Progetto Roma DOCet 2023, le attività e il grande lavoro del Consorzio
Di Cristina Santini
Roma DOCetè un progetto ad ampio respiro che segue percorsi paralleli e fortemente collegati tra loro, azioni che non si esauriranno nei prossimi mesi ma che proseguiranno mettendo al centro dell’attenzione temi come promozione, turismo, business, ma anche formazione, attenzione per la sostenibilità, rapporti con i media attraverso iniziative culturali, promozionali e b2b, avendo come punto di riferimento la Capitale.
Presentato il 27 aprile alla Stampa e agli Addetti del settore alla presenza dei numerosi Produttori del Lazio nella bellissima cornice del ristorante all’interno del Palazzo Esposizioni, il progetto mette al centro delle operazioni Roma, una città che offre tante opportunità, eccellenze e una ristorazione in continua crescita e questo è un vantaggio che va sfruttato al meglio.
Diversi appuntamenti caratterizzano il 2023, messi a punto dal Consorzio di Tutela Vini Roma DOC, a cominciare dal primo incontro accademico con gli studenti avvenuto in una sede prestigiosa come l’Aula Moscati dell’Università di Roma Tor Vergata, Macroarea di Lettere e Filosofia. Nella tavola rotonda “DallaRoma Caput Vini alla Roma DOC”, un viaggio attraverso i millenni, è emerso il ruolo fondamentale che il vino ha sempre avuto nella storia di Roma.
In questa occasione, il Consorzio ha provato a raccontare il vino ai giovani approfondendo tematiche storiche, sociali e culturali allo scopo di promuovere un consumo basato sulla conoscenza.
“La missione principale di un Consorzio – ha sottolineato Tullio Galassini, Presidente Consorzio Roma DOC – è quella di promuovere le etichette del proprio territorio, effettuare dei controlli, operare nella comunicazione. Ma quando si porta in giro un nome come Roma, viene spontaneo muoversi anche su altri sentieri.
Quello dell’educazione e della narrazione del vino come trait d’union tra storia, cultura e sociale, rappresenta per tutti noi un quid plus irrinunciabile. La partnership con Tor Vergata ci consente di avere un contatto diretto con i giovani, cosa che riteniamo fondamentale per il nostro progetto Roma DOCet. Un progetto che si svilupperà nei prossimi anni e per il quale sappiamo di poter contare sulla necessaria collaborazione delle istituzioni”.
Il progetto si muove su più fronti e finora ha visto la partecipazione del Consorzio e delle aziende consortili alle più importanti manifestazioni di settore, anche fuori dai confini regionali, in Italia e all’Estero. Dopo il successo del Merano Wine Festival è stata la volta del Prowein di Dusseldorf con risultati importanti da parte della stampa estera che prima non si avevano, ma anche del Vinitaly dove c’è stata molta attenzione al territorio e del Vitignoitalia a Napoli.
Il 5 giugno si è tenuto un incontro fondamentale con il Trade romano ospitato sulla terrazza all’ultimo piano del Rome Marriott Grand Hotel Flora di Via Veneto con una vista unica sulla Città Eterna. Anche qui risultati ottimali che hanno visto la presenza di 78 esercizi commerciali registrati tra ristoranti ed enoteche.
Ma indispensabile è stata anche la presenza su Roma. Infatti si sono appena conclusi il Vinòforum e Hortus Vini di Roma, due eventi che hanno avuto consenso di pubblico e fatto conoscere le tante cantine appartenenti al progetto con etichette esemplari legate alla storia di Roma tra bianchi, rosati e rossi.
Sempre durante i mesi di maggio e giugno il Consorzio ha organizzato una serie di press tour permettendo alla stampa di settore di approfondire la conoscenza sulle diverse aree che caratterizzano il territorio della denominazione, un grande areale fatto di terra vulcanica che a seconda delle colate laviche più recenti o più antiche, delle altitudini o della distanza dal grande cratere dona ai vini la specificità e peculiarità territoriale.
La Denominazione Roma Doc (2011) e il suo Consorzio (2018) sono molto giovani, un impegno partito con un gruppo di dieci aziende giunto ad oggi ad una realtà associativa di 54 viticoltori, con le migliori intenzioni, la forza e la volontà di portare avanti programmi ben distinti intenti a promuovere e valorizzare il territorio, al riconoscimento della qualità, alla comunicazione e all’internazionalizzazione.
I vini che si fregiano di tale Denominazione nascono all’interno dell’area geografica della Regione Lazio che si estende su una superficie di circa 28.000 ettari e comprende i territori litoranei, la Sabina romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini e parte della Campagna romana in Provincia di Roma.
La ricchezza è nel suo suolo che risale al Quaternario, il periodo geologico più recente, quello in cui viviamo ancora oggi, caratterizzato da due principali unità geologiche: la prima, quella delle aree pianeggianti della valle del Tevere e dell’Aniene dove si trovano sedimenti marini costituiti da un substrato di sedimenti alluvionali; la seconda, quella interna determinata dalle eruzioni del Vulcano laziale, dove i terreni sono composti da vari tipi di tufo a cui si sono sovrapposti ceneri e lapilli depositati in strati di notevole spessore e cementati in misura diversa.
L’area dei Castelli Romani si estende in forma circolare attorno all’antico apparato vulcanico dei Colli Albani, attivo fino a diecimila anni fa. La zona ha interessato tre diverse fasi intervallate da periodi di calma generando la formazione di laghi che oggi occupano il fondo dei crateri offrendo paesaggi sorprendenti. Ad esempio nella prima fase l’accumulo delle lave arrivate fino alle future porte di Roma e la successiva sedimentazione di scorie formò un cono largo 60 km. Nelle fasi successive l’attività intensa generò altre bocche laterali culminando in forti e numerose esplosioni freatiche.
Per cui la scelta del versante del vulcano, la distanza da esso e l’altitudine che può arrivare a 600 metri slm., costituiscono fattori importanti che influenzano ogni tipologia di etichetta e per tale motivo un unico vitigno, come ad esempio la Malvasia del Lazio detta Puntinata, genera diversi vini e tutti peculiari a suo modo.
Ma gli autoctoni lazialiche sono idonei alla produzione dei bianchi sono anche Bellone, Bombino bianco, Trebbiano Verde, Trebbiano Giallo e il Greco bianco. Sia la Malvasia che il Bellone nascono anche in purezza ma da disciplinare la prima è obbligatoria per almeno il 50% e il secondo in uvaggio per il 35%. Per i rossi abbiamo il Montepulciano che viene utilizzato in blend minimo al 50% con Cesanese comune, Cesanese di Affile, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Syrah da soli o congiuntamente per almeno il 35%.
“Roma ha un cuore divino” rappresenta la mappa dei 6 itinerari organizzati per la stampa italiana ed estera che ha coinvolto parte delle aziende appartenenti al Consorzio che hanno saputo raccontare con tanta energia la propria storia, dando ospitalità, aprendo le porte della propria cantina e concedendoci il privilegio di assaggiare non solo le etichette della Roma Doc ma anche qualche altra referenza a dimostrazione della qualità raggiunta in questi ultimi anni con impegno e dedizione.
Vi racconteremo, in maniera più dettagliata, nei prossimi articoli i quattro Tour ai quali abbiamo partecipato: il primo TOUR DA FRASCATI AI MONTI PRENESTINI con Fontana Candida, Poggio Le Volpi, Principe Pallavicini e Vinicola Federici; il secondo TOUR SUL BORDO DEL VULCANO con il Gotto D’Oro, Cantine San Marco e Cantina Gaffino; il terzo TOUR CISTERNENSE – NETTUNO con Cantina Amena, Tenimenti Leone, La Giannettola e Casa Divina Provvidenza; il quarto TOUR MARINO – AGRO ROMANO con Terre del Veio e Cantina Castello Torreinpietra.
BEVIAMOCI SUD 2023 Consorzi: il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni
Di Cristina Santini
Il Grand Hotel Palatino di Roma ha ospitato con grande successo a maggio la quinta edizione di Beviamoci Sud 2023, organizzata da Marco Cum di Riserva Grande, in collaborazione con Andrea Petrini di Percorsi di Vino e con il giornalista enogastronomico Luciano Pignataro, dedicata da sempre alla promozione delle aziende vitivinicole del Meridione e con la partecipazione di una piccola delegazione di vignaioli del territorio laziale.
Manifestazione quest’anno non solo rivolta al consueto pubblico di appassionati, ma volta a consolidare ed incrementare la presenza dei professionisti della stampa, dell’Horeca e dei mediatori commerciali di settore.
Il grande vantaggio per noi in quel periodo è stata la novità rispetto all’edizione precedente della giornata di lunedì 8 maggio dedicata esclusivamente alla stampa e agli operatori di settore permettendoci di approfondire meglio le referenze esposte ai Consorzi e di partecipare a due fasi importanti dell’evento: la prima riservata alla consegna del premio per “Eccellenze di Beviamoci Sud 2023” per le etichette di maggior pregio selezionate da una giuria tecnica di livello; la seconda riservata all’assegnazione del riconoscimento “Ambasciatori di Beviamoci Sud 2023” agli esercizi che maggiormente valorizzano il tessuto vitivinicolo del Sud Italia.
Sono stati premiati ben 50 esercizi provenienti dalle più importanti regioni del Meridione e del Lazio (Elenchi completi delle Eccellenze e degli Ambasciatori designati per l’edizione 2023 ai link:
Ma torniamo a parlare di alcuni degli assaggi della giornata che ci ha visto impegnati con i Consorzi e con gli amici Produttori del Lazio presenti, Vigna – Vignaioli Gajardi nel Lazio, un progetto di unione pensato e ideato lo scorso anno che coinvolge un gruppo di sei giovani vignaioli, alcuni forieri di un passato vitivinicolo già esistente, altri con nuove idee nate da pochi anni, sicuramente uniti per far emergere un territorio che ha tanto da dire a livello enologico.
Un’unica grande forza per garantire qualità e unicità di vini prodotti attraverso vitigni, interpretazioni, terroir differenti. Parliamo di Cantina Raparelli e Vin Viandante di Lanuvio, Cantine il Moro di San Vito Romano, Gianmarco Iachetti di Cisterna di Latina, Tenuta Iacoangeli di Genzano di Roma e il Quadrifoglio di Doganella di Ninfa (LT).
Vitica – Il Consorzio di Tutela dei vini di Caserta,nato nel 2004, è stato il primo consorzio ad essere riconosciuto in Campania e le denominazioni che ne fanno parte sono Falerno del Massico, Aversa e Galluccio Doc, Roccamonfina e Terre del Volturno Igt.
Al banco d’assaggio ci ha accolto Maria Ida Avallone, una grande Donna del Vino alla guida della cantina Villa Matilde Avallone che ci ha raccontato l’Azienda e il suo vino, il Falerno del Massico Dop Collecastrese 2021, una Falanghina dalla spiccata personalità e finezza, proveniente da un terreno ai piedi dell’antico vulcano di Roccamonfina, ricco di cenere e pomice scura, che fermenta e sosta sui lieviti sia in anfora sia in acciaio.
Il percorso prosegue su un altro vitigno autoctono molto raro, la coda di pecora “Sheep Terre del Volturno Igt” (non coda di volpe e in fase di riconoscimento ufficiale dal Ministero), che soloIl Verrocoltiva, recuperato dalla sua certa estinzione, dalle origini antichissime risalenti alla Magna Grecia. Vinificato in purezza è un trionfo di profumi di primavera e una gioia per il palato.
Per non parlare dell’Asprinio di Aversa de I Borboni, nome dato al popolo meridionale che visse l’epoca d’oro del sud Italia, sia spumantizzato sia fermo che non delude mai. Viti di età compresa tra i 50 e i 350 anni, maritate agli olmi o ai pioppi che superano i 20 metri di altezza (si dice che i Borboni usassero queste barriere di viti per difendersi dai nemici) coltivate su un terreno di genesi vulcanica e salvate dall’estinzione grazie alla Famiglia Numeroso con il riconoscimento prima della Igt e poi nel 1993 della Doc Asprinio di Aversa.
Non per ultimo il Falerno del Massico Dop Mille880 bio 2021, un vino sapido che si lascia bere con eleganza, proveniente dalle aree vitate dell’Ager Falernus dell’Azienda Bianchini Rossetti, che in epoca romana veniva trasportato in anfore di terracotta sigillate e certificate per riconoscere la provenienza autentica e inviate via mare in tutte le località del mondo conosciuto fino a quale momento.
Vesuvio – Consorzio di Tutela Vini Vesuvio Dop e Pompeiano Igp
Territorio dalle antiche tradizioni vitivinicole attraversato da storie millenarie di popoli colonizzatori e miti leggendari tant’è che si narra che un pezzo di Paradiso precipitò nel Golfo di Napoli quando Lucifero fu cacciato. Cristo, addolorato per la perdita di colui che era stato l’angelo più buono, pianse. Là dove caddero le sue lacrime, nacquero delle viti il cui vino si chiamò appunto Lacryma Christi.
La degustazione parte proprio dal Lacryma Christi bianco superiore Doc 2021 (100% Caprettone) della Cantina del Vesuvio Russo Family dal 1930, un vino morbido, piacevole, dalla potente sapidità le cui uve sono allevate in biologico sulle falde del vulcano su un suolo lavico, scuro e poroso. In passato ha rischiato l’estinzione ed è stato confuso spesso con la Coda di Volpe, ma dopo il censimento del dopoguerra e con le nuove generazioni è stata data molta più attenzione ai vitigni autoctoni. Successivamente con gli studi effettuati dall’Università Federico II di Napoli in raccordo con la Regione Campania si è dimostrata la differente genetica delle due varietà.
Come anche il secondo calice di Caprettone Doc 2021 Aryete di Casa Setaro che fermenta e affina in anfora e tonneaux di rovere offrendo un’esplosione di note di ginestra e cedro legate a nuance balsamiche accompagnate da una perfetta vena acida che regala un sorso ampio e lungo.
Senza tralasciare il Lacryma Christi bianco superiore Doc 2021 di Cantine Villa Regina, un vino armonico dai profumi delicati di mimosa e pesca e dalla beva fresca e piena di vitalità e il Pompeiano bianco Igt 2022 di Bosco de’ Medici POMPEII da Caprettone macerato e fermentano in anfora che sprigiona al naso sentori di frutta a polpa bianca e flora vesuviana che si accompagnano a note iodate. Ottimo equilibrio tra acidità e sapidità.
Per concludere con il Lacrima Nero Doc 2021 di Cantine Olivella prodotto da uve Piedirosso, Aglianico ed Olivella, ricco di frutta rossa come ciliegia e frutti di bosco, dal sorso ampio di spiccata freschezza e mineralità, ricco di energia e dai tannini sottili.
Consorzio di Tutela Vini ETNA DOC
Nel 2022 si è concluso il lungo e minuzioso lavoro – che andrà a modificare poi il Disciplinare – di identificazione dei confini e della posizione esatta delle 133 Contrade, legalmente equiparate a Unità Geografiche Aggiuntive (UGA), presenti all’interno del territorio di produzione dell’Etna DOC, riportandole all’interno di una vera e propria mappa predisposta dal Consorzio.
L’identificazione delle contrade sino ad oggi si basava sull’interpretazione di vecchie carte catastali, mai aggiornate e limiti territoriali che oggi non esistono più, anche a causa della continua attività eruttiva dell’Etna.
Questo rappresenta il primo tassello di un progetto di studio ancor più articolato del territorio etneo con tante differenze che si esprimono non solo all’interno dei diversi versanti del vulcano ma anche nelle tante Contrade a partire dalle diverse stratificazioni delle colate laviche e dall’esposizione dei vigneti. Tutti fattori che rendono ogni Contrada peculiare all’interno dell’areale etneo in grado di donare sfumature differenti ai vini.
Un ulteriore passaggio sarà il futuro lavoro di zonazione che il Consorzio sta predisponendo insieme all’Università di Catania e all’Università degli Studi di Milano-Bicocca che permetterà di interpretare tutte le variabili presenti all’interno delle Contrade in modo dettagliato, sulla base delle differenze che ci sono tra suoli, altitudini, microclimi.
La prima ad accoglierci al banco consortile è Michela Luca dell’Azienda Agricola Fischetti di Castiglione di Sicilia CT che ci fa emozionare con una verticale di “Muscamento” Etna Rosso Doc 2015-2014-2012 , blend di uve a piede franco di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio prodotte da alberelli centenari a 650 mt. slm. e affinato in botti grandi di rovere.
La 2015 di grande eleganza, figlia di un’identità vulcanica importante, sposa la frutta rossa, i fiori secchi avvolti da note balsamiche fresche per un palato memorabile. La 2014 si apre su toni più profondi, speziati, di frutta rossa matura con una struttura imponente, tannini scalpitanti e una beva lunga e vigorosa. Infine la 2012, dalla profonda seduzione, è il ricordo di tante cose, coinvolge come le parole del film Troy “E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora, questo momento non tornerà…”
Cantine di Nessuno
Viti centenarie tra conetti vulcanici spenti che contemplano un grande sforzo, quello eroico, del versante etneo sud est dove si trova la Contrada Monte Ilice con pendenze che superano il 60%, senza muretti, ad un’altitudine che varia dai 700 ai 900 mt slm. Una produzione “fuori dall’ordinario”, limitata, preziosa, autentica che regala percezioni sensoriali straordinarie.
Assaggiamo due rossi sorprendenti come il “Milice Doc 2017 Etna Rosso”, il Cru le cui uve di Nerello Mascalese provengono dal Monte Ilice, affinato in tonneau di rovere.
La sensazione ammaliante di fragoline, ribes, prugna matura accompagna il delicato manto di foglie fresche unite a percezioni balsamiche d’eucalipto, cuoio, tabacco e vaniglia. Un palato dinamico, dai tannini nobili, avvolto da una ricca mineralità vulcanica.
Il “Nuddu Doc 2017 Etna Rosso” da uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, affinato in botti in castagno, mostra la sua eleganza in tutte le fibre, piacevole per i suoi aromi di frutta rossa, spezie e goudron, dal sorso pieno e possente dal tannino dolce e vellutato. Invita alla seconda beva.
Consorzio di Tutela Tintilia del Molise
Di recente costituzione è il risultato di una sinergia volta alla promozione di uno dei simboli identitari della viticoltura molisana, la Tintilia, vitigno presente in questi luoghi già dal 1700, parente di nessuno, ma che dopo il 1960, ha avuto un drastico arresto in ragione di una politica di espansione della produzione vitivinicola locale che ne ha finanziato l’espianto perchè geneticamente poco produttivo, a favore di varietà internazionali più produttive. Grazie poi ad agronomi, produttori e al Dipartimento di Scienze Forestali dell’UNIMOL, gli è stata riconosciuta la sua originaria dignità di grande autoctono salvandolo dall’estinzione.
Ecco alcune delle cantine presenti che abbiamo degustato:
Tenimenti Grieco “200 metri Doc 2021” un vino affinato in acciaio dall’identità salmastra coltivato sull’alta collina baciata dal sole che guarda il mare, ricco di profumi fragranti di ciliegia, prugna ed erbe aromatiche e dal sorso morbido e fresco con un gradevole ritorno di speziatura.
La Cantina di Remo “Uvanera Doc 2020”
Nell’entroterra, a Ferrazzano, c’è un borgo in pietra bianca arroccato che sovrasta Campobasso e da questa collina a 600 mt di altitudine si coltiva la Tintilia Uvanera, lavorata con lunghi affinamenti tra acciaio e bottiglia. La forza di un vino ammaliato dalla frutta rossa e dalla liquirizia, dalla beva vibrante, dinamica che lascia spazio ad un tannino leggero e setoso.
Cantine Salvatore “Rutilia Doc 2018
Sulle rigogliose colline del Basso Molise, a Ururi, nasce il Rutiliasu un terreno ricco di scheletro e un clima tipicamente mediterraneto. Il calice offre una fragranza complessa e avvolgente di frutti rossi come la ciliegia e la marasca ma anche quella leggera nota speziata di noce moscata e pepe nero, che poi ritroviamo ampiamente al palato. Ricco e coinvolgente.
Per chiudere l’intensa giornata abbiamo conosciuto il Gran Fornaio 2020 di Genzano di Roma, grande punto di riferimento per la panificazione di tutto il Lazio.
Il pane, come ogni altro alimento, è estremamente leggero grazie alle farine di ottima qualità. Lui è Marco Bocchini, fornaio di quarta generazione, sempre alla costante ricerca della giusta lavorazione per la qualità e la salute.
La scelta del grano è alla base del suo lavoro ed è tutto un equilibrio tra spezie e farine quasi tutte macinate a pietra. Presso il suo forno si possono trovare una molteplicità di materie prime d’eccellenza: dal pane di Genzano Igp a quello integrale, semintengrale, pane nero, pani speziati come alla curcuma e pepe nero, pani proteici per diete vegane e vegetariane, pizze, dolci e biscotti di tutti i tipi.
Il profumo del pane appena sfornato non si scorda mai ed è parte integrante della tavolozza dei profumi della nostra vita.
Alle origini di Diego Filippa 2018 vino, bollicine, passione
Di Elsa Leandri
La storia della cantina affonda le sue radici all’inizio del ‘900 con il bisnonno Giuseppe. Il nonno Clario e i figli Giorgio e Arturo pongono le basi di un’azienda agricola in cui non solo si coltiva vite ma ci si dedica anche all’allevamento della razza piemontese. Siamo in periodo di migrazione dalle campagne e molti dei cugini Filippa si spostano nella città delle Mole Antonelliana portando con sé dei prodotti tipici della loro terra: immancabile il vino, il dolcetto, che diventa in questo modo conosciuto e apprezzato dai torinesi.
Ed è così che l’azienda inizia ad affermarsi nella capitale sabauda, con il passaparola: la gestione attenta del nonno è tale che a primavera prendeva carta e calamaio e scriveva ai suoi clienti spiegando come era stata l’annata e quali erano le caratteristiche del vino che aveva a disposizione dando la possibilità di ordinarlo e di ritirarlo direttamente alla stazione di Porta Nuova: l’era delle prime newsletter e delle prime spedizioni che viaggiavano su rotaie!
Una volta finito l’istituto professionale nel 2015, Diego entra attivamente in cantina rinnovandola e dando vita nel 2018 all’attuale cantina Diego Filippa. È con emozione e con fierezza che racconta che tra i suoi più fedeli acquirenti annovera ancora i discendenti dei primi clienti che Clario aveva fidelizzato all’inizio della sua attività.
Passato e futuro. Diego sa bene che quello che ha e che sa lo deve proprio al suo bisnonno, a suo nonno e a suo padre. Tutto questo è racchiuso nel simbolo che rappresenta l’azienda agricola ovvero l’albero della vita stilizzato. È un modo per sottolineare la rinascita di una cantina storica con un’impronta più giovanile, ovvero una nuova era per questa realtà che si fonda su basi solide. E le basi solide sono la conoscenza e la vicinanza del padre Arturo e del fratello Mirco, l’enologo di famiglia che segue la parte più tecnica.
La gestione dei 13 ettari vitati che si trovano tra Castiglione Tinella e Agliano Terme sono gestiti da Diego, che supervisiona e segue ogni sua barbatella. I terreni a Castiglione Tinella, che sono calcareo arenacei, sono maggiormente vocati alla produzione di uve a bacca bianca, mentre in quelli calcareo-argillosi di Agliano Terme sono i vitigni a bacca nera a esprimersi. Inutile dire che la produzione maggiore è rappresentata dal moscato bianco fiore all’occhiello della cantina e vitigno che occupa un posto di privilegio nel cuore di Diego.
“Perché il moscato è quella cosa che offri quando ti arriva qualcuno a casa all’improvviso, è convivialità”. Il vino al centro della convivialità o forse meglio dire la convivialità che ruota attorno al calice, Diego lo trasmette nelle etichette di tutte le sue bottiglie in cui è raffigurato un bicchiere rovesciato che delinea anche due volti di profilo.
La degustazione
In degustazione tre dei vini prodotti dall’azienda, il Langhe Bianco, la Barbera d’Asti e il Moscato d’Asti.
Langhe Bianco DOC 2022(85% chardonnay, 15% cortese). Qui il vitigno autoctono incontra l’internazionale offrendo sentori di ginestra e acacia, di pesca nettarina e di scorza di agrumi con in chiusura rimandi di erba tagliata, maggiorana e lemongrass. Fresco e sapido al sorso tale da accompagnare un carpaccio di tonno.
Nel Barbera d’Asti DOCG2022 spiccano i sentori varietali: rosa, lampone e sottobosco. Al sorso la freschezza della barbera è accompagnata da un tannino non perfettamente integrato con un finale speziato.
E per concludere il Moscato d’Asti DOCG 2022.L’aromaticità del vitigno si esprime con le tipiche note di salvia che si intrecciano a effluvi di mughetto, amamelide e pesca bianca. La delicata dolcezza è ravvivata dalla viva freschezza e dalle leggere bollicine che solleticano il palato risultando molto piacevole. Finale di cedro candito.
Abbinamento dell’autrice
Su suggerimento di Diego l’ho abbinato, anziché a un dolce, a un crostino con burro e acciughe del Cantabrico, un accostamento che personalmente non avrei mai osato e che invece mi ha sorpreso e sedotto!
Un viaggio sensoriale in uno dei borghi più belli d’Italia
Di Adriano Guerri
Nei giorni 26, 27 e 28 maggio 2023, nel suggestivo borgo di Castellina in Chianti si è svolta la 25°edizione di Pentecoste. Tre giorni dedicati a degustazioni di Chianti Classico dell’areale di Castellina in Chianti.
Dietro ai banchi d’assaggio v’erano produttori, lieti di presentarci le loro etichette e far conoscere le loro aziende. In degustazione varie tipologie di vino, quali bianco, rosato, Chianti Classico, sia annata, che riserva e gran selezione, non sono mancati alcuni Supertuscan.
L’evento si è svolto lungo il camminamento medievale sotto le Volte del Borgo. I banchi d’assaggio allestiti in questa via hanno garantito temperature di servizio dei vini ideali e un riparo in caso di pioggia, fenomeno che da qualche settimana ogni pomeriggio puntualmente si verifica.
Questa edizione è stata arricchita dalla partecipazione di alcune etichette di produttori di altre UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) del Chianti Classico, con vari banchi d’assaggio.
L’evento ha visto la partecipazione di molti enoappassionati ed enoturisti che in questo periodo popolano il Chianti, ma anche di molti esperti di vino.
Il primo giorno è stato aperto con una cena di gala e in abbinamento le varie tipologie di Chianti Classico con svariate annate. Ha avuto luogo una masterclass organizzata e guidata dal noto giornalista e scrittore Armando Castagno. Mio malgrado, non ho partecipato a nessuna delle due interessanti iniziative, ho comunque partecipato la domenica e mi sono cimentato in un percorso sensoriale presentandomi al banco d’assaggio di vari produttori, anche se non di tutti.
Castellina in Chianti è uno dei comuni più antichi ove viene prodotto questo singolare vino, già nel 1716 il Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici in un bando fissava i confini della zona di produzione del Chianti e Castellina rientrava in questa sorta di Doc ante litteram. Gli alti due comuni erano Gaiole e Radda, mentre invece le altre zone erano Carmignano, Pomino e Val d’Arno di Sopra. Nel 2003 è nata l’Associazione Viticoltori di Castellina in Chianti per dare impulso a questo straordinario territorio. Oggi vanta 39 soci.
Alcuni assaggi :
Chianti Classico 2020 Pomona – Sangiovese in purezza – Rosso rubino intenso e trasparente, al naso sprigiona sentori di marasca, iris, rosa, mora e lampone uniti a note di liquirizia e spezie, al palato ti colpisce per la sua elegante e piacevole beva, coerente e persistente.
Chianti Classico 2021 Castellare di Castellina – Sangiovese 95% e Canaiolo 5% – Rosso rubino vivace , al naso emana sentori di violetta, ciliegia, rabarbaro, liquirizia e vaniglia, al palato è pieno ed appagante, un vino ben fatto.
Chianti Classico Riserva 2019 Castello La Leccia– Sangiovese e un piccolo saldo di Malvasia Nera – Rosso rubino intenso, al naso rimanda sentori di prugna, violaciocca, mirtillo, spezie e sottili note balsamiche, al palato è vibrante, avvolgente, leggiadro e durevole.
Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Capannino 2019 Bibbiano– Ottenuto con un particolare clone di Sangiovese – Rosso rubino con riflessi che virano sul granato, al naso libera una cascata di piacevoli sensazioni, prugna, sottobosco, liquirizia, cacao, cannella con nuances balsamiche, al palato ti colpisce per i suoi tannini poderosi ma setosi, pieno ed appagante, sapido e dotato di una buona avvolgenza e lunga persistenza aromatica.
Concerto Toscana Igt 2020 Castello di Fonterutoli– Sangiovese 80% e Cabernet Sauvignon 20% – Rosso rubino intenso e consistente , al naso rivela raffinati sentori di sottobosco , mora, mirtillo, prugna, arricchito da note di spezie dolci, al palato è ricco e succoso, dotato di una setosa trama tannica e sorretto da una buona spalla fresca con un finale sorprendentemente lungo.
Trentodoc: L’eccellenza degli spumanti del Trentino rappresentata dalla Cantina Letrari
Di Carol Agostini
Il Trentodoc è un’eccellenza italiana nel panorama dei vini spumanti, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Tra le cantine che si distinguono per la produzione di questi spumanti di alta qualità, la Cantina Letrarirappresenta un punto di riferimento nella regione del Trentino. Fondata nel 1976 da LeonelloLetrari, l’azienda ha sviluppato una reputazione solida e duratura grazie alla sua dedizione all’arte della produzione di spumanti Metodo Classico.
La storia del Trentodoc
Il Trentodoc ha una storia radicata nel territorio del Trentino. Nel 1993, è stata riconosciuta come denominazione di origine controllata, garantendo la qualità e l’autenticità dei vini spumanti prodotti nella regione. Il Metodo Classico utilizzato per la produzione dei Trentodoc prevede una seconda fermentazione in bottiglia, seguita da un periodo di affinamento sui lieviti, che conferisce ai vini caratteristiche di complessità e finezza.
La Cantina Letrari, situata nella suggestiva Vallagarina si distingue per la produzione di spumanti Trentodoc di alta qualità. Fondata da Leonello Letrari, l’azienda è stata pioniera nella produzione di spumanti nel Trentino, concentrandosi sulla coltivazione di uve autoctone come Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco.
L’arte della produzione
La Cantina Letrari si impegna a creare spumanti di eccellenza attraverso un processo artigianale e attento ai dettagli. Le uve vengono raccolte a mano e selezionate con cura, garantendo la massima qualità delle materie prime. Il Metodo Classico viene seguito scrupolosamente, con una fermentazione in bottiglia e un lungo periodo di affinamento, che varia da 24 oltre i 120 mesi, a seconda dell’etichetta.
La gamma di spumanti Letrari
La Cantina Letrari offre una gamma di spumanti Trentodoc che soddisfa tutti i palati. Tra le loro etichette più apprezzate ci sono il Trentodoc Brut, un vino dal gusto fresco e vivace, con note di frutta matura e lievi sentori di lievito, e il Trentodoc Rosé, un elegante spumante di colore rosa tenue, con aromi floreali e fruttati. Inoltre, la Cantina produce anche il Trentodoc Riserva, che si distingue per la sua struttura complessa e la capacità di invecchiamento.
Riconoscimenti e prestigio
La qualità dei vini della Cantina Letrari è stata riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Nel corso degli anni, i loro spumanti hanno ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, attestando l’impegno costante dell’azienda nella produzione di vini di alta qualità. Questi riconoscimenti sono il risultato della passione, dell’esperienza e della dedizione dei vignaioli e del team di enologi della Cantina Letrari.
Ha una storia di oltre cinquant’anni caratterizzata da passione e qualità. Oltre a ciò, l’azienda dimostra un profondo rispetto per l’ambiente attraverso l’utilizzo di tecniche di viticoltura a sistema integrato SQNPI e sostenibile. Oggi, Letrari è considerata una delle realtà più interessanti nella produzione di vini del Trentino. Le uve di Chardonnay e Pinot Nero, coltivate lungo la zona della Vallagarina, vengono ancora vendemmiate a mano per creare gli eleganti Trentodoc Metodo Classico.
Attualmente, l’azienda gestisce 13 ettari di vigneti, coltivando anche altri nobili vitigni come Marzemino, Pinot Grigio, Teroldego e Moscato Rosa. A capo della cantina c’è Lucia Letrari, il cui impegno e creatività si riflettono nelle circa 140.000 bottiglie prodotte annualmente.
Trentodoc Dosaggio Zero Mon Amour
Per coloro che non vogliono fare compromessi con il proprio palato, il Trentodoc Talento Dosaggio Zero di Letrari è una scelta quasi obbligata. Questo Metodo Classico rappresenta l’autenticità massima del meraviglioso terroir della Vallagarina e delle alte colline dolomitiche. Realizzato da una cuvée di uve Chardonnay e Pinot Nero, il vino matura sui propri lieviti per almeno 24 mesi prima di essere sboccato e senza aggiunta di sciroppo di dosaggio.
Di colore giallo paglierino brillante, questa bollicina presenta un perlage particolarmente sottile e persistente. Al naso rivela una buona intensità e una finezza assoluta, con leggeri sentori di mela e crosta di pane. Anche al palato, il protagonista è il frutto fresco. Asciutto e deciso, richiama i sentori fruttati percepiti in precedenza, con un piacevole tocco di acidità. Accompagnato da prosciutto crudo e scaglie di parmigiano, questo spumante rende indimenticabile ogni merenda. A tavola, si abbina perfettamente ad antipasti di pesce, crostacei, sushi e sashimi, oca e foie gras, pasta fresca all’uovo e tanto altro…
Ospitalità e turismo enogastronomico
La Cantina Letrariaccoglie visitatori presso la propria struttura, offrendo degustazioni guidate e visite guidate dei vigneti e della cantina stessa. Durante le visite, gli appassionati di vino hanno l’opportunità di conoscere da vicino il processo di produzione dei vini spumanti e di apprezzare la bellezza dei vigneti che circondano l’azienda. L’ospitalità e l’accoglienza offerte dalla Cantina Letrari completano l’esperienza enogastronomica offerta ai visitatori.
Vigneti
I vigneti sono situati nelle zone più vocate della Vallagarina e della Terra dei Forti, dove il clima mediterraneo temperato, influenzato dall’Adige e dall’Ora del Garda, favorisce la coltivazione delle viti. Nel 1976, Leonello Letrari (purtroppo scomparso) fondò la sua azienda, emergendo fin da subito come un punto di riferimento per il Trentodoc e portando l’azienda a crescere fino al punto di svolta del 2000, con il completamento della moderna cantina, che rappresenta un equilibrato connubio tra tradizione ed efficienza innovativa.
Oggi, l’azienda è nelle sapienti mani della figlia Lucia, enologa come il padre, che con grande spirito imprenditoriale gestisce la cantina insieme al fratello Paolo. Le vigne di Chardonnay e Pinot Nero vengono ancora lavorate a mano e, una volta raggiunta la vicina cantina di Rovereto, riposano su lieviti selezionati e zucchero di canna per la rifermentazione in bottiglia secondo il metodo classico. Nella gamma dei vini Letrari, spiccano il Dosaggio Zero Riserva e la Riserva del Fondatore, dove la migliore selezione di uve riposa sui lieviti per non meno di 120 mesi.
Lucia Letrari
Lucia Letrari, enologa e proprietaria dell’azienda di famiglia omonima dal 1987, si è diplomata alla Fondazione E. Mach di S. Michele all’Adige. Fin da quando era bambina, ha seguito le orme di suo padre Leonello tra i vigneti e in cantina, e dopo il diploma è diventata responsabile della produzione dei Trentodoc e dei vini con il marchio di famiglia. La passione di Lucia per l’agricoltura e il vino è così grande che ha fatto della sua passione una professione a tutto tondo, portando la sua esperienza in varie associazioni di promozione del territorio trentino e nazionale.
In qualità di figura di spicco della Cantina Letrari, ha dimostrato nel corso degli anni una straordinaria forza e tenacia. Nell’ambiente prevalentemente maschile del settore vinicolo, dove le donne si scontrano spesso con molteplici ostacoli, Lucia ha saputo dimostrare una devozione totale e un coraggio indomabile, alimentati da una passione profonda.
I TrentoDoc prodotti:
Cuvèe Blanche (100% Chardonnay)
Dosaggio Zero Trentodoc
Brut Trentodoc
Brut Rosè Trentodoc
Quore Riserva Trentodoc
Quore PieNne Riserva Trentodoc
Dosaggio Zero Riserva Trentodoc
Brut Riserva Trentodoc
+4 Rosè Riserva Trentodoc
976 Riserva del Fondatore Trentodoc
Emozioni…
Lucia Letrari, oltre ad essere un’imprenditrice che ammiro e stimo, è anche una vera amica. È sempre stata al mio fianco nei momenti difficili, offrendomi conforto, parole di sostegno e vicinanza. Spesso, basta un semplice messaggio da parte sua con delle emoticon che mi fanno sorridere e mi regalano un senso di compagnia, evitando così di sentirmi sola. Tra noi c’è un intenso rispetto e una complicità che non è facile trovare e stabilire, ma è accaduto tutto in modo naturale e spontaneo.
E’ una donna che ha saputo assimilare gli insegnamenti di suo padre e farli propri, aggiungendo il suo tocco personale e sperimentando costantemente. Non si è mai fermata, sempre alla ricerca di innovazione e qualità. Ha dimostrato la capacità di conciliare famiglia, lavoro e affetti con coraggio e perseveranza, incarnando la semplicità di una donna dal carattere forte e determinato. Può essere un po’ schietta e decisa, ma questo è motivato dalla sua volontà di riscatto e dalla consapevolezza di raggiungere risultati in un mondo impegnativo.
Lucia si racconta attraverso i suoi vini, alcuni dei quali, a mio parere, la descrivono nelle sue molteplici sfaccettature. Non è mai scontata o arrendevole, ma piuttosto intensa, attenta e generosa nel rapporto con gli altri, soprattutto con le donne. È sempre pronta a tendere una mano, offrendo tutto se stessa. Ti conquista con la sua risata, con battute ironiche e piene di verità. In certi aspetti è dolce e materna, presente e allo stesso tempo amica anche quando deve essere una leader.
I vitigni rari del Monastero dei Frati Bianchi. Presentate alla stampa le nuove annate
Redazione – Carol Agostini
La società agricola a sede a Fivizzano (MS), dal 2004 è impegnata nel recupero e valorizzazione dei vitigni storici di questo angolo di Toscana.
Sono state presentate ieri nel corso di un evento di degustazione press l’Osteria Pratellino a Firenze, le nuove annate dei vini del Monastero dei Frati Bianchi (MS), l’azienda nata nella primavera del 2004 grazie a Giorgio Tazzara che intravide la possibilità di ristrutturare i suoi vigneti e impiantarne di nuovi recuperando le antiche terre che erano già possedimenti dell’antico Monastero. Dal 2019, con l’entrata in società della famiglia Bernardini, iniziano le opere di ampliamento dei vigneti: dopo “Monte dei Bianchi”, nasce il vigneto “La Rocca“.
La società agricola Monastero dei Frati Bianchi è situata nella parte più settentrionale della Toscana, la Lunigiana è circondata dall’Appennino Tosco-Emiliano, le Alpi Apuane ed il Mar Tirreno. 7 ettari vitati inseriti in una terra aspra e selvaggia, con vallate e colline soleggiate su cui poggiano antichi borghi di rara bellezza. Uno di questi è sicuramente Monte dei Bianchi che a 400 m di altitudine domina l’intera Valle del Lucido.
La formazione di queste colline deriva dai fondi degli antichi oceani, dove rocce magmatiche nel corso dei millenni sono state ricoperte da depositi marini, argille abissali e calcari marnosi. L’innalzamento delle catene montuose ha fatto affiorare in superficie queste terre e dato origine all’attuale composizione geologica del terreno dove l’Alberese ed il Galestrosi presentano in grande abbondanza.
Le infiltrazioni di acqua nei millenni hanno disgregato queste rocce rendendole materia viva, liberando quei sali minerali, traccia distintiva di questo territorio, che rappresentano la vera identità del Monastero dei Frati Bianchi. Le viti nel cercare la profondità trovano questi minerali nascosti, che nutrendo la pianta, ne addomesticano i frutti e quindi il vino dove risuona l’eco della sua origine.
Il clima è caratterizzato da due periodi ben definiti: uno autunnale-primaverile durante il quale le precipitazioni sono abbondanti e uno estivo con intervalli anche prolungati di assenza di precipitazioni con una conseguente ed opportuna tensione idrica alle vigne.
I VIGNETI
La splendida posizione collinare con esposizione a Sud Ovest permette un forte irraggiamento solare su tutto il podere; inoltre, grazie all’altitudine e alla vicinanza delle montagne, il clima è spesso fresco, ventilato ed asciutto.
L’abbondante presenza di Galestro ed Alberese ne fanno tra i tipi di terreno più vocati alla viticoltura. Grazie alla tessitura ricca di scheletro sono molto drenanti, asciugano in fretta e consentono alla vite di concentrare il frutto.
Tra i vitigni internazionali, abbiamo scelto il Syrah ed il Merlot, ma più recentemente abbiamo investito nella valorizzazione di vitigni autoctoni come la Barsagliana e la Pollera. I nuovi impianti al Podere “La Rocca“ sono infatti dedicati interamente a Barsaglina e Pollera.
LA POLLERA
Cenni storici sulla viticoltura indicano la presenza del Pollera nel comprensorio Lunigianese già prima del 1800. La Pollera si presenta con grappoli serrati di medie dimensioni che talvolta possono avere un’ala. Le bucce sono sottili, gli acini di media grandezza e quando raggiungono la loro maturazione, assumono sfumature che variano tra il rosa ed il viola. Il vino si caratterizza per l’eleganza dei profumi. Al palato la buona struttura è affiancata da tannini setosi e buona acidità che ne sospingono lo sviluppo gustativo verticale nel finale persistente.
LA BARSAGLINA
La Barsaglina è un vitigno autoctono della provincia di Massa e Carrara, dove fin dalle prime ricerche ampelografiche, se ne riscontra la presenza. Per decenni lo si ritrova coltivato quasi esclusivamente nei dintorni del capoluogo, dove il vino ottenuto è da sempre chiamato la Massaretta. Le uve si presentano con un grappolo di media grandezza alato, con acidi medio – piccoli e spargoli dai colori che variano nelle tonalità del rosso rubino. Il vino, al naso, risulta complesso, con profumi intensi. Al palato, ha grande corpo e struttura. La buona acidità e l’importante componente tannica gli donano grande profondità gustativa e longevità.
MONASTERO FRATI BIANCHI
Il primo Monastero risale al VII secolo d.c. e fu edificato per volere di Ato, figlio di Egenio il Longobardo, il quale donò parte dei suoi possedimenti a Padre Fratellus e lo incaricò di costruirvi un centro di culto.
Alcuni secoli dopo, nel 1106, Papa Pasquale II inviò in questi luoghi il monaco benedettino Bernardo degli Uberti per incontrare i discendenti di Rodolfo da Casola e dei Bosoni della Verrucola. Questi dopo aver ascoltato le suppliche delle due famiglie, decise di far edificare un nuovo Monastero sulle fondamenta del precedente e di dedicarlo a San Michele annettendolo al dominio della potente Abazia di Canossa.
A gestirne le attività furono chiamati i frati canonici regolari, detti anche Frati Bianchi per il colore del loro saio ed anche per una certa etica morale ben diversa dalla corruzione diffusa negli ambienti monastici del tempo.
LA FAMIGLIA D’HERBERIA
In seguito, il Monastero ed il borgo che vi si formò intorno vennero ereditati dalla famiglia D’Herberia originaria di Rubiera di Modena. Qui la famiglia spostò il centro amministrativo delle proprie attività, conservando come centro religioso e sepolcro gentilizio il Cenobio di San Michele.
La vita del Monastero si protrasse fino al 1500 circa quando l’avvento dei Malaspina in Lunigiana segnò profondi cambiamenti tra cui l’acquisizione dei possedimenti della famiglia D’Herberia. La Parrocchia del Monte dei Bianchi rimase il punto di riferimento ecclesiastico della zona.
TRADIZIONE E IDENTITÀ LOCALE
Le colture tipiche dei luoghi collinari divennero ben presto simbolo e tradizione del luogo. Nei secoli i vari parroci che hanno prestato la loro opera spirituale e guidato la comunità locale si sono anche impegnati nelle attività agricole con l’ausilio di mezzadri e contadini.
I vini prodotti e degustati
Margine 2021
UVE: Vermentino 50% | Albarola 20% | Durella 20% | Chardonnay 10% ALTITUDINE : 200/250 m s.l.m. ESPOSIZIONE: Sud-Ovest ETÀ: 20 anni RACCOLTA UVE: 2°/3° decade di Settembre
RESA PER ETTARO: 80q
BOTTIGLIE PRODOTTE: 3000
MATURAZIONE: 9 MESI IN VASCA DI ACCIAIO E 6 MESI IN BOTTIGLIA, da vitigni locali Albarola e Durella e varietà internazionali Vermentino e Chardonny , nasce quello che al momento e l’ unico vino bianco dell’ azienda e raggruppa tutte le uve che coltiviamo .Leggermente macerativo (sulle bucce per 3giorni) con naso territoriale e minerale con frutti gialli, ed erbe aromatiche, in bocca è sapido, piacevole e dotato di una buona struttura che lo rende adatto a molti piatti dal aperitivo al pesce e dagli antipasti alle carni bianche.
Barsarè 2020
UVE: Barsaglina 100% vitigno autoctono della provincia di Massa Carrara
ZONA PRODUZIONE: Monte dei Bianchi , Lunigiana.
ALTITUDINE : 350/400 m s.l.m.
SUOLO: Galestro-Alberese
ESPOSIZIONE: Est | Sud-Est ETÀ: 15-18 anni
RESA PER ETTARO : 60 q circa
RACCOLTA UVE: 3° decade di Settembre
MATURAZIONE : 15 MESI IN TONNEAU e 12 MESI IN BOTTIGLIA
BOTTIGLIE PRODOTTE: 2000
DESCRIZIONE :Dai profumi ricorda il territorio con sentori di piccoli frutti scuri, spezie balsamiche e un abbraccio minerale. Al gusto ha un tannino presente ma di buona maturazione e ottima profondità gustativa. Adatto a primi piatti importanti, carni e cacciagione, formaggi stagionati.
Pòlleo 2020
UVE: Pollera 100% varietà autoctona della Lunigiana ESPOSIZIONE: Est | Sud-Est
ETÀ: 15-16 anni
RACCOLTA UVE: 2°/3° decade di Settembre
RESA PER ETTARO: 70q
BOTTIGLIE PRODOTTE: 2000
MATURAZIONE : 15 MESI IN TONNEAU, varietà storica della Lunigiana che si contraddistingue per trama fine ed elegante. ll profumo e molto identitario con ricordi che spaziano dal minerale ai piccoli frutti rossi e bacche di ginepro. Bocca di eleganza, freschezza e lunghezza gustativa con tannini morbidi e setosi, si incontra con i piatti che hanno nella delicatezza le propri caratteristiche portanti , un pesce saporito le carni bianche i piatti della tradizione contadina , le verdure ripiene le torte d’ erbi i formaggi freschi o semi stagionati e il panigaccio della Lunigiana
Deir 2018
UVE: Syrah 60% | Merlot 40% ESPOSIZIONE: Est | Sud-Est ETÀ: 16-17 anni RACCOLTA UVE: 3° decade di Settembre / 1° decade di Ottobre
RESA PER ETTARO: 50q
BOTTIGLIE PRODOTTE: 5000
MATURAZIONE : 15 mesi in Barrique e Tonneaux, dalla selezione delle migliori uve di Syrah e Merlot nasce il vino Deir . Naso di grande espressività con ciliegia, pepe nero, spezie ed erbe officinali. Al gusto ha una struttura importante e al contempo piacevolezza gustativa, i tannini sono maturi e donano una beva di grande pienezza e persistenza. Adatto a piatti di buona struttura , i primi piatti le carni i formaggi purché vi sia complessità di aromi.
I segreti del Lugana: il bianco del Lago di Garda che sfida il tempo LUGANA ON TOUR A ROMA 2023
Di Cristina Santini
Torniamo a parlare delle fondamenta del terroir, rintracciabile e riconoscibile nel vino prodotto in questa area, espressione di un territorio ben distinto caratterizzato da fattori naturali quali chiavi di lettura e connubio perfetto fra clima, posizione, terreno e persone.
Siamo a Roma presso il Giardino d’Inverno di Villa Laetitia Fendi dove il Consorzio continua la sua opera di promozione e lo fa in maniera eccelsa con il suo Presidente, Fabio Zenato che apre l’incontro:
“Oggi per noi è un momento importante perché testimonia un percorso che vuole avvicinare sempre di più il calice del Lugana al mondo della comunicazione, al mondo dei consumatori, dei wine lovers che a me piacciono molto come concetto.
Qualche numero: Il Consorzio è nato nel 1990 ma parliamo di una Doc che è nata nel 1967, una delle prime denominazioni italiane. Una storia molto lunga. In questi ultimi anni ha corso molto, si è portati ad avere quasi 2650 ettari vitati, nel 2022 con 28 milioni di bottiglie prodotte delle quali, e questo è il motivo per cui siamo venuti a Roma con questo percorso che si chiama Lugana on tour nelle principali città italiane, ad avere due terzi delle bottiglie vendute all’estero.
E’ una denominazione che è molto forte all’estero e che in Italia è molto locale, nelle zone di produzione del Veneto e Lombardia. La missione è quella di farla diventare un percorso nazionale e quindi non si poteva non partire dalla Capitale.”
“Arrivando qui oggi mi sono chiesto: cos’è che potrei dire per introdurre al meglio una denominazione così particolare – che io amo da tantissimi anni – e la risposta l’avevo davanti agli occhi. La riposta è Roma. Definitiva la città eterna, quindi cos’è che rende eterno un prodotto? Ci sono due elementi fondamentali: il primo è il rispetto della natura, più rispettiamo la natura intesa anche come la storia di una città – quindi riusciamo a preservarla nel tempo, in questo Roma ha fatto un lavoro straordinario – e più gli consegnamo l’eternità.
L’altro aspetto è la bellezza che ci rende immortali. Per un vino è fondamentale provare tutti i modi ad essere eterno e per farlo è importante che rimanga sempre contemporaneo. Se c’è un vino che a mio parere è incredibilmente contemporaneo questo è proprio il Lugana.
Tanto si fa la similitudine tra il vino e la moda, in realtà se questo fosse realmente una moda sarebbe la fine perché non può permettersi di modificare il suo ciclo produttivo per la tendenza di consumo di un certo genere. E’ impossibile, tant’è che tutti quei territori che sono costretti a rincorrere le mode sono quelle denominazioni che sono più in difficoltà”.
La contemporaneità deve essere insita nel dna di un territorio e il territorio del Lugana ha tutto il codice genetico che lo rende assolutamente contemporaneo nel tempo. Il luogo di produzione ha un printing molto chiaro che è dettato dal Lago di Garda, il più grande Lago italiano, questo bacino d’acqua straordinario frutto del ritiro di un ghiacciaio di 10000 anni fa che ha portato alla nascita di questo bacino che non solo consente una fortissima mitigazione del clima con i due venti:
Il Peler, il vento freddo notturno del Nord che arriva dal Monte Baldo che domina il lago con oltre 2200 mt di altitudine e l’Ora, il vento caldo diurno del Sud che consente una costante ventilazione che determina una salubrità importante per le uve e consente al vitigno di essere unico ed esprimersi al meglio.
La Turbiana, regina bianca del Garda e protagonista della Doc Lugana, lambisce cinque comuni tra due Regioni, Lombardia e Veneto, che regala vini assolutamente riconoscibili, peculiari, anche rispetto a dei Trebbiani come quello di Soave, grazie all’impatto climatico dei suoli di queste colline moreniche determinate da stratificazioni generate nel tempo di argille e calcare, una presenza di sali minerali che è tra i più elevati a livello internazionale.
Il suolo è il vero custode del profilo organolettico che rende questo vino unico, ad altissima bevibilità, con quella sapidità e mineralità che garantisce freschezza nel tempo e che oggi è uno dei fattori determinanti del successo dei vini bianchi.
Ci siamo accorti come esistano delle diversificazioni estremamente interessanti dovute alla plasticità del suolo che a seconda del terroir di appartenenza anche a pochi chilometri di distanza genera vini profondamente diversi.
Altro valore aggiunto è la scelta della Denominazionedi avere cinque diverse interpretazioni, dallo spumante alla vendemmia tardiva, che testimoniano anche in questo caso che non solo il Lugana è contemporaneo ma riesce anche ad intercettare differenti modelli di consumo.
Due gli elementi fondamentali: da un lato la possibilità di avere una sua immediatezza nella beva anche nelle annate più giovani ma anche una potenzialità in termini di longevità straordinaria come pochi altri.
Dall’altro lato mi piace sottolineare che i 210 produttori sono quasi tutti piccoli e medi produttori e questa è una caratteristica rara tra le Denominazioni del vino italiano.
Questo non significa che la presenza di grandi imbottigliatori o di grandi cooperative sia un fattore negativo ma indubbiamente influisce sia su quello che potrebbe essere il posizionamento medio del prezzo del prodotto ma anche quella che potrebbe essere l’interpretazione di quella denominazione perché se c’è una caratteristica vitale che hanno i vignaioli è di provare più di tutto ad esaltare ciò che la terra in maniera autentica gli dona.
Si parla di vini complessi e di facile beva, gastronomici e versatili, con una spalla acida importante, croccanti, fragranti, sapidi, minerali, e al tempo stesso con quella rotondità naturale che li rende anche accessibili, democratici ad un pubblico trasversale vastissimo.
Una doppia capacità di essere immediato e longevo dovuta in particolare alla presenza elevata di acido tartarico che consente da una parte di avere tanta freschezza e fragranza che lo rende bevibile, ma anche di essere quel fattore che aumenta fortemente il potenziale di longevità. E’ per questi motivi che il Lugana è un bianco di successo!
Nonostante sia una piccola denominazione, ha tanta voglia di farsi conoscere nel miglior modo possibile a partire dal nostro Paese considerato un mercato strategico.
Ci sono Lugana eccellenti fortemente legati alla loro immediatezza, altri come la tipologia superiore che hanno una certa modalità di affinamento, un uso sapiente del legno per delle riserve interessanti o delle vendemmie tardive che regalano un’altra ricca interpretazione.
Il 90% della denominazione è rappresentato dal Lugana nella versione più immediata. Il Lugana Superiore esce con un anno di maturazione dalla vendemmia, la Riserva con almeno 24 mesi di affinamento di cui sei in bottiglia e la versione tardiva con surmaturazioni delle uve vendemmiate fine ottobre inizi novembre concede al vino un aumento della dolcezza, ma con un gusto decisamente fragrante, piacevolmente fresco che non annoia mai, caratteristiche intrinseche nella Turbiana.
Vi presento gli otto produttori oggetto della degustazione con le mie conclusioni di rito:
Azienda Agricola Brunello “Etichetta Nera” 2022
Piccola Azienda storica con 6 Ha a Pozzolengo, sulla sponda bresciana del Garda, fondata nel 1930 dal Nonno Battista – il primo a piantare due ettari di Lugana – fino ai giorni nostri con il il nipote del fondatore che porta avanti la sua opera.
Da un’annata con grande siccità con temperature molte elevate che poi ha sorpreso al tempo stesso per le piogge di fine agosto, il clima è tornato ad avere una grande escursione termica tra il giorno e la notte e questo associato alla terra argillosa che è in grado di trattenere la minima quantità di acqua, ha permesso alle piante di riattivarsi più velocemente rispetto ad altre zone.
Due grandi famiglie olfattive descrivono questo calice, in questa fase più giovanile, ovvero sensazioni agrumate che regalano freschezza alle quali si aggiungono quelle di frutta gialla (pesca, albicocca) e quelle leggere di frutta tropicale (banana, ananas). Il mondo floreale con i suoi fiori selvatici, con le note balsamiche come mentuccia, zafferano, tiglio accompagnano il frutto dominante.
Alla beva sapidità, fragranza e croccantezza sono sempre avvolte da una sensazione di maggior rotondità e da una piacevole voglia di ritornare ad un secondo sorso.
Citari “Conchiglia” 2022
Avviata nel 1975 da Francesco Gettuli, la Cantina si trova nel Comune di Desenzano del Garda, sotto la torre suggestiva di San Martino della Battaglia, terreni di conflitto della seconda guerra di Indipendenza in parte morenici, magri e più sassosi che scendono verso l’argilla.
Un Vino dal giusto bilanciamento tra i due suoli, dal nome che deriva proprio dalle conchiglie fossili marine sedimentate tra le rocce e le pietre che il ghiacciaio ha portato fin qui.
Vinificato in acciaio con permanenza di sei mesi sulle fecce fini, regala un naso più complesso ove ritornano le note agrumate, floreali, di frutta gialla, come pesca e albicocca, ma che al sorso ritrova questa forte mineralità, sapidità che rimane un marchio di fabbrica così indelebile che caratterizza fortemente questa Denominazione e in alcuni vini come questo può essere più spiccata e di maggior eleganza. Uniforme nella sua bevibilità.
Cascina Le Presceglie “ Hamsa” 2021
L’agriturismo, di Cristina Bordignon, è situato a San Martino della Battaglia e costituito da un casale antico del 1805 circondato da 13,5 ha di vigne coltivate sulle argille bianche che hanno circa 35 anni di età.
“Hamsa” è il nome nato dalla passione di Cristina per lo Yoga e per la mitologia indiana raffigurante il cigno bianco riportato in etichetta, simbolo di purezza e di regalità, elementi comuni che ritroviamo gradevolmente nel suo calice di Lugana.
Uve frutto di una vendemmia bella, sana, di grande soddisfazione processate con una fase inusuale ovvero con il lavaggio e la disinfezione che ha permesso, dopo tante sperimentazioni e investimenti, di arrivare ad ottenere un vino più salubre. Una parziale criomacerazione permette di mantenere inalterata più possibile la freschezza ove torreggiano profumi di lime intenso, frutto della passione e a polpa bianca come pera, pesca. Uno spettro olfattivo aromatico ampissimo. Grande sapidità e rotondità che lo rendono speciale al palato, bevibile e replicante.
Cà Maiol “Molin” 2021
Azienda agricola di Desenzano del Garda che ha fatto la storia della Denominazione, fa parte del Gruppo Vitivinicolo Santa Margherita, nata nel 1967 dal sogno di un imprenditore milanese, Walter Contato, fino al 2018 con il passaggio di consegne alla Famiglia Marzotto. 110 ha vitati situati intorno alla struttura su un terreno di natura calcarea, variamente stratificato ad argilla compatta.
Il Molin prende il nome dal vigneto posizionato accanto alla tenuta di 13 ha, con elevata presenza di viti molto vecchie, di circa 40 anni. Il raffreddamento in cella di parte delle uve prima della spremitura soffice, l’attenta vinificazione in acciaio e il prolungato affinamento sulla feccia fine, con in più una piccola parte fermentata e maturata in legno (di piccole dimensioni e non di primo passaggio) permettono di ottenere un vino fresco, elegantemente aromatico e dal giusto equilibrio tra morbidezza e sapidità.
Non un vino di stile ma territoriale, legato alla mano dell’uomo, dove ritroviamo i classici sentori di agrumi, frutta gialla e tropicale, ma anche una leggera nuance balsamica e una spiccata acidità che rende lungo e godibile il suo sorso. Dinamico e longevo gioca su una chiusura di frutta croccante e una vivacità di sapore a dettare il ritmo gustativo.
Montonale “Orestilla” 2021
Tre fratelli alla conduzione della Cantina, giunti alla quarta generazione, Roberto Girelli enologo e Valentino Girelli agronomo si dividono i ruoli seguendo tutti i passaggi che dalla potatura portano il vino alla bottiglia finale.
Il termine Montonale deriva dal borgo dove è situata la struttura delimitata dai 35 ha di vigneto in un blocco unico considerato un Cru all’interno del panorama Lugana. L’obiettivo è interpretare al meglio, attraverso i vini, questo piccolo lembo di terra costituito da argille molte calcaree e minerali, elementi distintivi di questo territorio.
Orestilla, appellativo che deriva dal ritrovamento di un sarcofago dedicato all’omonima nobildonna romana, è il Cru all’interno del Cru: due ettari che affondano le proprie radici nell’argilla particolarmente minerale che conferisce al vino una mineralità ancora più spiccata, addomesticata da un affinamento più lungo di 2 anni, di cui il 30% avviene in botte grande di rovere piegata a vapore e 12 mesi in bottiglia.
Tonalità olfattive gustative più accese per questo calice che colpisce per la sua elegante complessità in un connubio di frutta tropicale e polpa gialla matura. Non porta mai a sensazioni eccessive che rischiano di annoiare e di indebolire la beva. E’ un’esplosione sapidamente morbida che stupisce.
Ca’ Lojera “Riserva del Lupo” 2019
Ci troviamo a Sirmione per questa realtà di Ambra e Franco Tiraboschi nata nel 1992 dalla scelta o meglio dalla sfida in un momento difficile in cui l’uva destinata a Lugana non era richiesta o scarsamente pagata. I 18 ettari di Turbiana sono dislocati intorno al corpo su argille bianche e due ettari in collina morenica dedicati a Chardonnay, Merlot e Cabernet.
Nel calice questa volta abbiamo un’interpretazione che introduce un’annata più lontana ottenuta attraverso una vendemmia tardiva con botrytis nobile che ha portato ad una surmaturazione delle uve. Aspettativa confermata da una bellissima evoluzione e una specifica identità che si presenta al naso con nette sensazioni tropicali mature, frutta sotto spirito, una freschezza invidiabile e una beva che gli dà una immediatezza straordinaria.
Dalla texture unica, di forte personalità si allunga nella sua morbidezza e fragranza di frutto che emoziona.
Perla del Garda “Riserva Madre Perla” 2018
Situata in collina morenica con vista su Sirmione, la cosiddetta Perla del Garda, l’azienda nasce nel 2006 da una famiglia che ha sempre venduto le uve fino al giorno in cui Giovanna Prandini e il fratello hanno scelto di fondare una propria cantina rendendosi conto del grande potenziale produttivo a disposizione, ad altitudini più elevate e coltivato per di più su un terreno più sassoso calcareo rispetto alle zone pianeggianti.
Il Madre Perla nasce da un esperimento felice e premiato, affinato 24 mesi sui lieviti con lavoro di batonnage in vasca di acciaio sin dal primo anno. Nel corso del tempo si è cercato di capire questa permanenza sui lieviti quale complessità potesse esprimere nel vino a differenza dell’affinamento in legno.
Una singola vigna situata nella parte bassa della collina molto sassosa viene dedicata a questo vino, lavorato in riduzione, che non ha il colore del tempo e l’espressione classica del frutto ma esprime verticalità e una sfumatura tenue nonostante l’annata.
Certamente piacevole ma che indubbiamente possa arrivare ad un’armonia ancora maggiore. Cinque anni che dimostrano la sua grande longevità.
Cantina Bulgarini “Superiore Cà Vaibò” 2016
Fausto e Virginia Bulgarini si trovano a Pozzolengo e rappresentano un’importante realtà del territorio nata nel 1930, un esempio di generazioni che convivono bene tra di loro.
Nei suoi 50 ha di vigneti, con la vendemmia manuale, la selezione dei grappoli migliori, l’appassimento. l’invecchiamento e l’affinamento in legno, valorizzano l’Oro della Lugana.
Qui viene usata la tecnica dell’appassimento in cassetta per andare a generare quella leggera surmaturazione con l’utilizzo sapiente del legno. Una parte del vino infatti viene realizzata in botte di rovere francese per circa dodici mesi dove avviene anche la fermentazione malolattica.
Siamo su sensazioni più evolute al naso sia fruttate sia floreali, con una beva armoniosa, rotonda, morbida, che evidenzia note di vaniglia, frutta tropicale matura, tabacco fresco da pipa e un’acidità ad ampio spettro su tutto il palato.
Una delle chiavi di successo del Lugana, forse la più importante, è data proprio dalle diverse interpretazioni di un vino che, pur rispettando quella che è la natura, la matrice del proprio territorio, sfruttando tutte le sfaccettature di una terra unica, portano ad un concetto fondamentale che per comprenderne il valore dobbiamo necessariamente conoscere la sua genesi, i legami con la sua terra e quello che può essere lo stile produttivo.
La denominazione gardesana si è dimostrata in continua crescita negli ultimi anni, soprattutto dal 2021, anno che entrerà
negli annali per la crescita del Lugana da sempre vocato all’export, a dimostrazione del prezioso lavoro compiuto dal Consorzio e dalle Aziende che continuano a farsi conoscere, a farsi promotori del territorio e pronti per un’accoglienza autentica.
Tiefenbrunner, viaggio in Alto Adige 2023 attraverso i calici
Di Elsa Leandri
È tutto pronto. Stiamo per effettuare questo fantastico viaggio. Non c’è bisogno di preparare le valigie perché questa volta sarà la nostra mente a spostarsi. Ed ecco che ci appaiono prati verdi, frutteti, vigneti, le Dolomiti che svettano, i castelli in lontananza, e poi si percepisce l’odore dello speck, del fieno, del latte appena munto…ci viene sete e la nostra scelta ricade su un vino locale, un bianco altoatesino di Tiefenbrunner.
Quest’azienda fa venire subito in mente la piccola frazione di Niclara, il Castel Turmhof e la Pietra Piangente (Regenstein), una roccia di tufo e di sedimenti da cui esce acqua: ma sarà semplice acqua o lacrime? La leggenda in effetti narra che queste gocce siano in realtà delle lacrime di una principessa che è stata stregata e rinchiusa nel macigno, pare che ogni 100 anni la fanciulla possa uscire alla ricerca di colui che potrà rompere l’incantesimo: chissà se nel 2023 troverà il suo amato.
Ma permettiamoci di fare un salto al Castel Turmhof: è di proprietà della famiglia Tiefenbrunner e qui c’è la sede di una delle più storiche aziende altoatesine, l’omonima cantina Tiefenbrunner. L’anno scorso, la nostra collega Cristina Santiniha avuto modo di andare a trovare Sabina e Christof, la quinta generazione della famiglia, toccando con mano i vigneti, la cantina nuova, in cui la gestione a caduta libera ne favorisce la lavorazione e quella più antica dove riposano botti e barrique. https://www.papillae.it/tenuta-tiefenbrunner-schlosskellerei-turmhof/.
Qui a difesa del castello non ci sono i quattro moschettieri, ma ci sono quattro linee di vini. D’Artagnan, Athos, Porthos, Aramis, qui prendono il nome di Vigna, Linticlarus, Turmohf e Merus.
Il mood che guida Christof è quello di assicurare nei vini la territorialità e l’espressione dei vitigni, tale da offrire prodotti di alto livello e unici.
Le Selezioni
La Selection Vigna, come il nome suggerisce, si riferisce a singoli vigneti in cui i monovitigni (Sauvignon Blanc, Müller Thurgau, Chardonnay e Cabernet Sauvignon) trovano la loro massima espressione.
La selection Linticlarus racchiude le riserve a base di solo Pinot Nero o solo Lagrein e una Cuvée degli internazionali Merlot e Cabernet.
La selection Turmohf è la linea più ricca in termini di proposte in cui i singoli vitigni autoctoni e alloctoni si esprimono offrendo vini con un potenziale di invecchiamento medio, grazie anche a un breve passaggio in legno.
Infine nel Classic Merus rientrano quei vini che non sono sottoposti a maturazione in legno e in cui si cerca l’espressione più pura del vitigno, così come suggerisce lo stesso nome (merus in latino significa puro).
Degustazione
Nel nostro calice di un paglierino vivace c’è proprio Merus Gewürztraminer 2022, un’inconfondibile gewurztraminer che si esprime con ricordi di rosa e di frutta esotica come litchi, ananas e papaya. Il tutto viene suggellato da echi di melissa e di zenzero. Il sorso è fresco e sorprendentemente saporito con un lungo finale di scorza di cedro candita cosparsa di salgemma.
Siamo incuriositi da questa linea e vogliamo degustare anche gli altri loro vini che abbiamo in cantina. Iniziamo con il Merus Müller Thurgau 2022 Tiefenbrunnerche si svela con sentori floreali di tiglio e d’acacia e fruttati di pomelo e mapo su un letto di erbette aromatiche. Attraente in bocca grazie a una decisa freschezza che lascia lentamente il cavo orale con richiami di buccia di mandarino.
Concludiamo con Merus Sauvignon Blanc 2022. Verdolino con riflessi paglierini si distingue per purezza: foglie di cassis, pompelmo, erba appena tagliata e fiori di campo ne sono l’espressione. Vivace al sorso e seducente nel suo finale di bocca sapido con ricordi di scorza di lime.
Purezza e varietale sono i termini che associano queste tre bottiglie: Christof e Sabina diventano in questo caso paladini della vite e umili custodi della sua espressione nel bicchiere riuscendo a rimanere fedeli ai propri ideali e obiettivi nel produrre vini che siano espressione del territorio e dei vitigni.
Lo scorso weekend, il 20 e 21 maggio 2023 nel ridente Borgo medievale di Radda in Chianti è andata in scena la 26esima edizione di Radda nel bicchiere.
Di Adriano Guerri
Evento organizzato dalla Proloco di Radda in Chianti con il patrocinio del Consorzio del Chianti Classico. Durante i 2 giorni vi era la possibilità di degustare i migliori vini di 32 aziende del Comune chiantigiano. Il Borgo ha messo a disposizione dei suoi visitatori ed enoturisti, banchi d’ assaggio, lungo il viale Matteotti, attorno alle mura, dal quale l’occhio beneficia di un panorama unico, digradante verso le dolci colline del Chianti, il cui baricentro è il Castello di Volpaia.
In degustazione oltre 100 etichette, con varie tipologie di Chianti Classico, quali, annata, riserva, gran selezione, vini bianchi, rosa, supertuscan e qualche vin santo.
L’atmosfera è ammaliante, oltre a trovare vini in degustazione e parlare con i produttori, si incontrano anche molti turisti di ogni parte del mondo, i quali in questo periodo animano il Chianti soggiornando in molte strutture d’accoglienza in zone limitrofe.
All’ingresso del Borgo si ritira il calice per cimentarsi in un percorso sensoriale, semplicemente presentandosi ai banchi d’assaggio. In questo evento si possono acquistare i vini direttamente dai produttori. Il sabato e la domenica mattina hanno avuto luogo due seminari che ahimè mi sono perso.
In questa edizione il tempo meteorologico non è stato troppo clemente, tuttavia, mi ha consentito di avvicinarmi al banco d’assaggio di svariati produttori.
Radda in Chianti si trova in provincia di Siena e ai confini con quella di Firenze, posta a 535 metri s.l.m, il dislivello altimetrico comunale va da un minimo di 280 metri s.l.m. ad un massimo di 854 metri s.l.m. Si può produrre Chianti Classico in tutto il territorio. Il Borgo è immerso tra splendidi vigneti, oliveti, secolari boschi e da pievi, ville, poderi e castelli. Il Sangiovese, vitigno principe, mediamente va in maturazione più tardi rispetto ad altre zone dell’ intero areale, anche i vini ivi prodotti vanno attesi per qualche mese in più e ne vale davvero la pena.
Le tipologie di Chianti Classico:
Chianti Classico Gran Selezione, vino prodotto da vigna singola o da selezione delle migliori uve esclusivamente di proprietà aziendale, l’invecchiamento minimo è di 30 mesi, di cui 3 di affinamento in bottiglia.
Chianti Classico Riserva, l’invecchiamento minimo è di 24 mesi, di cui 3 di affinamento in bottiglia
Chianti Classico Annata, l’invecchiamento minimo: 12 mesi
Alcuni assaggi da me effettuati
Chianti Classico 2019 Az. Caparsa– Sangiovese in purezza, colore rosso rubino intenso, al naso sprigiona sentori di violetta, marasca, bacche di ginepro ben uniti a note di sottobosco, al palato è fresco e leggiadro, dotato di una straordinaria piacevolezza di beva.
Chianti Classico Caparsino Riserva 2018 Az. Caparsa– Sangiovese in purezza, rosso rubino con sfumature granata, al naso rivela note di violacciocca, ribes, mirtillo rosso e amarena che ben si integrano con spezie, al palato è dinamico e piacevolmente tannico, avvolgente e persistente.
Chianti Classico Caparsino Riserva 2017 Az. Caparsa– Sangiovese in purezza, colore rosso granato intenso, al naso svela note di frutta rossa matura, prugna, rosa appassita e nuances tostate, al palato è piacevolmente morbido, pieno e appagante, contraddistinto da una interminabile persistenza aromatica. Sito di riferimento: https://caparsa.it
Chianti Classico Marangole Gran Selezione 2015 Castello d’Albola – Sangiovese 100%, rosso rubino vivace e trasparente, con sfumature granata, sprigionante sentori di viola appassita, ciliegia e mora mature, sottobosco ed erbe aromatiche, al palato è vellutato e sapido con chiusura lunga, un vino decisamente armonico.
Chianti Classico Riserva 2020 Castello di Volpaia– Sangiovese 100% , rosso rubino profondo, al naso libera sentori di frutti di bosco, petali di rosa, liquirizia e spezie dolci, al palato è succoso, rotondo e coerente, rimane in bocca a lungo.
Merlot 550 2019 Az. Istine – Ottenuto con l’omonimo vitigno in purezza, di un bellissimo colore rosso rubino intenso, al naso dipana note di mirtillo, mora, ribes nero, erbe aromatiche e effluvi balsamici, al palato è vibrante, fresco e di buona corrispondenza gusto-olfattiva.
Chianti Classico Riserva 2017 Podere Capaccia– Sangiovese in purezza, rubino vivace, al naso emana sentori di amarena, tè nero, vaniglia e tabacco al palato è avvolgente, aggraziato e fine. Lungo e duraturo.
Chianti Classico Riserva 2020 Podere Terreno – Sangiovese 100%, rosso rubino intenso, al naso si percepiscono sentori di susina, ciliegia, lampone e tabacco, arrivano poi note di pepe, cannella e un sottofondo balsamico, al palato è deciso, preciso e piacevolmente tannico. Finale lunghissimo.
Chianti Classico 2020 Tenuta Carleone– Sangiovese in purezza, rubino vivace, emana sentori di visciola, cassis, lampone e arancia sanguinella accompagnate da note di cumino e ginepro, al palato è dinamico e generoso con fitta trama tannica al contempo setosa. Un gran bel sorso.
Chianti Classico Riserva Bugialla 2020 Az. Poggerino – Sangiovese 100%, rosso rubino intenso, all’olfatto emana sentori di ciliegia, frutti di bosco, tabacco, cuoio e grafite che seguono una scia speziata, al palato è ben strutturato e il sorso risulta piacevole e assolutamente lungo.
Reims, Francia – L’eleganza dorata del vino più celebrato al mondo, lo Champagne, continua a far brillare le occasioni speciali in tutto il globo. Questo nettare delle viti, nato tra le dolci colline della regione francese, incanta gli intenditori di tutto il mondo con la sua irripetibile arte effervescente.
E’ un simbolo di gioia, celebrazione e raffinatezza. Ogni sorso trasporta il palato in un’esperienza unica, attraverso le bollicine fini e persistenti che scaturiscono dal cuore stesso della bevanda. Le origini di questo vino raffinato risalgono a secoli fa, quando i monaci benedettini delle abbazie francesi scoprirono i segreti della fermentazione in bottiglia. Da allora, la regione francese dove si produce è diventata l’epicentro di una delle bevande più amate e iconiche del mondo.
La storia e la tradizione si fondono nell’arte di produrre il metodo champenoise. Le uve Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier, coltivate su terreni calcarei, conferiscono un carattere distintivo a questi vini. La pratica laboriosa e meticolosa di assemblaggio delle diverse varietà di uve conferisce a ogni maison (casa di produzione) la sua firma unica, mantenendo intatta la qualità e lo stile che contraddistinguono lo Champagne.
Ma cosa rende davvero speciale lo Champagne? È il processo di doppia fermentazione in bottiglia, noto come metodo champenoise o metodo classico, che dona a questa bevanda la sua caratteristica effervescenza. Dopo la fermentazione primaria, il vino base viene imbottigliato con una miscela di zucchero e lieviti, creando la rifermentazione in bottiglia. Durante questo processo, si sviluppano le preziose bollicine, che conferiscono al vino quel tocco di magia.
Oltre alla sua tecnica di produzione unica, è anche sinonimo di prestigio. Le grandi maison francesi, come Dom Pérignon, Moët & Chandon, Veuve Clicquot e Krug, hanno costruito una reputazione solida nel corso dei secoli, offrendo champagne di alta qualità che hanno accompagnato celebrazioni in tutto il mondo.
Ma non è solo una bevanda per le occasioni speciali. Può essere apprezzato in molti modi, dall’aperitivo al brindisi finale. La sua versatilità culinaria lo rende un compagno ideale per una vasta gamma di piatti, dall’elegante abbinamento con il caviale ai sapori più audaci delle fusion food contemporanee.
Non c’è dubbio che sia un’eccellenza da celebrare. La sua produzione è sostenuta da rigorosi standard qualitativi e da una denominazione di origine controllata, che garantisce che solo i vini prodotti nella regione di Champagne possano fregiarsi di tale nome.
Mentre il mondo evolve, rimane una costante nella vita di molte persone. È una dichiarazione di stile, un simbolo di lusso e un’esperienza sensoriale unica. Ogni bottiglia racconta una storia di passione, dedizione e artigianato, trasportando chi la beve in un viaggio di piacere ed eleganza.
In un mondo frenetico, questa tipologia produttiva ci ricorda l’importanza di rallentare e celebrare i momenti più speciali. È un omaggio all’arte del vivere, un’effervescenza di emozioni inebrianti. Lasciamoci catturare dalla magia dello Champagne e brindiamo a tutto ciò che rende la vita degna di essere celebrata.
Ci sono diversi aspetti e collegamenti interessanti legati allo Champagne?
Feste e celebrazioni: è spesso associato alle festività e alle celebrazioni speciali. È una bevanda che simboleggia gioia, eleganza e momenti di festa. È tradizione brindare con Champagne durante matrimoni, anniversari, compleanni e altri eventi significativi.
Cultura e arte: ha ispirato molti artisti, scrittori e musicisti nel corso degli anni. È stato protagonista in opere d’arte, romanzi e canzoni, diventando un simbolo di lusso, raffinatezza e stile di vita.
Enoturismo: La regione di Champagne è una delle mete più popolari per gli amanti del vino e del turismo enogastronomico. Le cantine e le maison aprono le loro porte per visite guidate, degustazioni e tour delle vigne, offrendo ai visitatori l’opportunità di immergersi nella storia e nella produzione di questa bevanda straordinaria.
Flûte di Champagne: La flûte di Champagne è il bicchiere tradizionalmente utilizzato per servire questa bevanda. La sua forma slanciata e allungata aiuta a mantenere le bollicine e a concentrare gli aromi, offrendo un’esperienza sensoriale ottimale.
Mixology: può essere utilizzato come ingrediente in cocktail sofisticati e ricercati. Negli ultimi anni, la mixology ha visto la creazione di drink innovativi che combinano Champagne con altri liquori, succhi di frutta o ingredienti aromatici, ampliando la versatilità di questa bevanda.
Associazione gastronomica: è spesso abbinato a piatti di alta cucina e a specialità gastronomiche. Le sue caratteristiche, come l’acidità e l’effervescenza, lo rendono un accompagnamento ideale per frutti di mare, pesce, formaggi, foie gras e altri cibi pregiati.
Questi sono solo alcuni dei collegamenti e degli aspetti affascinanti che ruotano attorno a queste bollicine. Questa bevanda ha un impatto significativo nella cultura, nella società e nel mondo dell’enogastronomia.
Piatti che spesso si abbinano bene allo Champagne?
Ostriche: Le ostriche sono un classico abbinamento. La freschezza e la salinità delle ostriche si sposano perfettamente con l’acidità e l’effervescenza dello Champagne, creando un equilibrio armonioso di sapori.
Salmone affumicato: Il sapore delicato e affumicato del salmone si sposa bene con la complessità e la struttura di molte bollicine. Si consiglia di abbinarlo con un Blanc de Blancs o uno Brut.
Formaggi cremosi: Formaggi come il Brie, il Camembert o il triple-crème sono ottimi abbinamenti. L’acidità del vino aiuta a bilanciare la cremosità dei formaggi, creando un contrasto gustoso.
Foie gras: Il foie gras, con la sua ricchezza e consistenza burrosa, può essere accompagnato da uno Champagne demi-sec o da uno rosé. L’effervescenza del vino aiuta a pulire il palato dopo ogni boccone.
Caviar: Lo Champagne è spesso considerato l’abbinamento ideale per il caviar. La delicatezza dei grani di caviale si sposa con l’acidità e la sua freschezza, creando una sinfonia di sapori pregiati.
Tartare di manzo: La vivacità e la struttura del metodo classico si sposano bene con il tartare di manzo. L’acidità del vino aiuta a tagliare la ricchezza della carne cruda, creando un abbinamento equilibrato.
Questi sono solo alcuni esempi di piatti che si abbinano tradizionalmente al metodo classico francese. Tuttavia, ricorda che le preferenze personali possono variare, sarà magnifico esplorare e sperimentare per scoprire gli abbinamenti preferiti.
Maison Olivier Herbert
La maison Champagne Olivier Herbert, con sede a Reims, è un’affascinante realtà vinicola che porta avanti la tradizione e l’eccellenza dello Champagne. Sul loro sito web ufficiale, presentano con orgoglio la loro storia familiare e il loro impegno per la produzione di bollicine di alta qualità.
Si distingue per la sua filosofia artigianale e per l’attenzione meticolosa dedicata a ogni fase della produzione del loro metodo champenoise. Con una passione per il territorio di Champagne e le sue uve, si impegnano a coltivare le vigne in modo sostenibile e rispettoso dell’ambiente.
Olivier Herbert si concentri principalmente sull’assemblaggio delle uve Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier, utilizzando il metodo classico per la fermentazione in bottiglia.
La maison Champagne Olivier Herbert potrebbe rappresentare un’eccellente aggiunta all’articolo, sottolineando l’importanza delle piccole realtà produttrici che contribuiscono al fascino e alla diversità del panorama dello Champagne.
Chardonnay: Il Chardonnay è un vitigno a bacca bianca ampiamente coltivato nella regione di Champagne. È noto per conferire freschezza, eleganza e note di frutta bianca ai vini. Spesso utilizzato per creare Blanc de Blancs, che è prodotto esclusivamente con uve Chardonnay.
Pinot Noir: Il Pinot Noir è un vitigno a bacca nera che offre struttura, complessità e aromi fruttati ai vini di Champagne. È spesso utilizzato nelle miscele per apportare corposità, intensità e sentori di frutti rossi.
Pinot Meunier: Il Pinot Meunier è un altro vitigno a bacca nera che si trova ampiamente nella regione di Champagne. Contribuisce alla morbidezza, al fruttato e alla rotondità dei vini. Viene spesso utilizzato per bilanciare l’acidità e fornire una certa pienezza nei blend.
Questi tre vitigni, Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier, sono noti come “cépages principaux” e sono i principali componenti delle tradizionali miscele di Champagne.
Brut Rosè di Olivier Herbert in abbinamento alla carbonara di tonno con le linguine del Pastificio Ducato D’Amalfi
Questo Champagne si distingue per un attacco vivace, che si caratterizza per la freschezza e l’equilibrio tra la finezza del Pinot Nero e l’eleganza dello Chardonnay, senza mai risultare aggressivo.
Il suo colore rosa intenso e le delicate bollicine vi regaleranno un’esperienza gustativa fresca, arricchita dagli aromi di frutti rossi. Si rivelerà il compagno ideale per le vostre serate romantiche, aggiungendo un tocco di romanticismo a ogni sorso.
Si consiglia di servirlo come aperitivo a una temperatura di 7/8 gradi Celsius e, a tavola, a una temperatura di 10/12 gradi Celsius.
L’uvaggio comprende il 40% di Chardonnay, il 40% di Pinot Nero e il 20% di Pinot Meunier. In particolare, il 18% del vino è ottenuto da Pinot Nero proveniente da vecchie vigne e contribuisce al carattere rosso dell’assemblaggio.