quattro regioni e dodici tra province e Città metropolitane. Progetto presentato da pochi mesi che ci auspichiamo in futuro porti al riconoscimento di questa Via, così importante, come patrimonio dell’UNESCO.
Qui davanti alle viti c’è da poco più di un anno un’arnia piena di api e dal prossimo anno ci sarà anche la produzione di un po’ di miele. Posizione ideale vicino all’acqua, i mandarini in fiore, rovi in fiore. Simbolo della biodiversità!
Giriamo intorno alla vigna e troviamo una bella collinetta piena di ciclamini, una scala antica fatta di legno appoggiata ad un albero, pietre vulcaniche scure, panche di legno e una vista sulla vallata con un albero e il muretto a secco che ci ricorda il disegno sull’etichetta del rosato. Su per la collina, sotto il bosco si vede benissimo tutta l’attività vulcanica, le varie colate laviche con basalto nero, un toccasana per queste vigne. Ci stupisce tantissimo il mutare dei colori del terreno in così poca distanza, ci sembra di aver cambiato territorio.
“IL VALLEFIARA”
Siamo nel quarto podere di 6000 metri, più aperto verso il mare. Non si sa l’anno d’impianto dell’ultimo filare che segna il confine, ma il resto della vigna è stata ripiantata nell’86 e coltivata a Malvasia e Trebbiano. Da queste viti, alternate da due filari di Malvasia e un filare di Trebbiano, viene prodotto il “Vallefiara”. Praticamente il taglio si fa direttamente in vigna!
Dalla collina di fronte ai vigneti possiamo ammirare il panorama che si estende fino al mare e quando non c’è foschia si vedono perfettamente le isole pontine. Siamo nell’agro romano e vediamo l’agro pontino.
Mentre ammiriamo il paesaggio, ascoltando il canto degli uccelli, alle spalle abbiamo Lanuvio e voltandoci osserviamo sotto il campanile vicino ai pini un grande terrazzo.
Si narra che tutti i terreni sotto la rocca fossero di proprietà del trisavolo. In passato, da questo terrazzo, si vedeva alzarsi un grande fumo dai campi, dovuto all’uso della vanga da parte delle tante persone che lavoravano per lui.
Tutti gli ettari vitati sono circondati da uliveti che rappresentano un ettaro con 500 piante miste tra moraiolo, rosciola, carbonella, frantoio, itrana. Non poteva mancare la produzione di olio.
LA CANTINA E IL PROGETTO FUTURO
Dopo questo bel peregrinare tra i filari, entriamo a visitare la cantina e ci troviamo di fronte le vasche d’acciaio e a fianco la sala di stoccaggio piena di opere d’arte magnifiche, che ritroviamo anche nell’abitazione, dipinte dal nonno materno, ritratti di famosi personaggi, volti conosciuti e non nell’ambito religioso. Una grande passione e non un lavoro a conferma che nella vita faceva ben altro.
Per gli affinamenti in barrique del rosso, di secondo e terzo passaggio, si appoggia ad un’altra cantina. Infatti ci rendiamo conto anche noi che lo spazio è piccolo.
Riccardo racconta che uno dei progetti più importanti sarà proprio quello di realizzare una cantina più grande e crescere con il numero delle bottiglie prodotte.
UNA GRADITA DEGUSTAZIONE CASALINGA
Siamo, inaspettatamente e sorprendentemente felici di essere accolte nella casa privata, nella quale la Mamma ci viene incontro con un gran sorriso e con una bellissima accoglienza. Eh sì, apparecchiamo la tavola insieme perché il pranzo si tiene proprio qui nella loro casa.
Un calore familiare così non lo abbiamo mai provato!
La tavola è imbandita di tante cose buone: formaggi, salumi, pizza fatta in casa, frittata, fettine panate, verdure. Insomma potremmo dire una meravigliosa accoglienza.
Da questa tavola parte la nostra degustazione dei vini dell’azienda.
“Il Metella” IGP Lazio 2021 Trebbiano Toscano in purezza
Il Metella porta il nome di “Cecilia Metella balearica maggiore”, vestale e sacerdotessa del tempio in onore della Dea Giunone Sospita. La leggenda narra che vicino al tempio c’era e c’è tutt’oggi una grotta all’interno della quale c’era un serpente. In primavera venivano mandate delle vergini con un cestino di focaccia come rito propiziatorio. Se il serpente accettava le focacce sarebbe stato un buon raccolto; se lo rifiutava colei che aveva perso la verginità, veniva sacrificata per scongiurare la carestia.
Queste sono le uve impiantate nel 1973 e coltivate a tendone. Vengono raccolte a mano e subiscono una pressatura soffice, dopo la fermentazione il mosto riposa tre mesi sulle fecce fini, matura 5 mesi in acciaio e poi affina tre mesi in bottiglia.
È di un bel giallo paglierino con alcuni accenni dorati, al naso ci colpisce la sua impronta di frutta esotica, mentre al palato ha un’ottima acidità con note minerali e una piacevole sapidità ben bilanciate. Un calice di buona struttura, fresco e beverino, molto poliedrico negli abbinamenti culinari.
“Vallefiara IGP Lazio 2021 70% Malvasia bianca di Candia e 30% Trebbiano Toscano
Il nome deriva da una delle zone sotto Lanuvio, dove sono coltivati a filari questi antichi vitigni di 25 anni di età, mai persi, nel corso del tempio, dalla Famiglia.
Raccolte sempre a mano, le uve sono sottoposte ad una pressatura soffice, decantazione statica, poi il liquido riposa 5 mesi sulle fecce fini, matura otto mesi di acciaio e poi affina qualche mese in bottiglia.
Ci sorprende come questi vini siano “vivi”. Ogni calice è diverso dal primo.
L’idea di non usare il legno ma solo acciaio sui bianchi è data dal voler mantenere integri i vini valorizzando gli autoctoni Malvasia di Candia e Trebbiano Toscano. “Questa è l’uva e questo è il vino che ne esce fuori”.
Alla visiva notiamo un colore più carico, di un giallo paglierino più intenso con riflessi dorati. I profumi di frutta a polpa gialla al naso ci rapiscono, è delicatamente aromatico, con lievi note agrumate. Una bella fusione tra l’aromaticità della Malvasia di Candia e la forza del Trebbiano Toscano. La sua mineralità lo contraddistingue. D’altronde con questo terreno vulcanico così ricco di sostanze organiche e argilla non poteva essere altrimenti. Un gran bel calice!
“Lanoios” IGP Lazio 2021 Merlot in purezza, provenienza uve da due filari del primo appezzamento visitato risalenti agli anni ’90.
15 giorni di fermentazione a contatto con le bucce, rimontaggi in assenza di ossigeno all’interno del silos, quindi niente solforosa. Tolte le bucce, viene fatto il travaso poi matura una parte in acciaio e una parte in barrique per otto mesi. Infine assemblaggio delle masse e affinamento 5 mesi di bottiglia.
15 gradi e non sentirli! Bassi solfiti, caldo, morbido, ancora giovane, acidità e tannini ancora non perfettamente integrati all’unisono. Al naso come al palato sentiamo queste note erbacee molto presenti per la sua gioventù, non è ruffiano come tanti Merlot, “rispecchia proprio chi lo fa” o ti piace o non ti piace.
Riccardo ci dice che fa il vino come piace a lui. Mai andato incontro alle tendenze e alle mode del mercato “ho fatto sempre quello che mi diceva la testa”.
I suoi sono vini identitari e vivaci che rispecchiano perfettamente anche il carattere.
Al palato c’è una dolce speziatura, sentori di pepe nero, liquirizia. Ci sembra ancora che da una parte ci sia questo fiore e frutto rosso predominante, e dall’altra, separata, una nota erbacea che devono ancora accordarsi insieme. Note ancora distinte non integre tra loro. Colore molto bello, rosso rubino intenso. Secondo noi, con un grande potere di invecchiamento.
I vini di Riccardo rispecchiano proprio lui, la storia della sua famiglia e del suo territorio. Sono il territorio perché Riccardo lo è. Un esempio perfetto di amore, determinazione e valorizzazione delle proprie tradizioni, della propria cultura e di tutti i differenti terreni che possiamo trovare anche spostandosi di pochi metri.
Noi lo ringraziamo infinitamente per averci aperto le porte della sua casa e fatto sentire davvero a nostro agio, per essersi raccontato a 360° e per averci fatto capire davvero chi è e che cosa si cela dietro ai suoi meravigliosi vini.
Vi vogliamo lasciare questa volta con una frase situata proprio tra i suoi vigneti:
“In questo lembo di terra l’uomo lavora in simbiosi con la natura e l’accompagna preservando gli ecosistemi e la biodiversità. Sono bandite tutte le sostanze chimiche di sintesi permettendo e mantenendo la coesistenza di diverse specie animali e vegetali che grazie alle loro reciproche relazioni creano un ecosistema in equilibrio”.
Sito Cantina: https://www.aziendaagricoladimarzio.it/index.html
Partner: https://carol-agostini.tumblr.com/ https://www.foodandwineangels.com/